Capitolo 3


Zaira

Se qualcuno sapesse cosa vuol dire la parola follia. Nessuno sarebbe folle nemmeno per scherzo.

Kappa_07

«Guen.Voglio che tu mi dica chi era quello alla porta. Perché lo hai chiamato "corvo"e perché dovevo restare nascosta?» le chiesi con un tono deciso che non ammetteva repliche.

Guen mi liquidò con un'alzata di mano, poi si volse verso la cucina. Erano le undici di mattina, i costruttori erano arrivati alle otto e avevano già iniziato a ispezionare la stanza che doveva poi essere mia.

Da quel momento non avevo avuto modo di parlare né con la nonna né con Guen che aveva cercato di evitarmi per ben quattro ora. La seguii a ruota verso la cucina. La nonna era uscita per delle commissioni senza darci nessuna spiegazione.

Eppure,non facevo altro che pensare a quello e alla fatidica mappa che stava cercando.Guen si fermò di fronte al forno e lo aprii per infilarci dentro uno sfornato di patate che aveva preparato cantando.

«Se ti dicessi tutto quello che dovresti sapere ti scoppierebbe il cervello». Mi rispose. Alzai un sopracciglio.

«Beh, allora inizia. Così valuterò se fermarti per tempo o decidere di diventare completamente pazza». Mi strinsi le mani al petto.

«Non te lo posso dire Zaira. Non da sola. Adesso vieni a aiutami con la legna», si avviò verso la porta sul retro.

Aggrottai la fronte seguendola. «Da sola? Che cosa intendi quando dici così?» Le chiesi piegandomi per mettere sul braccio una pila di legna per la stufa.

«Lo capirai. Ma ora... rilassati. È l'unica cosa che ti chiedo. Quando sei sulle spine mi fai venire il mal di testa». Chiusi gli occhi e sospirai. «Se saremmo amiche come dici, gradirei che mi dicessi tutto. Come è giusto che sia fra due migliori amiche». Parlai con una nota di fastidio nella voce.

Guendalina si fermò con una grossa pila di legna inbraccio e si voltò verso di me gli occhi ambra ben dilatati, nel volto la preoccupazione. Era interdetta.

«Lo so. Lo so. Ma loro poi si arrabbierebbero con me per avertelo detto e sono capaci di tali punizioni che mi viene la pelle d'oca se ci penso», rispose facendo il verso del brivido.

Aprii la bocca scioccata. «Con loro intendi la congrega?» chiesi assottigliando lo sguardo.
Guendalina annuii, annusò l'aria e poi mi condusse dentro. Ero confusa e benché ancora non credessi a nulla di quello che usciva dalla loro bocca, il sogno che avevo fatto la notte precedente, mi aveva per lo meno spaventata abbastanza da non dare nulla per scontato.

Quindi una volta depositato la pila di legna nel secchio di fianco alla stufa accesa mi sedetti su di una sedia. «Non possiamo parlare di loro mai fuori di qui. Ma sì. Parlavo della congrega». Rispose Guen decisa. La invitai a sedersi.

«La casa per lo meno è sicura, e ci protegge dai loro occhi grazie alle rune che tua nonna ha intagliato nel corso dei s— anni...»si mosse sulla sedia deglutendo.

«E loro questo non lo sanno perché le rune sono invisibili ai loro occhi e alla loro magia. L'incantesimo che protegge questa casa è antica e molto difficile da carpire, ma comunque sia. Devi sapere che sono malvage. E non dico malvage per il modo di dire. Ti assicuro che sono capaci di tali atrocità che nemmeno ti passerebbe per la testa. E io...», si strinse nelle spalle. «Non posso dirti niente finché non arrivano le altre. Siamo in tre adesso. Due, contando sul fatto che tu non sai nulla di nulla. E siamo scoperte. Quindi fidati di me. Abbi pazienza e tutto ti sarà rivelato».

Mi appoggiai sulla sedia confusa oltre ogni cosa. Se la congrega è malvagia allora perché la nonna ne fa parte? E chi erano queste altre che dovevano arrivare?

«Fammi capire...», mi sfregai le tempie. «Tu sei convinta che io sia una strega?» ero incredula. Non riuscivo a dare un senso logico alle mie stesse parole.

Guen sbuffò rumorosamente. «Certo che lo sei. Devi solo esercitarti. Tu credi di non esserlo?» mi chiese lei con gli occhi spalancati.

Mi avvicinai lentamente col busto verso di lei. «Ti sembrò una strega per caso?» le feci. Guen annuii senza il minimo dubbio. «Certo. L'ho capito appena ti ho vista stamattina. È solo che non riesco a definirti» concluse appoggiandosi allo schienale.

Aprii la bocca richiudendolasubito dopo. «Sei sicura che tutto questo non sia uno scherzo per me Insomma...voglio dire...» non sapevo come riuscire a formulare una frase decente. Ero convinta che mi stessero prendendo in giro. «Io fino a oggi credevo che la nonna stesse blaterando. Ma...», lasciai la frase a metà perché supporre anche solo che loro sapessero fare magie mi faceva formicolare la base del collo.

«Quindi tu sai fare le magie?» le chiesi curiosissima avvicinandomici. Guen non sapeva cosa dire, ma in fine mosse la testa a destra e a sinistra lentamente guardando il soffitto.

«In teoria dovrei, ma i miei poteri non si sono ancora manifestati. Babel dice che accadrà quando saremmo tutte al completo». Annuii senza capirci nulla.

