Capitolo 7

Ehi, come state?
Prima della lettura, vi chiedo solo di lasciare una stellina se avete gradito il capitolo, così posso avere almeno dei feedback, grazie 🥹❤️
Magari sembra stupido, ma per noi autori è importante avere comunque il vostro sostegno🫶🏼
Detto ciò, vi auguro una buona estate e divertitevi
𖣔𖣔𖣔𖣔

I've had to fight
for everything

Ægon

Mentre osservava le nuove reclute nei giardini comuni dell'Akademia, Ægon si chiedeva se anche lui all'inizio della sua carriera militare appariva così stupido.

«Certo che a volte sono proprio rumorosi. Secondo voi eravamo anche noi così?» Miguel si appollaiò su uno dei muretti, strappando poco dopo un morso al proprio panino.

«Tu lo sei sempre stato, se è per questo.» Herica roteò gli occhi al cielo, cercando di nascondere un sorrisetto divertito.

«Sicuramente lo eravamo anche noi. O almeno lo spero. Altrimenti avrei la mia seconda teoria.» Ægon si strinse nelle spalle. Si asciugò gli angoli della bocca con un tovagliolo. Non riusciva a smettere di pensare, però, a quella ragazza ribellista. Non l'aveva mai vista in giro. I suoi occhi ambrati gli erano apparsi intrisi di cattiveria nei suoi confronti.

Quelli come te.

Così aveva detto.

Herica arricciò il naso in un'espressione buffa. «E quale sarebbe la tua seconda teoria?»

Miguel alzò una mano per poter parlare lui. Ægon si lasciò sfuggire un sorrisetto divertito. Forse gliel'aveva ripetuto così tante volte che adesso voleva provarlo a spiegare lui.

«Posso dirlo io? Ti prego, dai!»

Ægon gli fece cenno di proseguire, così Miguel si schiarì la voce e si strinse nelle spalle. «Allora, secondo Ægon, le nuove generazioni man mano che crescono, diventano sempre più stupide. Quindi è molto probabile che noi non eravamo come loro, agli inizi.»

Herica scoppiò a ridere. «Forse sarebbe meglio che tornassi a medicare, piuttosto che ripetere le stronzate che dice Ægon.»

«Ehi! Sono il miglior curatore del mio corso, lo sai?»

Ægon inarcò un sopracciglio, rubandogli il panino e assaggiandone un pezzo. «Nessuno lo sta negando... e poi che c'entra?»

«Non lo so. Volevo solo dirlo un'altra volta. Mi fa sentire potente.»

«Che state facendo?» Jacob andò loro incontro. La fasciatura al capo era ancora piuttosto vistosa. Ægon sentì un logorante senso di colpa avvolgergli le viscere. Sospirò piano, strisciando lungo la panchina in ferro per far spazio all'amico.

«Discutevamo sulle nuove reclute. Mi sembrano tutte abbastanza idiote.»

Jacob annuì, scartando una barretta proteica. Poi si voltò a guardarli tutti. «Beh, in effetti sì. Piuttosto, avete visto le nuove Procreatrici? Sono stupende.»

Ægon si estraniò da quei discorsi per qualche istante. Procreatori e Procreatrici ogni anno si univano a loro durante la Mostra. Eppure, tutti cercavano di non parlare dell'improvviso attacco alla stazione da parte di Thanatos ed altri ribellisti. Buona parte dei ragazzi era stata trascinata via, lontano da un futuro radioso per ripopolare la società. Tanti, però, gli erano apparsi contenti di poter fuggire a quel destino. Davvero non riuscivano a ringraziare il Destino di quel dono? Della fertilità, della bellezza? Essere scartati all'Accademia era quasi una condanna e accettare di far parte della Mostra era un privilegio: avevano la possibilità di salvare il mondo dalla morte. O no?

«Ægon, ma a che cazzo pensi? Sei silenzioso, cavolo. Che ti prende?» Jacob lo strattonò.

«Nulla.» Si tirò in piedi, sbattendo le mani sui pantaloni, liberandosi dalle briciole del panino. «Mi sono appena ricordato che ho un allenamento di potenziamento col comandante.»

