Capitolo 27
Eros
«Quindi adesso che si fa?» Eros si sistemò meglio sul proprio sedile, sussurrando piano quelle parole.
Erano nel cuore della notte, nascosti dalla fitta vegetazione, a osservare la torre di una specie di piccola fortezza, che si ergeva nel villaggio di contadini come un gigante tra le formiche.
Doom lo osservò di sbieco. Nella notte, i suoi occhi chiari sembravano anche scintillare. C'erano le fiamme nel suo sguardo severo, non avrebbe saputo come descriverlo diversamente.
«Adesso aspettiamo che le ultime luci si spengano e poi agiamo.»
Eros sentì un formicolio percorrergli la spina dorsale con violenza, come un treno di sudore freddo in corsa. Avrebbe dovuto uccidere qualcuno? Non erano quelli i piani.
Non ne avrebbe mai avuto il coraggio. E poi cos'altro avrebbe dovuto fare? Come poteva portare avanti ancora quella storia?
Deglutì a fondo, mandando giù un groviglio spinoso di bile.
Aaliyah si voltò a guardarlo con un sorrisetto di incoraggiamento. «Andrà tutto bene.» Mormorò con un filo di voce, cercando di rassicurarlo.
Eros forzò un sorriso. Come avrebbero fatto a intrufolarsi lì all'interno? Era un gioco pericoloso e stava iniziando a esporsi anche troppo.
Non voleva arrivare davvero a quello. E se l'avessero visto e riconosciuto? Cosa gli avrebbero fatto?
Ritornò a prestare attenzione all'edificio davanti a loro, nascosto dalle ombre della notte e dalle fronde degli alberi. Aveva l'aspetto di una piccola fortezza. Poco davanti a loro si apriva un villaggio di contadini. C'erano casupole e capanne ormai con luci spente. Solo delle piccole scintille del fuoco all'esterno appena spento illuminavano l'aria.
Devi fare solo quello che ti ho detto. Niente di meno, niente di più.
E qual era il confine che definiva il meno dal più?
Eros deglutì e si accasciò contro i sedili dell'abitacolo. Continuò a tenere lo sguardo fisso sulla roccaforte. Delle mura di pietra circondavano l'edificio. C'erano due torri principali e un paio di guardie di vedetta su ognuna di essa. Vedeva dei puntini muoversi lungo le mura. Era circondata da soldati. Come avrebbero mai fatto solo loro tre a intrufolarsi? Eppure, Doom sembrava essere particolarmente tranquillo, come fosse un lavoro a cui era già abituato da tempo.
Aaliyah, d'altro canto, si muoveva di continuo sulla propria sedile, nervosa anche lei, nonostante si impegnasse in ogni modo di nascondere la tensione dietro un atteggiamento forzatamente rilassato.
Quando l'ultima luce del piccolo palazzo nascosto tra le mura si spense, Doom si voltò a guardare entrambi. «Muoviamoci.» Aprì la portiera del furgone. Eros gli tastò la spalla, prima che potesse scendere.
«Non abbiamo armi.»
«Tu non ne hai. Aspetta che uccida il primo di quei soldati e ne avrai una. Aaliyah, tu ne hai?»
La ragazza fece un cenno d'assenso. Di norma, Eros si sarebbe offeso che a lui non erano ancora state consegnate armi personali con cui difendersi, ma in quel momento si sentì grato di non avere nessun oggetto che lo aiutasse a porre fine alla vita di qualche soldato.
E non solo perché aveva una taglia che gravava sulla sua testa, simile alla spada di Damocle.
Scese dal furgone, passandosi le mani sui pantaloni polverosi. Aaliyah attivò un tastino laterale del proprio orologio e lanciò una breve occhiata a Doom. «Dobbiamo raccogliere le loro vite?»
«Certo. Le loro sono molto più importanti.» L'uomo si incamminò in avanti nella radura.
L'unico rumore lì era lo scricchiolio dei rami. Si avvicinarono al tronco di un albero ormai semi distorto, i cui rami più grossi pendevano verso l'interno della roccaforte.
Iniziarono a camminare in equilibrio sul tronco ormai storto, fino a raggiungere i rami più alti e nascondendosi tra le chiome e le foglie. Eros si ripeté mentalmente di non guardare giù o avrebbe perso l'equilibrio.
