Capitolo 20
Djævel
Doveva essere una giornata normale. Si era preparato mentalmente a cercare di essere calmo e non perdere il controllo.
Ovviamente la vita si divertiva a circondarlo di idioti, per cui i suoi obiettivi mattutini andavano sempre a farsi fottere nel giro di poche ore.
Si tirò in piedi prima che Lilian si svegliasse e gli chiedesse come stesse procedendo insieme a Lysa. Non moriva particolarmente dalla voglia di farsi fare un terzo grado al risveglio.
Scivolò lentamente giù dal letto, attento a non farsi male, e uscì veloce dalla camera, dopo aver recuperato la propria divisa. Si rivestì in fretta e abbandonò casa di Lylian. Non riusciva neanche a sentirla come propria.
Al mattino Sol sembrava risvegliarsi da uno strano tepore. Le ombre della notte si rischiaravano, nascondendosi nelle poche zone d'ombra, pronte a inghiottire il primo dei malcapitati.
Djævel si fermò a fare una breve colazione per strada, prima di raggiungere l'Akademie.
Ficcò le mani nelle tasche dei pantaloni. Non dormiva da tempo e la stanchezza iniziava a logorarlo lentamente. Il futuro lo terrorizzava e non poterlo controllare ancora di più. Non sapere come la sua giornata sarebbe potuta peggiorare ad ogni ora lo faceva letteralmente impazzire; così, anziché cercare una soluzione, si lasciava andare in balìa delle onde.
Osservò il palazzo dell'Akademie da lontano e un groppo gli si formò in gola. La notte del giuramento non lo abbandonava da giorni. Quei ricordi continuavano a pesargli addosso. Aveva venduto la propria anima a quello stesso Governo che aveva ucciso la sua famiglia e che lui continuava a seguire con sacra devozione.
Salì i gradini dell'accademia. Il rumore degli stivali risuonavano sul marmo dei gradini. Non appena mise piede all'interno, Ægon gli corse incontro col fiatone. Poggiò le mani sulle ginocchia, prendendo grossi respiri. «Ti stavano cercando.»
Djævel aggrottò la fronte. Il cuore cominciò a palpitargli con violenza nel petto. «Che succede?»
«Hanno catturato uno dei ribelli che hanno visto girare di notte insieme a Thanatos.»
«Cosa?!» Djævel lo seguì a passi spediti. «Ti hanno detto dove lo tengono?»
Ægon deglutì. Da tempo non gli era sfuggito il suo terrore per gli spazi angusti. Si incupiva di colpo e il suo respiro si faceva sempre più corto dal nervosismo. Lui si guardò intorno, accertandosi non ci fosse nessuno nei paraggi. «Hanno pensato che le segrete fossero scontate, nel caso venissero a cercarlo.»
Djævel si ritrovò stranamente a concordare. Per una volta non avevano delle idee di merda. Avrebbe dovuto congratularsi coi suoi uomini.
«Lo hanno portato in uno dei laboratori. Insieme a uno dei ragazzi che ieri era di turno. L'unico sopravvissuto.»
«Andiamo, allora. Sembrano quasi i premi di una lotteria.» Djævel gli andò dietro, lasciandolo passare in avanti. «Chi altro lo sa?»
Ægon si voltò a guardarlo di scatto, rischiando di inciampare per la frenesia di muoversi. «Solo il preside. Lo ha detto a me, perché dice che, a quanto pare, ti fidi di me. Sai, per la storia dell'incarico...»
Djævel annuì. Una morsa gli attanagliò lo stomaco. Se solo avesse saputo che razza di mostro era, forse, Ægon avrebbe smesso di guardarlo con tanta devozione. «Bene, andiamo allora.»
Ægon camminò in avanti a passo spedito. Insieme superarono diverse orde di studenti. Djævel si grattò dietro la nuca, in tensione. Chissà quanto avrebbe detto il prigioniero. «Sappiamo il suo nome, almeno?»
Ægon annuì con un cenno del capo. Si spostò lateralmente, per farlo passare per primo nei cunicoli dei sotterranei. Da lì avrebbero proseguito fino ai laboratori senza dare nell'occhio e attirare l'attenzione di qualche studente curioso. «Ares. Ma non ha detto nient'altro. Il preside credo abbia avvisato qualcuno del governo...»
