𝘽𝙪𝙤𝙣 𝙖𝙣𝙣𝙤

❀*̥˚ 𝘚𝘩𝘪𝘯𝘴𝘰𝘶 ˚*̥❀

Warning:

- Uso di droghe

I fuochi d'artificio scoppiano ed illuminano il cielo fuori dalla finestra dell'angusto bagno della casa di un amico, dell'amico, di un tizio che lui non conosce.
Tra le pareti, rivestite di mattonelle azzurre, si sentono grida ed urla; gli auguri e gli striduli gracchi delle trombette di plastica riempiono l'aria annunciando l'arrivo del nuovo anno.
Nel bagno, invece, c'è silenzio, fatta eccezione per il rumore continuo di un rubinetto aperto e di una vasca che si riempie.
Si riempie e poi straborderà, bagnando il pavimento.
Shinsou quasi non lo nota, o forse sì e nel profondo di sé spera di riuscire ad allagare quella stanza, riempiendola d'acqua grigiastra e di bolle d'argento, come fosse stato un grande acquario sporco d'alghe e di melma, finendo per annegare tra gli asciugamani umidi, trascinato verso il fondo dalla sua felpa zuppa.
Destinato a restare sdraiato sulle mattonelle ruvide, tra gli spazzolini e le spazzole.
È rannicchiato, ritorto su sé stesso, dondolando un poco per seguire il ritmo di una canzone che conosce solo lui, perché fuori tutti gridano, tutti strillano, e Shinsou non sa come consolarsi se non stando con le spalle contro le pareti di plastica dura della vasca, le braccia strette intorno alle sue gambe vestite da dei pantaloni scuri, per metà asciutti e per metà fradici.
Ha il volto poggiato sulle ginocchia spigolose e lo sguardo che distrattamente scivola sul tubo, argentato ed annodato, del telefono della doccia, che appare tremolante e sfocato sotto l'acqua cristallina.
Dal rubinetto esce un getto tanto intenso da sembrare bianco, destinato a morire, nonostante la sua vivace ferocia, in bolle chiare e gorgoglianti che una volta scoppiate si sarebbero aggiunte a quei litri sprecati solo per calmare il petto pesante, la testa vuota, del ragazzo.
Le spalle gli tremano, alzandosi ed abbassandosi velocemente mentre cerca di far arrivare abbastanza aria al cervello, respira a bocca aperta perché ha l'impressione che il suo naso non basti, che a forza di riempirsi i polmoni avrebbe finito per rompersi qualche capillare, sporcandosi le narici e le labbra di sangue come quando era bambino.
Non voleva che quella nottata finisse così, non voleva cominciare il nuovo anno con i vestiti zuppi ed il cervello in panne, non gli era stato promesso questo e lui non voleva che questo accadesse.
Ma con Shinsou nulla andava in nessun modo se non in quello sbagliato, e come sempre era per colpa sua.
Non c'entravano i suoi amici, quello che gli aveva offerto un bicchiere piuttosto che quello che gli aveva offerto un bel quadratino di carta decorato, c'entrava solo lui, che non aveva detto di no all’acido e all'alcol, perché se avesse avuto anche un millesimo della spina dorsale di cui aveva bisogno allora adesso non starebbe male, e non sentirebbe tutti quei tentacoli viscidi scivolargli sulla pelle ancora asciutta, preludio dell’effetto di quello che si era preso.
È una festa di merda, lo era anche prima che arrivasse, ma lui l'ha resa tragica, per sé stesso, la sua tomba scintillante e rumorosa.
Si era detto che non doveva andarci a quell'ultimo dell'anno, che con i festeggiamenti lui non c'entrava nulla, però quel trentun Dicembre aveva deciso di farsi trascinare, aveva deciso di credere nella magia dei "buoni propositi".
Aveva sinceramente sperato che se avesse detto tre frasette sotto i fuochi d'artificio allora la sua vita si sarebbe aggiustata, ma lui sotto i fuochi d'artificio, quella sera, non c’è mai arrivato, e in una vasca da bagno i sogni non si realizzano.
Shinsou si porta le mani sul viso, andando a coprirsi gli occhi con i palmi mentre sente le punte delle dita incastrarsi tra i riccioli crespi dei suoi capelli rovinati, mangiati dall’ammoniaca e dalle tinte, stringe i denti dietro le labbra serrate e respira con violenza dal naso coprendo, per un secondo, il rumore dei festeggiamenti con il suo respiro.
Respira un’altra volta, più a fondo, nonostante dal naso gli venga scomodo perché non si è mai fatto rioperare le adenoidi, fino quando non vede il suo petto sollevarsi, superando la superficie gorgogliante dell’acqua, fin quando i polmoni non sono pieni e l’ossigeno nella stanza non dà l’impressione d’essersi consumato, facendogli venire voglia di sbadigliare.
Poi è facile lasciarsi scivolare, piegare le gambe troppo lunghe fin quando le ginocchia non escono dell’acqua, come le vette scure di due montagne in mezzo alle nuvole, permettendosi così di far scorrere la schiena sulla parete ricurva della vasca, centimetro dopo centimetro, ritrovandosi con l’acqua alla gola e poi sopra la testa, sdraiato sul fondo antiscivolo con le mani che gli abbandonano il volto.
Apre piano gli occhi sotto la pressione dell’acqua, osservando la versione rimescolata e tremante del soffitto, concentrandosi su come la luce dell’applique si rompa in tanti pezzi tra le onde sfocate che aveva creato muovendosi goffamente, nei suoi vestiti bagnati, illudendosi di poter contare tutti i riflessi, illudendosi di poterli risistemare se solo avesse trovato la forza di sollevare una delle sue mani, ora abbandonate sul proprio grembo, ma gli occhi gli bruciano troppo per pensare ad altro.
Ed ora che il mondo fuori sembra silenzioso Shinsou quasi ci crede ai buoni propositi, sotto alla lampadina che rassomiglia alle scintille dei fuochi d’artificio trova la voglia di dirsi da solo le sue sciocche speranze.

