Capitolo 12

Djævel

Qualche giorno prima dello scontro.

Si era abituato all'idea che non sarebbe mai stato l'eroe della storia. Ne era consapevole e, in fondo, gli andava bene. Perché solo un codardo insoddisfatto della propria vita non aveva il coraggio di cambiarla e assumerne le redini.

Semplicemente la lasciava fluire, aspettando il bivio che lo avrebbe portato finalmente a prendere una drastica decisione. Nel frattempo, agonizzava e sopravviveva in quell'Inferno che aveva deciso di accettare, travolto da rimpianti, domandandosi cosa sarebbe successo, se non avesse permesso alla sua famiglia di sottoporsi al siero.

Forse sarebbero stati ancora tutti vivi e lui non si sarebbe ritrovato a detestare anche il proprio riflesso.

Quel mattino, Djævel si risvegliò con una serie di rumori e chiacchiericci in casa. Con un mugugno si tirò a sedere nel letto e constatò che sua moglie doveva essere già sveglia, a giudicare dal posto vacante sul materasso.

Roteò gli occhi al cielo e si tirò in piedi. Fece una doccia veloce e si rivestì, indossando come al solito la divisa da Comandante. Mentre allacciava i bottoni della camicia, si ritrovò a chiedersi quanto era stato credibile con Ægon qualche giorno prima.

Non gli interessava particolarmente lo scontro tra Schultz e Thanatos. Ma, in verità, sperava che il Generale morisse il prima possibile, lasciando vuoto quel posto che bramava da anni e che adesso sembrava così vicino da poter assaporare l'odore del potere.

Ed era dannatamente inebriante.

Aggiustata la giacca, uscì dal bagno e si diresse lungo l'enorme scalinata della loro Villa. Anche se avrebbe dovuto definirla di Lilian, perché non aveva mai avuto il coraggio di ristrutturare la vecchia tenuta Storm. C'erano troppi fantasmi al suo interno e non era pronto a restare soggiogato ancora una volta dai ricordi.

Strinse il corrimano, quando sentì delle voci femminili provenire dal salone. Abbassò lo sguardo verso il salotto ai suoi piedi, osservandolo dall'alto delle scale.

Lilian era seduta su una poltrona. Indossava uno dei suoi abiti eleganti e teneva tra le mani una tazza fumante di tè. Di fronte a lei c'era una ragazza.

Djævel sentì il sangue raggelarglisi nelle vene. Aggrottò la fronte. Non impiegò poi così tanto tempo a riconoscere il volto di Lysa Cullen. D'altronde quello stesso volto era spiaccicato sulle mura e cartelli di tutta la città.

La migliore delle Procreatrici, se non sponsor ufficiale della Mostra e copertina della rinascita post Incidente, era nel suo salone a bere una fottuta tazza di tè, come se non si pretendesse da lui che la mettesse incinta da lì a poche ore.

Un conato gli risalì per la gola, e dovette reggersi al corrimano più per restare ancora in piedi che per la rabbia.

Lilian si accorse della sua presenza, alzando lo sguardo su di lui. Fece un sorrisetto compiaciuto e batté la mano sullo spazio libero del divano, al suo fianco. «Buongiorno, caro. Come mi avevi chiesto, ho organizzato un incontro.»

Djævel avrebbe voluto strozzarla. Ancora una volta, dovette ingoiare i suoi istinti più violenti. Scese le scale con difficoltà, quasi i muscoli non obbedivano ai suoi comandi. Si limitò a restare in piedi, nel salone, mantenendo una fredda distanza da entrambe le donne. «Già. E mi pare di aver chiesto un incontro privato. A me pare piuttosto pubblico.» Deviò con attenzione le occhiate che la giovane Procreatrice gli lanciava. Sembrava curiosa? Interessata? Speranzosa? Djævel non era proprio un campione nel riconoscere l'ampio spettro delle emozioni umane.

