III. Tenebre e luce.
Soundtrack – "Empire of Angels", Thomas Bergersen.
❆
Giorni dopo.
Victoria Legendragon mantenne la sua promessa.
Alle prime luci dell'alba, la principessa scattò e uscì dal letto più veloce di un segugio. Non desiderò l'aiuto delle dame per pettinarsi, vestirsi e lavarsi, e anche i cuochi di corte e la servitù di palazzo si meravigliarono della puntualità nella sala della colazione reale. Lei, che aveva abituato tutti loro a riceverla nelle ore più disparate del giorno.
Le era capitato spesso di saltare la colazione e passare direttamente al pranzo, o viceversa. E Rose, la più anziana delle donne che servivano la nobile, le ricordava sempre che era un'abitudine che avrebbe dovuto eliminare. Con i ritmi di vita che aveva la nobile non era ammissibile mangiare poco o quando e come voleva, e Rose si era spaventata quando un giorno la Legendragon, prima di una cavalcata nelle foreste del reame, era svenuta davanti a lei. Da quel giorno, Rose Firengon l'aveva presa di più sotto la sua ala protettiva, e aveva evitato di far accadere episodi spiacevoli come quelli.
Victoria aveva sempre avuto un fisico snello e asciutto, ma con le forme al punto giusto. Aveva dei seni sodi che le permettevano di indossare al meglio i vestiti di corte più stretti che arrivavano dalle sartorie di Firengon – il Regno più all'avanguardia per i vestiari nobiliari –, e un corpo che più di una volta aveva catturato gli sguardi dei componenti della cavalleria reale quando lei passava o camminava nei corridoi. Victoria lo aveva notato più di una volta, e si era sentita in imbarazzo sia per la situazione che per il suo rapporto con il corpo. Indossare le stoffe più pregiate e ricercate del Continente non bastava se la mente lottava con i demoni. E Victoria, quei demoni, se li trascinava da un po'.
Era piena di insicurezze. Non esplorava il suo corpo, né le avevano mai insegnato come fare o provare piacere. La mancanza di una madre per tutta la vita le aveva privato di una figura che avrebbe potuto confortarla laddove fosse stato necessario, e il protocollo reale in merito alla sfera sessuale era molto rigido. In più, c'era suo padre. Le aveva vietato di avvicinarsi a un uomo nel senso più pratico del termine. E tutte le volte che lei provava a guardare o immaginare un cavaliere o un principe in contesti diversi... si rimproverava con sé stessa. E si sentiva male. Male perché sapeva che non c'era nulla di sbagliato nel farlo... ma la linea di confine tra ragione e sentimento non era una prerogativa della famiglia Legendragon.
Quella mattina, la sua mente vagò ancora tra quei pensieri che lei considerava strani. La principessa addentò dei biscotti portati dalla servitù su un vassoio d'argento, ed esaminò tutte le portate sulla tavolata. Uva, melograni, mele e pere tagliate a cubetti, pane appena sfornato, marmellate di ciliegie e lamponi, burro, cioccolato fuso e frutta secca come noci e mandorle. Poi, la donna guardò Riccardo al suo lato che le versava del vino in un calice e aggrottò le sopracciglia.
«Sono le sette del mattino.»
«Lo so.»
«E quindi?»
«E quindi nostro padre non c'è» puntualizzò il principe «e per una volta che siamo soli, puoi concederti uno sgarro. Sogno da una vita intera di vederti girovagare ubriaca fradicia fra i corridoi di palazzo.»
Lei trattenne una risata e scosse la testa.
«O è stato capace di vietarti anche questo? Mentre lui prova una quantità infinita di varianti?»
Lo stomaco di Victoria si contorse. Era vero. Il padre le aveva anche obbligato di evitare dei cibi in particolare. Ma alla nobile non andò di discutere di tutte le problematiche che riguardavano la sua reclusione a palazzo. Non quel giorno che...
«Verrai con me?»
