꧁༺PROLOGO༻꧂


꧁༺Anno 1080

Paludi di Okefenokee●

«Tienilo forte! Aggancia al muro quel dannato anello. Fallo! Ora!» le voci mi arrivavano a forma di proiettile nelle orecchie, i timpani, mi segnalavano che stava tramontando, da lì a poco avrei perso ogni briciolo di me stesso. Senza nemmeno capire cosa o chi ero, ruggii, le pareti della stanza sotterranea tremarono, la porta di ferro produsse un suono troppo acuto per sopportarlo ancora.

«Dannazione, conficca quel dannato anello nella vite. Fallo subito, e tu, passami quella ampolla. Ora! Maledetto, muoviti!», il sudore di Esteban, scivolava nel suo corpo emanando un odore corporeo disgustoso, ma non avrei dovuto saperlo, no, se fossi umano, non avrei mai e poi mai percepito il suo battito, non avrei capito la sua intonazione, o il sangue che pulsava convulso nel suo collo, oppure nelle sue tempie. Se fossi umano, non avrei sentiti le movenze delle dita, l’osso del ginocchio sinistro scricchiolare, o il respiro dei dieci uomini che erano nella cella insieme a lui per fare ciò che dovevano ogni sera.

«Bevi!» mi ordinò Esteban Infilandomi a forza quel liquido viscido come l'acqua sporca di una palude. Il sapore era altrettanto terribile, sapeva di cenere e di vomito con un mix di carne morta e in decomposizione. Ma se non volevo uccidere ogni uomo che era nella stanza dovevo costringermi a bere. Ruggii di nuovo, sentendo le mie ossa allargarsi, ingrossarsi, gli occhi spalancarsi per la trasformazione.

«Bevi di più Zac. Ingurgita questo dannato veleno!» urlò Esteban, ma l’unica cosa che riuscivo a sentire era lo scorrere della bufera fuori nella radura, le voci e i falò crepitanti nel villaggio più lontano, l’odore del sangue e il sudore delle persone, le loro risate, riuscivo a vedere, la foresta, i grossi alberi smussati dal vento, le radici e l’acqua che scorreva sotto il suolo. Il sangue. L’odore del sangue mi giunse forte e chiaro alle narici, in quel villaggio qualcuno si era fatto male. E ruggii ancora prima che Esteban mi conficcasse in gola il liquido schifoso.

«Andatevene, ora. Andatevene tutti oppure morirete!» urlò agli altri uomini, che non attesero oltre e scomparirono immediatamente.

«VATTENE!», ruggii rivolto verso il mio amico, l’odore della paura, in Esteban, mi fece allargare le narici, e un liquido simile alla bava mi scese dalla bocca lungo la gola. Ero affamato. Il corpo bruciava, un bruciore nuovo, ogni giorno, era come se dovessi rifare tutto da capo. Sapevo cosa mi sarebbe successo tra pochi secondo. Avrei perso la memoria, avrei dimenticato chi fossi fino alle prime luci dell’alba. Sapevo, che se non fossi stato legato avrei ucciso ogni persona, animale, o chicchessia.

La paura del mio amico, mi rese più facile la trasformazione, stavo cambiando, vedevo rosso, e vedevo oltre i muri, e le colline, oltre il buio e la bufera. Avrei perso la ragione.

«Ricordati chi sei Zacariel. Ricordati chi sei…», disse Esteban prima di voltarsi e scappare correndo. Mi bruciavano le vene, il veleno fungeva da antidoto alla maledizione in corso, ma c’era poco da fare, quando l’antidoto era stato la maledizione.

Dovevo respirare. Fare grossi respiri per calmare il battito forsennata del mio cuore. Dovevo dimenticare il dolore alle ossa, oppure il bruciore al cranio, che sembrava come se qualcosa ci avesse conficcato le fauci e mi stesse sradicando il cervello. Strattonai le catene pesanti e spesse, volevo liberarmi per graffiare ogni parte di me e per alleviare almeno un po’ il dolore.