Lilian sembrò ignorare il suo tono scontroso, forse per forzare ancora una volta un rapporto cortese tra loro. C'era una parte di Djævel che era davvero in pena per aver perso per sempre la sua migliore amica, nella brama di potere e scalata sociale.

Forse era da visionari aggrapparsi a un legame sempre più screpolato, grattato come vecchio intonaco di una casa fatiscente. Ecco cos'erano: una struttura che cadeva a pezzi, e che faceva ancora appello alle poche fondamenta rimaste.

«Lo so, ma nell'attesa del tuo risveglio io e Lysa ci siamo fatte una gran bella chiacchierata.»

Lysa si tirò in piedi. Abbozzò una sorta di inchino e sorrise gentile. Djævel si chiese ancora una volta quanto ci fosse di recitato nei Procreatori e quanto, invece, credessero a quei principi inculcati. Era la stessa domanda che si poneva ogni giorno all'Akademie, quando osservava i suoi studenti.

«È un piacere conoscerla, per me, Comandante.»

Djævel fece un breve cenno d'assenso. Poi guardò Lilian. «Bene, immagino tu possa lasciarci soli, adesso che sono sveglio.»

Sua moglie non si scompose, ignorando bellamente qualsiasi sua parola al veleno. Si tirò in piedi e, dopo un piccolo cenno di saluto, seguito da un'espressione raggiante, si congedò, lasciandoli apparentemente soli.

Lysa si guardò attorno per qualche istante, forse in imbarazzo. C'era una tensione così fitta che una lama del coltello avrebbe trovato difficoltà a tagliarla. Djævel le si avvicinò e si rese conto di quanto fosse tutta una recita, quando la ragazza indietreggiò come per istinto.

Si lasciò sfuggire un sorriso carico di trionfo. «Hai microfoni o micro spie addosso?»

Lysa lo osservò con quegli occhi chiari, così simili anche a quelli di Eros, che per un istante Djævel ebbe il timore di starsi trasformando nelle stesse paure che leggeva in lui, quando andava a trovarlo all'Eden.

Lei indicò un punto sulla scollatura del vestito, dove una piccola telecamera era stata montata.

Djævel serrò la mandibola. «Posso?»

Lysa annuì, trattenendo il fiato. Così, lui la afferrò con un gesto felino, evitando il più possibile di sfiorarla, e la gettò a terra. La calpestò sotto la suola dei propri anfibi, sorridendo soddisfatto quando un crack riempì il silenzio.

«Ora possiamo andare. Seguimi.» Djævel le fece cenno di andargli dietro. Affondò le mani nelle tasche dei pantaloni, dirigendosi verso i giardini.

Adorava la natura.

Più o meno. Era quello che aveva detto a Lilian quando aveva fatto progettare un giardino infinitamente esteso e una fontana rumorosa al centro. Al suo fianco c'era una serra, dove in enormi gabbie volavano, da una sbarra di ferro all'altra, numerosi corvi fastidiosamente chiacchieroni.

Almeno, lì, le loro voci non sarebbero state spiate. Si voltò a guardare Lysa, che lo studiava con uno strano cipiglio curioso. Non parlava, però. Aspettava che fosse lui a farlo.

«Allora, quanti anni hai?»

Lei si lisciò il vestito con delicatezza e fece un piccolo sorriso. «Venticinque, lei?» Provò ad accarezzargli le medagliette sulla divisa, ma Djævel arretrò immediatamente, quasi scottato.

«Non è importante.» Djævel le prese il polso, avvicinandosi a una gabbia di corvi, che presero a gracchiare, coprendo quasi del tutto la sua voce. Solo Lysa avrebbe potuto sentirlo, così vicina a lui. «Questa vita ti piace sul serio?»

Lei lo guardò confusa. Gli occhi le si annebbiarono d'improvviso. Scossa da un tremolio, provò a liberarsi dalla sua presa. «I-io.» Scosse poi il capo, ritrovando una falsa calma. «Sì. Io servo il mio governo, restituendogli la possibilità di un futuro.»

