Capitolo 16
Djævel
Doveva essere una giornata tranquilla. O almeno così sperava.
Il Sole batteva violento quel giorno. Il cielo era stranamente terso. Detestava, in fondo, quell'allegria di colori. Il suo mondo era stato vivace per poco tempo, aveva dovuto adattarsi presto a quel grigiore. Si era abituato per anni alla sua vita in bianco e in nero.
Poi nella sua vita era piombato, come un piccolo uragano, Eros, e lui aveva ripreso ad assaporare i colori, a guardarne le sfumature con più attenzione. Ma avrebbe rischiato di trascinarlo nel suo abisso scuro e, forse, aveva fatto bene a lasciarlo andare.
Sarebbe stato decisamente meglio senza di lui.
Eppure, adesso che l'aveva intravisto girare per le strade di Sol, c'era qualcosa che gli bruciava dentro. Lo stomaco gli andava a fuoco e il respiro gli si era mozzato in petto, incastrato tra i polmoni, improvvisamente affaticati.
Djævel si passò nervoso una mano tra i capelli, sistemandosi il colletto della divisa. Cos'avrebbe dovuto fare? Fingere che non esistesse, che non ci fosse? C'erano i suoi uomini lì intorno e non poteva rischiare.
D'altronde Eros era ufficialmente libero. Ma molti lo avevano visto lasciare l'Eden in compagnia del pazzo psicopatico. Ed era chiaro che fosse dalla sua parte. Forse, il fatto che fossero in pochi a parlarne era legato alla paura comune per Thanatos, per cui tutti preferivano il silenzio.
Eros se ne stava di spalle, vicino a una bancarella, accanto a un uomo alto e in perfetta forma. Si voltò a guardare dietro di sé, incrociando il suo sguardo.
Vide il corpo di Eros irrigidirsi di colpo, per poi dare una gomitata al suo accompagnatore.
Djævel era abituato a vedere la paura negli sguardi degli altri, di solito lo faceva sentire vivo. Essere temuto era la sua forma di sopravvivenza a Sol. Ma quello sguardo di Eros... quello gli faceva male.
Si tastò il petto, massaggiando il punto dolente all'altezza del cuore.
Non gli bastò molto per farsi capire. Fece un piccolo cenno col capo, in direzione di un vicolo in disparte, ed Eros annuì, titubante. Credeva davvero che gli avrebbe fatto del male?
Attese per qualche istante, col magone in gola, ma quando Eros gli fu abbastanza vicino, improvvisamente l'ansia lasciò spazio alla paura di poter essere visto davvero come un mostro. Non da lui. Non avrebbe sopportato quel peso; sarebbe stata la silenziosa conferma di una verità che non riusciva a dire ad alta voce. D'altronde, in fondo, l'aveva sempre saputo. Suo padre non si dimenticava mai di rammentarglielo.
«Vuoi- vuoi arrestarmi?» Eros ciondolò il capo. «L'ultima volta hai detto che non saresti stato indifferente ai tuoi doveri.»
Djævel studiò attentamente quegli occhi chiari, in cui avrebbe potuto specchiarsi per ore. «Se pensi che ne sarei capace, perché sei venuto qui? Per farti arrestare?»
Eros si mordicchiò il labbro, in tensione. «Perché spero che tu non sia poi così coerente... e perché mi andava di vederti.»
Avrebbe potuto dire tante cose. Come il fatto che era davvero felice di poterlo osservare di nuovo da vicino, poter sentire ancora il suo profumo o potersi beare per qualche istante del suo sguardo buono, che gli faceva credere ancora di avere un briciolo di umanità rimastagli. Poi come al solito pensò che tanto tutti sarebbero andati via, compreso Eros. E tanto valeva autodistruggersi per primo, in quel campo era un campione. «Già, immagino sia così.» replicò brusco. Eros lo studiò con la fronte aggrottata e un'espressione confusa. «Ti andava di vedermi o speravi fossi vivo, viste le passioni del tuo nuovo padrone?»
