Capitolo 6

R.I.P. to my youth
If you really listen, then this is to you
Mama, there is only so much I can do
Tough for you to witness but it was for me too
I'm using white lighters to see what's in front of me (front of me)
R.I.P. to my youth
And you could call this the funeral
I'm just telling the truth, yeah
You can play this at my funeral
Tell my sister don't cry and don't be sad
I'm in paradise with dad
Close my eyes and then cross my arms
Put me in the dirt, let me dream with the stars
Throw me in a box with the oxygen off
You gave me the key then you locked every lock
When I can't breathe, I won't ask you to stop
When I can't breathe, don't call for a cop
I was naive and hopeful and lost
Now I'm aware and driving my thoughts, oh
What do I do? What do I do?
I don't believe it if I don't keep proof
I don't believe it if I don't know you
I don't believe it if it's on the news or on the internet
I need a cigarette

R.I.P 2 my youth, Neighbourhood

I want to be loved
but i don't feel
I deserve it.

Eros

Eros amava il sapore della libertà del mattino, quando l'Eden era chiuso e poteva essere per un po' una persona normale e non un giocattolino eccitante.

Tentennò un paio di volte fuori all'ingresso del locale. Sylvie presto sarebbe uscita da lì dentro e lo avrebbe raggiunto. Il loro programma era fare una piccola colazione in uno dei bar lungo i canali di Sol e passeggiare tra i mercatini all'aperto, così da avere la sensazione di essere qualcosa di diverso da animali da monta in un recinto asfissiante.

«Eccomi!» Sylvie si richiuse la porta alle spalle, sistemandosi il vestito. Un livido violaceo le deturpava lo zigomo.

Eros strinse i pugni così forte da sentire dolore alle mani. Lo indicò con un gesto stizzito. «Chi è stato? Poul?»

La ragazza scosse il capo, rivolgendogli un timido sorriso incoraggiante. «No, un cliente della sera scorsa, sto bene però. Tranquillo. Nulla che non abbia già sopportato... Poul mi ha solo detto di comprare qualcosa al mercato che possa coprirlo per bene per questa sera.»

Eros aggrottò la fronte. «Perché? Altrimenti questa sera non avrai clienti?» Si incamminò verso il centro, passeggiando con Sylvie al suo fianco. «Come se i clienti ci facessero più di tanto caso.»

Sylvie sospirò. «Non te l'ha detto? Questa sera c'è il ballo di inaugurazione delle nuove reclute all'Akademie e dei nuovi Procreatori. È stato invitato e noi due saremo i suoi accompagnatori.»

Eros aggrottò la fronte. Aveva completamente rimosso quell'informazione. Forse perché, quando ne aveva parlato con Poul, era così fatto che avrebbero potuto anche squartarlo e non avrebbe comunque sentito nulla. «L'avevo dimenticato. Dovrò comprare un completo decente.»

«E puoi permettertelo?»

Eros si mordicchiò il labbro. Il sapore metallico del sangue gli riverberò in bocca. Aveva speso così tanti soldi in droghe e alcol negli ultimi tempi che dubitava di potersene permettere uno nuovo. «Ne prenderò uno usato in affitto, suppongo.»

«Spera non te lo rovinino. O dovrai pagare anche quello.» Sylvie sembrava perdersi con lo sguardo verso i canali. Le vie d'acqua sembravano tranquille, cullate dalla luce del sole. Si appoggiarono a una delle ringhiere in ferro, osservando il fondo ghiaioso.

Alcune barchette solcavano con grazia i canali. Il chiacchiericcio dei visitatori riempiva l'aria di un'atmosfera apparentemente tranquilla.

«Quando ero piccola, venivo spesso qui con mio padre. Ci piaceva così tanto prendere le piccole gondole. Cercavo sempre di accarezzare l'acqua...» Sylvie sussurrò quei ricordi piano, come se davanti a lei li stesse rivivendo.

Eros fece un piccolo sorriso. Le raccolse un fiore lilla da alcune delle piante che si arrampicavano sui ponti di pietra. Glielo porse, strappandole un'espressione felice.

Sylvie si sistemò sotto il suo braccio, dirigendosi con lui verso uno dei piccoli bar fronte strada.

Eros si ritrovò a pensare che, sotto la luce del giorno, i riflessi sull'acqua erano chiari e sinceri. Gli edifici antichi si specchiavano nella superficie, creando un'immagine che sembrava narrare la storia della città con onestà.

Si accomodarono a uno dei caffè. Eros prese a girare annoiato il cucchiaino all'interno della tazza. «Pensi che saremo mai liberi?»

