Senza te la notte non ha stelle

Non ho più voglia di avvicinarmi a lui, di fare finta di niente, io me ne starò nella mia fetta di mondo e lui nella sua.
Dovrei limitare i contatti anche con Milena, ma non ci riesco. Tuttavia, la vedo poco, sempre così impegnata con il suo nuovo amore. Ma stasera è tutta mia.
"Dove mi porti?" Le chiedo sorridente entrando nella sua auto.
"Sorpresa." Arriccia il naso e si mette alla guida.
Arriviamo ad un ristorante che ha una serata spettacolo, musica dal vivo, ho proprio bisogno di un po' di relax lontana dalle discoteche.
"Ti piace qui?" Mi chiede prestando attenzione alla pietanza nel suo piatto.
Annuisco. "È molto bello."
"Mi ci ha portata Riccardo." Sorride facendo spallucce.
"Uhhh Riccardo, ma dove ti spegni tu e Riccardo?" La prendo in giro strattonandola così ridiamo entrambe.
"Scusa, credo che l'amore mi sia andato in testa." Si copre gli occhi con le mani.
"Signore e signori, stasera qui per voi, Clementino." Annunciano da microfono.
"Che cosa?" Mi alzo in piedi in malo modo. "La smetti di fare queste cose?" Urlo contro Milena e faccio per andare.
Mi tiene ferma per un braccio. "Aspetta, ti prego." Si alza anche lei e mi sbarra la strada con il suo corpo. "Devi sentire una cosa." Quasi mi implora.
Sono delusa e amareggiata, Milena mi sta tradendo già troppe volte e sono ad un passo da smettere di vedere anche lei, per il mio bene e per quello del mio bambino.
La chitarra emette delle note, la luce si abbassa, tutto il posto fa silenzio e si sente solo la voce di Clemente cantare.
"Senza te, che la notte non ha stelle. Mi ricordo il lungo mare, le feste alle 3.00, ed io non chiedo nada che non sia con te." Canta e Milena mi guarda.
Mi si riempiono gli occhi di lacrime, penso a noi due stretti sulla spiaggia, alle nostre feste, i nostri viaggi, una vita intera insieme.
"L'ha scritta per te." Mi sussurra ad un orecchio, così tiro su con il naso.
Clemente guarda nella mia direzione, così di seguito fanno tutti.
Continua il suo canto, le sue parole che ha scritto pensando a me.
"Nell'appartamento privato resti in prima fila sul divano. Se tu non mi baci non canto. Come sei bella." Mi si avvicina e resta a fissarmi, deglutisco appena, ora le lacrime non le trattengo più.
Scendono giù prepotenti, si susseguono come dei corridori sulle mie guance. Inutile cercare di arrestarne la corsa.
Volto le spalle a Clemente e a tutta questa gente che mi sta guardando, corro verso l'ingresso, ho bisogno di aria, ho bisogno di respirare.
Milena mi corre dietro chiamandomi a gran voce, io non sopporto nemmeno più la sua vista.
"Lasciami in pace." Urlo.
"Nina, ascolta, mio fratello è disperato." Tenta di spiegare.
"Lui è disperato, Milè? E come pensi mi sia sentita io quando due linee sono comparse su un test di gravidanza? Quando non ho potuto alzare il telefono e dire al mio ragazzo: "amore, aspettiamo un bambino", perché forse era talmente strafatto che nemmeno mi avrebbe riconosciuta per telefono. Come pensi che mi sia sentita io, eh? In una sala parto con gente sconosciuta che nemmeno parlava la mia lingua." Urlo e piango, non riesco più a sopportare questo peso, è diventato un macigno che devo vomitare, almeno con lei.
"Matteo è suo figlio?" Chiede con aria scema, la vedo intontita, come se fosse stata colpita alla testa.
Annuisco piegandomi su me stessa, prendo fiato.
"E tu che sei la mia migliore amica non ti sei mai fatta venire il dubbio che non avessi scordato tuo fratello così velocemente?" Le chiedo inquisitoria.
"Ci ho sperato, Nina, ma non potevo saperlo. Il solo sentire il nome di mio fratello ti mandava in bestia, figuriamoci se avessi potuto chiederti se fosse suo questo bambino." Quasi si giustifica. "Ma ti rendi conto che hai taciuto con me? Ti rendi conto che in questa storia non esisti solo tu? Tutti siamo stati male, Clemente ha ammazzato tutti ma non era in se e abbiamo deciso di perdonarlo e andare avanti. Tu che hai fatto? Sei scappata, Nì, per rifarti una vita e non ci sei riuscita solo perché ci muori per mio fratello. Cerchi di nasconderlo a tutti noi ma lo sappiamo benissimo e non potrai mai nascondere questa cosa a te stessa." Cerca di farmi ragionare, ma no, non mi lascerò convincere. Posso vivere benissimo senza di lui, anzi pure meglio.
