Capitolo 1
꧁༺Zaira༻꧂
Maggio 2024
Salem, Massachusetts
A chi ha voglia di aprire gli occhi dentro l'abisso, pur sapendo che non ci sarà mai luce.
(Questo capitolo, lo dedico a te lettore, per essere sempre al mio fianco).
Kappa_07
«C’è scritto che questo giradischi risale all’anno 1600 è vero?» chiese il ragazzo biondo, scrutando in dettaglio l’enorme aggeggio che avevo posizionato sopra il tavolo vittoriano vicino alla vetrata.
Era uno dei pezzi più rari che avevamo in negozio, la canna era tutta disegnata a mano, moltissimi anni fa raffigurando angeli con le corna, e ali spezzate.
Il megafono modellato e decorato con spirali hawaiani come direbbero i giovani d’oggi raffiguravano roghi e acqua, la base in metallo liscia del tutto nera, sì era decisamente uno dei pezzi più preziosi che avevamo. Ma leggere millenovecento, per milleseicento, voleva dire che era proprio analfabeta
«È proprio vero, molti anni fa, quando il re di spagna voleva sentire la musica nei giorni felici non voleva usare altro che questo giradischi. La leggenda narrava, che durante le sue lunghe nottate senza sonno, questo giradischi li tenesse compagnia, e che in realtà, le melodie che sprigionava, erano le voci delle persone che aveva massacrato in battaglia e poi imprigionato nel giradischi, una sinfonia cupa e macabra, ma l’unica che lo facesse dormire tranquillo».
Feci un largo sorriso, chiudendo gli occhi e aprendo la bocca per mostrargli denti mentre gli rifilavo quella bugia ingegnosa. A volte mi meravigliato di me stessa.
Non era colpa mia se le persone erano sceme.
Il ragazzo, inorridì spalancando gli occhi marroni, e si allontanò velocemente ma con stile dall’aggeggio. Il suo compagno, non parlò, era intento a studiare le piccole pergamene che mia nonna aveva accuratamente sistemato negli appositi buchi rotondetti sulla parete destra vicino alla libreria.
Sembrava non averci fatto caso, e mi incuriosii assai, il suo modo di studiare minuziosamente ogni dettaglio, sfregava le dita lunghe sulla carta, come se potesse sentire gli anni semplicemente dal tatto. Era talmente impegnato a cercare, che non mi presi la briga di disturbarlo, mentre il suo amico, quello biondo che avevo preso in giro alla grande, mi fissava torvo.
“forse si era reso conto, dopotutto che era proprio scemo”.
Quello occupato a cercare, aveva i capelli castani, un po’ mossi e lunghi fino alle spalle, indossava un cappotto pesante di color marrone, anche se eravamo a maggio, e il caldo si stava facendo sentire. D’improvviso, raddirizzò la schiena e si volse verso di me. Aveva gli occhi neri, e un’aria impassibile in volto, con un sospiro leggero si infilò la mano destra nella tasca del cappotto estraendo subito dopo un foglio stropicciato.
Lo lesse e poi si rivolse a me. «Hai qualche mappa che risale a dopo la prima guerra mondiale?»
«In verità, non ne ho idea. Sono nuova, qui. Se vuole però le chiamo la proprietaria del negozio, lei saprebbe dare una risposta concreta».
Quell’uomo annuì, con una smorfia, ma professionalmente gli sorrisi.
«Chiamala», disse con un tono che non ammetteva repliche. Strinsi i denti, odiavo i clienti altezzosi, ma bisognava mantenere un certo comportamento, e poi sapevo bene, che la nonna non stava ingrandendo molto bene con il negozio, quindi ci mancava solo che le facessi una brutta pubblicità.
Raddrizza la schiena, e mi voltai alla sinistra, andando dietro al bancone dove rimaneva la porta che portava sul retro, dove mia nonna stava cucendo un pezzo di stoffa marrone su una tela nera, con delle rune.
Adorava le rune, diceva che la proteggevano, ma io non è che poi ci credessi così tanto.
«Se non credi, non avrai mai la loro protezione Zaira», disse tirando il filo che si era ingarbugliato nell’asola. «Ma tanto che te lo dico a fare, i tuoi genitori alla fine non ti hanno insegnato niente, tranne ciancie inutili che non serviranno a niente». Sospirò amareggiata.
Non risposi, era sempre la stessa cosa con mia nonna, aveva sempre da ridire su sua figlia e suo genero per come mi avevano cresciuti. Chi al giorno d’oggi sarebbe andato in giro con un amuleto ad ogni parte del corpo per proteggersi da cose che non esistevano? Mia nonna era ovvio.