Sylvie rise amareggiata. «E chi comprerebbe mai il nostro contratto, Eros? Solo qualcuno decisamente peggiore di Poul.»

Eros avrebbe voluto essere d'accordo con lei. Continuava a domandarsi da giorni che tipo di libertà Thanatos intendesse l'ultima volta. Alzò lo sguardo verso uno dei cartelloni sparsi per la città. C'era un volto familiare femminile. I capelli rossi risaltavano come fiammelle vivaci e gli occhi chiari illuminavano il volto pallido cosparso di lentiggini.

Grazie a me, a tutti noi, torneremo a risplendere.

Saremo di nuovo dei immortali.

Lysa Cullen era una sua compagna di scuola, adesso uno dei volti più amati e famosi delle Procreatrici.

Eros sentì un peso abbattersi sul petto. Forse, se non avesse deciso di sottoporsi all'operazione di sterilizzazione, ci sarebbe stato lui su quel cartellone.

In pratica, la sua vita era destinata a essere una violenza non consensuale, a prescindere dalle sue scelte.

Avrebbe tanto voluto addormentarsi e scoprire che qualcun altro aveva preso il suo posto in quella vita, nonostante sapesse che quella fosse un'immaginazione crudele, non riusciva a smettere di pensarci.

«Eros, tutto okay?»

«Sì, scusa. Ero soprappensiero. Andiamo a comprare i nostri vestiti per questa sera, allora?» le domandò, tirandosi infine in piedi.

Nonostante l'apparenza tranquilla, c'era un senso di sospensione, era come se la città stesse trattenendo il respiro. Ogni onda nei canali sembrava contenere qualcosa di più profondo, un segreto che attendeva silenziosamente di straripare fuori. La normalità era solo un'illusione passeggera.


𖣔𖣔𖣔𖣔

Quando fece ritorno a casa, camminava come se ci fossero infiniti cocci di vetro a terra. Teneva il completo appena noleggiato stretto a sé come un oggetto infinitamente prezioso. Spinse in avanti la porta, o almeno ci provò, dato che la chiave non voleva sapere di entrare in quella vecchia serratura.

La porta, però, venne spalancata di colpo dall'interno. «Non sai neanche inserire una chiave nella toppa?»

Eros sussultò, quando riconobbe la maschera nera metallica di Thanatos. Si guardò nervosamente attorno. Si infilò in casa, sgusciando all'interno come un ratto, e sbatté la porta alle sue spalle. «Che cazzo fai qui? Se ti avessero visto, avrebbero potuto accusarmi di essere un ribellista e ammazzarmi in pubblico!» Eros prese fiato, impedendo a Thanatos di parlare ancora. «E poi come cazzo sei entrato? Perché? Mi odi? Ammettilo, vuoi darmi il tormento, altrimenti non si spiega!»

Thanatos sbuffò. Posò le mani sui fianchi e inclinò il capo. Gli inquietanti occhi rossi lo scrutavano con attenzione. «Hai finito con l'attacco isterico? Posso parlare?»

Eros lo guardò torvo. Sistemò il proprio completo su una delle poltrone e annuì. Si guardò attorno e si vergognò di se stesso. La carta da parati era ingrigita e scrostata dalle pareti. Le assi di legno scricchiolavano a ogni loro passo e il disordine regnava sovrano, tra bottiglie d'alcol vuote abbandonate ovunque, vestiti sparsi e bustine di droga appallottolate in qualche angolo. «Allora? Sto aspettando.» Sfilò alcune riviste dal divano e si sedette, accavallando le gambe.

Thanatos ridacchiò. La sua voce metallica era strana, ma stava iniziando ad abituarcisi. «Innanzitutto, sono entrato dalla finestra. Sai, non ci sono posti in cui non mi sappia infilare.» Si incamminò verso la cucina, facendo poi ritorno con una teglia fumante. «Secondo, credo che la tua dieta sia un tantino disequilibrata. Così ti ho preparato uno sformato di carne.» Posò la teglia sul tavolino in legno di fronte a lui. «E poi non odio mica te. Io odio tutto il mondo. E non voglio darti il tormento, ma un'opportunità di libertà... hai pensato alla mia proposta?»

Il demone lo osservava con interesse.

Eros stava per scoppiare a ridere. Lo psicopatico assassino fantasma, con l'assurda passione per l'omicidio di metà della popolazione mondiale, si era infilato in casa sua. Gli aveva preparato il pranzo. Si preoccupava della sua dieta e insisteva sulla propria offerta.