Ricordava ancora i suoi insegnamenti e allenamenti in palestra insieme ad Aaliyah. Si acquattò sulle ginocchia e prese un grosso respiro, tenendo lo sguardo fisso sull'accampamento sotto di loro.
Doom sfilò dalla tasca delle giacca una freccia strana. La punta aveva un odore nauseabondo.
Eros aggrottò la fronte confuso. «Cos'è?»
«Soporiferi. Li usano anche sugli animali. Le lanciamo addosso alle guardie di vedetta e cadranno nel mondo dei sogni in pochi minuti.»
Aaliyah fece un sorrisetto compiaciuto. «Altra mia piccola invenzione. Ora sto lavorando su qualcosa che possa farli impazzire temporaneamente... magari arriverebbero a uccidersi tra loro. Sarebbe anche abbastanza comodo.»
Eros increspò le sopracciglia e fece un cenno d'assenso. Doom infilò l'arma di uno spara dardi e prese la mira. Non appena premette il grilletto, la freccia schizzò in avanti e andò a colpire il collo di una delle guardie. Ne scattarono altre tre. Altre lanciate da Aaliyah. In pochi minuti, gli uomini crollarono a terra come massi, sonnecchiando.
Aaliyah si mosse in avanti. Si assicurò che sulle mura in quel momento non ci fosse nessuno e balzò giù. Doom gli fece cenno di andare avanti, così Eros la imitò. Il vento gli sferzò tra i capelli, sussurrando alle sue orecchie.
Doom li seguì poco dopo, muovendosi verso destra, mentre loro due avanzavano verso sinistra. Aaliyah si accucciò dietro un cassone di legno. Eros fece lo stesso, accostandosi a lei. Non appena una guardia si mosse nella loro direzione, salendo le scale dal piano inferiore, Aaliyah si sporse quanto bastava per rifilargli una pugnalata alla schiena, mentre con una mano gli copriva la bocca. Lo liberò del fucile e lo lanciò tra le mani di Eros, che rabbrividì.
Non poteva uccidere un soldato. Non gli avevano fatto nulla. Cioè, non tutti, certo.
Doom gettò un corpo dentro una carriola, forse per nasconderlo momentaneamente dalle altre guardie che giravano sulle mura. Aaliyah gli pizzicò il fianco ed Eros sussultò quasi. «Dobbiamo raggiungere quella finestra laterale. Ci arrampicheremo sulle mura e, una volta sul balcone, forzerò la serratura.»
Eros avrebbe voluto scoppiare a ridere. Come facevano ad essere sempre così sicuri di loro stessi e delle loro follie? Lui a stento riusciva a saltare da un tetto all'altro, adesso. Le sue nuove capacità di arrampicate non le aveva ancora testate, non ne aveva avuto tempo. E non moriva dalla voglia di spiaccicarsi come un moscerino a terra.
Che codardo.
Continuava a ripeterselo ogni giorno. Forse non avrebbero dovuto offrirgli quella libertà che aveva tanto desiderata. Poteva solo comportarsi come un verme.
Mugugnò un'imprecazione e scattò in avanti. La prima guardia che incrociò di volto lo fece agire di impulso, come azionato da una molla. Non voleva uccidere, ma tramortirlo per qualche minuto non era male. Colpì alla testa l'uomo col calcio del fucile, ancora prima che potesse fare qualcosa. Quello crollò ai suoi piedi svenuto.
Aaliyah ridacchiò e gli diede un buffetto affettuoso sulla spalla. «Metodo davvero originale per usare un'arma da fuoco.»
Superò il corpo con un saltello e si diresse verso l'edificio. Eros non riuscì a metabolizzare neanche una sola parola, né ciò che aveva fatto. Sapeva solo che era stato stranamente divertente. Si era sentito potente. Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, mentre imbracciavano l'arma, e tremò, rimuginando sul pensiero che poco prima aveva fatto capolino nella sua mente.
Era davvero così male?
Scosse il capo e sistemò il fucile dietro la schiena. Aaliyah iniziò a incastrare le suole delle scarpe tra le crepe del muro e tra i mattoni. Eros fece lo stesso. Lungo le loro mura erano al coperto. La ragazza e Doom avevano messo a nanna molti di loro, attaccando alle spalle.
Adesso dormivano davvero tutti.
