ยซ ๐—˜๐˜ƒ๐—ฎ๐—ป ๐—–๐—ผ๐—ต๐—ฒ๐—ป! ืด

wedding dress on!

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!

Dedicato ai caduti degli albori di una terza guerra. Dedicato alle persone che hanno perso la vita per l'egoismo di altri.

๐๐ฅ๐จ๐จ๐ - ๐“๐š๐ !

main : myself (?).
others : En_trist_pige , scarecrxw- , suicidalfaiilure .

๐ƒ๐ž๐š๐! - ๐๐จ๐ญ๐ž!

Prima di cominciare con la storia vera e propria mi piacerebbe specificare alcune cose.
Il personaggio รจ basato piรน o meno sul concept dell'album To The Black Parade dei My Chemical Romance.
Il prestavolto รจ Gerard Way (e "prestavoce") dalla Black Parade era.
Tengo anche a dire che il tutto รจ ambientato in un universo fantasy di mia invenzione.
I punti della scheda non seguiranno l'ordine "tradizionale" per questioni di trama.
La Pazienza non รจ l'unico personaggio di questo universo fantasy da me ideato, e se riuscirรฒ scriverรฒ qualcosa su di loro.
Word count : 3072.

๐“๐ก๐ž ๐ž๐ง๐. - ๐€๐ฉ๐ฉ๐ž๐š๐ซ๐š๐ง๐œ๐ž!

La Pazienza se ne stava fermo con il suo portamento da militare di alto rango, ricordando solo lui sapeva cosa. Lo sguardo vuoto, vitreo come quello di un cadavere, si posava sulla terra come la neve d'inverno e i petali in primavera.
Stava dritto, sfoggiando la sua eterna giovinezza e bellezza esteriore.
Aveva il fisico scarno come una frase lasciata a metร , tuttavia il suo aspetto nel complesso somigliava ad un libro con molto da raccontare cui nessuno era mai arrivato alla fine.
Gli scompigliati capelli candidi coprivano appena la fronte, incorniciando il viso spigoloso e gli occhi grigi come argento, affilati come lame. Sul suo viso rilassato e contemporaneamente straziato, pallido da sembrar malato contrastavano occhiaie scure come cenere calda; l'aria rassegnata e le labbra rovinate, secche e screpolate.
L'uniforme corvina decorata di argento e di bianco dava l'impressione di star guardando la morte fatta persona, eppure lui era solo ciรฒ che veniva prima della Morte.

๐‚๐š๐ง๐œ๐ž๐ซ - ๐€๐ ๐ž!

I vent'anni gli erano rimasti indelebili addosso. Non invecchiava piรน da tanto. La Morte gli aveva detto che era normale per loro. Eppure lui se li sentiva cosรฌ strani quegli eterni vent'anni.
Non ricordava il giorno della sua nascita con certezza. Era un giorno di gennaio, freddo come pochi. Una potente bufera si era abbattuta sulla casa dei suoi genitori, gli era stato raccontato dal padre, e sua mamma era stata costretta a partorire senza l'aiuto di un medico.

๐“๐ก๐ž ๐ฌ๐ก๐š๐ซ๐ฉ๐ž๐ฌ๐ญ ๐ฅ๐ข๐ฏ๐ž๐ฌ - ๐๐š๐ฆ๐ž!

Il suo vero nome non lo ricordava quasi piรน dopo tutti gli anni passati ad essere chiamato "Generale Pazienza", "Pazienza" o simili.
Dopo che chiunque lo avesse mai chiamato per nome era morto o cambiato, nessuno usava piรน quelle aggraziate quattro lettere dal suono angelico.
"Evan" derivato da parole gallesi e celtiche che significano "giovane uomo", "forza vitale" e "giovinezza". In greco moderno รจ inoltre usato come forma abbreviata di Evangelos. "Evangelo", "buona novella".
Un invito ad andar avanti nonostante tutto crolli, a non arrendersi e a non essere spaventati. I libri della sua vasta biblioteca erano stati chiari e coincisi quanto misteriosi. Era sicuro le radici di quel nome affondassero in qualche antico mito o leggenda, e non aveva idea che quel mito era nato con lui e sarebbe durato in eterno.

