II. Frammenti di ghiaccio e fibre di cuore.
Soundtrack – "An Historic Love", Trevor Morris.
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Luci sfolgoranti, gemme fulgide incastonate in lampadari di diamanti grezzi e briciole d'oro tra i sorrisi lieti degli invitati. E quell'oro sfavillante ricopriva le tende di velluto, gli ornamenti da collezione, le armature reali e gli strascichi degli abiti elaborati della corte di Legendragon.
Fiumi di birra, vino e idromele racchiusi in calici e caraffe d'argento, posate con decorazioni che ricordavano volti di draghi – così cari al Popolo del Fuoco – e tovaglie e tovaglioli di stoffe pregiate importate dalle botteghe dei migliori sarti di Firengon. Sospiri di vento erano racchiusi dentro boccette di vetro rosso rubino, con granelli di sabbia importati dalle spiagge di Bakagash e punte di zaffiri dalle migliori miniere di Wealthagon.
Ogni angolo di quella sala di grandigia e opulenza richiamava le tradizioni di Legendragon, il Regno della malinconia... che sapeva donare e trovare sorrisi laddove la vita sembrava meno dura.
Non era un giorno di festa come tanti. La storia di uno degli amori più tormentati e puri dell'intero Continente inizia da un dì dove la neve cadeva in modo incessante sui giardini di palazzo e le temperature della Stagione facevano risaltare il bianco degli abiti della sala.
Il tema della festa era proprio la neve. E l'alleanza con l'ultimo superstite della famiglia Windothynn garantiva un pregio non da poco per una corte dove le gerarchie di trono non erano più le stesse, e Xander poteva guadagnarsi la totale fiducia dei reali che lo circondavano solo con l'ascesa al Trono dei Troni. Il cambio generazionale aveva scombussolato tutti, sebbene Xander fosse sembrato il più adatto a adempiere a quei doveri.
Il Fae dalla chioma argentea era l'invidia del Continente. Una bellezza ultraterrena, orecchie a punta e pelle olivastra che ammaliavano anche le donne più intransigenti. E una prova lampante si ebbe quando l'uomo attraversò la sala, scortato dalle sue guardie reali, e tutti gli sguardi furono per lui e il suo mantello nero che copriva l'armatura scintillante.
E uno dei lati caratterizzanti del Fae era che non si scomponeva neanche in situazioni come quelle. La sua espressione restò impassibile, dura come il marmo, e i suoi occhi ricordarono le bufere di neve dei Monti Alati. Si guardò intorno con una calma invidiabile, e fece un cenno quando dovette ordinare una questione alla sua guardia reale più fidata.
Silenzioso. Silenzioso e impenetrabile. Era un uomo di ferro e ghiaccio, scontroso e misterioso. Qualità che lo avevano isolato da molti nobili del Continente, ma amato da altri. E tra questi ultimi figurava Xander Legendragon.
Avere un'alleanza con l'ultimo briciolo di magia era un tassello che il re non avrebbe voluto farsi sfuggire per nessun motivo. Le tracce su Aeghena Windothynn, la sorella del Fae, si erano perse da anni. Si diceva che vagasse tra le terre del Continente, ma nessuno era riuscita a riconoscerla o trovarla, né Dorian aveva proferito parola sui suoi spostamenti. E nessun reale osava sfidare la forza di una creatura magica, per cui il Fae era stato lasciato in pace e le domande nei riguardi della sorella erano cessate da parecchi anni.
Il Fae si avvicinò a un tavolo bandito, e ignorò il chiacchiericcio dietro di lui mentre toccava una polvere d'oro con le dita. Danze popolari e ritmate si consumavano al centro della sala, mentre i cavalieri scortavano Dorian in qualunque posto volesse raggiungere.
«Cos'è?» un soffio di velluto. Un sospiro rauco. Il Fae mostrò la polvere brillante all'uomo accanto a lui, e il cavaliere sorrise.
«Ilyria, mio signore. Si dice che sia stata importata da Bakagash, la Città di Sabbia fuori dal Continente.»
Dorian continuò a esaminare la polvere in silenzio. Un misto di odori marini e una consistenza soffice al tatto, un colore raggiante che ricordava i posti soleggiati in cui era stato durante la Stagione del Sole dell'anno precedente.