Prese un grosso respiro e rilasciò un fiotto d'aria pesante. Poteva farcela. Imitò la ragazza, prendendo ad arrampicarsi. Seguiva ogni suo movimento, attento a imitarlo. Metteva i piedi dove l'aveva fatto lei, così per sicurezza.
«Davvero ci sto riuscendo!»
Aaliyah ridacchiò. Si arrampicò alla balaustra del balcone e atterrò. Eros fece lo stesso, ma si ritrovò a scivolare alla fine, cadendo con il volto sul pavimento. «Dovrò migliorare l'atterraggio, eh?»
Aaliyah lo aiutò a tirarsi in piedi. «Direi», lo scrutò. «Fatto male?»
«Nah, ho vissuto di peggio. Grazie» Eros si ripulì i pantaloni. Increspò le sopracciglia, osservando come Aaliyah si impegnava a scassinare la finestra del balcone. Si guardò intorno. «Doom?» Quel pazzo squilibrato riusciva a mettergli i brividi. C'era sempre uno strano alone di mistero e silenzio attorno alla sua figura.
Aaliyah non alzò lo sguardo dal grimaldello, che scrostava la serratura. «Sarà entrato dall'altro lato.»
Eros annuì. Un cigolio irritante fischiò nelle orecchie e, con uno strattone, Aaliyah spinse la finestra in avanti, calandosi all'interno del corridoio silenzioso e buio. Eros la seguì.
«Bene, bene. Chi c'è qui? Una ex puttana e una ragazzina.» Un uomo con una maschera d'oro raffigurante un toro ridacchiò. Una risata inquietante, enfatizzata dalla maschera, rimbombò nella notte. Batté tra le mani un'ascia e inclinò il capo. «Immagino sia il vostro momento per scappare-»
Aaliyah gli assestò un calcio alle ginocchia. Quando questi si lasciò sfuggire un rantolo di dolore, afferrò Eros per il polso e lo trascinò via. «Corri.»
Eros non se lo fece ripetere ulteriormente e iniziò a schizzare via come una scheggia all'interno dell'edificio. Dove diavolo potevano nascondersi? Forse era tutto un piano di Doom per ucciderli e toglierseli da torno. O forse li stava punendo ancora per quella bravata. Scavare non era bastato?
Aaliyah lo trascinò in una sala. Gli fece cenno di stare in silenzio e lo spinse all'interno di un armadio. Eros lasciò uno spiraglio aperto tra le ante, quanto bastava per poterla spiare.
La ragazza si arrampicò fin sopra il soffitto, mettendosi in equilibrio tra le assi di legno. Restò ferma, zitta, appollaiandosi in equilibrio, come un ragno in attesa di tessere la sua tela mortale.
Il colosso spalancò la porta con un calcio. «La caccia ai topolini è noiosa. Se vi arrendete, prometto che sarà rapido e indolore.»
Eros capiva perché lo definissero così. Era enorme, sul serio. Non credeva di aver mai visto un essere umano tanto alto e tanto grosso. Era davvero possibile?
Aaliyah si calò dall'alto, piombando sulle spalle dell'uomo. Lui prese a sbraitare, ad agitarsi come un toro fuori controllo. La ragazza provò più volte a colpirlo con il proprio pugnale alla gola, ma rischiò di perdere l'equilibrio in diversi momenti.
Doveva fare qualcosa. Doveva aiutarla in qualche modo. Approfittò della distrazione del Colosso per spalancare le ante dell'armadio e si lanciò in avanti. Caricò il gigante con il proprio corpo. Lo trascinò a terra, aiutato anche da Aaliyah, che lo aveva colpito col pugnale più volte sulle braccia.
La ragazza scivolò giù. Strisciando col ginocchio sul pavimento liscio, arrivò per prima all'ascia del Colosso. La spinse via con un calcio. «Così non potrà usarla contro di noi.»
Eros avrebbe tanto voluto dirle qualcosa, ma l'uomo lo afferrò per i capelli e lo spinse dall'altro lato del salone. Sentì la testa bruciargli. Un colpo allo stomaco lo fece accartocciare su sé stesso. Presero a fargli male punti del corpo che non pensava di poter possedere. Tossì come un ossesso. La vista era quasi annebbiata.