Eros sospirò piano. «Gli ho fatto promettere di non ucciderti-»
Djævel fece una risatina di scherno. «Oh, grazie. Dev'essere proprio rassicurante la parola di uno psicopatico.» Si allontanò appena, ma Eros lo afferrò per il braccio. Djævel sentì tutto il suo corpo formicolare all'improvviso, lo stomaco prese fuoco e lui deglutì per ricacciare indietro quelle sensazioni. Non poteva. Non poteva mettere Eros in pericolo. Non lo avrebbe mai sopportato dietro le sbarre o in un'uccisione pubblica. Stargli lontano era il modo migliore per tenere entrambi al sicuro.
«Perché ti comporti così? Cos'è che vuoi, allora?» Eros lo costrinse a guardarlo. Djævel si sentì sprofondare, come se la terra lo stesse inghiottendo.
Strinse i pugni e si liberò della sua presa. «Il potere. Governare questo schifo di città.» Si allontanò, lasciandolo solo. «E credo che tu e i tuoi amichetti facciate bene a starmi lontano. Anche perché il tuo nuovo accompagnatore sta scappando rincorso dalle guardie.»
Eros sgranò gli occhi. «COSA?» corse via, lasciandolo solo. Si fermò solo per un piccolissimo istante a guardare indietro, per fissarlo. Poi scosse il capo e si allontanò definitivamente, fino a diventare un puntino piccolissimo, indistinguibile nella folla per molti, ma Djævel sarebbe riuscito a notarlo anche nel buio pesto. La sua luce era quasi accecante.
«Cos'è che vuoi, allora?»
Noi. Voglio un noi.
Djævel sbuffò nervoso e abbassò lo sguardo sul proprio orologio. Ignorò una serie di notifiche provenienti dai suoi uomini, che chiedevano rinforzi per acciuffare un ribelle piuttosto veloce.
Fece un sorrisetto divertito e si diresse verso l'ingresso della Mostra. Il palazzo sorgeva in uno dei quartieri ricchi della città, poco distante dall'Akademie.
Mentre quest'ultima aveva l'aspetto di un enorme castello, la Mostra appariva come un grattacielo di vetro. Le finestre davano sempre sulla città, volte al futuro di essa, così come Lilian amava raccontare.
Djævel passò per i giardinetti, osservando alcuni cespugli rigogliosi, e raccolse una rosa bianca, sistemandosela nel taschino della divisa. Si avvicinò alla fontana, perdendosi a seguire gli zampilli, che schizzavano fuori dai raggi di un piccolo sole, tenuto tra le mani di un fanciullo di marmo.
Djævel detestava tutta quell'aria di fertilità in giro, così forzata da dargli il voltastomaco. Si sedette sul bordo della fontana, guardandosi intorno. Affondò le mani nelle tasche dei pantaloni.
«Sei in anticipo!» Lysa gli andò incontro. Era strano, erano almeno al loro quarto incontro e l'atteggiamento della ragazza nei suoi confronti era cambiato. All'inizio sembrava sempre terrorizzata da qualsiasi suo gesto, adesso gli sembrava addirittura felice di vederlo. Una parte di lui si chiedeva se non fossero ordini di sua moglie.
«Sì, ero libero. Andiamo?» Djævel si tirò in piedi. Sfilò dal taschino della divisa una rosa e gliela porse. Lysa fece un enorme sorriso, come se le avesse appena detto che era tutto finito, avevano trovato una cura all'infertilità e non c'era bisogno che fosse ancora una Procreatrice.
Lei se la rigirò tra le mani, attenta a non pungersi. Poi aggrottò la fronte. «Ah, non hanno spine.»
Djævel si strinse nelle spalle. «Sì, Lilian collabora anche coi laboratori per modificare geneticamente piante e animali, così sono più... performanti,» Bofonchiò.
Lysa si posizionò sotto il suo braccio, scuotendo il capo. «Grazie... come mai volevi vedermi?»
