Capitolo 39

Eros

Non sarebbe stata affatto una notte piacevole. L'aveva capito presto o almeno era l'unico pensiero sensato che fosse riuscito a formulare.

Il cuore martellava furioso nel petto, come un tamburo batteva contro lo sterno. L'ennesimo tremolio gli percorse la spina dorsale. Aveva freddo. Tanto. Tirò su una coperta che gli avevano posato addosso.

La stanza girava. E poi c'era quell'ombra enorme che torreggiava su di lui. Non si muoveva, non ancora per lo meno. Lo aspettava. O forse lo avrebbe attaccato da lì a pochi istanti.

Sbatté le palpebre. Gli occhi erano appiccicaticci. Era l'armadio? No, no. Era sicuro. Era l'ombra della morte che aspettava di falciarlo.

Avrebbe voluto urlare, ma la voce gli si seccò in gola. E poi c'era quel silenzio. Faceva male. I suoi occhi. Aveva rivisto i suoi occhi e lo avevano odiato. Si odiava già abbastanza da solo. Cos'aveva fatto? Cosa gli avrebbero fatto?

Era colpa sua. Sempre e solo colpa sua. Si rigirò sul divano, ma i muscoli rispondevano con fitte lancinanti e si lasciò sfuggire un rantolo. Le mani gli tremavano senza controllo, mentre provava a sistemarsi la coperta addosso.

Poi sentì dei passi. Erano così familiari. Forse era solo stato un brutto incubo e Thanatos era ancora lì. Djævel era ancora lì e non in catene, in ginocchio, al centro di una delle sale della Mostra.

Gli faceva male in petto. Respirare era una tortura.

Vide la figura di Djævel avvicinarsi, superando le ombre che volevano inghiottirlo. Si sedette comodamente sul tavolino di fronte a lui e prese ad osservarlo con quegli occhi neri che gli mancavano così tanto.

Sentì le sue mani sfiorargli i capelli e d'istinto socchiuse gli occhi. «Perché l'hai fatto?»
Eros sentì le lacrime pizzicare gli occhi. Cercò di mandare giù i conati di vomito e strinse forte i pugni. «Pensavo di averti perso...»

Lo vide sorridere. Gli stava sorridendo. «Ma io non me ne sono mai andato.»

Soffocò un singhiozzo. Non era lì, lo sapeva. Una parte della sua mente ne era consapevole. Ma quanto lo desiderava, anche solo come frutto della propria immaginazione. Gli bastava. Avrebbe preso tutta la roba del mondo pur di vederlo ancora, di sapere che ci fosse -anche solo nella sua testa- ancora un'occasione per loro. «Non te ne andare.» Allungò la mano per sfiorargli la guancia. Eros socchiuse gli occhi. Per un attimo gli sembrò di sentire la sua pelle sotto i polpastrelli. Avrebbe voluto poter accarezzare ancora una volta quella cicatrice, scoprire fin dove si annidava, baciarla e percorrerla con dolcezza, sussurrandogli tutto quello che non era riuscito a dirgli prima. Avrebbe voluto poter fare tutto quello ma poi Djævel svanì, lasciando il nulla davanti a sé.

Eros sgranò gli occhi, mentre il braccio, flaccido dal dolore, tremava in avanti. Avrebbe voluto poter fare qualcosa, tornare indietro, se avesse potuto. Era solo, invece, e doveva affrontare la vita con le conseguenze delle sue scelte di merda, ancora una volta.

Eros singhiozzò e si strinse nelle spalle. Si massaggiò d'istinto il petto. La stanza prese a girargli attorno e di colpo in tessuto del divano soffocava la sua pelle. Lo faceva star male, stringendolo in un abbraccio caldo, senza scampo. Sentiva i loro sussurri nelle orecchie, i loro gemiti.

Li sentiva tirargli i capelli, mentre premevano coi loro corpi caldi sul suo. Le luci rosse giravano tutte attorno a lui. L'ombra era sempre più vicina. Lo avrebbe trascinato a fondo. Lo avrebbe distrutto e inghiottito. Restava sveglio tutta la notte, assecondando i loro desideri.

«Non voglio toccarti, Eros. Non voglio farti male.» la voce di Djævel giungeva come una dolce ninna nanna alle sue orecchie.

Era da solo, con il suo fantasma. E quanto avrebbe voluto poterlo avere vicino, per calmarsi. Gli doveva ancora un ballo, come quando si erano incontrati in Akademie.

Era il suo ricordo felice in una vita di inferno e adesso lo aveva condannato.

Il divano lo inghiottiva, lo tirava a fondo.