Forse era ubriaco. O la dose che aveva preso la sera precedente aveva degli effetti miracolosi anche dopo ore.

«Tu sei pazzo.» Fu l'unica cosa che riuscì a dire in quell'istante.

Thanatos fece scattare il meccanismo della maschera. Parte della bocca fu visibile. Fece un ghigno divertito. «In realtà, pensavo che quello fosse assodato.» Gli passò una forchetta, indicando poi il pranzo di fronte.

Eros borbottò qualcosa di incomprensibile e mangiucchiò. Sorrise. «Cucini bene, però.»

«So fare tutto benissimo, modestamente.» Thanatos si accomodò su una delle poltrone. Indicò il completo. «Dove devi andare conciato come un pinguino?»

«Al galà di questa sera. Accompagno Poul.»

«Il tuo padrone deve mettere in mostra la sua carne pregiata. Capisco.»

Eros serrò la mandibola. «Cosa vuoi?»

«Te l'ho detto, Eros. Voglio che tu sia libero.»

«Perché ti importa tanto?»

Thanatos sbuffò, tirandosi poi in piedi. «Non ci hai pensato. Bene.» Si avvicinò a una delle finestre, mettendosi a cavalcioni. «Ti aspetterò. Anche se dovesse contare una vita. Ne ho anche abbastanza di scorta.» Accennò al proprio quadrante, prima di scomparire e andarsene, come se una folata di vento l'avesse soffiato via.

Eros fissò prima la tenda svolazzare per la corrente e poi il completo per quella sera. Tamburellò le dita sulle gambe.

«Niente di più, niente di meno.»

Eros rabbrividì. Quella libertà l'avrebbe pagata a quale prezzo?

Thanatos sarebbe stato il suo nuovo padrone? E cosa poteva mai volere da lui, se non un giochino personale? Sarebbe stato capace di sopportare tutto quello? Eppure, ne aveva bisogno. Un disperato bisogno

Deglutì, scacciando via quei pensieri. Doveva concentrarsi sulla serata e apparire nella sua miglior forma. Poul non aspettava altro e non gli avrebbe perdonato nessun genere di errore.

Erano quasi le nove ed era pronto. Si aggiustò la cravatta con nervosismo, lisciandosi per l'ennesima volta il completo blu gessato. Eros prese un grosso respiro, pur di farsi forza e non scappare via.

Che poi non aveva neanche idea dove. Un chip sotto pelle, all'altezza della spalla, dove aveva anche il marchio e il simbolo dell'Eden, lo avrebbe fatto trovare in un battibaleno. E a quel punto neanche Dio -sempre se ne esistesse uno- avrebbe potuto fermare l'ira di Poul.

Proprio in quell'istante l'auto del padrone lampeggiò nella sua direzione. Eros vide Sylvie già seduta sul posto del passeggero in avanti, così si accomodò sui sedili posteriori. Poul lo osservò dallo specchietto retrovisore. Indossava uno smoking e un papillon gli decorava il collo. Un sigaro gli pendeva dalle labbra e una delle mani era poggiata sulla gamba di Sylvie, lasciata leggermente scoperta dall'elegante vestito rosso rubino, che accentuava le sue forme.

«Il blu mette in risalto i tuoi occhi. Ottima scelta. Dobbiamo farci apprezzare.»

Eros annuì sconsolato. Era stanco. Posò il capo contro il vetro del finestrino. Aveva portato con sé delle pasticche. Non era pronto a farsi toccare anche tra le mura di quell'Akademie che aveva sempre sognato da piccolo.

L'enorme struttura dell'Akademie si stagliò davanti a loro. Il palazzo si imponeva come un gigante nell'oscurità della notte. Le torri slanciate si innalzavano verso il cielo, grattandolo quasi, ammantate da una patina di antica grandezza.

Eros si sentì così piccolo al confronto. Forse neanche meritava di mettere piede all'interno.

Poul aprì le loro portiere ed Eros si piazzò al suo fianco, così come all'altro fece Sylvie. Insieme si avviarono verso le gradinate di marmo. Il rumore dei tacchi della ragazza echeggiava nel silenzio generale. Poul teneva un sorriso fiero, mentre entravano nell'enorme salone, popolato da tutti gli studenti dell'Akademie e dalle figure più importanti. Tutti indossavano la tipica divisa nera, con le spalline dorate e il simbolo del sole sul petto, all'altezza del cuore. Sinonimo del fatto che tutti sarebbero stati disposti a morire pur di proteggere la luce della loro città.