Dorian e sua sorella avevano viaggiato molto. A causa dell'esilio da Faedragon e dell'avvento di Zaros sulla Terra, le vite dei due erano state stravolte al punto che avevano dovuto anche separarsi. Aeghena si era rifugiata a Wingdragon, sotto mentite spoglie, mentre lui aveva trovato dimora in un castello abbandonato poco distante dalla corte di Legendragon, e aveva acquisito anche il titolo di Principe Ghiaccio. Da piccolo aveva fatto visita alla corte di Xander più volte, perché i componenti della servitù del Fae erano servitori reali della corte di Re Glorium Legendragon da tempi immemori, e le balie che lo accudivano nel vestiario e nei servigi erano fedeli anche alla corte di Xander. E in quegli anni di fanciullezza, Dorian aveva stretto amicizia con il maggiore dei Legendragon e sua sorella Victoria.
Non li aveva visti spesso. A stento ricordava i loro volti. E quando Riccardo si avvicinò per salutarlo, Dorian non lo riconobbe. Sussultò quando l'amante di fuoco gli diede una pacca sulla spalla e se lo stritolò. Dorian restò rigido, e fece un'occhiata confusa.
«Ecco qual era l'attenzione comune degli invitati.» ironizzò Riccardo, dando un'altra pacca sulla spalla in armatura del Fae. «Mi chiedevo cosa ci fosse di più bello del sottoscritto al punto di non ricevere più attenzioni.»
Ma Dorian non sorrise, e assottigliò gli occhi per capire. Cercò di comprendere chi avesse davanti, e il cavaliere al loro fianco li anticipò mentre la musica di sottofondo riempiva i suoi silenzi di riflessioni.
«Il principe Riccardo di Legendragon, Vostra Altezza.»
Il volto del Fae si illuminò all'improvviso. Gli occhi ghiaccio si schiarirono, e un accenno di sorriso formò delle fossette ai lati.
«L'ultima volta che ci siamo visti scorrazzavate da una stanza all'altra di questo castello ed eravate alto poco più di una pianta da giardino.» lo provocò il principe, ma Dorian non si scompose in alcun modo.
Era vero. Xander conosceva il Windothynn sin da quando era un pargolo, prima dell'invasione di Zaros sul Continente, e quell'alleanza non stava facendo altro che saldare un rapporto già instaurato. Inoltre, gli anni d'età dei Fae funzionavano in modo diverso: c'erano Fae che esteticamente cambiavano dopo molti anni, mentre altri invecchiavano subito. Dorian era sempre stato tra i più piccoli della sua specie, e quando Riccardo aveva avuto malapena sei anni, Dorian ne aveva avuto un centinaio e aveva avuto le sembianze di un qualunque bambino umano di quell'età.
«Come vi sembra?» domandò Riccardo, afferrandolo per un braccio e trascinandolo verso un altro tavolo della stanza. Dorian arricciò il naso a quel contatto invadente, ma lasciò scorrere.
«Cosa?» chiese il principe Fae, e il Legendragon sorrise a udire per la prima volta la voce del Dorian adulto. Rauca, profonda, ma sensuale e melodica al tempo stesso. Un miscuglio che gli aveva fatto comprendere perché l'aspetto non era l'unica cosa che incantava qualsiasi donna del Continente.
«La corte di mio padre.» pronunciò Riccardo. «Dovrete costruirci un'alleanza, mio caro, non potrete certo limitarvi a strizzare gli occhi e analizzare come un randagio qualunque cosa vi capiti sotto tiro, no?»
E Riccardo riuscì a strappargli una prima, tiepida risata. Il principe iniziò a elogiare le novità instaurate dal padre mentre passeggiavano a braccetto per la stanza – sebbene Dorian continuasse a non sopportare quel contatto così spavaldo –, ma l'ascolto per le spiegazioni di Riccardo si affievolì quando un lungo vestito verde smeraldo catturò la sua attenzione.
In mezzo alla folla c'era una donna che Dorian non aveva mai visto. E anche la musica si era ovattata quando lei si era girata e i suoi occhi scuri come le tenebre avevano incontrato quelli del Windothynn chiari come la neve.