«Purtroppo no.» replicò lui, ma lei corrugò la fronte nel notare un sorrisetto tra le labbra del fratello.
«Lo stai facendo di proposito.»
«Sì e no.»
Victoria provò a fiatare, ma lui aggiunse: «Mi sarebbe piaciuto un sacco ritornare a cavalcarne uno, sorellina adorata, ma ho delle questioni di palazzo da risolvere che riguardano alcune trattative economiche con il Regno di Firengon e il Regno di Goldrosagon. E poi... mi allietava l'idea di lasciarvi da soli.»
«Sei uno stronzo.» sospirò lei, abbassando il capo e intrecciando le mani sulla gonna di velluto blu. «Almeno per oggi...»
«Non ti divorerà, stai tranquilla.» la interruppe, sornione. «O almeno... non in quel senso. E poi è te che vuole, no? Gli hai promesso un addestramento con i draghi ed è giusto che tu glielo dia. Sono dei bravi cavalcatori, aggiungerei. Addestrano Eternom da secoli e si narra che quando il Regno di Faedragon era ancora prospero loro erano secondi solo alla nostra stirpe. Approfittane per conoscere qualche loro segreto. Questo incontro può esserti utile in molti modi...»
Il fratello le fece un occhiolino, e quando si alzò dal tavolo e le schioccò un bacio sulla nuca, lei gli afferrò un polso.
«Devi esserci. Per favore.» lo guardò con gli occhi sgranati e usò un tono mieloso.
Riccardo le diede un altro bacio su una guancia e le accarezzò l'altra per sussurrarle: «Fidati, è una brava persona.»
Raggiunse la porta, e Victoria si sentì mancare il fiato a ogni suono che fecero le scarpe del fratello a contatto con il pavimento. E sulla soglia, l'uomo aggiunse: «Certo, un po' musone, misterioso e silenzioso... troppo silenzioso... ma sono alquanto sicuro che la tua parlantina lo farà sciogliere e la tua bellezza lo stregherà.»
E Victoria arrossì e lo fulminò con lo sguardo quando lui le fece un altro occhiolino, le mimò un bacio con una mano e sparì oltre il legno d'acero della porta.
La principessa restò a rimuginare con i suoi pensieri, a torturarsi le mani e lo stomaco, e non toccò più altro cibo. Si alzò da tavola, andò a ringraziare uno per uno i cuochi e la servitù di corte e uscì dalla stanza.
Era sempre stata una sua abitudine, il suo motto di vita. Altruismo per ricevere altruismo. E fra i mille pensieri che la tormentarono in quel corridoio affollato, Victoria sperò che anche il Principe Ghiaccio di cui parlavano tutti sarebbe stato altrettanto generoso.
❆
Le ciocche corvino fluttuarono nel vento e alcune le coprirono le iridi misteriose mentre cercava di sistemare la cintura sotto il collo del drago. E per la visuale poco chiara, la principessa non si rese conto né udì l'arrivo del Fae.
Era silenzioso come lo descrivevano. E in quel breve frangente che riuscì a guardarlo negli occhi, Victoria si maledisse di essere lì e si domandò se quelle poche parole che si erano scambiati la notte del banchetto, nei giardini reali di palazzo, non fossero stati che una fantasia insita nella sua mente.
E quel silenzio tra loro due le sembrò eterno. Le mani iniziarono a tremarle a contatto con il cinturino dell'oggetto, e i passi del principe si fecero più intensi sul terriccio bagnato del posto. Aveva smesso di nevicare da poco, e le loro pellicce bianche li stavano proteggendo dalla rigidità delle temperature.