Jacob finì di sgranocchiare la propria barretta. Lo osservava con un piccolo ghigno, ma senza commentare. Ægon sapeva a cosa stesse pensando: non sarebbe mai stato alla sua altezza, non importava quanto si sforzasse. Non era stato progettato per essere perfetto come lui.

Si incamminò lungo i corridoi dell'Akedemie. Svoltò in un angolo, allontanandosi dalle zone all'aperto. I suoi passi ticchettavano, rimbombando, sul marmo del pavimento, mescolandosi al chiacchiericcio dei vari studenti.

Spinse in avanti i portelloni della palestra e si guardò intorno.

«Sei in ritardo.» il comandante teneva tra le mani un lungo bastone. Lo fece roteare in aria per poi riacciuffarlo subito dopo. Poi glielo puntò contro e inclinò il capo.

«Ero a pranzo.» Ægon si strinse nelle spalle. Si liberò della giacca nera della divisa e gli lanciò una breve occhiata.

Djævel indossava i pantaloni dell'uniforme e una canotta. I muscoli in tensione sembrarono guizzare, mentre afferrava un sacco da boxe, per poi montarlo al centro della sala. «Mi hai chiesto tu questo allenamento. Il mio turno è finito, potrei anche tornarmene a casa.»

Ægon roteò gli occhi. Si fasciò le nocche delle mani, avvicinandosi al sacco a grandi falcate. Tenne lo sguardo fisso sul comandante. «E per fare cosa, poi? Andare a divertirti all'Eden? Perché l'altra volta mi hai lasciato tutta la ronda notturna.»

La mascella dell'uomo si contrasse. Lo fulminò con lo sguardo. Tenne fermo il sacco, mentre Ægon prese a colpirlo con pugni decisi e ben mirati. «Quello che faccio non è affar tuo, Ægon. Ricorda il tuo posto.»

Ægon sbuffò. Diede l'ennesimo gancio destro e prese ad asciugarsi il sudore appiccicato sulla fronte. «Pensavo ci tenessi a diventare Generale...»

«Vuoi darmi consigli sulla mia vita matrimoniale, Ægon?» Djævel sfoggiò un ghigno. Poi si allontanò, andando a recuperare due bastoni lunghi. Gliene lanciò uno e tracciò un cerchio attorno a loro. «Accetterò i tuoi consigli se riuscirai a farmi uscire dal perimetro tracciato.»

Ægon strinse forte l'arma. Ci avrebbe provato. Il Comandante era fin dall'inizio l'unica guida che avrebbe seguito ovunque. Le sue tecniche di combattimento erano quasi feline. Spesso era difficile sentire i suoi passi felpati, così come prevederne le mosse.

Si lanciò in avanti. Alzò il bastone per colpirlo. Djævel parò il fendente. Gli sferrò un calcio allo stomaco, costringendolo ad arretrare. Strinse la presa attorno al bastone e, facendo una piroetta per scansare l'ennesimo attacco, lo percosse al fianco, lasciandosi sfuggire un ghigno. «Tieni sempre il fianco destro scoperto.»

Ægon digrignò i denti. Si tastò il punto dolente. Evitò l'affondo del Comandante -forse il primo della giornata che riusciva a scansare- e provò a scagliare un colpo al suo capo. Djævel bloccò l'arma con una mano. Poggiò l'altra contro il suo petto, spingendolo ancora all'indietro. Alzò il bastone e lo colpì alle caviglie, facendogli perdere l'equilibrio.

C'era sempre una sorta di luccichio folle nel suo sguardo.

Tutti ne erano terrorizzati all'Akademie, persino il Generale, quando nelle dimostrazioni, il Comandante a stento tratteneva un contrattacco. «Eliminato.» Gli indicò il piede fuori dal cerchio.

Ægon sbuffò nervoso e accettò la sua mano per tirarsi in piedi.

«Sei migliorato.»

«Certo. Mi stai prendendo in giro? Non ti ho nemmeno colpito.»

«Beh, prima non duravi nemmeno un minuto.» Djævel gli ammiccò. Andò a posare il bastone.

