5.
Oblivion — Bastille
Selene non mi fa domande. So che ne ha, e so che conosce le risposte anche se non me lo dice. Abbiamo lasciato quel locale soltanto pochi minuti fa, solo che a me le parole di Luke non hanno mai smesso di ripetersi.
«Mi dici che cos'hai?» mi domanda Selene alla fine, e so che non lo farebbe se non ne avesse ragioni, se non fosse sicura di quello che vede.
«Non è niente» però io le rispondo comunque, portando lo sguardo fuori e sentendo il leggero vento di San Diego sferzarmi il viso e attraversarmi i capelli.
«Mi manca» dico poi, dopo qualche istante. Così, ad alta voce, improvvisamente, a me stessa e alla mia migliore amica. Succede solo con lei.
Mi volto verso Selene quando mi sfiora la guancia e poi i capelli con le dita. «Manca anche a me» ammette, e l'accenno di sorriso sulle sue labbra mi porta a chiudere gli occhi e a vederlo, a quando era ancora con me.
«Ho paura, Selene» continuo, guardando la strada davanti a noi.
«Di cosa?» replica subito lei, e sento il suo sguardo su di me.
Io scrollo le spalle e scuoto la testa. «Ho paura che un giorno mi sveglierò e io non riuscirò più a ricordarlo» mi fermo, poi sospiro. Parlo piano, a voce bassa. «Che non riuscirò più a definire i suoi contorni, che non riuscirò più a ricordare la sua voce, le parole che mi sussurrava. Ho paura di dimenticare tutto di lui, che il tempo prima o poi mi porterà via l'unica cosa che mi è rimasta; il suo ricordo.»
«Non lo dimenticherai, Les» mi risponde Selene. «Ti amava.»
Poi piango. Piango per i sensi di colpa che non mi lasciano andare, piango perché forse io non sono mai stata in grado di dargli quello che in realtà meritava; piango perché quella serata sarebbe potuta andare diversamente, perché probabilmente avremmo potuto evitare tutto.
Selene se ne accorge e accosta, soltanto per prendermi tra le braccia e stringermi, aspettando che questo momento finisca. Piango in silenzio, come ogni volta. E come ogni volta c'è Selene ad asciugare le mie lacrime e a prendersi un po' del mio dolore, a farlo suo senza neanche che io glielo chieda.
🌊
Quando il giorno dopo torno a casa c'è anche mia madre. «Ciao» mi saluta e io ricambio allo stesso modo.
«Pranzi con me?» mi domanda, e io le rispondo annuendo e raggiungendola. Mi siedo al bancone e lei fa lo stesso, facendo scivolare un piatto nella mia direzione.
«Com'è andata ieri sera?»
«Tutto a posto» dico, guardandola brevemente.
Tra me e mia madre non c'è mai stato un grande rapporto. Mi ha cresciuta da sola e questo lo riconosco, ma non mi ha mai capita. Ci ha provato, ma non ci è mai riuscita. Quindi andiamo avanti in questo modo, parlando di tutto e di niente con lei che mi fa delle domande e io che le rispondo distrattamente. Ci abbiamo fatto l'abitudine, e ci sta bene.
Dopo l'incidente mi è stata vicina e per un po' ho creduto che avremmo potuto guadagnare qualcosa da quel dolore, che ci avrebbe portate a diventare almeno un accenno di quello che non siamo mai state. Ma neanche quello è servito. Siamo troppo diverse, e lei per me ha sempre sperato in qualcosa di diverso, mi ha sempre vista come qualcuno che non sono e che non avrei potuto diventare.
«Come sta Selene?» mi chiede, mentre le passo il mio piatto vuoto.
«Sta bene» dico, «si sta vedendo con un ragazzo.»
Mia madre sorride, a Selene tiene come se fosse una figlia. «Come si chiama?»
«Calum» rispondo, e la conversazione continua ad andare avanti.
«Sono contenta per lei» dice mia madre e mi guarda in un modo che conosco mentre lo fa. Sta cercando di chiedermi se per me c'è ancora speranza. Ed è qui che poi la conversazione finisce per spezzarsi, perché io le rispondo soltanto «Anch'io» prima di voltarmi e andare verso la mia stanza.
Mi chiudo la porta alle spalle e poi prendo una sigaretta, mi avvicino alla finestra e spalanco i vetri prima di appoggiarmi al davanzale. Faccio qualche tiro che poi rilascio lentamente e con gli occhi chiusi; a lui non piaceva che fumassi. L'avevo fatto soltanto qualche volta, in sua presenza ancora meno. Sapevo quello che provava vedendomi farlo, così sono sempre stata la prima a limitarmi. È da quando se n'è andato che è diventata quasi un'abitudine, e quando lo faccio continuo a sentirmi in colpa, perché nonostante tutto io continuo a farlo. Non tanto, però lo faccio. A volte ne sento il bisogno, e non ho altro.
Questa sigaretta che ho ancora quasi intatta tra le dita la spengo in fretta, la lascio cadere prima che sia finita. Mi siedo sul davanzale e appoggio le spalle alla struttura della finestra, da qui riesco a vedere il mare. Quello stesso mare in cui mi sono rifugiata così tante volte che poi finivamo per essere una cosa sola, che ha accolto ogni mia paura e l'ha trasformata in forza; quel mare che mi ha portato via qualcosa di troppo grande per poterglielo perdonare.
Sono cambiate le mie abitudini, ogni certezza che avevo l'ho distrutta con le mie mani e forse è vero, forse la colpa è solo mia. È mia se l'ho deciso; è mia se da quel momento ho deciso di essere qualcuno che non sono io.
Poi penso a Luke. Non so in che modo, non so come sia riuscito a scattare quel qualcosa che mi ha portata a lui, però le sue parole ritornano. E con loro torna la sua consapevolezza del modo in cui sono sempre scappata mentre era lui a cantare.
Non so bene in quale modo, però Luke me lo ricorda. Probabilmente in realtà sono completamente diversi, ma la sensazione che ho avuto entrambe le volte che ho provato ad ascoltarlo è stata questa. Forse per le parole, forse per la voce, non ne sono sicura. Però ha fatto male, anche se a Selene ho detto che ho paura di dimenticarlo. Solo che ho anche paura a sentirlo, perché poi il dolore torna, e lo fa insieme all'unica certezza che mi ha lasciato: che non tornerà più.
C'è qualcosa in Luke che non riesco a spiegare, nel suo sguardo e nel modo in cui si pone verso la vita. Canta con intensità e rabbia, con una passione che ho conosciuto poche volte in poche persone, e si tratta di un tipo di passione che riesci a provare solamente se vivi in prima persona qualcosa che prima ti ha distrutto, qualcosa che ha lasciato troppi pezzi da raccogliere. Non so cosa sia successo a lui da renderlo chi è adesso, ma sono sicura che non sempre è stato così, anche se l'ho visto soltanto poche volte e se ci ho parlato ancora meno. Certe cose le riconosci e basta, non hai neanche bisogno delle parole. E in lui ho riconosciuto me, e anche questo mi spaventa.
A/N
Ragazze!! Mi scuso immensamente per il ritardo, ma tra esami e altro non sono riuscita a prendere in mano la storia prima dell'ultima settimana.
In ogni caso spero che il capitolo (seppur breve) vi sia piaciuto e che vi abbia aiutate a capire un po' di più Leslie e il suo passato, il perché di alcuni dei suoi comportamenti.
A presto e grazie,
Chiara
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