Capitolo 43

Djævel

C'era una gran confusione. I soldati andavano avanti e indietro lungo i corridoi. Riusciva a intravederli, attraverso le pareti trasparenti di quell'orrida cella in cui l'avevano relegato insieme ad Aaliyah.

Qualcosa non andava. Era una sensazione strana, strisciava sottopelle e lo lasciava tremante.

C'era tensione nell'aria.

«Qualcosa non mi torna.»

Aaliyah sollevò lo sguardo su di lui. Era stanca. Aveva fatto le ennesime analisi del giorno. Delle occhiaie violacee le contornavano lo sguardo. Quando tornava dalle visite non sembrava più in sé. Se ne restava silenziosa a letto, portandosi le ginocchia al petto. Non parlava. Solo verso l'ora di cena pareva ritornare in sé, meno stordita di prima.

Djævel sentiva il sangue ribollire nelle vene, quando vedeva quegli occhi vacui e spenti. Era colpa sua, in parte.

«Oggi non mi hanno chiamata per la visita di routine.» Mormorò la ragazza, grattandosi le braccia. Poi sussultò appena e lasciò cadere le mani lungo i fianchi.

Djævel la osservò con la coda dell'occhio. «Che hai?»
«Cosa devo avere? Non posso grattarmi, né graffiarmi. La mia pelle dev'essere perfetta.» Aaliyah si mordicchiò il labbro. «Tua moglie è un cazzo di mostro-»

«Mi dispiace.»

Lei sospirò e scosse la testa. Le ciocche le ricaddero davanti al volto. «Scusa. Non è colpa tua, lo so... è solo che sono-sono stanca.»

Djævel le si sedette accanto. «Ti farò uscire da qui.»

Delle urla attirarono la loro attenzione. Delle urla fin troppo familiari. Così si tirò rapidamente in piedi, seguito da Aaliyah. Entrambi si avvicinarono alle vetrate.

Zoppicante, Ægon avanzava lungo il corridoio, scortato da due guardie. Il volto era coperto di lividi e il labbro spaccato a sangue. Macchie rosso cremisi gli sporcavano le mani. Il ragazzo si bloccò per un istante. Si voltò nella loro direzione. Aggrottò la fronte, quando incrociò il suo sguardo.

Si bloccò di colpo. «Djævel?» Mormorò, ma il Faraone lo spinse in avanti. Gli posò la mano sulla spalla e fece un sorrisetto nella loro direzione. «Ti spiegherò tutto a tempo debito. Adesso dobbiamo accertarci che tu stia bene, ragazzo. Devi raccontarci tutto.»

Djævel si irrigidì. Era scappato? Davvero Doom se l'era lasciato sfuggire? O c'era qualcosa sotto? Un piano per liberare entrambi, forse. Seguì con lo sguardo il suo ex allievo, fino a vedere la sua figura scomparire lungo l'immensa galleria della Mostra.

«Che cazzo ci fa lui qui?» Aaliyah arretrò spaventata. «Ma hai visto in che condizioni è ridotto? È stato Doom? Sarà scappato? Condannerà tutti?!» singhiozzò spaventata.

Djævel le posò le mani sulle spalle. La costrinse ad alzare lo sguardo su di lui, sfiorandole il mento con il dorso dell'indice. «Andrà tutto bene. Ci sarà una spiegazione. Io ti farò uscire da qui.»

Lei annuì, fissandolo negli occhi. Nascose poi il capo contro il suo petto e Djævel prese ad accarezzarle i capelli. Detestava la convivenza forzata a cui Lilian li aveva costretti. Non mangiava da giorni e cominciava a sentirsi stanco. Era terrorizzato dal cibo che gli portavano ogni giorno.

E ne aveva avuto conferma quando, dopo la cena, Aaliyah era crollata sul letto, senza forze. Respirava a fatica. Sapeva che l'avevano drogata. E non osava immaginare cosa diavolo ci fosse nella sua, di cena.