Djævel si tastò il mento, accarezzando la barba rada. «Bene, in realtà ottimo.» Era proprio quello che gli serviva. Un primo ribelle catturato gli avrebbe dato la fiducia del governo. Questo a Schultz non era mai successo.
Accese la torcia, tastando uno dei pulsanti laterali del proprio quadrante, e illuminò la strada. Si voltò a guardare Ægon. «Ti senti bene?»
Il ragazzo non gli rispose, ma si limitò a camminare al suo fianco, guardandosi intorno di tanto in tanto. «Sto bene.»
Djævel increspò le sopracciglia, ma si limitò a non affondare il dito nella piaga. Spinse in avanti con un calcio il portone che conduceva ai laboratori e si guardò attorno. Le luci bianche al neon lo accecarono e un'ondata di freddo lo investì.
«Bene, eccoci. Dov'è il prigioniero?» Posò le mani sui fianchi, ciondolando ansioso sui talloni.
Il preside andò loro incontro, quasi trotterellando su quelle gambette basse. I piedi ticchettavano sul pavimento. Fece loro cenno di seguirli tra i vari corridoi del laboratorio. Passarono davanti a diversi studenti in camice, che tenevano tra le mani alcune beute di vetro. Li studiavano, coi volti nascosti in parte dalle mascherine. Djævel vide alcuni di loro tendersi vicino ad altri, confabulare a bassa voce, tenendo lo sguardo fisso su di lui.
All'inizio non riusciva ad abituarsi alle chiacchiere degli studenti. D'altronde era il nuovo Generale e c'era parecchia curiosità su quali sarebbero state le sue mosse future.
In una piccola cella, in un angolo, stava un uomo dalle proporzioni di un armadio. Se ne stava con la schiena posata contro il muro, fissando la parete di fronte a sé. Non appena li sentì arrivare, alzò lo sguardo su di loro, mettendo su un sorrisetto antipatico.
Djævel fissò prima Ares, poi il preside. Si chiese se quest'ultimo apparisse più piccolo rispetto al confronto con quel gigante o fosse sul serio così basso. Non ebbe tempo di formulare altri pensieri, che batté un bastone contro le sbarre. Si accostò, ricambiando con un ghigno. «Siamo pronti a farci una bella chiacchierata?»
«Davanti a un buon rhum divento un uomo molto più ragionevole...» Ares inclinò leggermente il capo. «Sembri un uomo abbastanza normale per essere un generale.»
«E tu abbastanza idiota per essere un ribelle.» Djævel schioccò le dita e alcune guardie scattarono in avanti. Dopo aver fatto legare Ares a una sedia, rinchiudendolo in una delle stanze degli interrogatori, Djævel si tirò su le maniche della divisa, lanciando occhiate ad Ares. L'uomo lo guardava intensamente. A giudicare dal suo sguardo, sembrava stesse percorrendo la cicatrice con attenzione.
Djævel aveva sempre detestato quel grazioso regalino di suo padre, ma in fondo lo aiutava a migliorare la costruzione del suo personaggio mostruoso. D'altronde, sua madre era morta a causa sua, durante il parto. E suo padre aveva deciso di omaggiarlo con un nome che non avrebbe mai mancato di ricordargli cosa fosse davvero: un demone.
Intravide da dietro il vetro il Messaggero. Voleva disperatamente delle informazioni da lei. Doveva parlare coi piani alti.
«Allora, immagino che tu non mi voglia parlare un po' dei tuoi amici.»
Ares lo osservò con un cipiglio sfrontato. «Sei davvero perspicace, Generale. Oltre che codardo-»
Djævel gli assestò un pugno allo stomaco. Ares si incurvò su se stesso, afflosciandosi come lo stelo di un fiore sotto la forza del vento gelido.
Il ribelle tossì e sputò ai suoi piedi. «Non male.»
Djævel fece schioccare il collo e gli girò intorno. «Dove nascondete Thanatos?»
«Ti pare che te lo dica? Immagino abbiate saputo che è praticamente immortale.»