“Voglio non dover più essere me.”

E per quanto ci avesse pensato non aveva trovato parole migliori per esprimere quel suo desiderio.
Esattamente vuole svegliarsi una domenica mattina e trovarsi da un'altra parte, essere chiunque altro ma non lui.
Una vita con responsabilità diverse, una vita che farà ugualmente schifo perché tanto, ovunque finisce, finisce per rovinare tutto ciò su cui mette gli occhi.
Vuole non dover fare i conti con quello che è e ogni mattina vorrebe essere una persona diversa, un giorno in una casa ed un giorno in una strada, qualsiasi cosa purché non resti sé stesso, purché non sia obbligato a dover vivere tanto a lungo.
Un giorno e poi uno nuovo, girando fino a quando i suoi contorni non si perderanno in una danza che lo porterà alla nausea, brevi pause per vomitare, brevi pause per cercare il respiro ma con gli occhi chiusi, perché se si fosse visto non si sarebbe riconosciuto e allora avrebbe perso tempo a tentare di riformare il suo viso, ed ecco che avrebbe finito per vivere di nuovo.
Desidera solo un po’ di nulla e finora lo ha cercato sporcandosi il naso di polvere, tappezzandosi la lingua di carta, ma vuole trovare una soluzione permanente a quella sua smania di non essere perché ogni volta che si sente male, vomitando fino al sangue, gli si istilla nel cervello l'immagine di “cosa sarebbe potuto succedere”, i sensi di colpa gli risalgono in testa, insieme al dolore, facendogli dire “non lo farò mai più”.
Ma tanto lo rifaceva sempre.
Ogni volta, tra gli strascichi dei suoi deliri, quando l’effetto delle pasticche andava scemando, gli si presentava vivida la visione del suo corpo abbandonato su un lettino d'ospedale, coperto da lenzuola verde salvia con sua madre che aspettava il suo risveglio per chiedergli "perché?", per guardarlo come nessuna madre dovrebbe guardare il proprio figlio.
E qui arriva il suo secondo proposito, gli scivola dalla testa come il respiro comincia a sfuggirgli dalle labbra in tante bolle morbide, altre scintille tra i fuochi d’artificio.

Voglio che mia madre mi voglia bene, di nuovo.”