Riccardo fu troppo distratto da una discussione veloce con un nobile di passaggio per poter notare che l'amico al suo fianco aveva deglutito pesante e aveva cercato di non far trapelare le sue emozioni mentre divorava la sorella con gli occhi. Victoria bloccò la conversazione con le dame che aveva frontalmente, loro ridacchiarono e sussurrarono alla Legendragon chi fosse il principe che la stava fissando con insistenza, e molto educatamente fece un inchino con il capo basso.
Dorian resisté. Resisté a non regalarle un sorriso che avrebbe potuto illuderla, e scattò come risvegliato improvvisamente da un sogno quando Riccardo gli afferrò di nuovo il braccio e lo trascinò più avanti. Dorian mai avrebbe pensato di dover ringraziare l'insopportabile sfacciataggine dell'amico d'un tempo pur di non affrontare la realtà. Ma nonostante quello, con lo sguardo provò a cercare la Legendragon tra la folla un'ultima volta... e sentì una fitta insolita allo stomaco quando constatò di averla persa di vista. La sala era troppo gremita di gente, e Riccardo troppo impaziente di avere il principe tutto per sé.
«Perdonate la mia sfacciataggine, altezza, ma non ricordo molto dei miei trascorsi in questa corte. Sono passati troppi anni. Avete una sorella o un fratello?»
Dorian non poteva credere di aver detto più di due parole di fila a uno sconosciuto.
«Due sorelle. Basta e avanzano.»
«Per quale motivo?»
La curiosità del principe fu velata dal solito tono pacato e indifferente che lo contraddistingueva.
«Volete conoscerle? Capireste all'istante.»
Dorian alzò un sopracciglio. «Sono della vostra età?»
«Secondogenita e terzogenita della discendenza di Xander Legendragon. Due caratteri opposti. Fuoco e fiamme. Litigano un giorno sì e l'altro pure. Ma una delle due l'avete già conosciuta a corte quando eravate un fanciullo, milord.»
Dorian si irrigidì ma restò in silenzio. Riccardo pronunciò: «Victoria. Il suo nome è Victoria Legendragon.»
«Victoria...» sussurrò il Principe Ghiaccio. Un suono simile a una carezza, al velluto più morbido del Continente o a una melodia priva di imperfezioni.
Riccardo ruppe il silenzio chiedendo: «Volete fare la sua conoscenza, altezza? Potrei chiamarvela e presen-»
«No.» rispose schietto. «Non ora. Devo incontrare vostro padre.» si corresse il principe, per la paura di sembrare scortese.
Riccardo annuì, e quando vide il padre raggiungerli in lontananza, capì che la chiacchierata con uno degli uomini più ambiti del Continente sarebbe cessata lì.
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«Santi numi del cielo! Dovete... dovete assolutamente perdonarmi!»
Victoria Legendragon, l'erede al trono della casata dei Figli del Drago aveva svoltato il corridoio di palazzo distratta e spensierata, e la penombra del posto non le aveva fatto capire che, a quella velocità, era sbattuta contro uno sconosciuto.
Ma la principessa alzò gli occhi, e le scuse aumentarono rendendosi conto che il vino versato dal calice era finito sul vestiario blu e dorato del principe dalla chioma argentea. Senza l'armatura delle ore precedenti – di quando il Fae si era presentato a corte –, Victoria a stento era riuscita a riconoscere l'uomo che l'aveva studiata e scrutata con insistenza. E le mancò il fiato per qualche secondo. Non riuscì ad aggiungere più nulla.
«Non importa.» sussurrò il principe, e gli angoli della bocca si accentuarono in un sorriso. Poi tornò ad analizzarla, e le domandò: «Siete...»
«Victoria. Victoria Legendragon, altezza. Voi...»
«Dorian. Dorian Windothynn.»
La velocità di quelle risposte confuse entrambi. Le voci si accavallarono, e Victoria abbassò lo sguardo e si torturò le dita affusolate per non incontrare le iridi dell'uomo. Erano così ghiacciate da ricordarle la neve che tanto amava nei giardini di palazzo, e neanche la differenza d'altezza la fece sentire a suo agio.
Il silenzio fu imbarazzante. Così imbarazzante da destabilizzare anche un cuore di ferro come quello del Fae. Lui ne approfittò per studiarle il lungo vestito di velluto verde che le fasciava bene il corpo, con i filamenti dorati che risaltavano la scollatura a barca, le maniche e il girovita e anche le foglie d'alloro che portava tra i capelli e gli orecchini lavorati in oro. E lei, così estroversa e alla mano, tentò comunque di approcciare una conversazione.