Eppure, Eros era convinto che Sol facesse solo parte di un insensibile gioco di ombre e caos.

«Generale Schultz, che piacere incontrarla.» Poul strinse la mano all'uomo, avvicinatosi a salutare.

«Possiamo offrirvi qualcosa? C'è un bel rinfresco, lì in veranda.» Il Generale si voltò a indicare la gigantesca finestra che portava fuori, lanciando di tanto in tanto alcune occhiate a Sylvie.

Eros sentì il suo stomaco fare delle capriole dalla nausea.

Poul gli strinse il braccio, non appena smise di sorridere. Così si sforzò di apparire il più felice possibile.

Si incamminarono, seguendo il Generale all'esterno. Almeno, all'aria fresca, Eros ebbe la sensazione di tornare a respirare.

«Sono ancora immensamente dispiaciuto per l'ultimo comportamento di uno dei miei lavoratori...» Poul si versò dello champagne in un bicchiere.

«Non si preoccupi. Tutto è bene quel che finisce bene, no?» Il Generale alzò poi una mano. «Djævel, perché non vieni a bere qualcosa?»

Eros si lasciò sfuggire un sorriso. Tutto il suo corpo sembrò attivarsi e si voltarono tutti a guardare alle proprie spalle.

Djævel intercettò il suo sguardo. Decise di raggiungerli e con lui anche la donna che teneva sottobraccio. Doveva ammettere che fosse bellissima. Ma aveva un volto straordinariamente familiare. Frugando nella memoria, Eros ci mise poco a visualizzare il viso della donna sui tabelloni pubblicitari e nei vari programmi della tv, sponsorizzando i suoi ragazzi.

«Buonasera.» Djævel gli apparve rigido come un tronco. Lo osservò di sbieco per qualche istante, prima di accettare un bicchiere con il naso arricciato.

Il generale rise, rivolgendosi all'accompagnatrice del Comandante. «Certo che convincerlo a bere è dura, eh Lilian? Dev'essere noioso partecipare a una festa con tuo marito.» Ghignò.

Eros si voltò a guardarlo di scatto, ma Djævel lo ignorò. «Fino a prova contraria siamo ancora di guardia, Generale.»

Lilian fece un sorrisetto, accarezzandogli il braccio. «Negli ultimi tempi è già abbastanza nervoso. Pensa che non vuole ancora incontrare Lysa Cullen. Non so proprio come fare con lui.»

Poul annuì. «Magari dovreste provare a rilassarvi di più, comandante.»

Eros non aveva idea di quale gioco stessero mettendo in atto, ma le occhiatacce che Djævel lanciava a tutti e tre non lasciavano presagire nulla di buono.

Ben presto della musica riempì la sala e alcune coppie si formarono al centro per ballare. Schultz ridacchiò, posando il proprio bicchiere. Si rivolse poi a Djævel. «Non ti dispiace se ti rubo tua moglie per un ballo? La mia oggi era malata.»

Lui scosse il capo, spostandosi per farli allontanare. Gli occhi neri li scrutavano con attenzione.

Poul tracannò l'ennesimo bicchiere e afferrò Sylvie per il polso. «Ci lanciamo anche noi nella mischia. Mi raccomando, comandante, se vuole trascorrere ancora del tempo col mio ragazzo, deve pagarmi.» Si allontanò.

Eros avrebbe voluto sprofondare in quell'esatto istante.

«Perché sei qui?»

«E secondo te? Poul vuole metterci in mostra. Come le ragazze e i ragazzi di tua moglie»

Djævel fece un mezzo sorriso e inclinò il capo. «Sei più incazzato per il fatto che mia moglie gestisca la mostra o perché ho una moglie?»

«Ti sei svegliato simpatico oggi.»

«E tu un tantino geloso.»

Eros strinse i pugni. Era un bambino, lo sapeva. Gli piaceva anche fin troppo sognare. Non poteva esistere davvero qualcuno che tenesse a lui in quel modo. Era stato bello forse crederci per un po'.

Prima ancora che potesse andarsene verso la Sala, Djævel gli prese il polso, senza stringere. «I matrimoni sono convenienza qui. Se devo essere Comandante, devo sembrare forte con una famiglia. Avere una progenie significa avere radici forti. Le radici forti sono importanti per salire di grado.»

Eros si voltò a guardarlo, facendo un sorrisetto. «Ti stai giustificando con me?»

«Sei l'unico a cui voglio dare spiegazioni. E sto evitando la Procreatrice che mi ha affidato mia moglie.»