«Nonna, c’è qualcuno di là, che chiede delle mappe durante la prima guerra mondiale, puoi venire per favore?» le chiesi invece. Mia nonna scosse la testa, consapevole che era anche un modo per non continuare con le sue parole senza senso.
Depose la tela sul tavolo di legno di fronte a sé e si alzò piano, lasciando il suo abito nero che le arrivava fino alle caviglie. «Vediamo» rispose raggiungendomi.
Una volta ritornate dentro al negozio, trovammo i due uomini parlare a bassa voce, si fermarono appena ci videro.
«Buongiorno signori, come posso aiutarvi?» chiese nonna restando a debita distanza. L’uomo le chiese di nuovo la mappa, e mia nonna si avvicinò allo scaffale, precisamente a un cerchietto vuoto, aggrottò la fronte, si picchettò la tempia, e poi si volse verso l’uomo.
«Mi duole dirle che è stata venduta, se vuole però abbiamo le mappe dei confini d’America durante la prima guerra mondiale».
L’uomo, restò imperturbabile, ma capii che fosse deluso. «Ha idea chi potrebbe averlo comprato? Sarei disposto a pagare il doppio della cifra che chiede».
Si ostinò.
Alzai un sopracciglio, curiosa, del perché voleva così tanto acquistare un pezzo inutile, se non per anti1uariato, ma mia nonna, con voce decisa disse: «Mi dispiace, non teniamo un registro dei nostri clienti, non saprei proprio aiutarla in questo caso. Se non volete acquistare altro, vi chiederei gentilmente di andarvene».
Aggrottai la fronte, ero decisamente sorpresa, che la nonna gli avesse detto una bugia, era palese, poiché il registro era proprio sopra il bancone, ma che gli esortasse addirittura di andarsene…
«Le chiediamo scusa per il disturbo», disse quello con il cappotto pesante, tenendo un’espressione neutrale, se si fosse offeso, non lo diede a vedere.
«Nessun disturbo», rispose nonna. Mi resi conto, di avermi, fatto da scudo, dietro le sue spalle, una consapevolezza che intuii solo quando gli occhi di quell’uomo di un nero intenso, mi inchiodarono. Fu solo un attimo, prima di muoversi e lasciare il negozio.
Mi voltai verso mia nonna, con il mento in alto. «Non sapevo che dici bugie nonna». Lei, si mosse con una movenza regale, per pochi, nel suo abito nero, lungo e dalle maniche lunghe di seta.
«Solo quando serve», rispose allontanandosi.
«Se lo dici tu…»
Ma ormai era sparita dietro la porta diretta a cucire quella tela. Mi fermai ancora per un po’ al negozio, e solo quando calò il sole, mi permisi di andare al secondo piano dove c’era la casa di nonna.
Aveva fatto spazio nella mansarda per me, anche se delle cianfrusaglie impacchettate in diverse scatole era ancora intatte all’angolo a desta. Il mio letto comprendeva una piazza e mezzo, appoggiato al muro, c’era una finestra proprio a ovest che si affacciava al bosco, che guardandolo di notte mi generava una paura terribile, ecco perché tirai velocemente le tende blu scure pesanti. Non volevo vedere l’oscurità che inglobava il bosco di Salem.
Questa città mi inquietava da morire, ma dovevo farmelo andare bene, finché non avrei trovato un posto tutto mio, prima o poi. Nel corso dei diciassette anni, i miei genitori mi avevano sballottata ad ogni angolo della superficie terrestre con la loro carovana del circo mettendo in scena spettacoli particolari che parlavano di streghe e magia e ogni genere di mostro che non esisteva, per questo sentivo il bisogno di avere un posto tutto mio, ora che non c'erano più.
Qualcuno bussò due volte alla porta di legno, facendo tremare le travi del soffitto, alzai gli occhi in su notando il legno, marcito.
«Bambina mia, sei sveglia?» chiese mia nonna. Usava sempre un tono dolce nei miei confronti, quando voleva, ovviamente.
«Sì, nonna, entra» mi sedetti sul letto che scricciolo, le brande erano vecchie e consumate. La prima cosa da fare era cambiarle. Appena nonna aveva del tempo per accompagnarmi al negozio ovviamente. Entrò aprendo la porta che produsse un suono simile a un criceto e restò di fronte a me prima di dare un’occhiata alla stanza improvvisata.
«Domani, chiamerò i costruttori, per aggiustare la stanza a ovest al secondo piano, non mi sento tranquilla lasciarti qui dentro. Si aggirano dei spiriti neutrali», disse convinta.