«Siete venuto a corte per l'alleanza con mio padre, milord? Non vi avevo mai visto prima di questo momento. Ma qualche ore fa mi è stato riferito da alcune mie dame di compagnia che-»
«Sì.» si limitò a rispondere, per frenarla.
«Oh. Bene.»
Victoria ringraziò la famiglia nobile che passeggiò accanto e la superò, poiché la distrasse da quel silenzio imbarazzante che al Windothynn sembrava andare bene più delle parole.
«Siete così silenzioso...» mormorò lei, appena udibile, tant'è che lui dovette alzare lo sguardo per guardarla freddamente.
«Prego?»
«Insolito. Insolito e silenzioso. Forse anche un po' scorbutico. Siete davvero particolare, e...»
«Non siete né la prima né l'ultima donna che fa queste accuse senza minimamente conoscermi, Vostra Altezza Reale. Con permesso.» e il tono brusco dell'uomo anticipò la camminata veloce, lo sguardo glaciale e la quasi spallata che il principe diede alla donna.
Victoria restò di stucco. Sgranò gli occhi quando lui la superò. Non si sarebbe mai aspettata quella risposta così tagliente, soprattutto perché le sue intenzioni erano state innocue, e studiò quel corridoio vuoto per una notevole manciata di minuti, chiedendosi a lungo cosa e quanto avesse sbagliato nei riguardi di quell'uomo misterioso.
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Victoria si appartò in un angolo dei giardini reali per tutta la durata della serata. Si fece portare da due donne della servitù un arco e delle frecce, e il bersaglio dai colori sgargianti fu la sua unica distrazione ai pensieri che le affollarono la mente. Neanche il freddo della notte la distrasse dal malessere che stava provando in quegli istanti, e dopo aver scoccato l'ennesima freccia nel centro rosso, udì dei passi sulla neve del terriccio.
Si girò di scatto, e fu un fiume in pena. Parlò senza un freno. «Altezza, mi dispiace, mi dispiace di cuore per quanto successo qualche ora fa, e mi duole considerare l'idea che abbiate frainteso le mie buone intenzioni di allacciare una conversazione e-»
Ma Dorian Windothynn alzò una mano per suggerirle di fermarsi, e la principessa di Legendragon obbedì all'istante. Non ci fu nulla di minaccioso nel gesto, né la camminata o lo sguardo suggerì astio e rancore.
«Sono io a dovervi delle scuse.»
Victoria non riusciva a comprendere perché quella voce la rendesse così insicura. Era un tono che non aveva mai udito. Conosceva le dicerie sul suo conto. Un uomo tutto d'un pezzo, ed era il motivo per cui aveva osato dirgli che sembrava scorbutico. Ma lei era così. Solare e raggiante. Un'esplosione di colori accesi e selvaggi, in contrasto con il buio e le tenebre del Principe Ghiaccio. Parlava tanto, diceva qualsiasi cosa le passasse per la testa e aveva sempre un sorriso, una carezza e un consiglio per tutti. Trovarsi contro un uomo completamente diverso dai suoi modi di fare l'aveva destabilizzata.
«Sembrava che io volessi giudicarvi, ma vi assicuro che-»
«Avete una parlantina ammirevole, Legendragon.»
Lui rise. Rise di cuore e si morse un labbro. E a lei parve quasi un miraggio. Arrossì. Arrossì all'idea di aver smosso le viscere turbolente e tempestose del Fae dell'Aria.
«Mi dispiace.»
«Quante volte al giorno vi scusate con qualcuno?» ironizzò lui. La sua voce era bassa, ma gradevole. Attraente. Desiderabile. Victoria si ritrovò a pensarlo e girò lo sguardo altrove quando capì che si era concentrata troppo a esaminargli le labbra.
«Se so di aver sbagliato, devo...»
«Non piegate mai la testa, Legendragon. Per niente e per nessuno. E non fatevi dire da alcun uomo che gli dovete delle scuse. La corona e il potere non hanno solo un valore simbolico. La corona e il potere siete voi.»