«Così Lilian pensa che stia procedendo tutto a gonfie vele.» Djævel la condusse di nuovo verso la città. Più persone li avrebbero visti, meglio sarebbe stato. Almeno sua moglie si sarebbe messa l'animo in pace, credendo che tutto andasse secondo i suoi piani. «Tu...ehm, ne hai parlato con chi avresti dovuto?»
Lysa si guardò alle proprie spalle, accertandosi che nessuno li stesse seguendo o fosse abbastanza vicino. «Ne ho parlato col mio ragazzo, sì. Lui pensa che sei il primo a propormi una cosa del genere...» Spostò un ciuffo dietro l'orecchio.
«Si chiede dov'è l'inganno? Non c'è. Ti ho rivelato il mio segreto.»
Lysa annuì. «Gliel'ho spiegato.» Si agitava nervosa, Djævel capiva il terrore di poter essere scoperti. «E va bene. Non gli ho detto del tuo segreto, immagino che meno persone lo sappiano, meglio è.»
«Grazie...»
«Per cui, va bene. Ci stiamo. Avremo un nostro figlio e sarai tu a crescerlo-»
«Glielo lascerò vedere. Potrebbe diventare casualmente un nostro domestico.» Djævel le sfiorò la guancia con il pollice, al centro della piazza. «Devi solo fidarti di me.» Quando alzò lo sguardo, individuò Eros e quell'altro omaccione ribelle in uno dei vicoli poco distanti. Restarono per qualche istante a fissarsi, prima che l'amico strattonasse Eros, per tirarlo via da lì.
Djævel sentì qualcosa stritolarsi dentro. E faceva male. Credeva di esserci abituato.
«Qualcosa non va?» Lysa lo osservò e Djævel scosse il capo.
«Tutto alla perfezione. Andiamo a mangiare qualcosa.»
***
Essere il prossimo Generale stava diventando faticoso. Probabilmente avrebbe ammazzato quell'idiota del sarto, che stava prendendo per la decima volta le sue misure, così da fornirle all'interessato per preparare la sua nuova divisa.
«Stia ancora un po' fermo...» l'anziano mormorò.
Djævel trattenne l'impulso di infilzarlo con quegli aghetti del cazzo che stava usando per prendere le pieghe.
Una donna fece il proprio ingresso improvvisamente nell'ufficio che prima o poi sarebbe stato di Djævel. Indossava una strana maschera d'oro di una colomba. Gli tese una pergamena arrotolata su se stessa.
Djævel la guardò incuriosito. «E tu? Saresti?»
«Mi conoscono come il Messaggero. Grazie a me puoi comunicare col Governo. Adesso che sarai il nuovo Generale, sarò la tua unica fonte di comunicazione.» Posò le mani sui fianchi. Gli occhi chiari erano appena intravedibili dall'enorme facciata. «Come sai, nessuno di noi si lascia vedere. È importante, soprattutto con tutti i ribelli che sono in giro.»
Djævel restò per qualche istante a osservarla, cercando in qualsiasi modo indizi che potessero aiutarlo a scoprire qualcosa della sua identità nascosta. «Capisco.» Fece per aprire la pergamena, ma quell'idiota del sarto si azzardò a fulminarlo con uno sguardo, ammonendolo. Non poteva muoversi.
Il Messaggero lo osservò e si appoggiò alla parete. «C'è scritto che la cerimonia di elezione a Generale si terrà tra due giorni. Sono indicati i futuri ospiti.»
Djævel aggrottò la fronte. «Ci saranno tutti i membri?» Forse c'era un po' troppa speranza nella voce.
La donna ridacchiò. «Ammiro la tua voglia di conoscerci tutti, ma no, ovviamente. Sarebbe pericoloso, visti gli ultimi avvenimenti. Ci sarò solo io, farò le loro veci e ti farò giurare amore eterno al Governo. Le solite formalità, insomma.»
Djævel la guardò confuso. «Quindi... è un giuramento e basta?»