Il colosso lo guardò dall'alto. «Ora abbiamo finito di giocare. Pensavi davvero che uno come te potesse farmi male? Non preoccuparti. Farò in modo che sa-»
Si portò una mano al collo. Aaliyah estrasse il pugnale dalla carne e il sangue prese a schizzare lungo le pareti. Gocce cremisi cadevano ai suoi piedi. Si inginocchiò senza forze, mentre la ragazza continuava a fissarlo, ansimante.
Eros lo vide. Lo vide estrarre un'arma in un ultimo momento, aggrappandosi a quei pochi istanti prima di morire.
Avrebbe voluto gridare, ma il dolore gli lacerava il corpo, la voce restò incastrata tra le corde vocali.
Il Colosso alzò una mano in direzione di Aaliyah, quando, all'improvviso, si accasciò col volto a terra. La sua ascia torreggiava contro la schiena.
Doom posizionò un piede sul suo corpo ed estrasse l'arma insanguinata, con un ghigno infastidito.
Eros pensò di essere pazzo. Si sentiva sollevato dalla presenza di Doom. Se non fosse stato che aveva le nocche delle mani scorticate e i vestiti sporchi di un colore rossastro, che nella penombra della notte gli sembrò quasi nero.
«Siete stati un ottimo diversivo. Bravi.» L'uomo lanciò l'arma lontano e si abbassò sul corpo del Colosso. Avvicinò il proprio quadrante al polso dell'uomo e si tirò nuovamente in piedi, dopo aver trafugato con le mani nelle tasche dei suoi vestiti.
«Stai davvero depredando un cadavere?» Aaliyah si avvicinò poi ad Eros, tendendogli una mano.
Lui accettò con piacere l'aiuto, tenendosi lo stomaco con una mano. Era abbastanza convinto che dei lividi violacei presto avrebbero fatto capolino. Il dolore era così forte che si chiese se fosse normale vedere così sfocato, quasi come se tutti loro e il mondo fossero fatti da piccoli pallini, figure sgranate.
Decisamente qualcosa non andava.
Doom si strinse nelle spalle. «Magari c'era qualcosa di utile. Nella stanza del custode ho trovato delle lettere che potrebbero aiutarci a individuare gli altri.» Aggrottò la fronte, osservando poi Eros con attenzione. «Ce la fai a reggerti in piedi?»
«Certo...» Mormorò, prima di cadere a peso morto a terra, senza sensi.
***
Quando sbatté le palpebre, Eros si rese conto di essere nella propria stanza. Un moto di terrore lo invase.
Era stato tutto un sogno?
Era di nuovo tra le fauci di Poul, costretto a donarsi ai suoi clienti? Quanta roba aveva assunto per aver dormito così tanto e aver sognato per così tanto tempo di essere libero?
«Ehi, sei sveglio.» Aaliyah si alzò dalla poltrona su cui si era accucciolata, quasi acciambellata come un gatto. Si tese verso di lui. «Ti ho messo del ghiaccio sul petto e sullo stomaco. È stato un colpo pesante. Quel pazzo aveva una forza straordinaria...»
Eros avrebbe voluto abbracciarla. Le lacrime gli pizzicarono gli occhi. Era ancora con loro.
Con la sua famiglia.
Si morse l'interno guancia. Forse era davvero un ingrato. Non avrebbe dovuto. Non poteva legarsi ancora a qualcuno, non in quel momento.
Si strinse nelle spalle. «Grazie... ero stanchissimo.»
Aaliyah gli passò una mano tra i riccioli chiari. «Lo so, forse dovresti riposare ancora un po'... vado a prepararti la cena e te la porto qui, okay?»
Eros annuì e la osservò, mentre lo lasciava solo.
Che cazzo stava facendo?
Djævel lo odiava. E forse Thanatos lo avrebbe ucciso. La sua intera vita era destinata alla tragedia, avrebbe dovuto saperlo bene.
E invece continuava a cadere in errori idioti, lasciandosi trasportare dai sogni. Era in balìa dei propri desideri, dell'egoistica necessità di libertà.
Sospirò piano. Si passò le mani in volto. I polpastrelli presero a bagnarsi delle sue lacrime.
Gli mancava Djævel. E poi anche Thanatos. Non voleva perdere nessuno dei due. Nessuno di tutti loro, in realtà.
L'ansia gli attanagliò il petto. Invisibili fili spinati gli bruciavano in gola. Si lasciò cadere sul letto, tremante e terrorizzato.
Niente di più, niente di meno.
E perché stava facendo o troppo o nulla?
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