Dorian si era avvicinato troppo. Lei indietreggiò di qualche passo, e il vento sferzò sia le sue ciocche corvino che quelle argentee del principe.
Dopo fugaci attimi di silenzio, la principessa sospirò: «Cosa vi piace fare, altezza?»
Lui aggrottò la fronte. «In relazione a cosa?»
Lei cercò di rimediare al malinteso. «Passioni. Intendo come passioni. Non so... arco, caccia, spada...»
«Non mi allieta nessun passatempo umano in particolare, altezza.»
«Oh.» pronunciò basso lei. Il vento aumentò, e si strofinò le mani per combattere il freddo.
«Ho notato che voi, invece, siete molto brava.»
A Dorian parve assurdo. Assurdo che stesse scambiando così tante parole con una ragazza che a stento conosceva. Sì, era stato nella loro corte quando tutti loro erano dei fanciulli, ma non ricordava nulla. Gli avevano riferito che non si separava mai dai due fratelli di Legendragon, ma i ricordi non stavano giocando a suo favore.
«Devo ancora migliorare molto.» suggerì lei. «La postura non è proprio giusta, e quando l'arco...»
«Mostratemelo.»
«Cosa?» chiese, disorientata.
«Mostratemi un tiro. Mi incuriosisce.»
«Oh. Certo.» si affrettò la donna, e in meno di qualche minuto posizionò bene la fascia intorno al busto, l'arco e la freccia color bruno tra le dita.
Poi prese un profondo respiro, e quando schioccò scoprì il tranello. Con la sua magia, Dorian aveva modificato la traiettoria della freccia... e Victoria aveva compreso che le aveva chiesto di provarci non per curiosità... bensì per provocarla.
La principessa finalmente prese confidenza. Spalancò la bocca e poi rise, sorpresa dalla scorrettezza dell'uomo. Lui cercò di trattenere una risata per tutto il tempo, ma appoggiato con il fondoschiena sul tavolo del giardino reale, aveva incrociato le braccia al petto e aveva girato il volto per ridere quando lei lo aveva guardato sconcertata.
«Tra i vostri poteri è compreso anche creare una bufera di neve? Perché in questo momento vorrei avere la forza di scagliarvene una addosso.»
Ma la minaccia della principessa suonò più soffice di un sospiro, e lui accentuò gli zigomi. Poi disse: «Volete vederlo?»
«È possibile?»
Annuì. «A una condizione. Dovete insegnarmi a cavalcare un drago.»
«Voi Windothynn non sapete già farlo? Vi addestrano sin da bambini.»
«Vero» constatò lui, scendendo dal tavolo con un salto e passeggiando in quello spazio ristretto di giardino con le braccia incrociate «ma non come voi. Voi siete i Figli del Drago, discendenti diretti di quelle creature e Protettori Eterni. Nessuno più di un Legendragon potrebbe insegnarmi i suoi trucchi.»
«A una condizione.» lei lo ripeté con il suo stesso tono di voce, e lui alzò lo sguardo nella sua direzione.
Victoria deglutì pesante prima di sussurrare: «Che restiate a corte.»
Ci fu un gelo senza precedenti tra il silenzio e le parole.
«Qualche giorno.» si affrettò a dire lei. «Solo qualche giorno. Il tempo di capire le basi per il volo. Ma per affrontare le altezze considerevoli di Legendragon servono-»
«Sì.» la fermò. «Sì.»
«Sì cosa?»
«Si può fare.» pronunciò lui, calmo e impassibile.
E nell'altro silenzio che seguì, la Legendragon si torturò i polpastrelli scoloriti dal freddo e non seppe con quale coraggio aggiunse: «Vorrei conoscervi. So così poco di voi.»
Dorian, girato di spalle, si bloccò. Paralizzato da ricordare una stalattite. Poi si girò verso di lei, le braccia ancora incrociate sotto al petto.
Victoria non lo guardò quando insisté: «Mi piacerebbe sapere di più sulla vostra dinastia, altezza. Sono una grande appassionata di storia, e sul vostro conto e su quello di vostra sorella c'è relativamente poco nei manuali della biblioteca di palazzo, onde per cui...»