หŸร—

La pazienza: disposizione, abituale od occasionale, alla moderazione, alla tolleranza e alla sopportazione piรน o meno rassegnata. La pazienza: sofferenza.
Penelope attese per venti lunghi, dolorosi anni il ritorno di suo marito, tuttavia conservรณ la virtรน della pazienza.


๐–๐ž๐ฅ๐œ๐จ๐ฆ๐ž ๐ญ๐จ ๐ญ๐ก๐ž ๐›๐ฅ๐š๐œ๐ค ๐ฉ๐š๐ซ๐š๐๐ž - ๐’๐ฎ๐ซ๐ง๐š๐ฆ๐ž!

"Cohen" cognome comune tra gli ebrei dell'Europa dell'Est, indica spesso una famiglia che rivendica la discendenza da Aronne, fratello di Mosรจ e il primo sommo sacerdote.
Il cognome della Pazienza era molto raro, parente di una religione di cui egli non faceva parte, un credo che non confessava. Del resto lui non aveva un credo.
"Cohen", appartenente all'uomo che in un freddo giorno di gennaio l'aveva preso per mano e gli aveva fatto promettere che avrebbe cambiato il mondo, poco prima di lasciarlo con un ultimo faticoso respiro.

๐…๐š๐ฆ๐จ๐ฎ๐ฌ ๐ฅ๐š๐ฌ๐ญ ๐ฐ๐จ๐ซ๐๐ฌ - ๐๐š๐œ๐ค๐ฌ๐ญ๐จ๐ซ๐ฒ!

Evan si rintanรณ sotto il tavolo, spaventato a morte da quell'individuo completamente vestito di nero, pallido come un cadavere che passeggiava su e giรน per il corridoio principale.
Era notte e l'orfanotrofio sembrava essere stato abbandonato. Ciรฒ che di giorno era accogliente per i bambini, la notte sembrava il palazzo di un vampiro, uno di quelli di cui Evan aveva letto nei libri della fornita biblioteca di quel posto.
Il bambino, allora poco piรน grande di otto anni, tremava come una foglia esposta al vento dell'autunno, stringendo tra le sue magre braccia un orso di pezza che un tempo doveva essere stato bianco.
Il misterioso signore non sembrava essersene andato e la sua ombra ancora marciava con la schiena orribilmente ricurva in avanti. Evan non era neanche sicuro quella fosse l'ombra dell'uomo, talmente tanto scuro egli aveva addosso.
Affondรณ il viso, decisamente poco paffuto per un bambino della sua etร , nel pupazzo.
Ed in quel piccolo istante in cui chiuse gli occhi, stretti da non far passare neppure la flebile luce della Luna tra le palpebre, si distrasse dall'osservare la marcia silenziosa dello sconosciuto.
"Da cosa ti stai nascondendo, piccoletto?" quell'uomo vestito di nero sembrรฒ essersi materializzato dinanzi Evan, chinato ulteriormente per poterlo guardare sotto al tavolo. I suoi capelli, neri e opachi, a metร  tra il liscio e il mosso, ondeggiavano verso il basso, assieme alla cravatta rosso sangue.
Evan nascose la testa fra le gambe, trattenendo le lacrime a stento.
"Ohh, capisco..." l'uomo misterioso annuรฌ alla sua stessa affermazione, prima di calarsi e sedersi in terra, sotto al tavolo assieme al piccolo Evan. "Non devi preoccuparti, non sono qui per farti del male. Tutto il contrario. Sai chi sono io?"
Evan sollevรณ di poco lo sguardo sulla figura esposta a troppa poca luce per essere vista davvero bene: il colorito pallido e gli occhi stanchi cerchiati di bordeaux; insieme alla cravatta faceva contrasto un bocciolo di rosa rossa appuntato sulla giacca in velluto nero, come i pantaloni e le scarpe.
Il bambino si ricordรณ di quella rappresentazione frequente nei libri, che spesso descrivevano come sinistra e negativa quell'entitร  all'apparenza gentile.
"Tu... Voi siete la Morte."
"Sono io."
"Siete qui per me, signore?"
"No, piccoletto. O meglio, sรฌ. Ma non nel senso che hai pensato tu. Hai ancora tanto da vivere." la Morte posรณ una snella mano sulla testa di Evan, carezzandola con delicatezza.
"E allora perchรฉ mai siete qui con me?"
"Vedi, Evan, tuo padre ti ha fatto promettere una cosa prima di andare via, o sbaglio?"
"Non sbagliate signor Morte, egli mi ha fatto promettere che avrei cambiato il mondo."
"Tuo padre ha tirato anche me in una promessa. Avrei dovuto vegliare su di te al posto suo." Sospirรณ stanco, assumendo un'espressione che si addiceva al suo volto stremato e vissuto. "Se n'รจ andato troppo presto lui, come tutte le brave persone..."
"Quindi voi siete qui per aiutare me?"
"Esatto Evan." una lieve curva si formรณ sulle sue labbra, simile ad un sorriso. "E dammi del "tu" d'ora in poi, perfavore."

