Capitolo 31


Eros

Era stata una nottata complicata. Si era rigirato per tutto il tempo durante il sonno. I suoi sogni erano stati agitati e si era risvegliato all'improvviso nel letto, di colpo così grande, e madido di sudore. Goccioline d'acqua gli bagnavano la fronte e le aveva asciugate con una mano.

Il suo petto si agitava su e giù, come un treno impazzito. Il cuore, poi, pareva avesse deciso di fare un giro sulle montagne russe. Saltava per tutto il petto e martellava contro lo sterno. Dopo schizzava su per la gola, pulsando contro la pelle e facendogli venire voglia di vomitare.

Si era accucciato su sé stesso. Non aveva mai sentito così tanto dolore. Credeva di averne sperimentato anche fin troppo, quando si costringeva a stendersi sul letto, in attesa delle carezze e dei tocchi indesiderati dei clienti.

Quello era tutt'altro tipo di malessere. Sentiva l'aria mancargli. Se gli avessero strappato un pezzo di cuore, forse avrebbe fatto meno male.

Djævel era stato il primo a trattarlo come un essere umano. Il primo a vederlo e basta. Gli interessavano le sue passioni. A volte affittava intere notti solo per lui e restava soltanto nel suo letto, in quello squallido salottino, e si addormentava. Gli diceva che con lui sentiva di poter abbassare le difese, che poteva finalmente riposare un po'.

Ed era morto. Era morto e non avrebbero potuto più parlare. Non avrebbero più chiarito. Era morto, credendo che Eros preferisse la sua libertà a lui. Si sarebbe fatto incatenare, anche solo per avere la possibilità di rivederlo per cinque minuti.

Singhiozzò, tirando su col naso. Si nascose sotto le coperte, tirando le lenzuola fin sopra la testa. Lo sguardo gli si annebbiò ancora una volta. Le lacrime presero a premere agli angoli degli occhi. Fissò un punto indefinito davanti a sé. Socchiuse le palpebre.

E lo vide. Djævel era lì e gli sorrideva come sempre. Erano di nuovo solo loro. Il mondo aveva smesso di esistere ancora una volta.

Quando sbarrò di nuovo gli occhi, rabbrividì. Aveva così voglia di una dose, in quel momento. Le sigarette non bastavano. L'alcol neanche avrebbe potuto bruciare tutto quel dolore. Si dondolò nel letto, cercando di scacciare quel desiderio. Forse solo un po' sarebbe bastato. Avrebbe smesso di sentire.

Tutto pur di essere indifferente a tutta quella sofferenza.

Un brivido di freddo lo riscosse all'improvviso ed Eros si rimise a sedere. Le lenzuola si erano aggrovigliate attorno alle sue gambe e le scalciò via con un grugnito infastidito. Si avvicinò allo zaino ai piedi del letto e sfilò alcuni fogli, su cui aveva realizzato degli schizzi.

«Fanculo-» mormorò tra le lacrime. Accarezzò il profilo del ritratto che aveva fatto a Djævel. Era solo una bozza e avrebbe voluto poterle dare vita, anche solo per risentire la sua voce, una carezza che era riuscita sempre a farlo sentire al sicuro.

Strinse forte i pugni. Thanatos l'avrebbe pagata. Fino a poche ore prima, aveva pensato che no, non sarebbe riuscito a essere un tale ingrato. Che nonostante tutto ciò che aveva accettato di fare, non sarebbe riuscito a tradirli tutti.

Ma adesso voleva vederlo strisciare. Implorare almeno la metà di quanto Djævel aveva fatto. Per una volta, almeno, non sarebbe stato un codardo. Glielo doveva. Djævel lo aveva messo in allerta.

Thanatos lo aveva reso libero, ma per farne cosa? Per divertirsi a vederlo soffrire, per cancellare l'unica persona per la quale avrebbe fatto di tutto.

Se avesse davvero tenuto a lui, non l'avrebbe mai fatto.

Non gli interessava di Sol, dei ribelli, dell'Incidente. Non più.

