Capitolo tre
Quando si risvegliò, Sheeva non ricordò subito dove si trovasse. La luce forte del sole lo disturbò, così come il chiacchiericcio di alcuni degli inquilini della torre. Era appena l'alba, ma la luce a quell'ora era molta di più, rispetto a quella alla quale era abituato.
C'era un fontana, su un lato della torre, e Sheeva vi si avvicinò per bere. Nonostante quello fosse un posto a lui sconosciuto, aveva dormito profondamente, e la cosa lo mise a disagio. Igaar avrebbe voluto che rimanesse vigile a ogni ora, ma lui aveva viaggiato un sacco negli ultimi giorni, ed era stanco e provato. Non aveva fatto niente di male concedendosi di riposare, si convinse.
Si specchiò nella fontana, guardando il suo riflesso distorto. Vide l'acqua limpida restituirgli un'immagine poco chiara, nella quale distinse solo il viola delle sue squame. Era strano non avere più la criniera. Igaar gliel'aveva fatta tagliare prima che partisse.
In verità, aveva anche fatto rimuovere il ciuffo di pelo che un tempo aveva avuto sulla coda, rendendolo totalmente glabro come tutti i draghi che conosceva. Igaar gli aveva spiegato che lo aveva fatto perché desse meno nell'occhio, ma Sheeva si era opposto a quella decisione finché aveva potuto. Che cosa c'era di male se lui era un po' diverso dagli altri cuccioli? Nascere con una criniera non era una cosa così tanto rara, per un drago.
Ma alla fine, aveva dovuto cedere e fare come Igaar aveva richiesto. E adesso, non gli restava che specchiarsi in quella fontana, sentendosi nudo e scontento.
Ma era in missione, non c'era tempo per pensare a quelle futilità. Quindi tornò al suo giaciglio, e si distese su un fianco mentre gli altri cuccioli si risvegliavano, uno a uno.
Quando vide che il sole era alto e nessuno stava entrando a portare loro da mangiare, ebbe l'istinto di chiedere a qualcun altro se mai sarebbero arrivati. Ma scartò l'idea, un po' perché non aveva voglia di socializzare, un po' perché si sentiva ancora in colpa per il suo comportamento della notte precedente.
Tutti quanti dovevano aver capito che non era un tipo socievole, perché più nessuno aveva provato ad avvicinarglisi, quella mattina.
Poi, finalmente, la colazione arrivò. Sheeva ne avvertì l'odore ancora prima di poterla vedere, e quando qualcuno entrò in quella torre trascinandosi dietro una grande rete piena di pesci, i cuccioli vi si gettarono addosso squittendo felici.
Sheeva vide che chi stava portando il pesce era un grifone. Ma non doveva essere una guardia, perché non indossava alcuna armatura, e sembrava molto giovane. Appena più grande degli orfani ai quali portava da mangiare.
Quando tutti iniziarono ad avvicinarsi a lei, Sheeva comprese che dovevano conoscerla da molto tempo. Probabilmente era lei a occuparsi di loro, dato l'affetto che stava ricevendo.
-Chrona! Chrona!- la chiamò qualcuno. Un altro grifone, sembrava. -Oggi c'è una bella giornata. Possiamo fare pratica con il volo?
Sheeva guardò verso il grande foro sulla sommità della torre. Era sbarrato, ma la trama della grata sembrava abbastanza grande da lasciare passare un drago di piccole dimensioni.
Una via di fuga per quando ne avesse avuto bisogno.
Vide Chrona tagliare la rete con artiglio. -Solo se prima mangiate- disse. E i cuccioli si avventarono sul pesce con avidità.
Sheeva guardò quello stesso grifone ingoiarne uno sano, mandandolo giù in gola con un solo movimento della testa.
Anche lui aveva fame, ma non voleva avvicinarsi. Chrona sembrò notarlo, perché rivolse l'attenzione verso il suo giaciglio, prendendo del tempo per studiarlo prima di dire qualcosa.
-Tu sei nuovo- constatò, e il suo piccolo becco ricurvo si aprì con un sorriso. -Non essere timido, avvicinati pure.
Sheeva fece come ordinato, e se i suoi primi passi furono incerti, si costrinse a drizzare le spalle subito dopo. Non voleva che gli altri si accorgessero della sua insicurezza.
Uno dei pesci era caduto un po' più lontano dal resto. Sheeva lo afferrò, e lo portò nel suo giaciglio per mangiare, senza dire nulla.
Il resto dei cuccioli mangiava vicino, ognuno di loro a contatto con l'altro senza alcun tipo di disagio. Sheeva non aveva alcun tipo di interesse, a lanciarsi in quella mischia.