«Non muoverti, idiota.» Una voce maschile raschiò al suo orecchio. Sentiva le labbra umidicce solleticargli la schiena e i brividi presero il sopravvento.

E poi c'erano quei tonfi. A cui era abituato ma che facevano male ad ogni sospiro. Strinse forte la pelle del divano, ma le dita scivolavano, perdendo la presa per il sudore.

«No, basta. Smettila.» Eros mormorò, cercando di dimenarsi.

Sentì la risatina di scherno di Poul, quando lo aveva visto all'Eden. «Allora si ritorna sempre a dove si appartiene, eh?»

Eros tremò nervoso. Le lacrime gli bagnavano le guance. Ne assaporò il gusto salato, finalmente qualcosa di diverso dall'acido della bile nella bocca.

Non si rese conto quando, tra i tremori e la sensazione di star morendo, aveva preso sonno. Ma sentì una mano scuoterlo, posandosi sul suo braccio. Eros sgranò di colpo gli occhi e si guardò intorno. Una parte di lui desiderò essere ancora all'Eden. Almeno avrebbe avuto la certezza di non aver mandato a morte l'unica persona al mondo di cui gli importasse davvero.

Ma per uno come lui non c'era spazio per i sogni.

Aaliyah lo guardò seria. «Devo parlarti. Ci sei?» Gli porse un bicchiere d'acqua.

Eros sentì il suo cuore sprofondare. Aveva deluso anche lei, forse la prima amica che avesse mai avuto dopo tanto tempo. Forse avrebbe dovuto scrivere un manuale su come prendere sempre le decisioni peggiori.

«io-io-»
«Risparmia il fiato. So cos'hai fatto.» Aaliyah rispose dura. Teneva la fronte aggrottata. Sibilò piano quelle parole. Eros non aveva idea di che ore fossero. «Dove hai lasciato Thanatos prima di venderlo come un animale al macello?»

Quelle parole lo squarciarono come fossero lame affilate. Eros prese a massaggiarsi il petto. Il sudore gli imperlava la fronte e prendere aria era più difficile ad ogni piccolo respiro. «Noi-noi eravamo sul campanile.»
«Quanto ci avete messo ad arrivare alla Mostra? Quante persone c'erano?»

Eros si mordicchiò il labbro. Gli faceva male. Ma non c'era una parte del corpo che non gli dolesse. «Io- non lo so.»
«Non lo sai? Andiamo, Eros. Almeno aiutami.» Aaliyah serrò i pugni. «So che non ti importa nulla di lui, che sei arrabbiato. Ma almeno credo che la nostra amicizia sia reale. Devi aiutarmi.»

Eros sussultò. «L'edificio-l'edificio era circondato da soldati, ha provato a scappare.» Prese un sorso d'acqua, deglutendo velocemente e forse in maniera rumorosa. La gola era così secca, un deserto arido. «Sì, eravamo alla Mostra. C'era anche sua moglie-»

Aaliyah aggrottò la fronte. «La sua che?»

Eros tremò nervoso e sentì di dover vomitare. Trattenne un conato e Aaliyah gli passò una bacinella, accarezzandogli i capelli.

Eros sospirò piano. «Mi dispiace. Mi dispiace davvero. Io non volevo. Non volevo. Lo giuro. Te lo giuro. Io-io-» Il pianto soffocò qualsiasi parola. Si portò le mani ai capelli, tirando appena i ricci biondi. Aaliyah gli posò un bacio tra le ciocche. «Lo so. Ci penserò io.» Si allontanò poi. Dopo avergli cambiato gli impacchi sulla fronte. «Lo porterò a casa.»

Eros socchiuse gli occhi. Forse era l'ennesima allucinazione, perché vide l'ombra spostarsi per lasciarla passare. La morte stava aspettando solo lui, come un avvoltoio affamato. E le tenebre lo avvolsero ancora una volta.

***

Lo stavano fissando. Era vivo. Ed era strano. Non lo avevano cacciato via, né mandato e abbandonato chissà dove. Forse Doom lo conservava, qualora Djævel avesse voluto ucciderlo con le sue mani.

Ægon, dall'altro lato della stanza, guardava storto Doom, intento a camminare avanti e indietro.

Doom si passò le mani tra i capelli. «Bene. Io vado al Dice. Forse Leia ha informazioni utili per sapere cos'è successo.»

Eros provò a tirarsi in piedi, ma le gambe erano così molli che preferì non testare la loro sicurezza. Avrebbe rischiato di ruzzolare a terra e spiaccicarsi contro il pavimento come un moscerino.

Doom scattava come un giocattolo a molla. I suoi occhi di ghiaccio saettavano ovunque per la stanza. «Joanna, tu vai al mercato con i bambini. Gira tra le persone per scoprire se ci sono novità.»