Voleva solo giustizia. Voleva vendetta.

E l'avrebbe ottenuta.

Niente di meno, niente di più.

Avrebbe fatto anche più di quanto gli era stato chiesto. Avrebbe consegnato Thanatos.

***

«Togliti dal cazzo.» Eros moriva dalla voglia di spaccare la faccia di Thanatos.

Lui se ne stava di fronte, con le braccia allargate e un sorrisetto fastidioso a increspargli le labbra, unico spiraglio di pelle lasciato libero dalla maschera. «Andiamo. Puoi sfogare tutta la rabbia che vuoi su di me.»

Ares li guardava attentamente, standosene poggiato contro il muro e le braccia intrecciate al petto. «Basta che non vi fate male, bambini.» Ghignò.

Thanatos scrollò le spalle. «Hai l'occasione per farmi molto male.»

Eros provò a immaginarselo in ginocchio, con le catene dietro la schiena. Era la punizione più giusta per un bastardo come lui.

Avrebbe tanto voluto vedere la sua faccia del cazzo.

«Bene. Vuoi prenderle? Ottimo.» Eros fece scattare l'arma, che teneva stretta tra le mani. Strattonò il bastone e una lama schizzò in avanti sulla punta. La luce della sala d'allenamento si rifletté sul metallo.

Fece pressione su un piccolo tasto laterale e una scarica elettrica ronzò attorno alla lama, emanando piccole scintille.

Thanatos si lasciò sfuggire un ghigno compiaciuto. Prese la stessa arma, come lui, e gliela puntò contro. Iniziò a girargli intorno, disegnando un invisibile cerchio attorno alla figura di Eros, che seguiva ogni suo movimento con estrema attenzione.

Thanatos si fiondò verso di lui. Eros scartò di lato il fendente e sentì l'arma fendere l'aria, riempendola di una strana tensione.

Ares li guardava dall'angolino, sembrava più divertito che intenzionato a fermarli. Eppure Doom aveva chiaramente detto di tenerli sotto controllo.

«Andiamo, Eros. So che muori dalla voglia di farmi male.»

«Ci puoi scommettere.» Eros affondò in avanti. Finse un colpo sulla destra e poi lo colpì al fianco sinistro con il bastone, dal lato opposto della lama. Non voleva ucciderlo. Non in quel momento. Voleva vederlo soffrire.

Thanatos non si mosse. Quell'idiota si lasciò colpire.

Lo sentì mugugnare un'imprecazione. Si toccò il punto dolente, lasciandosi sfuggire un tremolio a causa della breve scarica.

Non contento, Eros pizzicò l'arma contro l'altro fianco, lasciando che le scariche percorressero parte del suo corpo.

Thanatos tirò il capo all'indietro, addolorato. Tenne lo sguardo rosso demoniaco fisso su di lui, barcollando affaticato. Non aveva reagito. Ancora una volta era stato fermo, lasciando che il dolore lo facesse soffrire.

Eros sentì di colpo il rimorso avvolgergli le viscere. Non era un mostro, non lui. Ma c'era un lato nascosto, che non credeva di possedere, che lo fece fremere. Vederlo dolorante gli strappò un sorriso.

Lasciò cadere l'arma e gli si lanciò addosso. Lo spinse a terra, dopo avergli assestato un calcio al ginocchio.

Thanatos non mosse un muscolo. Eros si posizionò su di lui a cavalcioni e iniziò a prenderlo a pugni.

Le mani gli si scorticarono, mentre colpiva la maschera metallica. Gli si avvicinò, fino a far aderire i loro corpi. Poteva sentire il suo respiro affannoso e il petto che si alzava violentemente su e giù, andando a sfiorare il proprio. Eros osservò per un momento indefinito quegli occhi rossi. Li odiava. Almeno tanto quanto li aveva amati. «Non mi tentare. Potresti essere la mia prima e ultima vittima.» Gli sussurrò all'orecchio.