«Buondì, altezza. Non angustiatevi per il clima... riusciremo... riusciremo a cavalcarli anche così. I nostri draghi sono abituati a-»
Victoria sentì un groppo in gola quando il principe si avvicinò senza preavviso e afferrò il cinturino che lei stava sistemando. Le dita si sfiorarono e sentì tutto il freddo che si vociferava dei Fae. Avevano pelli vitree e un sangue diverso dagli esseri umani... ma Dorian Windothynn era tutt'altro. La sua pelle era olivastra, e l'unica cosa in comune con la sua dinastia magica era la chioma bianca. Era frequente tra i maggiori clan dell'Aria. E la nobile notò anche una cicatrice sotto l'indice quando le dita esili dell'uomo si inserirono nell'apertura della cinghia per sistemare l'attacco.
«Meglio così.» si limitò a dire, piano.
E la fanciulla lo guardò con la coda dell'occhio, perché le loro spalle si stavano sfiorando. Il Fae era alto. Alto da doversi alzare sulle punte se qualcuno avesse provato ad abbracciarlo. Ma lei non ne aveva alcuna intenzione – o forse coraggio – perché la sola presenza la intimoriva. E tirò un sospiro di sollievo quando vide il mantello blu strisciare sulla neve del terreno. Lontano da lei.
«Con il vostro aggancio rischiavate brutte sorprese in volo.» precisò il principe, e incrociò le braccia sotto al petto per guardarla.
Victoria si sentì morire dentro. La voce di lui era bassa, ma dolce. «Sono molti anni che addestriamo i draghi a questi voli con queste attrezzature, milord.»
«Non ne dubito, ma credetemi, così siete più al sicuro.»
Victoria tentò in ogni modo possibile di restare lì per non dover affrontare il suo sguardo. Perché se lo sentiva su ogni centimetro della sua figura, e non si sarebbe voltata per nessuna ragione al mondo. La constatazione che lui avesse potuto osservarla con insistenza... no, non poteva reggerlo. Già le era sembrato imbarazzante il battibecco nei corridoi di palazzo quando gli aveva versato del vino addosso.
«Rincuoratevi, Legendragon. Vostro padre non mi deve alcuna somma di denaro per gli abiti.»
E Victoria si chiese se fosse possibile che fra i poteri dei Windothynn ci fosse leggere nella mente. Per un attimo valutò l'idea.
«Mi dispiace per-»
«Nessun problema» la interruppe «e ve lo dico sul serio. Siate più tranquilla.»
«In merito a cosa?»
Lei ci provò. Ci provò in ogni modo ad allacciare un rapporto. Una parte di lei temeva quelle confidenze. Ma un'altra doveva sapere. Doveva sapere se fosse stato lui l'artefice del...
«Non c'è un merito. Dovete vivere le cose più serenamente.»
Victoria abbassò lo sguardo, pur accarezzando le scaglie verdi del drago. «Era in mio dovere aiutarvi, altezza. Vi ho sporcato l'abito.»
«Ma era solo un abito, e io ho esagerato con la reazione.»
«Vi siete sentito offeso, e io non so se potrò mai perdonarmelo.»
Victoria si sentì tremare la colonna vertebrale quando gli udì una risata. Era di quanto più simile a una melodia. La melodia più dolce del Continente, più soffice di una piuma e più leggera di un sospiro di vento.
«Altezza... era un abito.»
La nobile fece per replicare, ma optò per il silenzio. Qualunque cosa avesse potuto dire, si sarebbe sentita comunque in imbarazzo. Un imbarazzo che in sua presenza sembrava non abbandonarla mai.
«Piuttosto... ditemi un po'. Che altezze raggiungono i vostri draghi?»
Victoria fece in tempo a deglutire. «Dipende. Come vi dicevo, riescono a reggere molto bene queste temperature, ma ci sono alcuni di loro con delle membrane molto delicate e, se il clima è troppo rigido, rischiano di congelarsi e rallentare il volo. Inoltre, non potrebbero-»
«Potreste girarvi?»
Victoria respirò con irregolarità. «Prego?»
«Vorrei che vi giraste. È un po' triste parlare con le vostre spalle...» ironizzò lui, dolce. «Pur avendo un bel portamento.»