«No, Comandante. Lei venderà la propria anima a noi. Diventerà un nostro umile e fedele servitore, così come lo è stato il Generale Jerome Schultz.»
Djævel sentì le gambe indebolirsi di colpo, ma restò in piedi. Annuì con un piccolo cenno del capo e si voltò a guardare fuori dalla finestra. Mai come in quel momento avrebbe voluto correre via, scappare lontano e raggiungere Eros all'Eden. Aveva bisogno di sdraiarsi accanto a lui, perdersi mentre lo osservava disegnare. Gli sarebbe bastato avere solo un po' del suo profumo vicino o la sua voce a confondergli i pensieri.
Dovette aggrapparsi in ogni modo a quei piccoli ricordi che custodiva come gioielli preziosi. Eros non sarebbe tornato. E forse neanche lui sarebbe mai riuscito a scappare da quel vortice che voleva trascinarlo comunque a fondo.
Prese un grosso respiro. «Ho una richiesta per i membri del consiglio.» Bofonchiò, rimodulando il proprio tono di voce in modo austero.
Il Messaggero si protese in avanti, incuriosita da quell'arroganza. «Mi dica tutto.»
«Voglio armi e munizioni. Mi era stata concessa l'istituzione di un'unità speciale che andrà a caccia e alla ricerca del covo dei ribelli, per prendere Thanatos alle spalle. Porterò avanti quel progetto.»
«Ambizioso, ma notificherò-»
«Non ho finito.» Djævel assottigliò lo sguardo. «Qualora riuscissi a catturare uno dei loro uomini più in alto e ad avere informazioni speciali, voglio un colloquio con un membro del Consiglio.»
Il Messaggero si irrigidì. «Cosa le dà la certezza di riuscirci?»
«Vi basterà fidarvi di me. Ho molte più carte da scoprire di quello che pensate.» Fece un piccolo ghigno, poi tirò i capelli all'anziano sarto e lo scansò. Si avvicinò a muso duro al Messaggero. «Allora? Hai una notizia da consegnare. Cosa fai ancora qui?»
Il Messaggero si allontanò, non dopo avergli riservato un'occhiataccia. Vide i suoi occhi verdi brillare e la osservò mentre se ne andava, tenendo su un sorrisetto sardonico a increspargli le labbra. Abbassò lo sguardo sul proprio quadrante, seguendo quel puntino rosso sullo schermo, mentre si muoveva lontano dalle mura dell'Akademie.
Li avrebbe trovati tutti.
***
«Com'è andata la tua giornata, allora?» Lilian si sedette sul divano, dopo che una delle domestiche ebbe sistemato la legna nel camino.
Djævel si avvicinò alla legna crepitante, godendosi il tepore sulle gambe. Socchiuse gli occhi, sorseggiando un bicchiere di whiskey. «È stata tranquilla. Immagino tu sappia buona parte di quello che ho fatto, no?» Osservò il liquido ambrato, facendolo ondeggiare contro le pareti del vetro. Lilian sbuffò, sistemandosi la gonna, ma non le diede tempo di replicare. «Ho incontrato un membro del Governo.»
La donna alzò di colpo lo sguardo su di lui, interessata. Gli occhi le luccicavano dalla curiosità. «Come? E perché? Quando?»
Djævel si lasciò cadere su una poltrona, incrociando le gambe. «Durante le misure per l'uniforme da Generale. Era il Messaggero, attraverso lei comunicherò con gli altri membri.»
Lilian sorrise. «Oh, finalmente. Ti rendi conto di quanti sacrifici abbiamo dovuto fare per arrivare a questo punto?»
Djævel contrasse la mascella.
Sacrifici.
Così definiva le sue scelte di merda. L'aveva sposata perché era la sua migliore amica, senza un soldo. Voleva darle una vita.
E poi, quando l'incidente aveva ucciso tutta la sua famiglia, quando gli Storm erano diventati una delle sacre famiglie devastate, lei non c'era stata. Aveva pensato solo a come non cadere in rovina, inventandosi la Mostra.