Thanatos tossì e sputò un grumo di sangue a terra. Inclinò il capo di lato, concedendosi qualche istante per studiarlo. Il suo sorrisetto sfrontato si dipinse di rosso, dopo una breve risatina roca. Eros non avrebbe saputo dire quanto detestava quel ghigno canzonatorio.

Thanatos si puntellò su un gomito e prese un grosso respiro. «Se hai intenzione di provarci con me in questo modo, sappi che sta funzio-»

Eros caricò l'ennesimo gancio destro, ma sentì delle mani afferrarlo per le spalle. Di colpo la sua visuale fu confusa, quando Ares lo spinse via, dall'altro lato della palestra.

«La finite?» Ares batté le mani. Si avvicinò a Thanatos, cercando di aiutarlo a tirarsi in piedi, ma lui sbuffò scocciato. Scansò l'aiuto e si alzò, pulendosi i pantaloni dalla polvere.

«Lui aveva chiesto di una rissa.»
Thanatos ghignò. «A me piacciono le risse. Avrei voluto approfondire-»

«La smetti?» Ares roteò gli occhi al cielo.

Eros avrebbe voluto spaccargli la faccia.

All'improvviso le sirene della città iniziarono a rimbombare come un richiamo di morte. Ebbe la sensazione che anche i sotterranei stessero tremando. Si portò le mani alle orecchie, lasciandosi sfuggire un rantolo doloroso.

Si scambiò un'occhiata con gli altri due.

Ares si voltò a guardare la porta alle loro spalle. «Dobbiamo andare. C'è un avviso.»

«Dici che è legato a quello che abbiamo fatto?» Thanatos spiccò un saltello. Corse fuori dalla palestra, raggiungendo il salone principale.

Eros socchiuse gli occhi e strinse i pugni. Poteva farcela. Doveva saper aspettare.

Ares lo osservò. Poi inarcò un sopracciglio. Si passò una mano tra i capelli scuri. «Tutto bene? Hai bisogno di qualcosa?»

Eros non detestava anche lui. Non ce l'aveva con lui. Sospirò piano. «No, ma che importa?»

Ares lo attese, prima di abbandonare la sala d'allenamento con lui. Eros lo guardò. Lo seguì fino al salone. Si lasciò cadere sul bracciolo di un divano, mollemente.

Il televisore centrale si era acceso di colpo. Il simbolo di Sol illuminava e danzava sullo schermo, in attesa del collegamento.

Thanatos si stava già lamentando. Doom gli diede uno strattone. «Sta' un po' zitto, cazzo.»

Eros era convinto che Thanatos fosse capace anche di parlare coi muri. Normalmente quella cosa l'avrebbe fatto sorridere. Ma non appena un pensiero positivo si infilava nella sua mente, il ricordo di Djævel faceva capolino di nuovo tra i suoi pensieri.

E di nuovo quella voglia di prenderlo a pugni prendeva il sopravvento.

Eros si accasciò contro il divano e intrecciò le braccia al petto, quando il volto di una donna apparve sullo schermo del televisore, attirando la sua attenzione.

La giornalista teneva stretto tra le mani un microfono. Le sue labbra marcate dalla chirurgia e il forte trucco la rendevano mostruosa ai suoi occhi, se non fosse che a Sol era considerata una bellezza speciale. Simbolo di chi voleva conservare ancora la propria integrità, ricercando l'immortalità almeno nell'aspetto, dopo l'incidente.

Alle sue spalle c'era la piazza centrale di Sol. Una sfilza di soldati in guardia. Ai suoi fianchi c'erano Lilian e un altro ragazzo, di cui non aveva memoria.

«Sapevo che fosse lì ad approfittarne...» Miguel, che se ne stava in piedi accanto ad Aaliyah, strinse i pugni.

Eros si lasciò scappare un piccolo sorriso, guardando i due ragazzi. Presto, però, tornò a prestare attenzione al televisore.