Djævel digrignò i denti. Fece segno ad Ægon di entrare per farsi aggiornare. Il ragazzo ebbe un tremolio, quando si vide indicato, attraverso il vetro per gli spettatori. Spinse però la porta in avanti e lo raggiunse, osservando con la coda dell'occhio il ribelle. «Ho un paio di suggerimenti... se possiamo parlare in privato.»
Il Generale fece un cenno d'assenso e si allontanò con lui, poco distante dalla sala interrogatori. «Aggiornami velocemente.»
«Malcolm ieri è stato l'unico sopravvissuto durante la ronda. Lo hanno solo stordito... comunque, ha visto Thanatos sanguinare, ma-»
«Ma? Ægon, non ho tutto il fottuto giorno.» Detestava quel bastardo per essere riuscito a portargli via anche Eros. Aveva già vinto abbastanza. O forse lo invidiava.
«Ma è sangue d'oro... le leggende sai, parlano sempre di sangue divino.»
Djævel roteò gli occhi al cielo. Erano tutte cazzate per spaventarli. Malcolm era stato stordito. Avrebbe anche potuto dire che gli asini volavano.
Ægon tossicchiò. «Se posso permettermi un suggerimento, potremmo dirgli che abbiamo catturato la ragazza con cui Ares va sempre in giro. E che se non ci darà informazioni, potremmo farle del male... o inviarla alla Mostra. Magari lo convincerebbe a parlare.»
Djævel aggrottò la fronte. «Penso di aver capito a chi ti riferisci...» Fece un sorrisetto malizioso e Ægon arrossì violentemente. Si allontanò senza dire altro.
Il Generale prese un grosso respiro e lanciò un'ultima occhiata ad Ares. Il ribelle ricambiò il suo sguardo, facendo un sorrisetto amareggiato.
Quando tornò dentro, Djævel si liberò della giacca della divisa, lasciandola scivolare a terra. Alzò le maniche della casacca chiara e assestò un pugno violento in pieno volto all'uomo. Prese uno dei loro lunghi bastoni e lo fece scattare. Le scariche elettriche produssero per la stanza un ronzio fastidioso e inquietante.
«Se tu mi dai le informazioni che voglio, non ti farò tanto male.»
Ares strinse i pugni, lasciandosi scappare un urlo straziato, quando lo pungolò col bastone allo stomaco. Il suo corpo tremava di continuo, mentre provava a smuoversi sulla sedia.
«Dove nascondete Thanatos?»
L'ennesimo silenzio lo infastidì e lo colpì ancora.
Quelle urla di solito lo facevano sentire forte. In quel momento le detestava. La trasformazione in bestia ormai era quasi completa.
Odiava recitare quella parte. Non voleva essere un mostro, ma il mondo lo aveva cresciuto come tale. Forse non sarebbe mai riuscito a scappare dalla sua vera natura.
«Dove lo nascondi?» Gli tirò una ciocca di capelli, costringendolo ad alzare lo sguardo su di sé. Poi si avvicinò al suo orecchio, per sussurrare: «Ho la tua ragazzina. So dov'è. Se vuoi che la lasci libera e non la consegni a mia moglie, devi dirmi dove vi nascondete.»
Ares lo guardò con un guizzo di terrore nello sguardo. «A Notturn Desert. Stiamo portando tutti i ribelli e gli evasi lì...» Mormorò con un filo di voce.
Djævel fece un mezzo sorriso, assestandogli un pugno sul volto. Ares sputò un grumo di sangue ai propri piedi.
«Chi cazzo è Doom? Voglio la sua identità.»
Ares si guardò intorno. Fissò il Messaggero attraverso il vetro e tirò su col naso, ancora tremante. «Non conosciamo il suo nome. Si limita a darci ordini. Ha i capelli biondo platino e gli occhi chiari. È tutto quello che so di lui...»
Anche Djævel osservò il Messaggero da quella piccola finestra che li separava e sospirò piano. Si avvicinò ad Ares, per togliergli le catene che lo tenevano fermo alla sedia.
«Ti porteremo con noi durante la missione. Ci porterai da loro, nel luogo esatto... altrimenti ucciderò te e la tua ragazzina.» Fece alzare Ares, le mani legate in avanti. Il suo corpo, indebolito dalle scariche, si accasciò contro il suo. Si avvicinò all'orecchio di Djævel, che rabbrividì appena. «Era uno di loro.» Sussurrò, in maniera tale che nessun altro potesse sentirlo. «Era al Governo... per questo lo vogliono morto.»