Ma non successe nulla. Strattonai ancora, il respiro venne meno, il petto bruciava, la testa mi si stava spaccando a metà. Strattonai, e strattonai, con una forza inimmaginabile, sentii il muro creparsi e la trasformazione giungere a termine. Le voci si fecero più squillanti, gli odori più densi, la vista più acuta. Riuscivo a vedere ogni cosa, ogni persona, sentivo ogni battito e poi lo vidi. Una figura spaventata nascosta dietro la porta di ferro, si era rannicchiato dietro alle sbarre il più lontano possibile, ma non sarebbe sfuggito. Annusai l’aria, e con un respiro profondo, staccai il chiodo enorme dal muro, mi liberai finalmente le braccia. E la mia furia ebbe inizio. Fui capace di sentire soltanto le urla e il sapore ferroso del sangue mi scivolò in gola prima di perdermi per sempre.


꧁༺1500

Paludi di Okefenokee

Mi avevano di nuovo segregato in una cella, avevo detto a Esteban che non avrebbe funzionato, osservai il muro e le cinghie spesse attaccate ad essa, temevo che nulla mi avrebbe fermato.

Durante le lune rosse avevo sempre fatto spargere del sangue, e benché mi ero preparato, sapevo che nulla mi avrebbe fermato. Sarei stato all’apice delle mie forze.

«Bisogna farli agganciare alle travi. Non resisteranno», dissi al mio migliore amico. «Pensi che sia meglio? Nell’ultimo decennio hanno funzionato», rispose aggrottando la fronte.

«Lo so, ma stasera, non è come le altre sere. Stasera c’è la luna rossa. E sai cosa succederà»,

«Porterò tutti bambini nelle cripte, e gli uomini si trasformeranno, così da correre nel caso tu sfugga. Non ce altro da fare ora Zac. Quindi, legati da solo mancano pochi minuti al tramonto». Inutile dire, quanto mi sforzavo di sembrare umano, quando di umano oltre l’aspetto in me non c’era null’altro.

Ero stato giovane e avventato, e per centinaia di anni, ne avevo pagato le conseguenze. Vivevo in un loop dell’orrore senza una via d’uscita.

«Parti subito alla ricerca. È l’unica cosa che ti chiedo. Con la luna rossa, lo sentirete tutti, e sarete più forti».

Il mio migliore amico sospirò. «E se fosse soltanto un bambino? Oppure un neonato? Zac…», non voleva aggiungere altro, ma io percepii le parole non dette.

«La mia anima è marcita da secoli, Esteban, che differenza farebbe?» Il mio amico batté le mani nelle cosce, aiutandomi con le catene.

«Vedrò cosa riesco a trovare. Uno degli sciamani Gulk dice che nella foresta peruviana abita uno stregone che potrebbe saperne di più. Ma sarebbe rischioso andarci. Quindi vedrò che riesco a fare».

«Metti i bambini subito nella cripta, e parti immediatamente», aggiunsi sentendo il pizzicare nelle ossa, la trasformazione stava iniziando. Sentivo le onde del mare infrangersi contro le rocce, le voci lontane chilometri, il flusso dei ruscelli...

«Partirò subito. Ci vorranno diversi giorni per raggiungere la foresta, ma troverò qualcosa, non tornerò a mani vuote». La trasformazione mi lascerò l’anima a brandelli il dolore superava di gran lunga l’immaginabile, chiusi gli occhi per ultima volta da umano per poi essere trasformato in bestia. Non ricordai nulla della notte precedente, ma i corpi senz’anima e con la gola squartata mi fecero capire ciò che avevo fatto a quel villaggio.

Avevo sterminato un villaggio intero. Il dolore e la rabbia erano un mix micidiale che facevano parte della mia essenza, non potevo cambiare ciò che ero. Nessuno poteva. Per molti secoli ero stato costretto a uccidere senza volerlo, e sarebbe continuato ad accadere, ogni sera, fino all’eterno.

꧁༺1708

Le Paludi di Okefenokee

«Scappate! Scappate!»
Le campane suonavano ad un ritmo costante, segnalando il pericolo nella Bay Stun, il suono era riconoscibile, venti tacche in Do maggiore seguite dal Sol minore subito dopo. Il profumo della paura, del fumo dei rogni, e delle paludi simile alle feci, erano l’unica cosa che mi ricordavano di essere ancora per un paio di minuti umano.