หŸร—

Evan corse. Corse e corse e corse, ignorando i polmoni che sentiva pesanti, il cuore che batteva piรน veloce dei suoi passi, come fosse trafitto da tanti pugnali. Le urla dei suoi compagni dietro di lui che lo imploravano di tornare indietro, ormai erano dettagli di sfondo cosรฌ come i proiettili. I suoni principali erano i passi di Evan che sferzavano la terra nuda e secca.
Un giovane Evan, appena ventenne, arruolato e dalle ali in procinto di essere tarpate dallo stesso ragazzo.
Il fucile imbracciato ed una spia dall'altra
parte del campo di battaglia; Evan sulle tracce di quell'ignobile e il respiro affannoso.
La medaglia l'avrebbero appuntata sul suo cadavere.
Vide quell'uomo, che lentamente si voltava verso di lui e sorrideva con compassione.
Ed Evan realizzรณ. Polvere da sparo, tutt'intorno lui. Probabilmente il nemico aveva sperato in un gruppo di soldati, non in un solo impaziente ragazzino che voleva cambiare il mondo.
La spia gettรฒ un fiammifero acceso sulla polvere nera mischiata alla terra e subito furono fuoco e fiamme.
Evan cadde in ginocchio. Era stato stupido, impaziente, un idiota.
Sospirรฒ rassegnato e posรฒ la fronte al suolo mentre il fuoco cominciava a bruciare i suoi vestiti, se cosรฌ poteva essere chiamata la tetra uniforme.
Calore, dolore, faceva male.
Evan urlava, senza riuscire a smettere e le lacrime non potevano neppure uscire mentre la sua pelle si consumava a causa del fuoco. Bruciava.
E non vedeva l'ora che quel dolore finisse ma esso non voleva cessare. Era disperato, e doveva aver raggiunto il punto di non ritorno da tanto.
Non vedeva nessuna luce e non era avvolto dal buio, il dolore non smetteva e non c'era una scala che lo conduceva in alto o una che lo conduceva in basso. Il nulla accompagnato dal dolore.