Una viverna entrò poco dopo. Era diversa da quella che aveva accompagnato Sheeva al castello, la notte prima. Anche lei non indossava alcun tipo di armatura, e le sue squame erano di un brillante arancione, tendente al rossiccio sulla punta degli aculei.
-Buongiorno, zumi- cinguettò la viverna, con un brio esagerato. Alcuni dei cuccioli si staccarono dal resto del gruppo per correrle incontro, con ancora dei resti di cibo sul muso.
Zumi, li aveva chiamati. Era un nomignolo in Lingua Antica. Sheeva conosceva qualche parola, ma quella in particolare non era mai stata rivolta a lui. Significava "tesoro mio" e restava invariato al plurale.
In compenso, però, si era beccato qualche appellativo poco gradevole e qualche imprecazione in quella stessa lingua, e li aveva memorizzati tutti. La sua preferita restava budohakar, o "peste maledetta".
-Non ingozzatevi, non ingozzatevi, ce n'è per tutti!- esclamò Chrona. -Quando avrete finito, chi vuole fare pratica di volo può venire con me, mentre gli altri resteranno qui con Calendula a studiare la storia di Oceaon.
A Sheeva sembrò che la selezione fosse più in base a chi poteva volare. Lì nella torre, c'era un cucciolo di drago senza un'ala. E anche solo guardare quella menomazione lo riempiva di angoscia. Quel drago doveva avere la sua stessa età.
Che cosa aveva vissuto, per restare ferito in quel modo?
-Oh, sì. Mi farebbe davvero comodo se qualcuno di loro imparasse a leggere e mi aiutasse a smistare le lettere- aggiunse Calendula, rivolgendosi direttamente a Chrona.
Sheeva vide la pila di pesce esaurirsi rapidamente, ma non ebbe il coraggio di prenderne un altro. Poco male, volare a stomaco leggero lo avrebbe reso più scattante. Quel giorno, avrebbe seguito Chrona. Andare con lei poteva essere una scusa per memorizzare qualche area del castello.
Quando i cuccioli ebbero finito di mangiare, Chrona gli si avvicinò, e Sheeva vide un altro pesce venire lanciato in sua direzione. Non fece in tempo a spostarsi, che il cibo gli atterrò sulle zampe.
-Hai mangiato poco- osservò lei. -Ti avevo detto di non fare il timido. Non hai niente di cui aver paura, qui sei al sicuro.
Era la seconda volta che glielo dicevano. Ma no, se solo Chrona avesse saputo il reale motivo per cui Sheeva era venuto fin lì, avrebbe scoperto che non era affatto al sicuro.
E finché il medaglione che portava al collo fosse rimasto con lui, nessun drago in quel castello lo sarebbe stato altrettanto.
-Mi hanno detto che sei arrivato qui volando, in soli tre giorni- confessò Chrona, parlando a voce bassa perché solo Sheeva la potesse sentire. -Perché non vieni con me fuori e mi fai vedere un po' di cosa sei capace?
Sheeva consumò la propria colazione in fretta, e quando Chrona fu pronta a prendere il volo, Sheeva la seguì in coda allo stormo di cuccioli.
Per gran parte del percorso, provò a memorizzare quanto più poteva del castello, contando tutte le entrate per ciascuna torre che attraversavano, e dove sbucava ciascun corridoio. Ma presto, rischiò di perdersi, e fu costretto a prestare attenzione a Chrona.
Era diversa da molti dei grifoni che aveva conosciuto, constatò Sheeva. Il suo piumaggio era composto da tanti disegni bianchi e dorati, che spiccavano su una base scura. Il suo becco era piccolo, e il suo muso piatto e tondo. Sulla sua testa, che sembrava una palla perfetta, le due orecchie apparivano insolitamente lunghe e dritte. In qualche modo, il suo aspetto era buffo, ma rassicurante.
Quando furono fuori, la luce del sole divenne accecante. Sheeva non era abituato a tutto quel sole, tanto meno al clima tropicale. Da dove si nascondeva con le truppe di Igaar, le temperature raggiungevano quei picchi di rado, in piena estate. Adesso, era banalmente primavera.
Quando furono abbastanza in alto, Sheeva poté prendersi del tempo per ammirare il castello, al quale non aveva prestato attenzione la notte prima. Ne aveva sentito parlare come un luogo umido e sgradevole, una specie di fortezza che si stagliava al di sopra di una cascata, rovinando lo spettacolo della natura con la sua presenza. Ma invece, il castello di marmo bianco con le sue mille torri era quasi indistinguibile dal candore della nebbia sollevata dalla cascata. I raggi del sole ne colpivano la superficie, facendolo splendere su tutto il paesaggio. Se il regno di Oceaon era un regno di luce, quel castello ne era la prova materiale.