Rabbrividì e si staccò poco dopo. Doveva restare lucido o Lilian sarebbe riuscita a ottenere ciò che più voleva da lui.

Trascorse il resto della giornata ad aspettare che Aaliyah tornasse dalle visite di routine. Si muoveva in avanti e indietro. Non riusciva a star fermo. Doveva trovare un modo per uscire da lì, ma quale? Una doccia? Scosse la testa. Non si fidavano di lui. Forse avrebbe dovuto fingere di sottostare alle condizioni di Lilian, magari avrebbero abbassato le difese.

Strinse forte i pugni, cercando di incanalare la rabbia. La mandò giù, come fosse una medicina disgustosa.

Sentì la porta cigolare e si voltò nella sua direzione di scatto. Da quanto tempo era lì dentro da solo? Due giorni? Tre? Ne aveva perso il conto. Non sapeva neanche se fosse giorno o notte. Il primo pasto l'aveva saltato. Doveva essere il turno della cena. O forse il pasto di prima lo era?

Sbatté le palpebre secche e puntò lo sguardo su Aaliyah e Lilian. Sua moglie teneva la mano stretta in una forte presa sul braccio della ragazza. La fece accomodare sul letto. «Come ti senti?»
Aaliyah sgranò gli occhi. «Bene.»

Djævel serrò la mandibola. «Che cazzo le hai fatto?»

Lei lo fulminò con lo sguardo. «Nulla che ti interessi. Ora sembra un po' più propensa al nostro progetto, non è vero?»

Aaliyah annuì debolmente col capo.

Djævel rabbrividì. Il terrore si fece largo nel suo corpo, scavava tra gli organi, si infilava tra le ossa come un serpente velenoso. Strisciava in ogni angolo della sua anima. Le mani gli tremarono a tal punto che cercò di fermarle stringendole a pugno. «Aspetta... cosa-cosa stai dicendo?» Si avvicinò ad Aaliyah, sfiorandole la mano. Lei non reagì. Fissava solo il vuoto. Quando si accorse della sua presenza, gli fece un sorriso e prese ad accarezzargli il braccio.

Un brivido di freddo gli percorse la colonna vertebrale. Arretrò all'improvviso, come scottato. La gola gli bruciava e la voce era incastrata al suo interno. Degli invisibili fili spinati la circondavano.

Lilian fece un sorrisetto compiaciuto. «Oggi è stata molto brava. Adesso tocca a te.»

Quelle parole fecero scattare qualcosa nella ragazza. Aaliyah si distese sul letto. Il vestito grigio le andava sempre più largo. Djævel le diede d'istinto le spalle, non appena la vide pronta ad allargare le gambe.

Un conato di vomito risalì su per la gola. Lanciò un'occhiata carica di rabbia a Lilian. «Scordatelo. Tu sei pazza.»

Era una volpe all'angolo, accerchiato da cani da caccia. Se le avesse detto che era sterile, lo avrebbero giustiziato subito. Se non avesse parlato, invece, lo avrebbero trasformato in un automa mostruoso, come stavano facendo con Aaliyah. La sua sorellina.

Nello stesso istante, fecero il proprio ingresso un paio di guardie. Lilian continuava a sorridere fredda e distaccata. Voleva spaccarle la faccia.

Doveva agire. Doveva fare qualcosa. Non poteva stare fermo. Non avrebbe sfiorato Aaliyah. O almeno non in quel senso. Forse aveva un'idea.

Djævel scattò verso il letto. Si avvicinò ad Aaliyah e le portò una mano alla gola. La ragazza impallidì di colpo. Lo guardò. E per un attimo la sua immagine si sovrappose a quella di Lysa.

«Fallo. Starò bene.»

Non era lei a dirglielo. O sì?

Puntò lo sguardo su Lilian. «Un solo passo e la strangolo.»

Quell'odioso sorrisetto del cazzo di Lilian si spense di colpo. Djævel non poté far a meno di pensare che aveva toccato il tasto giusto, il nervo scoperto. «Non oseresti.»

Djævel ghignò. «Vuoi mettermi alla prova?»

