Ventate nuove e vecchie tempeste

Il giorno seguente arriva troppo in fretta per me che non ho chiuso occhio.
Sento bussare alla porta e nessuno va ad aprire, così mi rendo conto di essere sola in casa e corro all'ingresso.
Mi stropiccio gli occhi e sbadiglio, apro la porta e Clemente piomba in casa.
"Mi fai vedere mio figlio?" Si toglie nervosamente gli occhiali da sole.
"Innanzitutto buongiorno." Gli dico spingendolo leggermente.
"Mi interessa solo vedere mio figlio." Mi sussurra in pieno viso.
Sbuffo e gli dico di seguirmi, Matteo dorme ancora, lo faccio entrare in stanza e si avvicina alla culletta.
"Fai piano." Sussurro.
Si china sulla culla, accarezza leggermente il bambino e lascia andare qualche lacrima.
"Mi dispiace non esserci stato da subito." Confessa abbassando la guardia.
"Beh, diciamo che questa è l'unica colpa che non hai in questa storia." Mi metto a braccia conserte, devo prendermi la mia dose di colpe.
"Perché non mi hai chiamato? Mi hai lasciato pensare che mi avessi dimenticato con il primo capitato."
"Perché eri strafatto." Gli ripeto per l'ennesima volta, lascio andare un sospiro di rassegnazione.
"Non avrei mai fatto del male a mio figlio." Scuote la testa contrariato.
"Dicevi che non lo avresti fatto nemmeno a me, eppure è successo." Bisbiglio calma, sono stanca di ripetere sempre le mie ragioni quali siano state, come se io avessi preso un capriccio.
Resta zitto e deglutisce, continua a fissare il bambino e in un silenzio quasi surreale tutto sembra urlarci contro che ora sarà più dura che mai. Perché è vero quanto dicono, noi due lontani non ci sappiamo stare, dobbiamo scappare per non prenderci.
"Io devo andare in caffetteria." Rompo il silenzio che si era fatto davvero troppo pesante.
Si alza di scatto e si asciuga gli occhi.
"Sì, certo. Magari posso tenere io Matteo?" Chiede e mi fissa speranzoso.
Cerco una qualche scusa, ma dovrò prima o poi abituarmi all'idea che Matteo stia anche con suo padre.
"Va bene." Lascio andare un sospiro, deve essersi accorto che l'idea non mi entusiasma più di tanto.
"Ti aggiorno tutto il tempo, promesso." Dice frettoloso.
"Va bene, ora fammi sbrigare."
Arrivo così in caffetteria accompagnata da lui, mi lascia sull'uscio e se ne va con Matteo, come se fossimo una normale famiglia. Peccato che noi famiglia non lo saremo mai.
"Buongiorno papà." Dico entrando e mettendomi il grembiule.
"Come sta la bimba di papà?" Mi chiede pizzicandomi una guancia.
"Papà." Lo ammonisco.
"Scusa, ma per me resti sempre la mia bimba."
Sospiro e inizio a pulire il bancone.
"Clemente sa che Matteo è suo figlio." Dico tutto d'un fiato.
"Brava Ninù, glielo hai detto." Sorride soddisfatto.
"Non è andata proprio così, è stata Milena."
"Sei delusa?" Mi chiede notando la mia espressione.
"Sì, doveva darmi il tempo." Sbatto stizzita lo straccio sul bancone.
"Nì, è già passato un anno, capiscila." Mio padre cerca di farmi ragionare.
"No papà, sono stanca di capire sempre io tutti." Scuoto la testa.
Mia madre entra con mia nonna sottobraccio, ha i capelli cotonati e ne va fiera.
"Buongiorno." Nonna marca le parole per farsi notare.
"Nì e Matteo dove sta?" Mia madre si preoccupa subito.
"Scusate, ma nessuno nota nulla?" Mia nonna insiste toccandosi i capelli.
"Sì, ditele che è bellissima per piacere, è stata dal parrucchiere." Mia madre ci sussurra esausta.
"Stai benissimo, nonna." Sorrido appena asciugando le tazzine.
"Tu invece sei uno straccio, ma che è quella faccia?" Nonna Erminia risponde con aria sprezzante.
"Qualcuno mi dice dov'è mio nipote?" Mia madre insiste.