Ægon aggrottò la fronte. «Perché coi bambini?»

Ares sospirò piano, intervenendo perché Doom ormai sembrava entrato in un altro mondo. «A volte, quando le donne girano coi bambini, credono siano loro figli. Fertilità uguale potere. Le persone sono più bendisposte a chiacchierare.»

Eros si morse l'interno guancia. «Posso-posso fare qualcosa?»

Doom si voltò a guardarlo in cagnesco. «Oh, penso tu abbia fatto abbastanza.» Si girò verso Ares. «Tu resta qui a controllarli. Le guardie conoscono il tuo volto. Mi servi qui.» Si allontanò insieme a Joanna e a un altro paio di ribelli, tallonati dai due bambini.

Eros tornò a sprofondare contro il divano, con una nuova amara consapevolezza. Non era stata l'ennesima allucinazione. Aaliyah era reale e lui l'aveva spinta diretta nelle fauci della Mostra. Avrebbe dovuto pensare che poteva prendere decisioni avventate.

Strinse forte i pugni. Affondò le unghie nei palmi, pur di trattenere le lacrime. Loro non meritavano il suo dolore marcio. Avevano bisogno di qualcuno di migliore. Forse, se fosse scomparso davvero quella notte, sarebbero stati tutti decisamente meglio senza di lui.

Ares gli si avvicinò appena. «Hai bisogno di qualcosa? Ti serve qualcosa?»

Eros fece per parlare, ma Miguel si inserì. «Credo che una vasca calda sarebbe l'ideale.» Gli tese una tazza fumante. «Tè. Così puoi riprenderti pian piano. Ho parlato con Aaliyah ieri. Ti posso aiutare a riprenderti, ma devi ascoltarmi. Intesi?»

Eros si strinse nelle spalle, a disagio. Non meritava quelle attenzioni. Non era giusto. Era stato un ingrato con tutti loro e con cosa li aveva ripagati?

Annuì poi, mordicchiandosi il labbro. Spaccò di nuovo un piccolo taglio e il sapore ferroso del sangue gli inondò la bocca.

Ares lo osservò di sbieco. «Spiegami solo perché. Capisco che ce l'avessi con lui fino a questo punto, ma-»

Eros tremò, tenendo il capo chino. Attese che Miguel trascinasse via con sé Ægon ed Herica. «Perché all'inizio non avevo nulla. Poi mi hanno cercato. Mi hanno chiesto di trovare alcuni ribelli per loro. E se avessi scovato il loro nascondiglio mi avrebbero dato libertà e soldi per scappare via. Quando Thanatos si è presentato, ho visto la mia occasione... non credevo che mi avrebbe liberato davvero e poi... poi sarei stato comunque un ricercato, avrei perso tutti.» Tirò su col naso. «Ma avevo cambiato idea. Non volevo tradirvi. Per questo, quando Sylvie mi ha venduto al governo, hanno messo una taglia su di me. Per mettermi fretta, volevano che mi muovessi e che sapessi che stavo perdendo il loro favore.»

Ares inclinò il capo di lato, ascoltandolo. «E poi hai creduto che lo avesse ucciso.»

Eros annuì. «Ero ossessionato dalla vendetta. Volevo che soffrisse. Djævel era per me tutto. Avrei rinunciato alla mia felicità per lui...» Le lacrime ripresero a rigargli le guance, così avvicinò la tazza bollente alle labbra ancora una volta. «Tu lo sapevi?»

«No.» L'uomo scosse il capo. «Quando mi sono fatto catturare non ne avevo idea. Ma mentre eravamo in viaggio nel bosco, ho cominciato ad avere dei sospetti... be', anche prima. Era strano. Aveva atteggiamenti fin troppo familiari.»

Eros socchiuse gli occhi. «Io non l'avrei mai fatto altrimenti-»

«Lo so. Gli avevo detto di dirtelo, di parlartene. Ma non voleva. Anche Doom era d'accordo con lui. La sua era una posizione troppo particolare per parlarne.» Ares gli posò una mano sulla spalla. «Ti accompagno in bagno. Gli altri devono essersi impegnati parecchio.»

Eros fece un mezzo sorriso. «Cosa gli accadrà ora? È colpa mia.» Trattenne un singhiozzo e serrò i denti. Li sentì scricchiolare.

Ares scosse il capo. «Lo troveremo. E lo riporteremo a casa. Te lo prometto.»

Eros lo seguì e si infilò in bagno. Quando aprì la porta, Miguel allargò le braccia. «Ta daaan!» Indicò la vasca alle proprie spalle. Poi diede un paio di gomitate ad Ægon e Herica, che lo imitarono.

