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Einar lo aveva fatto milioni di altre volte. Lasciava il palazzo del re di nascosto, con il favore della notte, ben nascosto nel suo mantello nero che proteggeva il suo volto dagli sguardi ostili. Se il sovrano avesse saputo di quelle scappatelle nel cuore della notte non ne sarebbe di certo stato felice, eppure, per una volta, al ragazzo non importava.

Sgattaiolava fuori dalla finestra, nel suo caratteristico completo nero da missione e si calava fino a terra. Si infilava al di lΓ  del grande cancello senza che quegli scansa fatiche dei soldati di guardia se ne accorgessero e sfilava silenzioso come un fantasma, come un soffio gentile agli ordini della morte stessa, per le strade buie per la cittΓ .

Si divertiva - se un mostro come lui poteva divertirsi - ad ammirare la quiete notturna della capitale, ad esplorarla nei minimi dettagli con la protezione familiare dell'oscuritΓ , la sua piΓΉ grande amica, e della paura, la sua compagna di vita, che faceva cambiare lato della strada a quei pochi passanti che c'erano.

Sorrise alla luna. Distante, solitaria, una carezza delicata di luce argentata sul suo voto. Fredda, malinconica, l'unica presenza che si spingeva a sfiorargli la pelle candida, a fargli compagnia nelle sere in cui il sonno scarseggiava e i ricordi andavano placati, in un modo o nell'altro. 'Salva, mia cara amica'.

Poi, la routine prevedeva che si arrampicasse fino ad un tetto, preferibilmente di un edificio alto, e si appollaiasse lì a guardare il suo piccolo regno d'ombra, di cui di suo non c'era proprio niente, e cercava di ricordare come era stato essere uno di loro. Un bambino normale con una vita davanti, con un fratellino minore e la gioia spesso distinguibile negli occhi color ghiaccio.

L'ultima tappa era sempre lui. Johan.

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Einar non era sempre stato un assassino. C'era stato un tempo, piuttosto remoto, in cui il Demone Nero, probabilmente, non esisteva nemmeno nella mente perversa del re.

In quel tempo, ora un ricordo lontano, un sospiro felice nella sua coscienza sporca, in cui si era seduto sull'erba fresca di un parco, lì in citta, con suo fratello al seguito, e si erano messi a scherzare con il sorriso sulle labbra e a raccontarsi storie in cui gli eroi erano loro.

Einar ricordava di aver detto a Johan tante volte che sarebbero davvero potuti essere gli eroi nella loro storia se davvero lo volevano. Ora piΓΉ che altro era diventato il malvagio, nella propria storia.

In quel tempo Johan non lo aveva mai guardato con paura. In quel tempo, in quella virgola felice di vita, Johan aveva amato Eibar come solo un fratelli puΓ² fare.

Ma il re, tra le altre cose, gli aveva rubato la possibilità di rivedere quell'affetto negli occhi chiari del ragazzino. Ora per stargli accanto senza vedere il terrore sul suo volto, aspettava che il fratellino dormisse, per poi accovacciarsi alla sua finestra e guardava il sorriso sul suo volto, in quella misera stanzina della servitù, nella villa nobiliare in cui il sovrano lo aveva spedito. E stava lì, fermo come una statua, a proteggere dal male che il mondo esterno dispensava il suo amato piccolo Johan, in memoria di quando nessuno dei fratelli Sorensen sapeva cosa si provava quanto una frusta schioccava sulla tua schiena e un attizzatoio di ustionava la pelle. Sensazioni alle quali Einar aveva imparato a nascondere qualsiasi reazione di dolore.

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Il corvino si appollaiΓ² sul davanzale della finestra di Johan. Si accorse subito che il ragazzino era sveglio, seduto sul letto, con le spalle scosse da un fremito perpetuo. 'Sta piangendo'.

Il fratello si voltΓ² leggermente verso la parete opposta alla finestra e fu allora che vude l'ombra del corvino, accucciato davanti al vetro. Vide con chiarezza le sue membra irrigidirsi.

ScivolΓ² allora nella stanza, senza produrre rumore alcuno, il risultato di anni d'addestramenti continui. Β«Johan.Β» Un bisbiglio solitario. La voce roca del piΓΉ grande che si fondeva al silenzio.

Β«Tu...Β». Il ragazzino tirΓ² su col naso e fu allora che Einar vide la pelle arrossata, bruciata sull'avambraccio dell'altro. L'assassino ignorΓ² la vena terrorizzata della sua voce.

Β«Non ti farΓ² del maleΒ» mormorΓ². Β«Non te ne farei mai.Β»

Β«Einar... quello che dicono su di te la fuori...Β»

Β«Lo so. Ma tu non hai motivo di temermi.Β» 'SarΓ² sempre il tuo fratellone, con le mani sporche di sangue o no.' ArrischiΓ² un passo, poi un altro.

Β«So come alleviare il dolore. Come...?Β»

Β«Attizzatoio. Il signore di casa era ubriacoΒ»

Einar esaminò la ferita ed estrasse la pomata che portava sempre nelle tasche del suo completo da missione. Aprì il barattolo e spalmò l'unguento con delicatezza sul braccio martoriato dal contatto con il metallo bollente.

Johan gli sorrise ed Einar sentì esplodere dentro di sé un uragano di emozioni che non sapeva di essere ancora capace di provare. Quella sera restò con Johan, accarezzandolo e rassicurandolo finché il più piccolo non si addormentò.

Ma le emozioni erano un lusso che il Demone Nero non poteva permettersi ed Einar non tornΓ² piΓΉ a quella finestra.

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832 parole. Non ho sonno e Einar mi mancava, quindi beccatevi questa perla che non ho ricontrollato e quindi piena di errori di battitura di vario genere. Non so nemmeno se definirla fluff o angst. Forse tutte e due. Forse nessuna.
Fatto sta che i fratelli Sorensen mi sciolgono sempre il cuore e sono la mia invenzione a cui tengo di piΓΉ <3

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