I cuori battevano ad un ritmo forsennata, mentre le persone scappavano ad ogni direzione per sfuggire a un destino già scritto.

Circa sette miglia più lontano, una capanna stava andando a fuoco, e sentivo forte e chiaro l’odore del sangue, urla di dolore. C’era una forte intensità che arrivava da quella capanna, e tesi le orecchie affidandomi poi subito dopo al olfatto, profumo di gelsomino.

Presi a correre in quella direzione mentre la trasformazione stava iniziando ad avere i suoi effetti, mi pizzicava la pelle, il mio sangue bruciava e urlava ai muscoli di non ribellarsi, ogni arto si estendeva. Corsi per miglia e miglia, fino a giungere in quella capanna che andava a fuoco.

«Aaaahh! Ahhhh!», le urla, erano di una donna. Annusai l’aria, e sentii due battiti, qualcuno era insieme a lei, il sangue scorreva velocemente lungo le cosce di quella donna.

La bava mi scese lungo la gola. Entrai dentro, mancavano pochissimi minuti e avrei dimenticato ogni cosa. Mi feci strada tra le travi bruciacchiate, il tetto in fiamme, e il fumo tossico, le urla di quella donna mi chiamavano a gran voce.

Giunsi di fronte a lei che era seduta a terra con le gambe spalancate, lungo le cosce macchiate di sangue scorreva a fiotti il liquido cremisi, la pancia gonfia. Era da sola, avevo sentito due battiti perché uno era del bambino dentro di lei. Emanava una puzza di sudore e piscio, ma non c’era traccia di paura nel suo cuore.

Era bellissima, sofferente, dai tratti sottili e ammaliante, capelli neri e piccoli riccioli le incorniciano il volto dolorante, occhi neri, profondi, quelle mani esili che tremavano.

«Passami quella coperta!» mi urlò contro, indicando uno straccio sporco sopra il letto di paglia. «P-passamelo ora, demone. Aaahhhh!», la donna si piegò su sé stessa per il dolore, stava partorendo da sola, in mezzo a una capanna che andava a fuoco, mi conosceva, e non aveva paura di me.

Presi il panno e glielo passai. Ma con un urlo viscerale, la donna spinse e un bambino, fece capolino dalle sue cosce, pianse, il primo vagito fece urlare e piangere di felicità la donna, prima di stringerlo a sé e coprire il piccolo corpicino. Con quel lenzuolo sporco.

«Quanto ti resta?» domandò serissima tremando, continuava a perdere sangue e il suo colorito stava cedendo il posto a un giallognolo spaventoso. Non serviva che la uccidessi, stava già morendo. 

«Sette minuti a partire da adesso».

«Portalo nel tuo palazzo. Per favore, prendilo! E portalo al tuo palazzo! Salvalo!» mi pregò porgendo il bambino con le mani tremanti.

«Perché dovrei? La tua razza mi ha condannato in eterno». La strega mi osservò, gli occhi neri brillarono, e iniziò a canticchiare dei sermoni sulla testa ancora pieno di sangue del bambino. Aggrottai la fronte, ormai sentivo le ossa urlare.

«Perché il mio bambino, sarà l'inizio della tua salvezza».

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🩸Zacariel Winter🩸

꧁༺SPAZIO AUTRICE ༻꧂

꧁༺Ciao, miei cari lettor༻꧂
Questa storia è un esperimento per me in primis. Il prologo lascia desiderare, ma siate carini con me e non me ne volete. Sto cercando di creare qualcosa di zero.
Ogni capitolo, azione e forma magica, è prodotto dalla mia immaginazione. In questa storia, troverete una nuova idea del Lupo Mannaro che ho in testa e che non ha proprio a che fare con i film e con le serie che abbiamo visto in TV.

Se possiamo immaginare i vampiri brillare alla luce del sole, perché non immaginare anche i Lupi, assetati di sangue e vederli trasformarsi ogni notte?

Come sempre vi ricordo che gradirei il vostro sostegno con una stellina e un commento e soprattutto con la PASSAPAROLA che è fondamentale a far crescere la storia.

Vostra per sempre
꧁༺Kappa_07༻꧂

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