Djævel lo fissò stordito, mentre le guardie lo portavano via. Ares fece un sorrisetto stanco. «Che c'è, Generale? Confuso?»
Djævel avrebbe voluto urlargli così tante cose. Ma se ne restò in silenzio, ciondolando sui talloni, ripensando a tutto quello che era successo.
Al mostro che lo stava divorando.
***
Voleva solo tornare a casa, fingere che nulla fosse successo e dormire per chissà quante ore. Era incastrato in un loop di dolore e rimorsi.
Avrebbe voluto poter andare solo da Eros per un po', estraniarsi dal mondo con lui, semplicemente ascoltandolo o guardarlo mentre disegnava.
Non si rese neanche conto che i suoi passi lo portarono direttamente davanti a quello che un tempo era il suo appartamento. Sbirciò tra le finestre polverose ed erose dal tempo.
Spinse in avanti la porta e si ritrovò a osservare quel salotto vuoto. C'era il suo profumo. Si sentì un idiota, restandosene lì fermo impalato per qualche istante di troppo.
Si passò entrambe le mani sul volto. «Lo so che stai meglio lontano da lì, ma quanto ti vorrei con me, ora.» Bofonchiò, prima di lasciare quel piccolo tugurio.
Si incamminò fino a casa. Una volta entrato nel salotto, però, aleggiava uno strano silenzio. Djævel si guardò intorno, confuso. «Lilian? Sei in casa?»
«Sì, caro. Ti aspetto in camera.» La voce gli arrivò ovattata dal piano superiore.
Salì a grandi falcate le scale, fino a spalancare la porta della camera. Si raggelò sul posto: Lilian era lì, seduta su una poltrona con le gambe accavallate. Il suo sguardo freddo, con quel sorrisetto manipolatore, non lasciava presagire nulla di buono.
Poi incrociò lo sguardo spaventato di Lysa, seduta sul letto, presa a fissare il vuoto. Si torturava le mani a disagio, dondolandosi su se stessa.
«Che diavolo sta succedendo?» Djævel si rivolse a sua moglie, stringendo così forte i pugni da far impallidire le nocche, soffocando sotto strati di rabbia il nervosismo crescente.
«Credo sia arrivato il momento che tu segua i tuoi obblighi coniugali.» Lilian lo guardò truce. «Basta giochetti. Ti ho fatto conoscere Lysa, passeggiare con lei. Abbiamo bisogno di questo bambino.»
Djævel sentì le mani fremere nervose. Lanciò un'occhiata alla ragazza e le fece un cenno incoraggiante col capo. Poi prese un grosso respiro. «Va bene. Allora puoi lasciarci soli.»
Lilian fece una risata divertita. Così fastidiosa che la voglia di soffocarla era sempre più forte. «Cosa?»
Lysa tremò nervosa. Lo guardava implorante. Voleva che facesse qualcosa? Ma cos'avrebbe dovuto fare? Se avessero scoperto della sua farsa, sarebbe stato un disastro. Tutto sarebbe crollato come un castello di carte in precario equilibrio. Era riuscito ad ottenere troppo, a raggiungere posizioni troppo importanti per permettersi di crollare. Non avrebbe permesso al suo impero di vendetta di sgretolarsi solo a causa di Lilian.
La odiava. La odiava così tanto che solo sostenere il suo sguardo lo disgustava. Ma non poteva ucciderla. Sarebbe stato un caso mediatico che non poteva permettersi. La sua schifosa mostra era troppo importante. E questo Lilian lo sapeva.
Ma al tempo stesso non voleva trasformarsi in suo padre. Già doveva convivere ogni giorno col proprio riflesso a ricordarglielo.
«Non puoi chiedermi questo! Che cazzo ti frulla nella testa?»
Lilian si tirò in piedi. Afferrò per il polso Lysa, spingendola addosso a lui. Djævel la prese prima che cadesse. Sentì il respiro corto della ragazza addosso e una scarica di terrore gli percorse la spina dorsale, fino a fargli drizzare i capelli.