Eros trattenne un sorriso. «Grazie, non dovevate.» Si avvicinò al bordo vasca. Miguel gli diede una pacca sulla spalla. «Per dopo ho preparato una piccolissima dose. Andremo sempre a diminuire, va bene?»

«Okay, sì.» Eros attese di essere solo e poi si infilò nella vasca. Il tepore dell'acqua calda gli fece scappare un mugolio rilassato e socchiuse gli occhi, poggiando poi il capo contro il bordo.

Sentì i suoi muscoli riprendersi. Tutto si sarebbe risolto. Forse Ares aveva ragione. Ma come? Come avrebbero mai potuto fare?

Non poteva far finta di nulla. Sapeva fosse colpa sua e doveva aiutarli a risolvere il caos che aveva combinato. Doveva farlo. Non per lui, ma per Djævel. Avrebbe anche potuto odiarlo, ma adesso doveva fare qualcosa. Toccava a lui salvarlo, ora.

Strinse il bordo della vasca. Ripensò ad Aaliyah. Era stato un idiota sprovveduto. Non aveva pensato in quel momento. Era ancora troppo stordito per poter rispondere lucidamente. Avrebbe dovuto aspettarsi che sarebbe andata da sola a cercare Djævel. Si chiese se lei sapesse. Quella storia era folle. Si portò le mani ai capelli.

«Respira.»

Era uno scherzo della sua testa. La sua mente gli parlava con la voce di Djævel, forse lo aiutava a non affogare nel dolore.

Socchiuse gli occhi ancora. Prese un grosso respiro, così come lui gli aveva suggerito.

«Puoi provare a disegnare per rilassarti.»
«Ma tu mi odi.»
«Non ora.»

Eros annuì. La sua voce gli carezzava la mente con dolcezza disarmante. Lì, in quella vasca, l'acqua calda sembrava purificarlo da ogni bacio e da ogni tocco indesiderato di quella notte.

L'odore degli uomini e delle donne che l'avevano sfiorato adesso era lontano, non gli infestava le narici. Man mano il respiro gli si regolarizzava. Affondò quasi nella vasca, tenendo le braccia posate sul bordo freddo.

Quando aprì di nuovo gli occhi, da fuori si sentiva un gran vociare. Eros usc' dalla vasca, asciugandosi poi in fretta. Si sistemò una casacca chiara e lasciò i capelli bagnati, che gocciolavano ancora sulle sue spalle. Si infilò i pantaloni, saltellando su una gamba prima e sull'altra dopo. Anche se si rese conto di quanto fosse già stanco dopo quei brevi movimenti.

Un brivido di freddo lo assalì e di colpo abbassò lo sguardo sulle sue mani, che presero a tremare nervose. Gli mancava. Gli mancava la dose e ne aveva un tremendo bisogno.

«Puoi farcela.»
«Facile dirlo per te.» Eros bofonchiò, prima di uscire dal bagno.

Si guardò intorno e nascose le mani nelle tasche dei pantaloni, ma si muoveva nervoso, smanioso. Doveva prendere qualcosa e poteva soltanto affidarsi a Miguel.

Raggiunse gli altri in salotto.

Al centro della sala c'era Doom. Ed Eros capì dal pallore sul suo volto che qualcosa non andava.

«Ha la pelle dello stesso colore dei suoi capelli.» Djævel ridacchiò nella sua testa.

Eros lo scacciò con un gesto della mano, come se stesse allontanando una mosca fastidiosa.

«Che succede?»

Herica si voltò a guardarlo con sguardo dolce. Gli passò un bicchiere d'acqua con una pillola. Poi indicò Miguel. «Il tuo nuovo dottore mi ha detto di dartela.»

Eros obbedì e ingurgitò la pasticca, nella speranza di trovare un po' di pace. C'era fin troppa confusione nella sua testa.

Doom si passò le mani in volto. Poi alzò lo sguardo verso tutti i presenti. «Aaliyah è stata catturata anche lei, alla Mostra.»

Ares, al suo fianco, si irrigidì. Scosse il capo. «No. Abbiamo fatto tanto per non farla finire tra le loro grinfie.»

Eros sentì una morsa avviluppare lo stomaco. Era colpa sua. Ancora una volta. Sentiva il dolore raschiare ogni fibra del suo corpo, lo rosicchiava con violenza per non lasciarne più nulla.

Ægon si guardò intorno. «E non faremo nulla?!»

«Certo che faremo qualcosa. Ci serve un piano.» Doom gli riservò un'occhiataccia.

Ægon sbirciò Miguel, poi tossicchiò per attirare l'attenzione di tutti. «Ho una proposta.»

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