Lilian contrasse la mascella. Alzò le mani in segno di resa e Djævel alleggerì la pressione sulla gola di Aaliyah, che lo guardava stordita.

Incrociò il suo sguardo. E fu allora che si rese conto di essere irrimediabilmente un debole. Avrebbe dovuto aspettarselo. Cedette a quegli occhi così dolci e ambrati. Il senso di colpa iniziò a divorarlo come un parassita. Si nutriva di quell'unica parte ancora buona di lui. Tastò quelle zone sepolte, antri nascosti della sua anima, che pensava di aver condannato alla dannazione eterna da tempo, ormai.

Le due guardie gli si lanciarono addosso. Sentì l'ago affondare nella carne, premere contro il collo. Sbatté le palpebre. La vista gli si annebbiò. L'ultimo volto che vide fu quello di Lilian.
E sorrideva.
Sorrideva ancora.

***

Quando riaprì gli occhi, la stanza era vuota. Di Aaliyah non c'era neanche l'ombra. Si guardò attorno, mentre i muscoli cercavano di riprendersi dal sonno a cui erano stati costretti.

Djævel si tirò a sedere nel letto e sussultò, quando sentì la voce di Lilian parlare attraverso degli altoparlanti. «Scherzetto simpatico, Djævel. Dato che non hai voluto collaborare in nessun modo, mi costringi a passare a maniere più forti. Sappi che con alcuni Procreatori testardi è stato più semplice. Arrivati a questo punto cedevano. Vedremo fin dove ti spingerai.»

Le porte metalliche, che li separavano fino a poco prima, si aprirono di scatto. Lilian fece il suo ingresso, mentre si richiudevano con un tonfo sonoramente fastidioso alle sue spalle. Il ticchettio dei suoi passi rimbombava nel silenzio della stanza.

Djævel fece per muoversi, ma aveva le mani legate contro dei pali metallici. Seduto a terra, si sentì come un agnello al macello.

«Che cazzo vuoi fare? Non vedo l'ora di strangolarti. Avrei dovuto farlo molto tempo fa.»

Lilian scrollò le spalle indifferente. «Dovrò estrarre il tuo seme diversamente, allora.» Indossò dei guanti. «Ringrazia sia io a farlo. Sono pur sempre tua moglie.»

Djævel si spalmò contro il muro. Provò a strusciare le gambe sul pavimento, per impedirle di avvicinarsi, ma non rispondevano ai suoi comandi.

Non credeva di poter avere così tanta paura.
Comunque sarebbe andata, l'avrebbe scoperto.

I conati di vomito presero a inondargli la gola. Non poteva scappare. Non poteva fare nulla. Si piegò su sé stesso, cercando di ricacciare all'indietro la nausea.

«Che-che vuoi fare?!»

Lilian roteò gli occhi al cielo e fece scattare la zip dei suoi pantaloni. Djævel non aveva mai avuto paura. Non quando aveva ucciso suo padre. Non quando aveva ucciso uno dei tanti clienti che sfiorava le sue sorelle. Non quando suo padre gli aveva dilaniato il viso, lasciandogli quella cicatrice orrenda. Non quando aveva rischiato di perdere per sempre Eros. Perché tutte quelle volte era sempre colpa sua. Se ne era assunto ogni responsabilità.

I muscoli gli si irrigidirono. Il sudore gli imperlò la fronte e il respiro si fece corto. Le mani sfrigolavano, come puntellate da infiniti aghi sottili sotto pelle. Le orecchie fischiavano. Scosse la testa, provando a muoversi, ma i muscoli non reagivano.

Lilian alzò lo sguardo su di lui. E vide il vuoto, mentre infilava la mano nei pantaloni.

«No- no. Aspetta!»
Lei aggrottò la fronte. «Preferisci chiami quella puttana di Eros?»

Djævel scosse il capo. «Sono sterile. Lo sono sempre stato. Con Doom, con lui, con lui, io-io falsificavo ogni test. Ho pagato tanti di quei medici. Puoi-puoi chiedere a loro. Le analisi! Mi avete tirato il sangue. Vedi-vedi quelle.» Si sentì un idiota, un debole.

