3.
Patience — Take That
Con la solita monotonia e un sorriso sul volto che la maggior parte del tempo non sento neanche di avere raccolgo i capelli in una treccia, la stessa che quasi ogni giorno è Selene a farmi. Solo che oggi abbiamo turni diversi, ed è l'unico giorno della settimana in cui succede, ma resistiamo. Dopo l'incidente è stato tutto come un buco nero da cui risalire, e Selene vi era dentro quanto me.
Mi è stata accanto in ogni modo possibile senza mai lasciarmi da sola, mettendomi al primo posto come se fossi una priorità. È rimasta giorno e notte con me anche quando non riuscivo a dirle una sola parola, quando le ho urlato contro, quando le ho detto che non avevo bisogno di lei. Eppure lei è rimasta comunque. Le devo di essere qui oggi, di esserlo stata ieri e di poterlo essere anche domani.
Il Cold Water — il piccolo locale in cui lavoriamo — sorge sulla spiaggia di San Diego, ed è il maggiore punto di ritrovo dei surfisti e di chiunque trascorri del tempo sulla spiaggia. Non ci lavoro da tanto, e non mi dispiace neanche quanto sembri in realtà, solo che è qualcosa di completamente diverso da quello che facevo prima. Alcuni dicono che siano complementari, che in qualche modo è come se vivessi ancora quella realtà in cui invece stavo bene. Solo che non è così, e ogni giorno la consapevolezza mi passa davanti mentre sono costretta a stare in silenzio e a guardare qualcuno che prima ero io e che credevo sarei stata per sempre.
La divisa è semplice; abbiamo l'obbligo soltanto della t—shirt con il simbolo del locale — un'onda che si infrange sullo scoglio. Oggi indosso i pantaloncini di jeans che mia madre odia, perché sono consumati e leggermente strappati verso gli orli, ma io non riesco a disfarmene. È l'unica cosa che mi tiene àncorata al passato, al prima. È l'unica cosa che ho voluto ancora tenere e vivere.
«Ciao, bambina» dice una voce e subito sul mio volto il sorriso che si costruisce è sincero, è quasi felice come tutte le volte.
Mi volto e mio nonno è già seduto dietro al bancone principale, azzurro e lucido. «Ciao, nonno.»
Il rapporto che ho con lui è diverso da tutti gli altri. È letteralmente la mia famiglia, e so che il giorno in cui lo perderò sarà quello in cui perderò anche me stessa. Mi ha fatto da padre quando non sapevo neanche cosa significasse averne uno, ha riempito vuoti che nessun altro era mai riuscito a colmare. So che di mio nonno avrò sempre bisogno.
«Giornata tranquilla» asserisce e io annuisco, appoggiandomi con i gomiti sul bancone.
«È una bella giornata, sono tutti fuori di qui» gli rispondo, immaginando il resto. Il sole, le onde, il vento. Con una giornata così chiunque preferirebbe l'altra parte. «Si riempirà intorno alle due.»
So quello che vorrebbe dirmi, lo so sempre, perché è lo stesso che tiene dentro ogni volta. Ci ha provato, ma sa che si tratta di qualcosa che non potrà più far parte di me, che probabilmente non sarò mai pronta per ricominciare, che non riuscirò mai a superarlo.
«Sei venuto per qualcosa in particolare o eri di passaggio?» gli domando, anche se entrambi conosciamo parte della risposta. Anche se non fosse vicino al Cold Water, passerebbe comunque.
«Sono passato a ricordarti di questa sera. Verrai?»
Gli sorrido e annuisco in modo deciso. «Sai che non mancherei mai.»
🌊
Quando sono già in macchina e quasi a pochi metri dalla casa di mio nonno mi ricordo di qualcosa che ho dimenticato.
«Ma dove ho la testa» mi domando retoricamente, sbattendo una mano sul volante. Continuo a guidare, perché so che da queste parti dovrebbe esserci un piccolo market. Non è chissà cosa, ci sono stata solo poche volte, ma è un'emergenza e spero che abbiano quello che cerco.
Sosto la macchina nel piccolo parcheggio, proprio accanto all'entrata. Ci sono poche auto, ma il negozio è abbastanza accogliente e una campanella sulla porta annuncia la mia entrata. Vago per i — pochi — diversi reparti, il mio sguardo si sposta da uno scaffale all'altro. So che se chiedessi aiuto probabilmente impiegherei la metà del tempo, ma non sono il tipo di persona che lo fa. Preferisco vedermela da sola, anche se dovessi stare ore a cercare quel qualcosa che mi serve.
«Leslie?» la voce che mi chiama non la riconosco, ma c'è qualcosa di familiare nel tono. Mi chiedo chi possa essere, chi avrei potuto incontrare proprio qui.
Poi però mi volto e mi basta guardare i suoi capelli blu per accennare un sorriso. «Michael.»
«Cosa ci fai da queste parti?» mi domanda mentre io mi sollevo e porto le mani nelle tasche posteriori dei pantaloncini, abitudine che non riesco a lasciare andare. Lo faccio quando sono nervosa, quando sono indecisa, mentre aspetto qualcuno o semplicemente in qualsiasi altro momento. È un gesto meccanico, e c'è poco da poter fare.