"Mamma, respira." Le urlo contro e poggio con forza una tazzina sul bancone facendola rompere, così mi ferisco una mano.
"Ninù." Mio padre balza e si appresta a prendere l'occorrente per disinfettare la ferita.
"Non è nulla, tranquillo." Dico soffiando sul sangue che esce, intanto mio padre mi medica.
"Matteo è con suo padre, va bene?" Papà risponde al posto mio.
"Suo padre? È venuto da Londra?" Mia madre sbarra gli occhi, nonna Erminia si avvicina per sentire meglio.
Sbuffo e mi porto una mano al viso.
"Margherì." Mio padre richiama mia madre bonariamente. "Cosa ti dicevo sempre quando Nina era a Londra riguardo al padre del bambino?"
Mia madre si guarda un attimo attorno come se stesse riflettendo, poi riprende.
"Eh, che pensavi che Clemente fosse il padre." Dice in un primo momento senza capire. "È Clemente il padre?" Mamma chiede sbarrando nuovamente gli occhi.
"Uh Gesù, Giuseppe, Sant'Anna e Maria." Nonna Erminia prende il rosario dalla borsa. "Quel coso tatuato? Uh, era meglio uno sconosciuto." Continua a farsi il segno della croce, così mio padre spazientito esce dal bancone e la raggiunge.
"Mamma, fai una cosa, vai in chiesa a pregare per l'anima dannata di tua nipote e facc parlà." La accompagna alla porta e tira un sospiro di sollievo non appena si allontana.
Mia madre cerca il mio sguardo.
"Tornerai con lui?" Un sorriso le compare sul viso.
"No, mamma, smettetela. Lo so che gli volete bene, ma io ho smesso di farlo." Dico innervosendomi, intanto mia madre ha quella sua classica espressione che sembra dire "non ti credo."
"E smettila di guardarmi così." La ammonisco.
Così la nostra giornata continua, Clemente mi aggiorna di tanto in tanto, Matteo sembra tranquillo e dovrei tranquillizzarmi anche io.
"Buongiorno Gennarì." Un ragazzo entra affannato con dei pacchi. "Scarico qua?" Chiede e respira a fatica.
"Sì Federico, lascia pure lì, grazie." Mio padre gli risponde prestando attenzione ad un caffè che sta preparando.
"Lo vuoi un bicchiere d'acqua?" Chiedo notando la sua aria stanca.
"Sì, magari." Mi dice portandosi le mani ai fianchi e fermandosi un attimo dal suo lavoro.
Gli porgo il bicchiere che appresta a prendere e portare alla bocca dopo avermi detto un timido "grazie."
"Sei nuova?" Chiede.
"No, lei è mia figlia Nina." Mio padre spiega sorridente.
"E dove la tenevi nascosta, Gennarì?" Scherza ridendo.
"Vivevo a Londra." Prendo io parola. "Papà, i pacchi vanno dentro?" Chiedo e mi appresto a prenderli.
"Aspetta, te li porto io." Federico mi scosta la mano e si ricarica i pacchi in braccio.
Noto che ha i capelli riccissimi biondi e gli occhi azzurri, trattengo una risata notando quanto somiglia alla descrizione del londinese immaginario che avevo fatto a Clemente.
"Che c'è?" Mi chiede con un mezzo sorriso.
"Nulla, scusa. Somigli ad una persona che conosco." Mento facendo spallucce e mi carico un pacco in braccio.
"Ninù, aiuti tu Federico? Io devo uscire un attimo." Riferisce mio padre togliendosi il grembiule.
"Vai pure." Gli dico mentre trasporto pacchi.
Finiamo poco dopo e Federico mi chiede di poter bere qualcosa, così lo faccio accomodare al bancone.
"Sono esausto oggi." Sorseggia. "Cosa facevi a Londra? Studiavi?"
Sì, studiavo come dimenticare il mio ex.
"Non proprio." Rispondo appena imbarazzata e nemmeno il tempo di finire la conversazione che, pensando al diavolo, spuntano le corna.
"Non dovevi venire a prendere tuo figlio?" Clemente quasi mi rimprovera squadrando Federico.
"Se non hai notato sto lavorando." Cerco di ignorarlo sparecchiando il bancone.
"Bel modo di lavorare." Mi dedica una smorfia.