E Victoria ebbe la sua conferma. L'aveva studiata tutto il tempo. E ringraziò la lunghezza della sua gonna per le gambe che le tremarono.
Ma la principessa obbedì. Lasciò l'aggancio del drago, dalle narici dell'animale uscì del fumo e lei si girò proprio in quell'istante. Non sollevò subito lo sguardo. E quando lo fece... si ritrovò un principe dalla chioma nivea, la pelle un po' simile all'alloro dorato della corona della festa e con un completo blu-oro che ne risaltava la trasparenza degli occhi e l'oscurità del mantello. Ombroso come i suoi modi di fare.
E Victoria poté giurare di vedere un'altra luce negli occhi del Fae quando lei si inchinò per salutarlo. Lui rise e si morse un labbro con delicatezza, guardò alla sua destra e mormorò: «Per gli Dei, Legendragon. Dovrei essere io a inchinarmi a voi.»
E Victoria non fu sicura di voler sapere tutte le varie sfumature di significato della replica.
«Dunque vi va?» chiese lei.
«Sono qui come allievo. A vostra completa disposizione.»
Un velluto sembrò meno morbido di quella risposta. E lei annuì e gli indicò il drago con cui avrebbe volato il principe. Era poco distante dalla loro postazione, appollaiato sulla neve. Più silenzioso e riservato di quello affidato a Victoria, e le sue scaglie erano di un blu notte. Intenso e magnetico.
Il principe restò a braccia incrociate e si avvicinò. Il drago grugnì alla vista di un uomo, ma i suoi grandi occhi bruni si addolcirono quando il Fae gli accarezzò una guancia con le dita affusolate.
«Appartiene alla vostra dinastia?» domandò lei.
Dorian si girò e la osservò, continuando ad accarezzare l'animale.
«Intendo... entrare in contatto con queste creature?»
«Un po' sì.» rispose, girandosi di nuovo verso il drago. «Un po' no. A volte è tutta questione di confidenza. Avvicinatevi. Vi faccio vedere.»
Victoria esitò qualche istante, poi lo fece. Raggiunse i due, e Dorian la guardò intensamente. Lei non capì e deglutì piano quando incastrò i suoi occhi in quelli del principe. E metabolizzò il perché di quegli sguardi solo quando il principe le chiese il permesso per prenderle una mano. La principessa appoggiò una mano sul grosso palmo del Fae, e lui con dei movimenti raffinati la aiutò a toccare la pelle del drago. Victoria volle tirarsi indietro quando il drago grugnì più forte, ma lui le afferrò in tempo le dita e la tenne ben salda.
Victoria avvampò a quel contatto che per due del loro calibro era troppo... e l'immagine del padre che le raccomandava di non avvicinarsi a un uomo le balenò in testa come schegge di vetro in volo.
«La paura genera paura. Se gli mostrerete timore... lui farà altrettanto. Ma se emanerete forza e sicurezza, allora riceverete la parte migliore di lui. Hanno un cuore come noi, Legendragon. Solo più difficile da sciogliere. Ma una volta che riuscirete a entrare nelle fibre più profonde... ve lo doneranno senza pretendere nulla in cambio.»
E Victoria notò l'intensità con cui le proferì quelle parole. Come se le stesse rivolgendo a lei.
«Riprovate. E senza paura.»
La nobile lo accontentò. Appoggiò le dita esili sulle narici dell'animale, poi lentamente sulla guancia. Tremò come una foglia, ma il calore che le donò il contatto la ripagò del coraggio di averci provato. E sorrise. Sorrise a vedere una creatura grata alle sue carezze e alle sue attenzioni.
Lui restò in silenzio. Osservò il sorriso sincero della Legendragon donato all'animale... e non abbassò lo sguardo quando lei si voltò verso di lui.
«Un giorno vi ripagherò.»
«Per una carezza a un drago?» scherzò lui, soave.
«Per avermi dato una lezione di coraggio.»