«E allora come fai a vedere le cose prima che accadano?Cioè oggi hai visto quello». Guen si sedette sulla sedia tamburellando le dita sul legno del tavolo.

«Ecco, quello è qualcosa che nemmeno Babel è riuscita a spiegarmi, ma mi è capitato per la prima volta una settimana fa. Ero nel bosco e stavo raccogliendo le more selvatiche, e all'improvviso ho visto te. Te arrivare qui, dalla nonna».

Sgranai gli occhi, con una leggera pelle d'oca. «Me? Perché me?» le chiesi confusa.

«Probabilmente perché sei l'ultima stregadiscendente da una stirpe lunga secoli e secoli e forse questo centra qualcosa.» si strinse in spalle di nuovo. «Non saprei comunque. È tutto ancora molto confuso.» concluse prendendo un ceppo e infilandolo nella stufa. «Forse perché sei la prescelta».

Sbattei le ciglia. «La prescelta? Di cosa esattamente?» Guen si alzò ponendosi le mani sulla gonna lunga del suo vestito.

«Basta, ho parlato anche troppo. Tua nonna sta arrivando».

Tutto il pomeriggio lo passai rimuginando sulle parole di Guen, prendere in dettaglio ogni sua parola, mi fece martellare il cervello, eppure, per quanto cercai di trovare un senso logico, non riuscivo a sentire quella sensazione di disaggio dentro di me. Era come se avessi un orologio che faceva gong nel mio orecchio ad ogni ora, e per quanto cercavo di scordare le sue parole, non riuscivo a smettere di pensare al fatidico momento che avrebbe smesso di ticchettare.

Quella mattina, mia nonna era entrata in casa con un grosso cipiglio sul volto, che le aveva deformato le sopracciglia scure, le avevo chiesto di illuminarmi sulla faccenda, ma mi aveva liquidata con tono brusco ed era andata in negozio. Non sapevo a cosa servisse quella mappa, e nemmeno chi erano quegli uomini che la cercavano con cotanta frequenza, ma potevo benissimo supporre che avesse a che fare con qualcosa di grave.

Nel pomerigglio, mi ero messa a leggere un libro in veranda quando quegli uomini tornarono, grazie al tetto, riuscivo a vedere chi entrava ed usciva dal negozio, ma il parapetto era abbastanza alto, da non permettere a nessuno di alzare lo sguardo in su e trovarmi sbirciare sotto.

Erano quelli dell'altro giorno, c'era quello col cappotto che camminava a passo deciso a fianco del biondo scemo. Assottigliai lo sguardo e sentii nel petto, la voglia di scoprire di più su quella facendo, così decisi di scendere di sotto.

Attraversai di soppiatto la cucina, uscii in giardino ed entrai sul retro del negozio avvicinandomi pericolosamente alla porta. Abbassai la testa e tesi le orecchie, mi si arricciarono le dita dei piedi quando la nonna disse: «Non c'è nulla qui per voi. Gliel'ho già detto al vostro padrone. La mappa non si trova».

I due uomini stettero in silenzio per un po', poi quello che supposi fosse la voce del biondo che avevo preso in giro disse: «Voi streghe siete tutte così altezzose? Oppure solo tu, vecchia».

«Direi che sarebbe meglio per te stare zitto cucciolo, altrimenti alla luna piena ti troverai una bella gatta da pelare». Lo minacciò la nonna. Quello ringhiò, era un verso gutturale di petto, ma che mi fece rizzare i peli del braccio.

«Attenta. Babel. Finora siamo stati solo gentili, ma se preferisci le maniere forti...»,lasciò la frase in sospeso l'altro.

«Dite al vostro signore che non ho la mappa. Non so chi l'ha presa e non voglio nulla a che fare con questa caccia che state mettendo in atto ultimamente. Ditegli anche...» i passi delle scarpe col tacco della nonna riecheggiarono sul pavimento, annunciandomi che si era avvicinata ai due.
«se continuerà a tornare qui, a casa mia o inviare i suoi cagnoni a minacciarmi, prenderò provvedimenti seri. A partire dalla congrega, scommetto che sarebbero felici di sapere chi è tornato in questa città».

Aggrottai la fronte confusa e avida di sapere di più. Forse parlavano di quell'uomo? Quello da cui volevano mi nascondessi? Chi era, e che cosa poteva mai centrare la congrega?

«Ci stai minacciando Babel?» chiese quello col cappotto e i capelli neri, ma la voce e il tono greve mi fece formicolare la base del collo.

«Zaira! Cosa ci fai qui?», sussultai,e il cuore prese a battere veloce nella cassa toracica, ero rimasta nascosta tutto il tempo dietro la porta, ma Guen aveva urlato il mio nome come se fosse preda di una isteria, ed era impossibile che loro non se ne fossero accorti.

Mi morsicai le labbra, facendole il verso di stare zitta con l'indice premuto contro. Lei sgranò gli occhi, avvicinandosi. Le voci aldilà della porta cessarono di botto, l'unico rumore che sentivo era il battito del mio cuore accelerato rimbombante nelle orecchie.

Poi, la porta si spalancò completamente e l'omone dagli occhi marroni, i tratti burberi e alto come un colosso mi si parò davanti. Sgranai gli occhi, Guen sembrava pietrificata. Quello lì annusò l'aria, e con un ghigno perfido disse: «Gelsomino. Sai di gelsomino».

Non sapevo cosa significava, ma il modo in cui mi perforava con quegli occhi e quel tatto deciso, mi fecero correre un brivido lungo la schiena.

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