"No, Milè, io voglio stare lontana da lui."
"Non puoi però decidere di tenerlo lontano da suo figlio con una bugia." Alza un sopracciglio, so bene che ha ragione ma non glielo dirò.
"Glielo dico io quando sono pronta." Sentenzio in malo modo.
"E vedi di sentirti pronta presto, perché gli hai già negato un anno della vita di suo figlio." La vedo agitarsi più di me, si mette a sfidarmi.
"Vorresti decidere tu al posto mio?" Le urlo contro. "Ascolta, fai pure l'avvocato del diavolo altrove." La spingo.
Sgrana gli occhi e si ricompone, si sistema meglio gli occhiali e si volta per andarsene.
Forse sono stata ingiusta, ma nessuno riesce a capire come mi sento.
In questo momento è come se fossi sola al mondo.
Io e Milena non litigavamo così forte dalla quinta elementare.
Raccolgo le mie forze e mi dirigo verso i camerini, ci sono due grosse guardie.
"Devo parlare con Clementino." Sbuffo.
"Sì, anche le altre in fila lì." Mi prende in giro uno di loro e vedo una fila di fan urlanti.
"Guarda che non sono una fan." Storco il labbro.
"È quello che hanno detto anche le altre. Andiamo, non farci perdere tempo."
"Senti, sono la sua ex fidanzata, vai e chiedi. Mi chiamo Nina." Insisto.
"Ex fidanzata?" Ride uno spintonando l'altro. "Hai capito? Se le porta in camerino e se le scopa e loro si sentono fidanzate." Continuano le loro risate isteriche.
"Nina, tesoro." Finalmente riconosco una voce e un volto familiari.
"Zio Sal." Urlo ripresa nel vederlo.
Zio Sal è il manager di Clemente, nonché suo zio, ci ha visti entrambi crescere.
"Che state facendo così? Vi spostate e la fate passare?" Richiama le guardie.
"Ma perché, veramente non è una fan?" Chiede uno spostandosi.
"Ma quale fan, Nina è come una nipote per me, levatevi." Mi tira per una mano. "Che piacere vederti." Continua e ci incamminiamo.
"Zio Sal, potrei parlare con Clemente, per caso?"
"E certo che ci puoi parlare." Sorride e vedo un velo di malizia, qui mi sa che fanno tutti il tifo per noi.
Mi indica di seguirlo, bussa sulla porta e attende risposta.
"Clemè." Chiama non ricevendola.
"Mh." Sentiamo mugolare da dentro, così afferro la maniglia ed entro.
Clemente ha una bottiglia di birra in mano e altre 3/4 già finite.
"Ue bella, che piacere." Viene barcollante verso di me, mi poggia un braccio attorno al collo.
"Ma che cumbin?" (Ma che combini?) Suo zio lo riprende schiaffeggiandogli una guancia.
"Ho scritto quella canzone e 'sta stronza se ne è andata." Dice con un napoletano marcatissimo.
"Andiamo, Clemè, finiscila." Zio Sal continua.
"Che c'è? Il padre di tuo figlio è 'cchiù bell?" (È più bello?) Sembra quasi uno scolaro, trattengo una risata.
"Ma la vuoi smettere? Hai un'età." Rispondo a braccia conserte.
"Mi sa che è meglio parlargli in un altro momento." Continuo rivolgendomi a zio Sal, lo vedo annuire deluso dal comportamento di suo nipote.
"Nono, parlami pure, non sono scemo. Che mi sei venuta a dire?" Si mette a fissarmi. "Zio Sal, ci lasci soli?" Gli chiede e più che una richiesta sembra essere un ordine.
"Clemè, io sto qua fuori, comportati come si deve." Gli punta il dito.
"Nun te preoccupà, non le faccio niente." Risponde malizioso accarezzandomi il viso. "Allò? Che sei venuta a dirmi?" Mi gironzola attorno, l'alcol parla per lui. "Che mi ami, Nì? Che staremo assieme? Perché se non sei venuta a dirmi questo te ne può ij." (Te ne puoi andare) Mi urla contro.
"Clemè, calmati." Metto le mani avanti.
"Nun te vogl vere 'cchiù." (Non ti voglio vedere più) Mi dice in piena faccia schiaffandomi l'odore della birra fin dentro al naso.
"E allora smettila di venire in caffetteria, a casa mia, smettila di scrivermi canzoni." Lo scosto in malo modo.
"Che si turnat a fa? (Che sei tornata a fare?) Dovevi restare a Londra. Sei scappata da me quando io avevo più bisogno di te, non dovevi ritornare." Stringe i denti e lascia andare le lacrime, lo abbraccio istintivamente, così anziché calmarsi da sfogo a tutta la sua collera. Poggia la sua testa sul mio petto e piange la sua disperazione.