Lilian si ritirò. Lo guardò con rabbia. O era delusione, quella? Non che gli importasse. La detestava. La odiava visceralmente. Avrebbe sognato per sempre il suo cranio spaccato, mentre il sangue grondava a terra.

«Come hai potuto?» Lilian lo afferrò per i capelli. Djævel non sentiva nulla. Niente più. Il sollievo si calò sul suo corpo all'improvviso. Era ancora lui. Non era stato toccato. Ripensò a Eros. Forse nella sua stessa posizione avrebbe fatto lo stesso. Lo capiva, in fondo.

Lilian lo colpì con un ceffone in pieno volto. Affondo le unghie contro le sue guance. Djævel non disse nulla. La guardò solo con odio, prima di assestarle una testata sul naso.

«Tu come hai potuto?»
«Eravamo amici.» Lilian lo guardò seria. Le lacrime le annebbiavano gli occhi.
«Eravamo amici.» Djævel singhiozzò, con la voce rotta. Si portò le gambe al petto, strusciando il capo contro la parete. «Preferisco morire, che essere anche solo sfiorato da te.»

Il rientro in cella fu strano. Durante il tragitto, lungo quel corridoio inutile, ripensava a tante cose. I suoi pensieri erano così veloci che si accavallavano tra loro. Si snodavano in tante infinite possibilità. Cosa sarebbe successo, se non fossero stati insieme? Cosa sarebbe successo, se non si fosse fidato di quella che era la sua migliore amica? E se non avesse convinto tutta la sua famiglia a essere immortale?

Ripensava a tutti i suoi errori, prima di essere spinto di nuovo nella cella. Cadde sulla proprie ginocchia. Strisciò a terra e si acquattò contro un angolo della stanza. Sentiva ancora le mani di Lilian infilarsi attraverso il tessuto dei pantaloni, a sfiorargli la pelle. Rabbrividì di colpo e gattonò verso un secchio di plastica poco distante. Vomitò al suo interno. Così forte da sentire i polmoni ingrossarsi, la gola così sotto sforzo che avrebbe potuto scoppiare. Le vene del collo erano gonfie. Non c'era un muscolo che non gli facesse male.

Sentì Aaliyah avvicinarsi piano. Si inginocchiò di fronte a lui. Gli tenne i capelli. Djævel tremò, quando sentì le sue dita sottili affondare tra le ciocche, ma quando riconobbe il suo tocco, prese a rilassarsi pian piano. Socchiuse gli occhi.

La ragazza lo fissò preoccupata. «Qualunque cosa tu abbia fatto, grazie. So che mi hai salvata. L'ho capito, quando le droghe hanno smesso di farmi effetto...»

Djævel si liberò appena dalla sua presa. Si mosse a passi strascicati verso il letto e socchiuse gli occhi. «Mi giustizieranno. Tra un paio di giorni, al massimo.» Storse il naso.

Aaliyah corse a sedersi al suo fianco. Gli prese la mano e intrecciò le dita alle sue. «No. No, no. Io non ti lascio andare, chiaro? Non se ne parla.»

«Vorrei facessi qualcosa per me...»Djævel fissò la parete di fronte a sé. «C'è una vecchia Villa abbandonata, nell'ex quartiere ricco di Sol. Molti conoscono Villa Storm. Comunque, lì, c'è un arazzo della nostra famiglia.» Sbuffò piano. «Alcuni nomi sono stracciati, neanche più visibili. Tra quelli c'è mio padre. E mio zio, ma lui perché scappò, rifugiandosi nei boschi. Non voleva essere un circense come noi. Un po' lo invidiavo da ragazzino. Non aveva paura di quello che avrebbe pensato tutta la sua famiglia.»

Aaliyah strusciò il pollice sul dorso della sua mano. Restò in silenzio, posando il capo contro la sua spalla.