Djævel roteò gli occhi. «Risparmiami queste stronzate, Lysa. So bene quando mentite, posso percepirlo.» Le teneva il polso, ascoltando i battiti accelerati a ogni bugia. «Non c'è nessuno lì fuori ad aspettarti, da qualche parte? Qualcuno che non puoi amare, magari.»

«No.» Lysa abbassò subito lo sguardo. Quando lo rialzò per osservarlo, si morse l'interno guancia e una lacrima le rigò la guancia, macchiandole il trucco perfetto. «Sì, ma... Dio mio, cosa sto dicendo? Io non posso-»

Djævel le accarezzò il polso, cercando di calmarla e strusciando il pollice sulla sua pelle diafana. «Va bene, va benissimo comunque, io ho bisogno di alleati, Lysa. Non voglio usarti, né tantomeno avere figli da te.»

La ragazza aggrottò la fronte. Sembrava ancora più stordita, come se l'avesse colpita con un montante allo stomaco. «C-cosa?»

«Posso fidarmi di te?»

«Se non potessi, cosa mi faresti?» Lysa sembrò leggergli dentro, come se nei suoi occhi neri avesse riconosciuto tutta la rabbia covata, la violenza repressa, pronta a uscire da un momento all'altro, a esplodere come un vulcano inattivo da troppo tempo.

«Non vuoi saperlo davvero, credimi.» Djævel si guardò intorno. «Goditi la tua vita. Sta con chi ami. E il figlio che avrete lo crescerò come mio. Vi darò modo di stargli vicino e conoscerlo. Ma questa storia deve restare tra noi. Ti è chiaro?»

Lysa aggrottò la fronte. «Perché? Come posso fidarmi di te?»

Djævel si accostò al suo orecchio, nello stesso istante in cui un corvo gracchiò violentemente, per sussurrarle: «Perché sono sterile, Lysa. E se hai intenzione di minacciarmi, io ucciderò te e Lukas.»

Lei rabbrividì, inclinando il capo. «Come hai-?»

«Io so tutto. Abbiamo un patto, allora?» Le tese la mano.

Lei sorrise e la strinse, non lo guardava come un mostro. C'era una strana compassione nei suoi occhi chiari. «Grazie.»

«Per? Vi ho appena minacciati-»

«Ma mi hai permesso di vivere, per una volta.»

Djævel annuì, seguendola fuori dai giardino, troppo stordito per replicare.

***

Djævel odiava doversi nascondere come un ratto, comportandosi da vigliacco, ma doveva farlo. Come aveva previsto, Schultz era morto e adesso doveva occuparsi del suo funerale, oltre che iniziare a prepararsi per ricoprire la sua carica, sostituendolo.

Aveva bisogno di respirare, cambiare aria e stare lontano dalle preoccupazioni. L'unico porto sicuro, adesso, era Eros. E aveva bisogno di lui, parlare con lui o stare semplicemente in silenzio ad ascoltarlo rapito.

Spinse in avanti la porta del locale. L'atmosfera era come al solito illuminata da neon rossi, fastidiosamente accecanti.

Djævel si guardò intorno, ficcandosi le mani nelle tasche dei pantaloni. Si incamminò verso il solito salottino, dopo aver posato un'ingente quantità di soldi sul bancone, nascosta in una lettera destinata a Poul.

Non fece in tempo a voltarsi, che l'uomo gli andò incontro. Djævel lo osservò quasi con sdegno. Avrebbe voluto strappargli quei baffi odiosi dal volto e farglieli mangiare, ma cercò comunque di nascondere il suo odio recondito dietro una facciata di indifferenza. Era bravo a mentire, lo faceva ogni giorno, ogni istante, con tutti, nessuno escluso, purtroppo. Eppure, dover provare a fingere di non detestare visceralmente quell'idiota gli risultava particolarmente difficile.

«Comandante, allora dove si nascondeva quando Thanatos chiamava a gran voce il suo nome?» Poul alzò lo sguardo e soffiò il fumo del sigaro lontano dal suo volto.

Djævel storse il naso. «Ero lì. Ma non potevo intromettermi. Avevo già perso un amico.»