หŸร—

"Hai imparato la lezione?"
Doveva essere morto da tempo, eppure sentรฌ una voce.
"Signor Morte... Sei tu?"
"Sono io, piccoletto. Rispondi alla mia domanda." il suo tono era piรน duro del normale. Era tranquillamente seduto su di una pietra, con le gambe elegantemente accavallate.
"Non lo so. Sono morto?"
"Non lo sei. Tu non puoi essere morto."
"E perchรฉ no?"
La Morte si alzรฒ dalla roccia su cui sembrava non essere neanche posato; si sedette invece in terra, con le gambe incrociate e la testa di Evan sulla spalla, mentre con le braccia avvolgeva in modo protettivo il torso del ragazzo.
"Perchรฉ tu sei come me. Sei destinato a diventare una di quelle entitร  che proteggono l'umanitร . Lo sei sempre stato, e probabilmente tuo padre lo aveva capito."
"Non sono stato in grado di aiutare la mia patria, signor Morte. Come potrei proteggere gli esseri umani."
Non si muoveva. Il suo corpo era ancora intorpidito dal dolore dell'essere bruciato, cosรฌ come la sua mente. La bocca si muoveva a stento, e la voce era l'equivalente di un soffio appena udibile.
"Non hai fallito, Evan. Hai pazientato e quando inconsciamente lo hai ritenuto necessario hai corso per guadagnarti l'onore; hai sparato e hai preso in pieno l'uomo che cercavi, sbaglio?"
"Mi duole dire che, questa volta, ti sbagli." Evan accennรณ un sorriso sfinito, sul procinto di piangere ma trattenuto per il dolore che le lacrime gli avrebbero causato.
"Non mi sbaglio, Evan. Tu hai portato a termine la tua missione, ti sei guadagnato il tuo posto, Pazienza."
"Pazienza?" replicรฒ perplesso Evan.
"Hai aspettato molto, piccoletto. Ti sei guadagnato questa riconoscenza da parte mia, del destino e dell'universo."

หŸร—

La giacca nera, adorna in rifiniture argentate, rendeva la Pazienza piรน elegante e stanca di quanto non fosse.
Le braccia incrociate dietro la schiena, petto in fuori e testa alta. Non sorrideva e la sua pelle era piรน pallida del solito. Non dormiva da giorni.
L'unico sopravvissuto di una guerra vinta; la Morte si era preso tutti tranne lui.
Gli venne appuntata la medaglia all'onore, mentre ancora la sua mente percorreva la terra che aveva assorbito il sangue di compagni e nemici.
Avrebbe tanto voluto rifiutare quella riconoscenza, ma sapeva che era suo dovere prendere posto come Generale Pazienza, il protettore dei malati, dei soldati e dei medici.

๐ˆ ๐๐จ๐ง'๐ญ ๐ฅ๐จ๐ฏ๐ž ๐ฒ๐จ๐ฎ - ๐๐š๐ญ๐ข๐จ๐ง๐š๐ฅ๐ข๐ญ๐ฒ!

L' Inghilterra non entrava in guerra da anni. E il Generale Pazienza aveva pregato con tutto sรจ stesso che avessero imparato la lezione, loro al potere. Ed invece no.
Lui ancora una volta si ritrovava davanti ad un battaglione, pieno di visi nuovi, giovani, infantili ed entusiasti al pensiero di combattere per la patria.
Era consapevole che molti di quei visi sarebbero andati perduti nei labirintici cimiteri o nelle pagine polverose di libri di storia.

๐Œ๐š๐ฆ๐š - ๐‚๐ก๐š๐ซ๐š๐œ๐ญ๐ž๐ซ!