Il principe sorrise, e scherzando aggiunse: «Potreste dargli il mio nome.»
«Oh, sicuro. Il giorno in cui troverò il mio Eternom scontroso e scorbutico, saprò come chiamarlo.» disse lei.
E la risata contagiò anche lui. «Date già per scontato che possa essere così?»
«Me lo sento. È un classico dei Protettori di Draghi avere una creatura non incline al proprio temperamento.»
Lui si trattenne. Si trattenne dal chiederle cosa pensasse delle creature misteriose come i Fae... perché gli sembrava una confidenza troppo grande per due persone che si conoscevano da pochi giorni.
L'aveva già incontrata in passato. Aveva già trascorso del tempo con lei, sebbene non ricordasse nulla dell'infanzia in sua compagnia. Ma desiderava conoscerla. Desiderava sfidare i suoi modi introversi, in forte contrasto con l'atteggiamento solare della donna. Emanava raggi di sole e briciole di speranza da ogni poro della sua pelle, mentre lui era la controparte esitante, ghiacciata, ambigua.
E dopo minuti a prendere confidenza con la creatura, il principe accompagnò la Legendragon accanto al suo drago. E quando fu lì, la aiutò a salire sulla sella... e Victoria sentì la pelle prendere fuoco quando lui le strinse la mano durante l'atto. Una volta seduta, lo ringraziò e gli sorrise con gli occhi... ma lui si voltò nell'immediato e a grosse falcate raggiunse il suo animale.
«Un'ultima cosa.» urlò alla giovane, facendola voltare verso di lui prima di dare una pacca sul dorso dell'animale per fargli spiccare il volo.
«Cosa?» chiese lei in un sospiro di voce, vedendo che il principe non proseguiva.
Continuava a osservarla, ma non trovava né il coraggio né le parole adatte per confessarlo.
Il silenzio lo pervase ancora per qualche secondo, e il primo nevischio della giornata si confuse con la brillantezza delle sue ciocche. «Reggetevi forte. Queste selle sono diverse da quelle che usiamo noi. Molto più leggere.»
E Victoria annuì, ma una piccola parte di lei si sentì... delusa. Delusa perché gli occhi avevano parlato al posto del principe, e nelle sue iridi non c'era stata quella risposta.
Per lei, lui avrebbe voluto dire altro. Ma quando Dorian salì sulla sella, fu sommerso dai suoi pensieri e non aggiunse nulla.
Non ora, valutò nella sua mente. Non era ancora il momento di rivelarle chi le aveva donato quella corona d'alloro.
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Schegge alate o estratti di diamanti. In volo fra le nubi del cielo, nella mente di Victoria apparve quell'immagine. Magia in volo, avrebbe voluto chiamare quel quadro che le tormentava l'inconscio. Un connubio di sfolgorii e bruma, delicatezza e letizia.
In quei posti, lei si sentiva libera. Libera dalla corte che la soffocava giorno dopo giorno e lontana da ogni legge del Continente. Percepiva il vento sulla pelle e bramava esserlo. La magia sotto gli abiti e desiderava averne. Era avida di conoscenza e stupore, come la gaiezza di un bambino alla scoperta del mondo. E la luce del sole le sembrava più vicina, la terra più lontana. Sfiorava l'Olimpo degli Dei, un Olimpo che lei avrebbe osato sfidare se avesse avuto una risposta certa alle sue mille domande.
Al perché suo padre l'aveva privata del barlume del mondo. Al perché sembrava non esserci alcuna felicità oltre le pareti spente delle sue stanze. Il re di Legendragon l'aveva chiusa in una bolla, ma senza darle alcuna spiegazione. E lei a stento sentì la voce di Dorian quando la chiamò a gran voce. I due draghi volavano l'uno a fianco all'altro, e la principessa osservò la chioma fluttuante del giovane prima che lui proseguisse.
«Quanto sapete rischiare, Legendragon?»
«Cosa?»