Poul ridacchiò. «Ah, l'amicizia, già...» Si incamminò verso il bancone. Prese la busta e ci guardò dentro, sfoggiando un ghigno cattivo. «Adesso immagino di doverla chiamare Generale.»

Djævel fece un sorrisetto. «Non sono stato ancora confermato, ma sì, fossi in lei starei attento al tono che usa con me.» Si voltò a guardare quel bastardo negli occhi, con un luccichio folle. «Perché non sarò poi così indulgente con lei come lo è stato il mio amico, soprattutto se ha intenzione di darmi fastidio ancora in qualche occasione pubblica, davanti a mia moglie.» Si raddrizzò. «Immagino di essere stato abbastanza chiaro.»

Poul deglutì appena. «Vorrei solo che ci concedesse protezione da quel demone psicopatico.»

Djævel si strinse nelle spalle, arretrando man mano, per allontanarsi da quel verme. «Thanatos è un mio problema, ora. Spero di non dover aggiungere anche lei alla lista.» gli diede così le spalle. Si diresse verso il salottino e si guardò intorno un'ultima volta.

Bussò alla porta e poi, senza attendere risposta, entrò nel camerino richiudendosela alle spalle.

Non ebbe tempo di formulare neanche una parola, perché Eros gli si lanciò contro, travolgendolo in un abbraccio, facendolo indietreggiare e scontrare contro la porta.

Djævel era confuso. Erano anni che nessuno lo abbracciava, probabilmente. Aveva dimenticato il sapore di quel genere di affetto. Gli accarezzò la schiena, scostandosi poco dopo, solo per perdersi a osservare gli occhi chiari di Eros. «Capisco che sei felice di vedermi, ma questo a cos'è dovuto?» Domandò curioso.

Eros sorrise raggiante. Aveva gli occhi appena lucidi. «Sono stato allo scontro, oggi. E ho avuto così tanta paura che scendessi lì nell'Arena.»

Djævel si liberò della giacca e andò a sedersi su una delle poltrone. «E perché? Non ti starai affezionando troppo a me, spero.»

Eros ridacchiò e si accomodò sul letto, di fronte a lui. Abbassò per istinto lo sguardo sulle proprie mani. «Mi dispiace, se hai perso un am-»

«Schultz non era mio amico. Non mi importa nulla della sua morte. Come non mi importerebbe della morte di almeno metà della popolazione di Sol.» Djævel si massaggiò il collo, poi tornò a osservare Eros. «Ho conosciuto Lysa, qualche giorno fa.»

Eros si irrigidì per un istante. Vide il suo volto rabbuiarsi e una morsa dolorosa gli fece contrarre lo stomaco. «Oh. Per un erede. Immagino sia importante ora che sarai il nuovo Generale.» Si sforzò di sorridere. «E com'è andata?»

«Puoi tranquillizzarti, Eros. Non ho intenzione di diventare padre. Sarei un disastro.» Djævel si mosse nervoso sulla propria seduta. Se fosse diventato come il suo, poi, non se lo sarebbe mai perdonato. E ogni tanto continuava a ripetersi che, in fondo, la mela non cadeva così tanto lontano dall'albero. Come mosso dall'istinto, si sfiorò la cicatrice sul volto. «Le ho detto che non ho alcuna intenzione di stare con lei. Non voglio una Procreatrice, non sono come quei bastardi che vengono qui e vi fanno del male-»

Eros gli si avvicinò, prendendogli le mani. Gli accarezzò le nocche e il suo tocco gli parve di colpo rigenerante. «Lo so. Ma quello è il loro lav-»

Djævel contrasse la mascella. «Allora? Teoricamente anche questo sarebbe il tuo, ma non significa che non faccia cagare.»

Eros lo guardò confuso. «Djævel, lo so. Ma tu sei il nuovo Generale, non puoi pensarla così-»

«Posso, ma non posso dirlo ad alta voce. E di te mi fido.» Vide Eros deglutire. «Che ti prende?»