Ægon fu travolto da una piccola e pazza idea. Gli corse incontro e alzò l'arma, per colpirlo al fianco. Djævel si spostò in tempo, facendo andare il suo attacco a vuoto. «E sei ben poco silenzioso.» sorrise sornione, avvolgendo un asciugamano attorno al collo. Si allontanò dalla palestra, fischiettando. «Riposati. Questa sera tu ed Herica avete la ronda.»

Ægon si lasciò scappare una risatina amareggiata. Aveva anche dimenticato di chiedergli perché avesse fatto di tutto, costruendo un castello di menzogne, pur di tenere al sicuro il loro piccolo segreto.

Quella sera c'era una strana tensione nell'aria. Ægon non avrebbe saputo spiegarlo in altro modo. Si sistemò, per l'ennesima volta, l'ultimo bottone della divisa. Giocherellò poi con l'orecchino, in un solito tic nervoso, e uscì dalla propria stanza. Aveva lucidato per quasi dieci minuti il simbolo di Sol, splendente come la sua città.

Eppure, durante le ronde notturne, appariva tutt'altro che luminosa. A volte era spaventosa. Si strinse nelle spalle e raggiunse al portone il solito gruppo di dieci studenti per il giro di perlustrazione.

Valerian Drew li stava aspettando. Dopo la morte dei suoi amici, era stato eletto come uno dei nuovi supervisori delle ronde.

A volte Ægon non capiva quale fosse il vero obiettivo del governo. Perché si ostinava a fingere che il problema non esistesse? Pareva che dimenticassero che in giro ci fosse Thanatos, coi ribellisti che lo appoggiavano. Uccidevano studenti innocenti, solo perché volto di un sistema che non condividevano. Così continuavano a eleggere nuovi studenti, a far accedere sempre più reclute. Come se nulla fosse.

E poi ripensava ai due bambini, che aveva permesso di salvare, senza smettere di chiedersi cosa sarebbe successo se avesse fermato quella ragazza.

«Sei pensieroso da giorni...» Herica alzò un dito come a fermarlo, prima ancora che potesse negare. «E non dire che non è vero. Potrai fregare quell'idiota di Jacob, persino Miguel ci ha fatto caso. Mi ha chiesto se sapessi qualcosa... che ti prende?»

Ægon non sapeva più di chi potersi fidare, se doveva essere sincero con sé stesso. Ma Herica lo conosceva fin dall'inizio di quell'avventura e, inoltre, aveva notato il suo sguardo spaventato, il volto pallido, il giorno dell'ultima esecuzione. Possibile che non fosse l'unico a iniziare a vedere diversamente quel mondo?

«È solo- non lo so. Ho alcuni pensieri confusi al momento.»

Herica sospirò piano. Tirò il naso all'insù, a fissare il cielo notturno. Osservò le stelle, puntini luminosi, così freddamente distaccati. «Anch'io... da quando abbiamo partecipato all'esecuzione... non so. Non mi aspettavo di proteggere così il mio mondo. Mi sembra di starlo soltanto terrorizzando.»

Ægon fece un sorrisetto amareggiato. «Già. È proprio questo il punto. Capisco che i ribelli non possano essere recuperati, ma è davvero così? Insomma, oggi ho visto il volto di alcune Procreatrici e non mi sembravano così entusiaste come tutti dicono. O almeno non tutte.»

Herica rabbrividì. «Posso confidarti un segreto?»

Il ragazzo annuì. Avrebbe sempre protetto i suoi migliori amici, anche da loro stessi se fosse stato necessario. «Certo. Tutto quello che vuoi.»

«Ringrazio ogni giorno di essere entrata all'Akedemie. Se non fossi passata e mi avessero scelta tra le Procreatrici, non so cos'avrei fatto... non hai scelta. È il tuo corpo ma è come se non lo fosse. So che non dovrei pensarla così...» mormorò.

Ægon pensò che, se fosse stato qualcun altro a sentire quelle parole, l'avrebbero subito collegata ai ribellisti o ai folli. Non avrebbe mai voluto che le accadesse qualcosa. E forse stava impazzendo anche lui, perché quel ragionamento cominciava a non suonargli poi così sbagliato, adesso che finalmente erano fuori dalle mura dell'Akademie.

«Non preoccuparti. Il tuo segreto è al sicuro qui con me.» Le ammiccò.