"Sai quante volte volevo correre a stringerti? Tenev paura, Nì. Ho pensato di morire e di non riuscire a vederti prima di farlo." Mi confessa, poi affonda la faccia sul mio petto e singhiozza quasi silenziosamente, come se stesse cominciando a provare vergogna.
Fisso nel vuoto, non avevo mai pensato a questo, non avevo mai valutato l'ipotesi che avesse potuto aver bisogno di me.
"Shh." Gli dico accarezzandogli la schiena. "Va tutto bene, è tutto passato." Continuo a parlargli a voce bassa.
Mi stringe più forte, tanto che riesco a sentire il suo battito accellerare.
"Dammi le chiavi della tua auto, sono rimasta a piedi." Lascio andare un sorriso. "Vieni." Lo incoraggio a seguirmi.
Lo porto in spiaggia, una leggera brezza marina rende l'aria frizzante, il cielo è pezzato di stelle e sono sicura che gli farà bene stare un po' qui.
"Rilassati, dai." Gli dico togliendomi le scarpe e sdraiandomi sulla sabbia, è fredda così balzo un momento.
Mi guarda intontito per un attimo, poi imita il mio gesto, si sdraia di fianco a me.
Resta a fissare il cielo, poi butta una veloce occhiata a me per poi ritornare a guardare in su.
Il vento ci accarezza il viso e una folata decisa mi sposta il lembo del mio vestitino bianco leggero. Mi scopre una coscia e vedo la sua attenzione catturata, sospira pesantemente poi fa cadere la sua mano sulla mia pelle scoperta.
Sento la pelle accapponarsi, un brivido leggero mi attraversa la schiena. Sono vulnerabile, ho abbassato la guardia e sono completamente disarmata.
Le sue mani, questo calore, sono come fuoco che mi invadono la carne.
Aspetta una mia mossa, non mi ritraggo, così con un gesto veloce mi costringe sdraiata sul suo corpo.
Socchiudo gli occhi e vorrei sparire, gli sto dando il lascia passare per tenermi in pugno.
Ride compiaciuto e mi passa una mano sulla guancia. "Come sei bella." Mi sussurra come se fosse un segreto.
"E tu banale." Rido e alla mia risata si unisce la sua.
"Ma è vero." Ritorna a confidare e la sua mano adesso è sulla mia spalla, giocherella con la bretella del vestito, fino a calarmela. Parte a baciarmi i centimetri di pelle che ha appena liberato da quel piccolo pezzo di stoffa, per poi scendere sul seno.
Gli porto le mani al viso, ormai sono in trappola e non credo nemmeno di avere voglia di liberarmi.
Così lascio che mi baci la carne, che si nutra di me, anima e corpo.
Le nostre labbra si incastrano perfettamente come se altre labbra non potessero mai essere la stessa cosa unite tra loro, risento il suo sapore, quello che mi è mancato per più di un anno. Improvvisamente ritorno a casa mia.
Clemente mi alza il vestito, mi entra dolcemente dentro. Ci muoviamo a ritmo, illuminati dalla luna.
Cadiamo addormentati e mezzi nudi, abbracciati e sazi.
Lo strattono non appena le prime luci dell'alba mi accarezzano il viso.
"Oh cazzo." Mi ricompongo. "Clemente, svegliati."
"Che è stat?" Si stropiccia gli occhi e si mette a sedere.
"È quasi giorno, andiamo." Mi alzo e metto le scarpe.
"Dobbiamo proprio?" Si strofina nuovamente il viso.
"Dobbiamo, sì. Io ho un figlio, tu la tua vita e..." mi arresto e calo il viso, così me lo rialza per farsi guardare. "E dobbiamo fare finta che tutto questo non sia mai successo." Deglutisco e scappo alla sua presa.
"Perché?" Quasi mi urla contro.
"Perché io non voglio casini, devo crescere mio figlio e restare concentrata. Tu sei un cazzo di guaio con i piedi, io non posso avvicinarmi a te." Gli confido con i pugni stretti.
"Sali in macchina, Nì." Mi ordina e nemmeno mi guarda più in faccia, così mi accompagna nel silenzio più totale.
Entro in casa e tutti dormono, tutti meno mio padre intento a bere un caffè.
"Buongiorno Ninù." Sorride con la sua aria bonaria, guarda poi fuori dalla finestra. "Glielo hai detto?"
Scuoto la testa, ho una guerra dentro che non cessa di esser combattuta.
"Dovrei chiederti come mai sei uscita con Milena e tornata con lui? A quest ora del mattino?" Sorseggia rumorosamente.
"Andiamo, papà, nemmeno a 16 anni facevi certe domande." Rido sarcastica.
Alza le mani in segno di resa.
"Nì, quello è suo figlio, ricordatelo sempre." Sentenzia ancora ed esce di casa.

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