Mi obbligai a non alzare gli occhi al cielo. A volte mi sembrava troppo convinta di ciò che diceva.
«Non esistono gli spiriti nonna». Risposi sospirando. Lei mi diede un’occhiataccia con i suoi occhi neri, come la pece che ti entravano dentro fino alle fondamenta.
«Esistono, e ce ne sono tre in questa stanza, ma non ti faranno nulla, almeno finché non gli infastidisci».
«Ah, molto rassicurante», aggiunsi guardandomi a destra e a sinistra ma non vidi nulla. Anche se sentivo un po’ di paura.
“Sciocchezze erano tutte sciocchezze, la nonna ha vissuto da solo per moltissimo tempo, e forse si è creato un mondo tutto suo”
«Come ti ho detto ci sono cose che non conosci ancora, e per il momento ti lascerò il tempo di abituarti a questa città, ma poi, ti dirò tutto. Per ora dormi, io sono al piano di sotto, e in questa casa, nulla ti può fare del male. Buonanotte».
Aprii la bocca scioccata, ogni parola che diceva, era più assurda dell’altra, ma non mi andava di chiedere spiegazioni, perché mi avrebbe confusa molto di più.
«Buonanotte nonna».
꧁༺IL SOGNO༻꧂
Catene, c’erano catene ovunque, erano di ferro marcito, consumate dal tempo e bruciavano sulla mia pelle. I polsi sanguinavano ma il sangue era nero, come il profondo di un pozzo senza luce.
Il cuore mi bruciava, non batteva, ma bruciava, come se fosse avvolto dalle fiamme, e tutto il mio corpo era freddo come un pezzo di ghiaccio che brucia e ghiaccia lentamente ogni cosa.
Buia e tetra era la cella dove mi ritrovavo incatenata, strillavo, urlavo a chiunque di salvarmi perché il dolore superava di gran lunga la mia immaginazione, ma tutto d’un tratto qualcuno senza volto, avvolto dalle tenebre e con gli occhi gialli come il male puro mi si manifestò di fronte dal nulla.
«Non piangere marea. Non piangere, altrimenti scatenerai la furia del mare».
Quella voce era cavernosa e potente, mi tremarono le viscere, e le catene si strinsero maggiormente ai miei polsi recidendo la pelle fredda che bruciava facendo eco nel mio cuore.
«Ti prego aiutami. Aiutami, aiutami. Fa male». Piangevo disperata, la voce mozzata per il dolore.
Quello senza volto ghignò e i suoi denti aguzzi mi si pararono di fronte, urlai quando dal suo braccio, un enorme serpente nero, strisciò di fronte ai miei occhi con la lingua biforcuta che si muoveva velocemente.
«Non piangere, altrimenti scatenerai la furia della terra», sibilò il serpente.
Non sentivo più nessuna parte del corpo, era come se ogni parte di me, tranne la voce, fosse stata anestetizzata.
«È l-l-lei…» sibilò il serpente. «Ssss-trappale il cuore».
Urlai, ma l’orrore non sarebbe finito lì, la figura di fronte a me, si fece grossa, più grossa di quello che avrei mai immaginato, un'occhio diventò rosso sangue e l'altro giallo e lungo come quello del serpente. Lungo la bocca pieni di denti aguzzi e affilati, scivolava la bava che risuonava sul pavimento come le ultime gocce risuonavano dentro a un secchio già pieno. Plicq-plicq-plicq.
«Non farlo! T-ti prego non farlo!» gridavo disperata, ma la figura, aveva la mano tesa e degli artigli, simili a lunghe spade le fuoriuscirono dalle unghie. «Devo farlo, piccola marea, altrimenti scatenerai la furia del mondo contro di me, ancora e ancora, in eterno». Disse con voce graffiante.
Con un movimento fulmineo trapassò il mio torace e mi strappò il cuore ancora pulsante dal petto, il sangue gli imbrattò il braccio, e solo quando se lo portò alla bocca ed iniziò a masticare il mio cuore caldo, chiusi gli occhi per sempre.
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꧁༺SPAZIO AUTRICE ༻꧂
Ciao cuoricini viola.
Che ne pensate del primo capitolo?
Fatemelo sapere nei commenti. E se volete mi potete sostenere con una stellina, su instagram portando contenuti per far conoscere la storia e con la PASSAPAROLA che per me è fondamentale.
Intanto beccatevi una foto della nostra ZAIRA prima di pubblicare il cast appena è pronto
Un abbraccia
Vostra per sempre
💜Kappa_07💜
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