I toni delle loro voci sovrastarono anche il volo dei draghi.
«Siete disposta a rischiare con un po' di magia?»
Lei non capì. E le fu chiaro quando dai polpastrelli del principe fuoriuscirono delle scie bianche, con briciole simili a pezzi di cristallo che formarono una traiettoria dove si sarebbero gettati i draghi per un volo... epico.
Il drago del Fae sbatté le grosse ali blu-nere e fece uno slancio per raggiungere lo sciame di magia e stelle. E Victoria ordinò una velocità altrettanto notevole al suo. Raggiunse quello di Dorian in breve tempo, e tra le nubi soffici di quelle altezze, urlò più di una volta al principe che avrebbe vinto lei.
Lui rise, rise e si riempì i polmoni di quella spensieratezza che stava donando a sé stesso. E a lei.
La vide ridere, impegnarsi per superarlo tutte le volte che le bloccava la visuale... ma la Legendragon non si arrese. Perseverò e mostrò il suo repertorio. E Dorian capì che c'era un motivo se il popolo dei Figli del Drago aveva la nomina di "Protettori dei Draghi".
Tutte le capacità e la magnificenza di Victoria Legendragon, in groppa al suo drago, si mostrarono in quel cielo tra tenebre e luce.
Soundtrack – "The Voice of the Forest", Brunuhville.
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«Quindi è già tanto che io conosca il vostro nome?» ironizzò la principessa, mentre si aggiustava le pieghe dell'abito e sistemava gli spalletti sul mantello.
Il principe accennò un sorriso e si sfilò le scarpe per scuoterle e rimettersele. Il terriccio del posto dove erano atterrati era umido, perché nel periodo di tempo che erano stati in volo, le nevicate avevano avvolto le foreste sulla terraferma. E a Victoria quel posto ricordò le immagini fatate e fiabesche disegnate sui libri della sua infanzia.
«Non avete mai pensato di essere voi quella troppo...»
«Troppo? Invadente? Chiacchierona? La spina nel fianco di chi vorrebbe prendere fiato solo per nutrirsi o russare?» continuò lei.
Dorian non riuscì a trattenere una risata. Fu più forte della sua maschera di rigidità. «Una via di mezzo.»
E lei sorrise e abbassò lo sguardo sfregandosi le dita delle mani. Erano fredde come stalattiti, e sgranò gli occhi quando vide che il principe lo notò e... cacciò dei guanti dalle tasche interne del suo mantello e li porse a lei.
«Voi...»
«Noi siamo abituati a queste temperature sin da quando veniamo al mondo, altezza.»
«Faedragon è così fredda?»
Dorian annuì. «Credo sia il Regno con le temperature più gelide del Continente.»
«Dubito possa superare Legendragon.» chiarì lei, ridendo.
«Ho i miei dubbi. Credetemi, fa freddo. Ma in compenso, aiuta a generare la nostra magia.»
A Victoria sembrò surreale che le stesse rivolgendo più parole di fila. Il Fae aveva un talento naturale a tagliare corto per qualsiasi affermazione uscisse dalle sue labbra. E lei se le ritrovò a osservarle con insistenza perché notò che, a differenza delle sue che in quel momento erano tendenti al violaceo, le labbra di Dorian erano di un rosa scuro ma vivo. Come se davvero tutto quel freddo non gli entrasse nelle vene come stava succedendo a lei.
«E come?» si incuriosì la donna.
Dorian esaminò la visuale intorno a lui. C'era ancora della brina sui rami secchi o robusti degli alberi, ma l'incanto del posto era dovuto alla luce che emanava. Quell'accumulo di tonalità lattea sprigionava chiarore e fulgore. E l'aura abbagliante era aiutata dalla brillantezza della neve, simili a cristalli incastonati in soffici strati di velluto.
Il Fae si girò di nuovo verso di lei e abbassò il mento. La Legendragon era alta, ma quei centimetri che li separavano permettevano a lui di guardarla come una creatura da accudire. Un piccolo gioiello nel cuore di una foresta stregata.