Lui scosse il capo, defilandosi dal contatto, ma Djævel gli prese il polso, senza mai stringere. Non voleva risvegliargli ricordi già di per sé abbastanza dolorosi.

Eros inspirò e socchiuse gli occhi. «C'è una cosa che dovrei dirti, ma non so come tu possa prenderla. E ho paura.»

Djævel abbassò la guardia. «Hai paura di me?» Si avvicinò di nuovo a lui, scontrando il ginocchio col suo. «Io so di essere un mostro, Eros. Lo dice anche il mio nome. Ma non ti farei mai del male. Te l'ho promesso. E ti assicuro di essere un gran bastardo, ma di parola.»

Eros fece un sorriso buono, uno di quelli che gli davano il coraggio di alzarsi la mattina soltanto pensandoci. «È solo che... io non lavorerò più qui.»

Djævel inarcò un sopracciglio. «Ti hanno comprato il contratto? E chi cazzo è stato? Non lascerò che tu-»

Eros portò le mani avanti. Ne posò una sul suo petto, provando a calmarlo. «Thanatos mi ha offerto un posto tra i suoi, se fosse sopravvissuto allo scontro. Mi ha offerto la libertà e non posso. Io non ce la faccio più a restare qui dentro.»

Djævel si abbandonò contro lo schienale della poltrona, tenendo gli occhi sgranati. Tra loro cadde un silenzio così lungo che gli parve infinito.

Non sapeva neanche come sentirsi.

Socchiuse gli occhi. Doveva farlo. Doveva avere coraggio. «Quindi mi stai dicendo che diventerai esattamente come loro?»

Eros deglutì. «Io non posso restare qui-»

«Fammi capire una cosa, Eros. Quando Thanatos ha chiamato il mio nome, tu cos'hai fatto? Mi hai abbracciato perché eri preoccupato per me o per la tua libertà? Se uccidessi quel bastardo psicopatico, tu torneresti a stare in questo posto di merda.» Si tirò in piedi nervoso.

«E cosa avrei dovuto fare, eh?» Eros strinse i pugni. Aveva gli occhi lucidi e lo guardava perso. «Ero davvero preoccupato per te. Forse non mi conosci abbastanza da sapere che preferirei vedere te al sicuro, piuttosto che me libero.» gli prese la mano, forse cercando nei suoi occhi neri ancora un briciolo di pietà.

Ma Djævel sapeva di essere un mostro, in fondo. E prima ancora che le persone lo scoprissero, abbandonandolo, doveva muoversi d'anticipo. «Credevo di conoscerti. Ma hai deciso di fidarti di uno psicopatico e unirti a dei criminali, piuttosto che affidarti a me.» Si liberò della sua presa. «Io ti avrei protett-»

Eros scoppiò a ridere, amareggiato. Nel frattempo, le lacrime gli solcavano le guance. «Tu? Dov'eri quando Schultz è venuto qui a piegarmi in due per dimostrarti che tutto ciò che ti apparteneva, in realtà era suo?»

Djævel si irrigidì. «Lui cosa?»

Eros sbuffò e aprì la porta. «Forse è vero. Siamo due mondi troppo diversi.»

Djævel rimase fermo per qualche istante sull'uscio, guardando il corridoio ormai deserto. «Fai buona vita, Eros. Anche se dubito che tra quei criminali la tua vita andrà diversamente.» Si allontanò, tenendo i pugni chiusi e affondando le unghie nei palmi delle mani.

Aveva fatto la cosa giusta. Continuava a ripeterselo. Eros sarebbe stato meglio senza di lui.




☀️☀️☀️
Angolino
Ho scoperto che preferivate il doppio aggiornamento settimanale e, dato che sono ancora in ferie, ho pensato di accontentarvi.
Il prossimo capitolo è del pazzerello omicida👊🏼
Abbiamo un po' scoperto da cosa nasce la cicatrice di Djævel. Il suo è un altro passato traumatico, ma ci arriveremo🤓
Alla prossima 👊🏼

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