Coraggio. Dorian stava avendo un coraggio e una sfrontatezza che mai aveva osato in vita sua. Si avvicinò a lei a piccoli passi, e la nobile alzò il mento e lo guardò profondamente negli occhi quando se lo ritrovò a due centimetri di distanza. Sentì il fiato di lui sul collo, e quelle iridi ghiacciate che scrutavano il suo viso, con molta probabilità, le avrebbe sognate quella notte.
Dopo un silenzio che parve infinito, lui mormorò: «Un giorno questo coraggio vi condannerà, Legendragon. Se rischierete troppo, la vita vi toglierà altrettanto.»
Victoria non capì. E lui aggiunse: «Siete ambiziosa. Avete curiosità delle cose che vi circondano e questo vi fa onore, ma... non basterà a salvarvi dalla crudeltà di questo mondo.»
«Lo so.» sospirò lei, il mento alto e gli occhi incastrati in quelli del principe. Una distanza millimetrica a separarli. E per l'altezza di lui, lei faceva fatica a nascondere la difficoltà di deglutire. «Me lo dicono spesso.»
«Che il mondo è crudele?»
«Che il mio coraggio finirà per uccidermi. Uccidermi come persona, ancor prima che nell'anima.»
Al principe scappò un altro debole sorriso che la Legendragon notò dagli zigomi pronunciati. E l'attenzione visiva dell'uomo si spostò sulle labbra, sugli occhi, sui capelli, sulla fronte e sul collo di lei. Tutto in quell'ordine. La studiò mentre lei moriva dalla vergogna di averlo a pochi centimetri. Ma lui sembrava non avere paura di nulla. Era freddo, risoluto, imperturbabile.
«Avete una luce. Una luce particolare, Legendragon.» sussurrò lui, poi ancora più piano: «E non so spiegarmelo... non so spiegarmi perché...»
Ma il principe non proseguì. Quelle parole restarono sospese nel vento come granelli di sabbia in un deserto arido. Ma lui era assetato. Assetato di saperne di più su quella luce che vedeva negli occhi della persona che aveva davanti.
Ma le sue riflessioni si fermarono quanto notò il corpo della donna tremare. E non ci pensò due volte. Si sganciò il mantello, addentò la spilla e circondò le spalle della nobile con quel blu notte che lo rendeva riconoscibile da chiunque. L'azzurro e il blu erano i colori che usava di più, e rispecchiavano a pieno il mistero che si celava dietro la sua storia, il suo nome... e i suoi modi ambigui che stavano mandando in confusione anche una principessa trasparente come l'erede di Legendragon.
Victoria abbassò lo sguardo e lui le notò le lunghe ciglia nere quando agganciò la spilla per chiuderle il mantello.
«Vedetelo come un dono per le lezioni.» suggerì il Fae, e lei alzò il mento per guardarlo di nuovo.
Cielo, che gli Dei avessero pietà di lei. Il vento aveva scompigliato la chioma argento del giovane rendendola ribelle, e i tratti scavati del suo viso erano ancora più accentuati dal ghiaccio che dominava le sue iridi. Victoria sembrò notare la bellezza ultraterrena del principe solo in quel momento, e le tremarono le gambe al punto che dovette pregare per la fine di quei contatti leggeri e delicati. Aveva percepito le nocche dell'uomo sul suo collo scoperto e le era bastato per provare un imbarazzo senza precedenti.
E nella mente, Victoria ringraziò ancora le sue divinità quando lui indietreggiò di qualche passo, fece un inchino e non disse più nulla. Le diede le spalle, con eleganza salì gli scalini e si girò un'ultima volta per guardarla.
Ancora per qualche secondo. Freddo, ma con fibre di calore che solo un cuore caldo e intenso come quello della Legendragon aveva sciolto per qualche istante.
Dorian aveva osato troppo. Non aveva mai toccato nessuna donna in quel modo. Certo, aveva avuto le sue avventure e i suoi divertimenti... ma in privato. In pubblico non era mai stato in grado di esternare le sue emozioni, né voleva farlo.
Era il suo carattere. Una dura lotta contro il mondo e la sopravvivenza.
E si meravigliò ancor più di sé stesso quando non si pentì del suo: «A presto, Legendragon.»
E l'inflessibile, introverso, glaciale e scontroso Dorian Windothynn, quella sera, lasciò il cuore nelle mani della leggendaria Regina Eterna del Continente.
E senza neanche saperlo.
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