Djævel strinse i bordi della poltrona, così forte da far stridere la pelle sotto la sua presa. «Abbiamo?»
Lilian sembrò ignorare le sue accuse. «Certo! Abbiamo dovuto sacrificare tutta la nostra vita per il lavoro. Tu hai passato giornate intere dietro Schultz, pronto a scalzarlo qualora fosse stato necessario. Io non ho dormito per notti intere per cercare Procreatrici e Procreatori adatti. Ho ideato dei programmi così complicati per soddisfare chiunque.» Posò una mano sul suo braccio. «Finalmente ci siamo quasi. Stiamo per valicare la soglia dell'Olimpo.»
Djævel sentì la bile acida raschiargli la gola. Forse c'era solo una cosa che apprezzava di Lilian: con lei non doveva sforzarsi. Era consapevole di quanta mostruosità covasse dentro, non doveva preoccuparsi di non apparire tale. Non c'era cosa di cui non lo reputava capace. Perfino violentare una ragazzina solo per averne un bambino.
Quando si diventava dei mostri, alla fine, non ci si stupiva di tutte le aberrazioni di cui gli altri l'avrebbero visto capace.
«Bene. Andrò a riposare. Ho dato al Messaggero una notizia da spedire. Cercherò Thanatos ma in cambio voglio armi e parlare con uno di loro.»
Lilian sembrò risvegliarsi ancora di più. Balzò in piedi e posò le labbra sulle sue. «Ero certa che in fondo volessi come me arrivare in alto.»
Djævel avrebbe voluto urlare che non erano affatto uguali. Si limitò a prenderle le braccia e a scostarla.
Fece per andarsene a dormire, iniziando a salire le scale.
«Ho visto e saputo che tu e Lysa andate molto d'accordo.» Lilian lo seguì fino in camera, come una serpe in attesa del morso velenoso.
Djævel, una volta in camera, osservò il proprio riflesso allo specchio, ripercorrendo quella cicatrice che gli deformava parte del volto. «Già.»
«Ne sono felice. Per convincere il Governo a darti un incontro e aumentare le possibilità, è importante che sappiano che siamo in un'ottima posizione...» Lilian si accomodò sul letto. Afferrò una spazzola dal comodino e iniziò a pettinare i lunghi capelli rossi.
Djævel seguiva quei movimenti con la coda dell'occhio. Restò in silenzio, aspettando. Si sfilò la camicia, restando a torso nudo. Andò alla ricerca di qualcosa da indossare.
«Quindi ho organizzato un incontro tra qualche giorno qui a casa. Così potete finalmente darci il nostro bambino. Almeno avremo un modo per dimostrare quanto siamo potenti, adesso.»
Djævel serrò la mandibola, trattenendo il tremolio delle mani. «Bene. Notte.» si distese sul letto, intrecciando le braccia dietro la nuca.
Lilian si posizionò sul fianco e gli accarezzò una guancia. Detestava in ogni modo che lo sfiorasse. Non c'era amore, forse mai ce n'era stato. Né affetto. La detestava visceralmente. Socchiuse gli occhi, cercando di incanalare altrove la rabbia.
«Andrà tutto bene. L'hai conosciuta, ho fatto come ti ho chiesto. Adesso ho bisogno che tu porti a termine il tuo compito. E poi potremo essere felici. Un giorno governeremo Sol.»
Djævel si liberò della sua mano, afferrandole il polso. «Ho capito, Lilian. Ora lasciami dormire.» Le diede le spalle e prese a fissare la parete di fronte per un tempo indefinito.
☀️☀️☀️
Angolino
Spero che SAC vi stia intrattenendo. Ormai mi mancano pochi capitoli per concluderla (FINALMENTE!!)
Poi vedrò a quale progetto dare peso, ho diverse idee e sono confusa in generale 🥲
Alla prossima 👊🏼✨
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