«Seguitemi.» le sussurrò, dopo averle studiato le labbra per dei secondi. La superò di qualche passo, e Victoria accettò la proposta.
❆
Dopo un paio di minuti, i due nobili raggiunsero una parte della foresta dove le tenebre non avevano alcuna possibilità di diffusione. La riduzione del numero di pini e abeti rendeva il posto immenso, largo e spazioso.
Victoria prestò attenzione ai dettagli, e la neve che filtrava tra gli alberi o cadeva dai rami le bagnava i capelli e il mantello, ma capì le intenzioni del compagno di volo solo quando gli vide muovere le dita con grazia ed eleganza per... sprigionare un bagliore magico.
E sgranò gli occhi. La luce che attraversava e avvolgeva i polpastrelli e i palmi di Dorian era abbagliante, a tratti azzurra, e le sembrò di vedere dei fiocchi di neve giganti tra un luccichio e l'altro. Poi la magia si trasformò in un fuoco blu e... non poté crederci.
Non poté crederci di star assistendo a cosa i suoi libri di storia le avevano mostrato per anni. Sulle pagine dei suoi volumi preferiti si parlava di magia, mistero e potenza in relazione alla dinastia dei Fae dell'Aria. Vederne uno dal vivo che sprigionava il suo essere... le fece scalpitare il cuore. Sentì una strana sensazione sottopelle quando la luce la chiamò. E si avvicinò piano.
Lui era stato così concentrato nell'emanare la fiamma che non si era reso conto che la Legendragon si fosse avvicinata. Si svegliò come da un sogno e le mormorò: «Volete toccarla?»
Lei raddrizzò la schiena e si avvolse dentro il suo mantello per ripararsi dal freddo che stava aumentando. «Non mi è concesso, milord.»
«Ma lo volete?»
E Victoria lo domandò a sé stessa. Quante volte le era stato chiesto cosa volesse? Cosa provasse? Poche. Nulle. E il principe lo aveva fatto con una naturalezza da sconvolgerla, perché non avevano nulla in comune oltre la passione per i draghi. E i voli in cielo.
«Può bruciarmi?»
Lui sorrise divertito. «Non se le chiederete di non farlo.»
«Non credo che una fiamma possa capirlo...»
«Può tutto, Legendragon. Questa fiamma può davvero sconvolgervi.»
Lui preparò i palmi verso di lei e aggiunse: «Sì, può lasciarvi un segno indelebile se la tratterete come una fiamma qualunque. Ma se la curerete... se le darete le giuste attenzioni... se la guarderete con occhi diversi... saprà come ricambiarvi. Saprà come entrarvi sottopelle facendovi sentire l'unica in grado di poterla avere. La fedeltà che riceverete in cambio è un dono che conserverete nel vostro animo per l'eternità.»
Le metafore del principe la estasiavano, incuriosivano e confondevano allo stesso tempo. Le sembrava sempre che le parlasse in codice, e mai per davvero. Doveva scavare nelle profondità delle sue parole per trovare una soluzione ai suoi enigmi.
Lui si avvicinò ancora di più con i palmi, ma lei indietreggiò di qualche passo nella neve. Le suole degli scarponi sprofondarono nel biancore, ma Dorian restò fermo. La guardò intensamente con i suoi occhi di cristallo, e la profondità di quelli della Legendragon non gli era sembrata mai così chiara come in quel momento.
Aveva paura. La principessa aveva paura di rischiare.
«Nei giardini del vostro palazzo, mi avete ringraziato quando ho provato a infondervi del coraggio. Dunque, vi prego di considerarlo di nuovo. Posso ancora donarvi un soffio del mio... chiamiamolo potere.»
Lei sorrise. «Il coraggio è potere?»
«Il coraggio è sognare. Credere in qualcosa e ambire a raggiungerlo.»