La Pazienza sembrava stesse posando per un ritratto. Il petto all'infuori e la schiena diritta; l'aria fiera, non di chi portava appuntate al petto delle spille dal fantomatico valore ma di chi aveva corso lungo il campo di battaglia seminando lacrime sul sangue dei suoi compagni caduti.
Fece volare lo sguardo freddo sui suoi soldati, perfettamente allineati nelle loro uniformi meno elaborate rispetto alla sua.
-Attenti! -il tono severo ed autoritario di un padre ma la calma e la compostezza di una madre.
Con immediatezza, si sentรฌ un colpo secco ed unisono battere sul pavimento marmoreo. I soldati si portarono in contemporanea la mano alla fronte per il saluto militare, mentre il Generale Pazienza marciava con malinconica fierezza fino al podio funebre in legno d'ebano, adorno di drappi scuri come gli abissi.
La monocromatica cattedrale era gremita di altrettanto monocromatici ospiti che aspettavano che la Pazienza prendesse parola.
In tutta la sua eleganza, il giovane uomo parlรฒ.
"Oggi, siamo qui riuniti per ricordare. Riportare alla luce il ricordo dei nostri fratelli caduti nella guerra, i fratelli che la Morte si รจ preso e portato con sรฉ."
Lanciรณ uno sguardo alla Morte e alla Memoria, seduti in un punto alto della cattedrale simile ai palchetti di un teatro, assieme alle altre figure mitologiche che vegliavano sull'umanitร : il Vizio, il Tempo, la Vita, il Sacrificio, la Cattiveria, la Rivolta, l'Amore, la Solitudine, la Nostalgia, il Segreto, la Libertร , la Sapienza e la Purezza.
Non si era mai capacitato del fatto che quelle persone davanti a lui, e il resto del mondo, lo trovassero rassicurante al punto da fargli tenere quel discorso che secondo lui avrebbero dovuto proclamare la Nostalgia, la Memoria o il Tempo. Invece quel ruolo spettava di diritto e dovere al giovane uomo che si era guadagnato le medaglie e l'onore nascondendo le lacrime e dando lavoro da svolgere alla Morte.
In troppo giovane etร  aveva imparato a non piangere per non preoccupare e non sembrare "debole", e quanto odiava il fatto che chiunque lacrimasse venisse considerato un debole codardo.
La Pazienza prese un profondo respiro prima di continuare il discorso.
"So che ricordare per molti potrร  essere doloroso, ma ve lo assicuro che รจ doloroso anche per chi ha perso dei soldati valorosi, degli amici e dei compagni. Io ho sofferto e soffro la loro perdita come voi che siete stati parti integranti della vita di queste persone."
La Pazienza era una delle figure religiose piรน tristi mai esistite. Ed una giornata come quella era come continuare a bere nonostante l'ebbrezza giร  presente; una giornata celebrata per raccontare ai piรน giovani e ricordare ai piรน anziani dei morti che l'egoismo umano aveva causato. Eppure, il Generale Pazienza, si chiedeva come nessuno avesse da dire sulla sua condotta, che era stata una delle principali cause di quelle perdite. Certo, non la causa scatenante delle dispute, ma lui era una divinitร . Avrebbe potuto salvarli, avrebbe dovuto, avrebbe voluto.
I volti di quelle persone che erano morte eseguendo i suoi ordini, freddi e precisi come i meccanismi di un orologio, lo tormentavano la notte; i loro pianti e lamenti, canzoni e note malinconiche risalivano dal regno della Morte per impedirgli di dormire e spingerlo sempre piรน a fondo nel suo rimorso.
"Hanno dato la vita per la patria, per l'onore, per rimanere nella storia e, soprattutto, per le persone che hanno amato. Ed รจ nostro dovere ricordarli, per il loro immenso coraggio, forza d'animo e buon cuore. Io sono qui og-"
"รˆ COLPA TUA SE MIO FIGLIO NON รˆ PIร™ QUI!"
Una voce spezzata da singhiozzi interruppe il Generale Pazienza ed un brusio si alzรณ dai presenti vestiti come la Morte ma comunque sotto l'influenza del Vizio.
Silenzio, gelido come le mani del Generale Pazienza che in quell'istante aveva puntato gli occhi sulla folla.
Una donna pallida e dai tratti delicati si alzรณ in piedi. I lineamenti rovinati dalla sofferenza che troneggiava sulla sua figura; il fazzoletto di pizzo stretto tra le esili dita, l'abito lungo completamente nero e la vita stretta da un corsetto color pece secondo la moda del tempo. I capelli castani, davvero lunghi, probabilmente bellissimi, adesso incurati e sciolti come un mantello.
La Pazienza si allontanรณ dal podio sotto lo sguardo severo, a momenti accusatorio, della Morte. Il suo passo era lento fino ad essere snervante ma piรน forzato della sua solita camminata.
Il Generale si fermรณ dinanzi alla donna, piantando gli occhi affilati in quelli lucidi di lei, come frecce nel cuore del cervo.
Aprรฌ la bocca ma nessun suono uscรฌ da essa. Cosa avrebbe dovuto dire ad una madre in pena? Un essere divino come lui che non era stato in grado di salvare uno dei suoi devoti; il capo dell'esercito che aveva vacillato e aveva messo la vittoria prima della vita.
Abbassรณ lo sguardo sul pavimento a scacchi, incapace di reggere il peso della tristezza della madre.
Sospirรณ, mentre la sua gola doleva e le lacrime marciavano incontrollate giรน dai suoi occhi.
"Mi dispiace..." sibilรณ mentre la sua voce si spezzava. "Mi dispiace." le braccia, incrociate dietro la schiena per abitudine e portamento, finirono a sorreggere il volto per nascondere le lacrime.
"La sua voce... Lui mi odia. Mi tormenta ogni notte, lui e tutti gli altri. Ed รจ giusto cosรฌ. รˆ tutta colpa mia, solo mia. Mi dispiace."