«In realtà vivo qui vicino. Mi serviva una cosa ed ero di passaggio» spiego brevemente e scrollando le spalle. «Tu, invece?»
Michael solleva la mano e punta con il dito il badge che porta attaccato al petto con il suo nome sopra. «Lavori qui?»
Lui annuisce e sorride ironicamente. «Non è il massimo, e non punto a restare qui per sempre. Ma per adesso mi va bene, me lo faccio bastare.»
Io gli sorrido, perché comprendo le sue parole. La sua voglia di scappare, di andare via e di crearsi nuove radici, di lasciarsi tutto alle spalle. Lo leggo nel suo sguardo, e comprendo anche la rassegnazione nel non poterlo fare adesso, nell'aver compreso che probabilmente non è il momento per farlo, per lasciare andare tutto.
«Cosa ti serve?» mi chiede prima che io possa rispondergli anche a parole.
«Marshmallows.»
Michael sorride e si sposta il piercing sul sopracciglio con le dita. «Sei venuta fino a qua solo per i marshmallows?»
Ci spostiamo mentre gli rispondo, io lo seguo tra i vari reparti senza sapere dove stia andando e come avrei fatto a trovarli da sola. «Sì, mi servono per la Rocky road*.»
«Ecco a te» Michael mi porge la bustina e io lo seguo ancora verso il piccolo bancone della cassa, ma lui fa velocemente un cenno con la mano.
«Non preoccuparti» dice e io lo ringrazio, tenendo la bustina insieme alle chiavi dell'auto.
Sto per lasciare il piccolo negozio, quando la sua voce mi chiama ancora, e quando mi volto prima di uscire lui è a pochi passi da me. «Domani suoniamo di nuovo al Gold, ti andrebbe ti venire?»
Impiego più di quanto vorrei a rispondergli, e prima che lo faccia lui aggiunge: «Con Selene, ovviamente.»
«Ci penso» dico alla fine, e lui annuisce ancora, lasciandomi andare con un sorriso. Io però immediatamente penso anche a Luke, e al modo in cui la sua voce mi spoglia dalle mura che ho eretto intorno a me. Scuoto la testa come a liberarmi di quel ricordo, delle parole della canzone, e salgo in macchina cercando di allontanarle.
Arrivo a casa di mio nonno e lo trovo ad aspettarmi seduto in veranda, un sorriso si apre sul mio volto quando mi vede. Chip, il piccolo Yorkshire, mi raggiunge in pochi secondi e si agita per farsi prendere. Io mi abbasso e lo sollevo, poi recupero la piccola bustina dall'auto.
Vengo qui spesso, ma il giovedì per mio nonno — e per me — è un giorno speciale. È come se fosse il nostro giorno, ed è così da tempo. È tradizione, e anche se le tradizioni non mi piacciono, questa è diversa. Lo rende felice ogni volta, lo vedo e lo sento, e allora un po' del peso che mi toglie il respiro ogni giorno riesce a darmi tregua.
Lo raggiungo e gli avvolgo le spalle con un braccio. «Scusami, avevo dimenticato di prendere i marshmallows.»
«Avremmo anche potuto farne a meno per una volta» sostiene ma io so quanto in realtà ci tenga, quanto senta il bisogno e la voglia di rendere tutto perfetto oggi come gli altri giorni.
Mentre siamo in cucina sento il cellulare squillare, così mi pulisco velocemente le mani e poi lo prendo, sbloccando il display e rispondendo a Selene.
«Les, sei da Abel?» mi domanda, la mia mano destra di nuovo nella tasca posteriore dei pantaloncini.
«Sì, sono qui. Cosa c'è?»
«Domani sera i ragazzi suonano di nuovo al Gold» dice e io le rispondo che lo so già.
«Ho incontrato Michael oggi» le spiego senza troppi giri di parole e guardando mio nonno che sistema i marshmallows nella crema al cioccolato.
«Ti ha invitata lui?»
Io inclino la testa e scrollo le spalle anche se non può vedermi. «In un certo senso. Mi ha detto di andarci con te.»
«E tu vorresti tornarci con me?»
Io esito e sospiro. «Non lo so, Sel. Magari ne riparliamo domani.»
Selene non insiste, non mi chiede altro. «Portami un po' di Rocky, ti voglio bene.»
Io sorrido. «Come sempre. Ti voglio bene.»
Lascio andare il cellulare e torno da mio nonno, che mi guarda come se fossi l'unica cosa che gli sia rimasta oltre a mia madre. Gli sfioro la spalla e prendo due ciotole in vetro, poi ci sediamo entrambi l'uno di fronte all'altra, mentre Chip salta sulle sue gambe e mi osserva. È così che un po' di quel peso mi dà tregua, che mi lascia respirare.
* [Il Rocky road ice cream è una variante del gelato al cioccolato composta da crema al cioccolato, noci e marshmallows]
A/N
Scusatemi per l'attesa, ma non sono riuscita a scrivere/portare avanti il capitolo fino a qualche giorno fa.
Anche se un po' di passaggio, spero che vi sia piaciuto e che sia stato utile nel comprendere un po' di più i personaggi della storia.
Un bacio,
Chiara
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