Alcuni passi strascicati attirarono la loro attenzione. Ægon strinse il fucile e si incamminò in avanti, silenzioso. Scattò pochi istanti dopo, svoltando l'angolo, e puntò l'arma contro un uomo.

Lui se ne stava accovacciato contro il muro, ridacchiando. Le mani erano impregnate di sangue. Non appena riconobbe le loro divise, alzò le mani come fosse innocente. Eppure, Ægon pensò fosse decisamente poco credibile. «N-on-»

«Oh, per piacere. Risparmiatela.» Herica sbuffò, strattonandolo. Lo spinse col volto contro il muro, ammanettandolo.

L'uomo piagnucolò. «Stavo solo facendo il mio piccolo lavoretto! Vi do informazioni se mi liberate!»

Ægon aggrottò la fronte. Allentò la presa sui capelli dell'uomo. Lo costrinse a voltarsi. «Che cazzo vuoi dire?»

Quello fece un sorrisetto sghembo. Indicò il proprio polso con un cenno del capo, così entrambi abbassarono lo sguardo sul suo quadrante.

Il quadrante era stata un'ottima invenzione del Governo. Segnava i loro valori di sangue e battito in ogni istante. Monitorava la loro salute e i loro movimenti. Segnava anche i giorni trascorsi dalla loro nascita. Il grande progetto che avrebbe portato alla loro immortalità avrebbe fatto sì che su quell'orologio artificialmente biologico comparisse il simbolo dell'infinito. Ma poi c'era stato l'Incidente.

Ægon tastò il proprio quadrante e notò con sorpresa che non riusciva a rilevare quello dell'uomo. Eppure, i quadranti dei soldati dell'Akademie riuscivano a risalire a tutta la cittadinanza. «Ma... è craccato?»

Herica annuì. Indicò poi l'età sull'orologio. «Centocinque anni da vivere... come cazzo è possibile?»

Ægon percepì il cuore schizzare in gola e quella sensazione di vuoto si propagò per tutto il suo corpo, man mano che l'uomo provava a spiegare.

«Lo chiamano Doom. Lui sta creando un esercito. Ci dà i dispositivi, anzi sistema i nostri sul suo programma. Se uccidiamo alcuni obiettivi, riusciamo a rubare i loro anni vissuti, accumulandoli come nostri-»

Ægon si corrucciò. «Quindi? Se uccidi un ventenne-»

«Guadagni venti anni di vit-» Uno sparo lo perforò al centro della fronte. Ægon sgranò gli occhi, quando il sangue gli schizzò in volto. Si girò di scatto verso i tetti. «Vado io! Tu non permettere che si avvicinino al corpo!» Corse verso delle scale in muratura, che portavano sul tetto di un vecchio edificio abbandonato, seguendo la direzione dello sparo. O la presunta posizione dell'assassino.

Si guardò attorno, in quella notte sola e improvvisamente silenziosa. Non c'era nessuno. Non più. Erano osservati? Chi poteva essere stato?

E chi cazzo era adesso Doom?

Sol continuava a nascondere segreti. Dall'alto, i suoi canali, di giorno sempre così splendenti, erano spenti. Il fondo non riusciva a vedersi come al solito e l'acqua torbida adesso sembrava inghiottire quei misteri, inquinandoli ancor di più. Si lasciò sfuggire un gridolino isterico, poi decise di tornare giù.

«Herica?» Corse verso l'amica, terrorizzato. Le tastò il polso e tirò un sospiro di sollievo, quando realizzò che aveva soltanto perso i sensi. Non si sarebbe mai perdonato la sua morte. Poi abbassò lo sguardo verso l'orologio dell'uomo. Adesso il display segnava solo zero anni.

Qualcuno aveva capito che non dovesse parlare e aveva anche rubato i suoi anni accumulati, stordendo la sua migliore amica.

Ægon non seppe dire se ritenersi fortunato quella sera, ma ci avrebbe pensato dopo. Doveva solo portare la sua migliore amica al sicuro, a casa.




☀️☀️☀️
Spero che sac vi stia piacendo. Io mi sto impegnando al massimo. Se tutto va secondo i miei piani, ad agosto conto di concluderne la stesura❤️
Alla prossima 🫶🏼

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