Perché l’unica cosa che separa il suo primo proposito dal desiderio d’uccidersi è quella fragile donna stanca che ha smesso di credere in lui prima di quanto abbia fatto Shinsou, e lo ha fatto perché ha visto lo stesso difetto di fabbricazione che suo figlio non è riuscito a notare se non dopo anni.
Per questo desidera di poter essere qualcun altro, perché come avrebbe retto, un cuore malato come il suo, nel dover spiegare a sua madre che lui non è come lei pensava che fosse? che non è più il suo bambino adorato perché quello lo aveva perso in quinta elementare?
Vuole che lei gli dica, un’ultima volta, che lo ama, vuole sentirsi di nuovo come quando era piccolo, il bambino speciale della sua mamma perfetta

"Mi vuoi ancora bene?"

"Non lo rendere difficile."

"Ti ho chiesto se mi vuoi bene, mamma voglio solo che tu mi dica "sì", non- non devi crederci-”

"Non lo so Shinsou, non lo so."

Ma è consapevole che questo non può accadere, perchè sua madre non potrebbe mai amare lo Shinsou che è adesso, perché in un ragazzo come lui non c’è niente d’amabile.
E sa che se lei si comporta così è per colpa sua, per la sua attitudine e per la sua inettitudine, ma sa anche che quando pensa a lei è spesso in lacrime perché, in quanto fallimento e figlio disgraziato, non riesce a non dare parte della colpa di chi è, anche, a sua madre.
Perché le parole della donna lo rendono ansioso, i suoi silenzi lo incrinano e sa che, nonostante i suoi propositi, non sarà mai in grado di tornare indietro a quando spendeva tutto il suo tempo a porre lei come centro del suo mondo.
Ma comunque non avrebbe smesso di chiederle se ancora gli voleva bene.
Se non ama quello che lui è adesso allora magari lo avrebbe amato se fosse tornato ad essere il bambino che lui stesso gli aveva portato via, così pensò al suo ultimo proposito, il più sciocco ed allo stesso tempo il più impossibile
Shinsou esce dall’acqua serrando gli occhi solo per poi poterli sbarrare, sentendoli bruciare come gli brucia il torace svuotato perché ha aspettato fino all’ultimo secondo per rimettersi a sedere composto e tirare su la testa, riprendendo un po’ d’aria, non volendosi perdere nemmeno una stella argentata che gli usciva dalla bocca, respiro dopo respiro, non volendo rassegnarsi all’idea che fuori dal suo acquario non ci sarebbero stati festeggiamenti per lui, e che il lampadario sul soffitto non sarebbe stato altro che un lampadario.
A fatica ricerca l’ossigeno, con la bocca spalancata e con respiri rapidi, troppo, andando a serrare le dita sui bordi della vasca con uno scatto repentino, come se avesse paura che lo sciabordare violento dell'acqua avrebbe fatto finire il suo corpo sul pavimento, ma per quanto stringa la plastica a cui si sta aggrappando sembrava melma sotto i suoi palmi e gli ci vuole qualche secondo per rendersi conto che l’acido sta iniziando a fare effetto.
Sente i capelli lunghi appiccicarglisi sulla fronte e sulle guance, dandogli l’impressione che presto gli sarebbero entrati in bocca, giù per la trachea tappandogli le vie respiratorie: è per questo motivo che ha il fiatone?
Shinsou comincia a tossire, prima piano poi con violenza, fino a piegarsi un poco su sé stesso, fino ad immergere un poco la punta del naso nell’acqua, che oramai sta per bagnare il pavimento, fino a quando non è stato costretto a coprirsi le labbra con una mano perché la sua tosse si stava trasformando in conati.
Cerca di calmarsi, affondando i denti nell’indice della mano sinistra, tentando di respirare piano, ma i capelli gli sono finiti in gola, li sente scendere giù, perciò non riesce a fermare le sue dita quando gli entrano in bocca, quando cominciano a grattare contro il palato.
La punta del medio gli graffia il retro della gola e quasi se lo morde quando toglie, rapidamente, la mano dalla bocca serrando i denti, digrignandoli dietro le labbra così strette da diventare bianche, nel tentativo di ricacciare indietro la bile che adesso sente sulla lingua.
Trema come le pareti fragili d’una lanterna di carta, per il freddo, per la nausea, perché improvvisamente si sente stanco, quindi, con fatica, decide di puntare lo sguardo davanti a sé, su un piccolo specchio rettangolare appeso al muro, senza alcuna cornice a decorarlo, nudo tra le piastrelle azzurre.

“Voglio tornare ad essere quello stesso ragazzino prodigio che mia madre riusciva ad amare.”