Si inginocchiรณ dinanzi ai piedi della donna in lutto e dal cuore in pezzi, singhiozzando incontrollabilmente.
"Non mi merito il suo perdono. Sarei dovuto morire io al posto di tutte quelle persone, io-" le lacrime del Generale cadevano e la donna le asciugava con il suo fazzoletto candido. Egli non pensava di essere ancora capace di piangere come un normale essere umano, cosa che infondo non era mai stato destinato ad essere.
Si scusรณ e scusรณ ancora, implorando perdono, anche sapendo di non poterlo ricevere.

๐ƒ๐ข๐ฌ๐ž๐ง๐œ๐ก๐š๐ง๐ญ๐ž๐ - ๐•๐จ๐ข๐œ๐ž!


๐“๐ž๐ž๐ง๐š๐ ๐ž๐ซ๐ฌ - ๐’๐ž๐ฑ๐ฎ๐š๐ฅ๐ข๐ญ๐ฒ ๐š๐ง๐ ๐ฉ๐ซ๐จ๐ง๐จ๐ฎ๐ง๐ฌ!

La Pazienza guardava il cortile dell'edificio in cui si trovava. La grigia costruzione era circondata da verde e piccole chiazze di variopinti fiori, in cui lui sarebbe sicuramente risultato fuori posto.
Era una piccola chiesa, frequentata piรน da suore che da altri, dedicata alla Memoria.
Riflettรจ sulle preghiere che udiva a quell'ora del pomeriggio. Chiedevano alla Morte di vegliare sui loro cari defunti; alla Pazienza di donare loro forza.
Spesso e volentieri si riferivano al Generale semplicemente come "Pazienza" usando il femminile, ma ormai egli vi aveva fatto l'abitudine. Non gli era mai interessato piรน di tanto.

หŸร—

L'Amore era sempre stata una stretta amica della Pazienza; tuttavia conservava una minuscola parte di rancore nei confronti dell'Amore per averlo fatto innamorare di una donna di cui ormai era rimasto solo il ricordo.

Il Vizio era un uomo allegro, e vederlo serio era un avvenimento raro. La Pazienza si era fatto trasportare dall'atmosfera che egli creava dovunque passasse poche volte; finendo in situazioni imbarazzanti l'indomani mattina, costretto a dover allontanare delle belle ragazze che non avrebbero neppure saputo il suo vero nome.

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