«Ci stringiamo tutti attorno alla famiglia Storm per questo grande lutto nazionale.» La giornalista posò la mano sulla spalla di Lilian. I suoi occhi erano arrossati di lacrime, eppure il trucco la manteneva in perfetto stato.

Alle loro spalle una pila funeraria era stata adibita. Eros sentì lo stomaco aggrovigliarsi, fare più capriole e la bile risalire su per la gola.

Poi lo vide. Un corpo avvolto in un lenzuolo bianco avanzava su una piccola biga. Degli uomini lo posarono tra le fiamme, che presero a bruciare la carne e ad avvolgere Djævel.

Eros avrebbe voluto andarsene. Correre da qualche parte e urlare a squarciagola.

Poi Lilian si sporse verso il microfono. «La cosa che più fa male è non avergli mai potuto dire addio. Non averlo abbracciato per un'ultima volta-»

«Quante lagne inutili.» Thanatos sbuffò. Si tirò in piedi e cominciò a camminare avanti e indietro per tutto il salone. Sembrava più nervoso del previsto.

Eros gli scoccò un'occhiataccia. «Chiudi il becco.»

Thanatos sussultò, ripreso dai propri pensieri, e posò lo sguardo su di lui, restandosene in silenzio.

«E non mi darò pace finché non avrò i responsabili tra le mie mani.» Lilian puntò lo sguardo contro la telecamera.

«Come nuovo Generale, rivendicherò tutto ciò che Thanatos ha fatto alla mia famiglia. Ha ucciso mio padre, i miei migliori amici e anche Storm, che era una famiglia per me. Non nascondete i ribelli, cittadini di Sol. O vi macchierete dello stesso peccato. E non saremo più gentili. Siamo in guerra.» il ragazzo, sulla cui divisa spiccavano diverse medagliette al valore, parlò con tanta rabbia.

Aaiyah si fece scappare un risolino. «Come se finora fossero stati davvero gentili.»

Miguel aggrottò la fronte. «Ma noi non siamo morti...» un'ombra gli avvolse lo sguardo. «Non verranno a cercarci? Neanche gli importa? È stato Jacob. Lui-»

Aaliyah gli prese la mano, intrecciando le dita alle sue e carezzandogli il dorso col pollice.

Eros avrebbe voluto alzarsi e andarsene, ma, Vanya e Simon, i due bambini che vivevano con loro, corsero a distendersi sul divano e presero ad abbracciarlo, stringendosi a lui. I muscoli si rilassarono di colpo. Iniziò ad accarezzare con delicatezza i loro capelli.

«Possiamo dormire con te?» Mormorò Simon.
La sorellina annuì con foga, con un cenno del capo. «Sì. Ti prego.»

Eros sorrise. «Certo. Possiamo giocare anche un po' coi pupazzi. Magari viene anche Aaliyah.»

Quando vide i loro volti illuminarsi, Eros pensò che tradire i ribelli significava condannare quei bambini al suo stesso destino. Non voleva tradirli, non tutti. Voleva solo vendere la testa di Thanatos, ora. Tutto iniziava con lui e finiva con lui.

Mentre tutti si raccoglievano attorno alla pira funeraria, la giornalista raccontava che il corpo di Djævel era stato trovato con volto deforme dai colpi. Il suo viso, i suoi tratti, erano irriconoscibili, mostruosamente aberranti, e che era stato necessario un test per confermare la sua identità, sebbene non ci fossero dubbi. Il sangue era il suo.

Eros serrò la mandibola. Sentì i denti sbattere tra loro sotto la sua rabbia. Posò un bacio tra i capelli dei due bambini e si tirò in piedi. Aveva bisogno d'aria. O meglio, aveva bisogno di stare da solo. Si allontanò dal salone, dando le spalle a tutti. Si voltò un'ultima volta, ascoltando le parole finali della donna.

«E così, con la caduta di Djævel Kadyr Storm si chiude la grande dinastia Storm. Circensi arricchiti, che hanno fatto la storia della nostra città. Ci chiudiamo tutti in un abbraccio silenzioso, attorno alla sua famiglia.»

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top