«Adesso basta, Djævel. Basta coi tuoi giochetti. Hai rimandato troppo. Voglio quel bambino. Voglio quel dannato erede. E non me lo negherai.»
Djævel scosse il capo. «Tu sei pazza! Non la toccherò davanti a te. Ma che cazzo ti dice il cervello?»
Lysa posò la fronte contro il suo petto, nascondendo le lacrime. Sentì la casacca umida sulla pelle. Tremava. Come avrebbe mai potuto sfiorarla?
«Non hai capito. Se non mi ascolti, io ti denuncio al tuo Governo, quello che hai giurato di rispettare.»
«Tu sei malata-»
«Fallo! Credevi che non avessi scoperto il tuo inganno? Ti ho ascoltato, sai? Ti conosco. Eravamo amici, noi due. Ho modificato geneticamente quegli uccellacci a cui tieni tanto e ho ascoltato la vostra conversazione. Non mi prenderai in giro.» Lilian strinse i pugni lungo i fianchi. I suoi occhi sembravano posseduti. «Non vi lascerò soli. Potresti prendermi in giro ancora.» Inclinò il capo. «Forza.»
Djævel strinse la presa sul polso di Lysa, che singhiozzando, si alzò sulle punte, a posargli un bacio sul collo. Rabbrividì disgustato. La bile gli stava lacerando lo stomaco, risaliva su per la gola e la ricacciava indietro. «Ti prego...» gli mormorò all'orecchio, mentre Lilian continuava a farneticare.
«Forza! Che cazzo aspetti?»
«Uccidimi... ti prego. Non ne posso più.» Lysa singhiozzò a bassa voce.
Djævel sentì il cuore schizzare in gola.
«Non ho tutto il giorno! Andiamo, finisci questa storia del cazzo.» Lilian gli puntò un dito contro.
Lysa alzò lo sguardo su di lui. Fece un sorriso buono, mentre gli sbottonava la casacca, con le mani tremanti e gli occhi rossi. «Andrà bene, starò bene.»
Lilian gli urlava contro.
Si sentiva all'angolo.
«Muoviti!»
«È tutto okay...»
Djævel sfilò di scatto il proprio pugnale. Sotto le grida di sua moglie, affondò la lama nel petto della ragazza, che si afflosciò contro di lui.
Si inginocchiò, afferrando il corpo esanime, e la strinse al petto.
«Che cazzo hai fatto?» Lilian gli si avvicinò.
Djævel sentì le lacrime bagnargli le guance. Poteva ancora piangere?
Si voltò di scatto a guardare Lilian. «VA' VIA! O AMMAZZO ANCHE TE, TE LO GIURO. TI SFRACASSO IL CRANIO.» Afferrò il pugnale da terra e glielo puntò contro. «Mi hai convinto a mandare a morire uno dei miei amici. Adesso vattene via, prima che ammazzi te.» Non credeva alle prime parole, non gliene fregava nulla. Ma doveva mentire, ancora. Era l'unico modo che conosceva per sopravvivere, fin da bambino.
Lilian si paralizzò. Gli accarezzò i capelli. «Mi dispiace... non ho pensato a tutto lo stress che stai accumulando. Hai perso uno dei tuoi migliori amici e io ho pensato solo a me stessa.»
Djævel le spinse via la mano. «Vattene.»
«Sistemerò questa storia, okay? Non ti farò succedere nulla.»
«HO DETTO CHE DEVI ANDARTENE!»
Lilian tremò. Si allontanò, mormorando ancora qualcosa.
Djævel tornò a fissare gli occhi vuoti di Lysa. Era così felice di poter stare con l'uomo che amava, sebbene le fosse proibito. Le abbassò le palpebre, posando la fronte contro la sua. Iniziò a cullarla avanti e indietro. «Mi dispiace, mi dispiace.» Tirò su col naso.
Forse era vero che tutti coloro che lo circondavano morivano. Era successo alla sua famiglia, sterminata. Adesso era toccato a Lysa. E, in fondo, era giusto così. Almeno Eros era riuscito a salvarsi dal suo abisso di morte.
☀️☀️☀️
Angolino
Una settimana d'attesa per un capitolino forte💀
Mi dispiace per Lysa, ma niente dovevo traumatizzare ancora un po' Djævel.
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