«E se non ne avessi abbastanza? Se non avessi le capacità o l'onore per rispettare il vostro potere?»
Lui curvò le labbra. E a Victoria sembrò il sorriso più sincero da quando si erano conosciuti. «Mi avete dato dello scorbutico dopo appena qualche secondo di conoscenza. Non credo esista una donna più coraggiosa e sfrontata di voi, Legendragon.»
E lei ridacchiò. Ridacchiò a ricordare il modo in cui si erano presentati. Forse il vino era stato il male minore, pensò. E ignorò l'occhiata particolare che le diede Dorian.
Victoria fece un profondo respiro e si avvicinò. Recuperò i passi precedenti e allungò le mani. Il principe, con una delicatezza da toglierle il fiato, appoggiò la fiamma sui palmi della nobile... e lei sentì un leggero pizzicore a contatto con quella magia di stelle, sfumature e filamenti d'argento.
Strinse i denti, poi prese confidenza. La fiamma si dissipava e si rafforzava ondeggiando tra le sue dita, e le luci variavano di tonalità e luminosità quando lei sorrideva o muoveva le dita. E le sue esili, candide dita tremavano. Tremavano per la paura di deludere lui, e per il timore di bruciarsi da un momento all'altro. Ma lui sorrideva, e le fiamme danzavano sui suoi palmi e sui suoi dorsi come amanti che danzavano sotto le stelle.
E le scappò una risata. Una risata mista a soddisfazione e a un velo di commozione. Lui sorrise tutto il tempo, e studiò ogni mutamento del suo volto. Stupore, meraviglia, paura, rassicurazione, soddisfazione... non volle perdersene una.
E anche un uomo centenario come lui restò sorpreso dall'alone dorato nascosto nell'argento del potere. Non ne aveva mai vista una. C'erano delle leggende in merito alle orydion, le fiamme dorate sprigionate dalla magia bianca dei Fae Windothynn... ma un evento del genere accadeva ogni mille anni. E quando lui constatò il mito tra le dita esili di un'umana come lei, gli si bloccò il cuore in gola.
«Siete destinata a grandi cose, Legendragon.»
Lei alzò il volto di scatto. La sua attenzione passò dal fuoco a lui. E si meravigliò di sé stessa per il controllo fra le mani.
«E non perché siete riuscita a mantenere una fiamma estinta da decenni.» aggiunse lui.
«E allora per quale motivo?»
Lui esitò nel dare una risposta soffiata mentre i suoi occhi brillavano. «Ci sono eventi, situazioni e conoscenze ignote anche a creature millenarie come noi, altezza.»
Victoria si sentì ancor più confusa. Confusa da quella situazione e dalle ennesime parole criptiche del Fae. E quando lo vide allontanarsi da lei, andò nel panico.
Ma lui la rassicurò dicendo, con le braccia incrociate sotto al petto: «Provate a farla volteggiare nell'aria.»
La nobile rise. «Mi sento già fortunata a sostenerla in questo modo senza ustionarmi.»
Lui chiuse gli occhi, sorrise e li riaprì. «Provateci.»
E la sicurezza nel tono di voce del Fae la convinse. Victoria sollevò la fiamma, ci soffiò sopra ed essa si liberò nell'aria come stelle cadenti. Guardò quel grumo di magia con occhi innocenti e spensierati, e lui non ebbe più alcun dubbio su cosa scorresse nelle vene della principessa.
Qualcosa di speciale. Nessuna umana del Continente poteva essere in grado di modellare una fiamma Windothynn di quel calibro. Le aveva mentito sulla riuscita per infonderle il coraggio che le aveva promesso, e perché il sesto senso gli aveva suggerito che ci sarebbe riuscita.
Ma lui si prese il suo silenzio, attese che lo stupore terminasse e sospirò più sincero che mai: «In voi scorre qualcosa, Legendragon. E spero di restare in vita abbastanza a lungo da vedere come cambierete il mondo.»
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