«Vorrei che tu lo portassi con te, quando sarò morto. L'arazzo, intendo. Non voglio che cancellino le mie sorelle dalla Storia. So che quello che è successo a tutte loro è colpa mia, ma voglio che nessuno si dimentichi di loro, non tu. Non le ultime persone che mi hanno sopportato.» Djævel storse il naso. «Non sono un patetico romantico. So già che il mio nome nella storia sarà sinonimo di traditore. Ma non voglio che infanghino anche loro. Le mie sorelle non erano come me, erano buone. Come te.» Le diede un bacio sulla nuca. «E tu sei insopportabile quanto un palo nel culo come Cælin. Era la mia sorellina preferita.»

Aaliyah fece un sorriso timido. «Lo prenderò. E lo terrò sempre con me. Te lo prometto. E ti prometto che lo prenderemo insieme, quell'arazzo. Non sarai un'altra casella da spuntare.»

Djævel fece un mezzo sorriso, mentre Aaliyah allungò la mano a sfiorargli i ricci scuri. «Ti ha fatto qualcosa?»

Tutto.

Si limitò a scuotere il capo e si rannicchiò sul letto. «Preferirei riposare ora. Buona notte.»
«Notte. Qualunque cosa sono qui, vicino a te.»

***

Il risveglio fu strano. Djævel aveva ancora un sapore amarognolo in bocca. Cercò di mandare giù l'ennesimo conato, mentre un brivido di freddo gli percorreva la spina dorsale.

Le porte della cella si aprirono di colpo e sbatté le palpebre per abituarsi alla luce. D'istinto, si portò davanti ad Aaliyah, per proteggerla. Ma il Faraone si incamminò nella sua direzione. Schioccò le dita verso due guardie e si avvicinarono per prenderlo per le braccia.

Djævel assestò una gomitata al primo e un calcio al secondo, liberandosi dalla loro presa.

Il Faraone fece una risatina. «C'è qualcuno che vuole parlarti, Storm. Non preoccuparti, al tuo spettacolo manca poco. Tra due giorni verrai giustiziato.»

Djævel fece un sorrisetto. «Fantastico, voglio un gran bel pubblico.»

«Ti vuole parlare Ægon Flame.»

Djævel annuì, lasciandosi condurre nell'ennesima sala. Quel posto iniziava ad avere le sembianze di un labirinto. Lo spinsero all'interno e fece attenzione a non scivolare a terra.

Ægon se ne stava seduto davanti a una scrivania. Il volto tumefatto di lividi e il labbro ancora spaccato. Alzò immediatamente lo sguardo nella sua direzione, nascondendo a stento un sorriso. Poi qualcosa mutò sul suo volto e si irrigidì. «Mi hai sempre mentito, allora.»

Djævel scrollò le spalle. «Tecnicamente sì, ma ti ho anche salvato il culo più di una volta.»

Ægon scosse la testa. «Ero tuo prigioniero.»
«E ora sei scappato e sicuramente Jacob Schultz si è dimostrato un codardo. Sarai il nuovo Generale. Direi che per te le cose si sono messe alla grande.»

Il ragazzo serrò la mandibola. «Quindi mi hai sempre manipolato. Mi hai sviato come tutti gli altri.»
Djævel era stanco. Mai come in quel momento, dopo quella nottata. «Se anche ti dicessi che non è così, mi crederesti?»

Ægon non rispose.

«Come immaginavo.» Djævel fece strisciare l'altra sedia, andando poi a sedersi di fronte a lui. «Non ti avrei mai ucciso, peste. Quando vi ho catturati, avevo esplicitamente detto che non doveva succedervi nulla. Vi volevo davvero dalla nostra parte.»

Ægon scosse la testa. «Non ho più niente da dirti. Verrai giustiziato tra quarantott'ore.» Si tirò in piedi e posò una mano sulla sua spalla. «Eri come un padre per me.» Pressione di un dito per un lungo secondo e due tocchi.

Stiamo arrivando.

Era il suo codice con Doom.Il cuore gli schizzò in gola.

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