"Che c'è, già ti sei stancato di fare il padre?" Lo guardo a mo di sfida.
"Altroché, sono portatissimo. Ti sarai stancata tu, magari? Vedo che hai da fare." Allude a Federico che intanto si trova in mezzo a due fuochi.
"Lasciami pure il bambino e vai." Sorrido stizzita.
"Però, se non mi avessi detto che sono il padre di Matteo, avrei pensato fosse il londinese." Continua a parlare di Federico come se non fosse lì.
"Di che parla?" Mi chiede lui senza capire, e come potrebbe? Poverino.
Io e Clemente sembriamo due pazzi usciti da un manicomio.
"Ma io ti conosco." Federico esordisce guardandolo meglio. "Sei Clementino, il rapper. Sei fortissimo."
Continua una conversazione che ha un che di surreale.
"Hai un figlio con Clementino?" Mi chiede con una faccia che è un misto tra sorpresa, entusiasmo e dubbio.
"Purtroppo sì, un tempo non mi funzionava molto bene il cervello." Sbuffo nevrotica, così Federico capisce che in effetti non corre buon sangue tra noi e decide di congedarsi.
"Va bene, allora io vi lascio. È stato un piacere conoscerti, Nina. Ci vediamo presto." Sorride in un modo dolcissimo, così resto a fissarlo per un attimo, fino a quando Clemente non schiocca le dita all'altezza del mio sguardo.
"La smetti?" Quasi mi sgrida.
"Ma cosa diavolo vuoi?" Urlo con tutta la mia ira.
"Te lo stai mangiando con gli occhi." Si agita.
"E allora? Il tuo problema qual è? Che mi fai le scenate di gelosia?" Chiedo stizzita.
"Se pure fosse? Sono il padre di tuo figlio."
"Clemè, padre di mio figlio non vuol dire che decidi per la mia vita. Pensa alle tue bionde in discoteca, su." Sbuffo e prendo Matteo in braccio.
"Me la stai facendo tu adesso la scenata?" Mi punzecchia ridendo.
"Ma chi, io? Ma fammi il piacere." Rido nervosamente. "Per me puoi fartele tutte." Gli scandisco ogni parola quasi sulle labbra, lo faccio a denti stretti marcando una strafottenza che in realtà non ho. Perché sì, odio vederlo con altre ma non glielo dirò e non lo darò a vedere mai.
"Embè, io so sempre impazzito ancora di più per te quando facevi la gelosa." Continua la nostra conversazione a fior di labbra, Clemente cammina verso di me mentre io indietreggio.
"Non sono gelosa di te, semmai tu lo sei." Sembriamo due ragazzini.
"Io lo ammetto, tu no." Insiste e continua a venirmi contro.
"Non posso ammettere ciò che non è." Sembra un'interminabile partita di Ping pong, l'aria sembra quasi essersi appesantita, mi sta provocando consapevole che cederò.
"Lo sappiamo tutti e due che ci vogliamo." Mi sussurra ed il mio corpo è costretto tra il suo e la macchina del caffè. Respiro a fatica, quasi scordo che siamo in un luogo pubblico, sembra scordarlo pure lui, tant è che mi accarezza una spalla come se volesse spogliarmi. E quanto vorrei spogliarmi di tutto: paure, corazza, di questa maschera che indosso che finge di non amarlo.
Sì, spogliami Clemè e riportami alla vita.
Socchiudo gli occhi come per paura che possa leggerci dentro e conoscere i miei pensieri, lo vedo quasi portare le sue labbra alle mie, sono come in trappola tra il suo corpo e la macchina, tra i suoi occhi e la sua esistenza. Non mi muovo.
"Matteo, amore di nonna." La voce di mia madre fa gelare l'aria, prende il piccolo dal passeggino e se lo coccola. "Tutto bene ragazzi?" Ci chiede con faccia interrogativa.
Intanto ritorniamo alla realtà, in caffetteria, tra la gente che consuma la sua bevanda, noi due che dobbiamo solo starci lontani.
"Tutto apposto." Dico in un filo di voce, tossisco stizzita e mi scosto da Clemente.
"Stava per andare via, vero?" Gli dico incoraggiandolo a farlo.
"Sì, vero." Dice rassegnato.

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