«Sai che andavamo a scuola insieme? Non io e tua moglie. Lysa Cullen.»

Djævel roteò gli occhi. «Fantastico...» Gonfiò il petto. «Vado a fingere di reclamare mia moglie.» Gli strappò il bicchiere dalle mani, vuotandolo in una delle piante. «Non bere troppo. Ti tengo sotto stretta osservazione.» Si allontanò, lasciandolo solo coi suoi pensieri.

Eros si ritrovò a mormorare tra sé e sé che forse avrebbe davvero voluto che quegli occhi scuri guardassero soltanto lui.

Fissò Djævel avvicinarsi a sua moglie, tendendole la mano, per poi trascinarla verso il centro della sala. Ballavano uno vicino all'altro. Lilian posò il capo contro il suo petto.

Eros rabbrividì quando si rese conto che Djævel lo stava fissando dal fondo del palco da ballo. Gli sorrise, appoggiandosi a una parete.

Man mano che la serata andava avanti, Eros si allontanò dal centro sala. Evitò in ogni modo contatti con le grandi signore che Poul gli presentava, vendendolo come il suo miglior prodotto.

Era stanco. Tutte prendevano appuntamenti per il futuro e rivide la propria agenda impegnata quasi ogni notte. Con un sorriso di circostanza e l'ennesimo baciamano sul dorso di una pelle vecchia, si allontanò. Aveva bisogno di aria o di un bagno dove farsi e poter dimenticare tutto, anche quella sera.

Strinse i pugni, riversandosi in uno degli infiniti corridoi. Barcollava confuso. Dopo aver chiesto indicazioni all'ennesimo cameriere, finalmente riuscì a raggiungere uno dei bagni. Spinse in avanti la porta e si accasciò contro il water. Sfilò dalla tasca della giacca una pasticca e la ingurgitò. Si tirò le gambe al petto, dondolandosi su se stesso. Il sudore gli appiccicava la fronte.

«Ehi, dolcezza, cosa fai lì tutto solo?»

Gli si accapponò la pelle, riconoscendo la voce del Generale. Provò a tirarsi in piedi, spalmandosi contro il muro del bagno e aprì la porta. Socchiuse gli occhi.

Si va in scena, pensò. Li riaprì e fece uno dei suoi soliti ghigni ammaliatori. «Posso fare qualcosa per lei, Generale?» Mormorò con voce rauca, accarezzando una delle medagliette.

L'uomo gli strinse i capelli in una morsa dolorosa, strappandogli un gemito. Lo spinse verso il basso, costringendolo a inginocchiarsi.

Eros sentì le lacrime pizzicargli gli angoli degli occhi, quando uno scoppio fece sussultare entrambi.

«Scultz! C'è bisogno di te all'ala ovest! Sembra sia scoppiata una granata nei dormitori dei nuovi arrivati!» Una voce familiare urlò da dietro la porta del bagno.

Il generale si lasciò sfuggire un grugnito infastidito. Tirò su la zip dei pantaloni e uscì a grandi falcate, non prima di aver spinto Eros contro il muro. «Togliti dal cazzo, cagna.»

Eros tremò nervoso. Se ci fosse stato un attacco, avrebbe tanto voluto morire.

«Ehi.» Djævel si inginocchiò di fronte a lui, pochi minuti dopo. Minuti in cui il silenzio della sua solitudine era diventato assordante.

Eros alzò lo sguardo su di lui, tenendo le gambe incrociate al petto. «Cosa fai qui? N-non dovresti essere a controllare-?»

«Io mi occupo dell'evacuazione.» Djævel gli accarezzò la mano. «Ti ha fatto male?»

«No... per fortuna c'è stata l'esplosione.» Eros tornò a guardare la punta delle proprie scarpe, cacciando all'indietro le lacrime.

Il Comandante annuì con un cenno del capo. Gli afferrò il mento tra pollice e indice, costringendolo a fissarlo. «Ascolta. Adesso ti accompagno fuori e te ne torni a casa. Va bene?»

«Okay.» Eros si tirò in piedi, afferrando la sua mano. Avrebbe voluto stringerla per più tempo. «Tornerai a trovarmi? Ho solo- solo bisogno che parliamo ancora.»

«Sempre. Verrò ogni sera. Anche quelle in cui non mi vedrai, sappi che sarò lì. Te lo prometto.»




☀️☀️☀️
Buongiorno! Come state?
Io insommina💀
Comunque spero che questo allegrissimo capitolo sia stato di vostro gradimento ✨
Alla prossima ❤️

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