Perché un tempo Shinsou era il migliore adesso, invece, non è più nulla.
Non è più il bambino più bello di tutti, non è più il ragazzo più intelligente, ha avuto sempre e solo questo ed ora non gli resta niente perché alla sua età tutti sono bravi e tutti sono stati i bambini più belli dell'asilo, ma quando se ne rese conto era troppo tardi per fare qualcosa, perché tutti ora hanno un piano e la voglia mentre lui ha della droga che gli sta fottendo il cervello e i vestiti zuppi.
Si guarda in quello specchio misero, patetico come lui, e distorce la faccia aggrottando le sopracciglia, tirando giù gli angoli della bocca e strizzando gli occhi perché deve piangere, deve farlo altrimenti ogni suo pensiero sarà valso nulla, deve perché se davvero è triste allora perché non piange?
Si sforza ma non ci riesce.
"Tutti piangono ed io non so fare nemmeno questo?"
Il bambino più bravo ora non sa come stare male perché senza lacrime ogni suo dolore è nullo, una recita che si fa da solo per giustificarsi, una storia che si è inventato per autorizzati a distruggersi, ogni giorno di più perché, alla fine, tutto questo lo fa per se stesso.
S'inventa che le cose non vanno, che il mondo è ingiusto e a lui non è rimasto niente, ma in realtà il problema di lui è solo che sé stesso e nemmeno riesce a trovare il pianto perché non se lo merita, perché sa d'essere lui lo sbaglio più grande della sua vita.
Con fatica apre la bocca e comincia a gridare, a singhiozzare ma senza lacrime, facendo scivolare via la mano destra dal bordo della vasca e levandosi quella sinistra dal volto, afferrandosi la maglietta tra i pugni tremanti, continuando a guardarsi con quella brutta smorfia che si ostina a tenere quando, in realtà, non ha voglia nemmeno di gridare.
Forse si lascerà soffocare dai suoi capelli.
E mentre si guarda trova tutto questo divertente, un poco alla volta le sue grida si vanno a trasformare in tanti acuti sincopati, un poco alla volta finisce per ridere.
Eccolo, eccolo il bambino prodigio!
Guardate ora il ragazzo dai mille talenti, guardate come è misero nel suo riflesso con le labbra spaccate e gli occhi stanchi, guardate la sua bravura mentre ha tutta la polvere sul viso e non si regge in piedi.
Come farà a scrivere ora che gli tremano le mani?
Come farà a parlare ora che la sua testa è così affollata e ogni volta che pensa crede d'avere un microonde nel cervello?
Eccolo lì il bambino che una volta avrebbe conquistato il mondo ma che adesso non riesce a piangere, che adesso vuole solo svenire sul pavimento piastrellato.
Quanta fortuna sprecata, buttata al cesso insieme al suo vomito e al pranzo di ieri, di oggi, quanto talento mangiato e consumato dal vento, fumato dal freddo come tutte quelle sigarette che non vuole ammettere di fumare per sé stesso, il ragazzo prodigio.
Dov'è la sua laurea in medicina?
Dove sono le sue lodi?
Ha scartato tutto quello che aveva due giorni prima di natale e adesso, sotto l'albero, non c'è nulla.
Chi gli darà i premi ora che ha la bocca piena di coccarde?
Fategli sputare tutti i suoi coriandoli e poi, quando avrà finito, chiedetegli di parlare perché è così divertente quando la gola gli brucia e non trova le parole, quando ha ancora il sapore del vomito sulla lingua e cerca una scusa per giustificare tutta quella nausea.
Il dono del signore, il sogno di sua madre, date il benvenuto al bambino più bello dell'asilo perché altrimenti finirà per aprirsi i polsi con i denti.
Tenetegli le braccia perché sta tremando, tenetelo fermo perché ha bisogno di muoversi ma tanto non farebbe nulla comunque, perché quelli come lui, alla fine, non fanno mai nulla.
Si spengono, si spegne, e di loro resta solo il ricordo del loro talento sprecato e qualche bustina vuota, piena di granelli.
Eccola, l'ombra di sé stesso e il ricordo di un qualcosa che non è mai successo:

-Buon anno. -

Dice alla copia di sé stesso sul muro, con la voce roca, ridendo tra le parole, ridendo fin quando la sua faccia non inizia a perdere i contorni.
Ridendo fin quando non riesce a piangere.

Angolo autrice

Che schifo.

Teddyhuman

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