-Il gioco è semplice- disse Chrona, richiamando l'attenzione di Sheeva. Lui vide che teneva una palla fatta di stracci e pelli di animale tra gli artigli, presa da chissà dove. -Non bisogna farla cadere nel lago. Potete passarvela tra di voi o lanciarla verso dove volete, ma non potete tenerla. Io vi aiuterò. Tutto chiaro?
Sheeva si accorse che quella domanda era rivolta più a lui che agli altri, che dovevano già conoscere il gioco. Fece un cenno con la testa, e a quel segnale, Chrona lasciò cadere la palla.
Il lago era distante sotto di loro, così grande che anche da quell'altezza non si riusciva a vederlo tutto. Sheeva si lanciò in picchiata verso la palla, ritrovandosi ingoiato dalla nebbia della cascata. A quella distanza, il rombo dell'acqua era feroce e ingoiava qualsiasi altro suono. La raggiunse dopo poco, e con un colpo della coda, la rispedì in alto.
Vide un altro dei cuccioli riceverla e passarla a un compagno, un pulcino di grifone che aveva tutto il piumino del collo in disordine, e al quale mancavano alcune piume intorno al becco. Ma nonostante la sua statura gracile, il suo tiro fu forte, e stavolta la palla volò fino a raggiungere il drago che aveva tentato di parlare con Sheeva la notte prima.
Lui li guardò, tenendosi basso nel caso in cui la palla fosse caduta a qualcuno. Da quella distanza, gli fu chiaro l'obiettivo del gioco.
Chrona stava loro facendo acquisire agilità per una battaglia aerea. Quando gli orfani arrivavano al castello, venivano addestrati per diventare parte dell'esercito della regina. Combattenti esperti, che avrebbero saputo replicare quei movimenti anche con indosso un'armatura, e che un giorno sarebbero stati lanciati a combattere contro Igaar.
Aveva ragione Igaar, a dire che la regina di Oceaon era crudele. Ma quando il suo lavoro fosse giunto al termine, nessun cucciolo rimasto orfano sarebbe stato addestrato per divenire un soldato. Mai più.
La palla tornò in sua direzione, e stavolta fu Chrona a lanciarsi per riprenderla. Sheeva vide le sue ali compiere un movimento circolare, e la osservò in controluce chiuderle al corpo per vincere la resistenza dell'aria. Le sue piume non producevano alcun suono. E quando ebbe raggiunto la palla, la agguantò con la voracità e sicurezza di un rapace.
Forse anche lei era stata addestrata per combattere. Forse Sheeva avrebbe dovuto aver paura anche di lei.
-Va bene, va bene, la tiro di nuovo!
La palla venne scagliata diversi metri più in su, e ancora una volta lo stormo si avventò per prenderla. Anche Sheeva, stavolta, trovò il coraggio di gettarsi, e superò due dei cuccioli per poter dare una testata all'oggetto.
Quando si accorse di starsi divertendo, si sentì in colpa. Non era per divertirsi che era arrivato fin lì.
Rientrarono ad ora di pranzo, sempre volando compatti in direzione delle stessa torre. Mentre ripercorrevano la strada al ritroso, Sheeva si guardò bene intorno, cercando di indovinare la strada che avevano percorso.
Forse stava iniziando a orientarsi in quel labirinto.
Quando fu ora di mangiare, stavolta Sheeva non poté sottrarsi dal contatto con gli altri. Avevano portato un grosso cinghiale da azzannare, e non poté far altro che unirsi agli altri e strappare la propria porzione con i denti. Quando ebbero finito, dell'animale rimasero solo la pelle, le ossa e le frattaglie. Ma l'acqua al castello non mancava, e ripulire il pavimento della torre non fu affatto difficile.
Quando si fu di nuovo disteso sul proprio giaciglio, rimase a origliare alcune delle conversazioni che avvenivano tra gli altri cuccioli. La maggior parte di loro stava solo raccontando all'altro gruppo il modo in cui aveva trascorso la mattinata.
Fu il drago senza un'ala a raccontare per filo e per segno tutto ciò che avevano imparato da Calendula quella mattina.
-Calendula ha detto che molto prima di arrivare nel mondo dell'Acqua i draghi vivevano nel mondo del Fuoco.
-Che scemo, non lo sapevi?- lo interruppe il drago con tre zampe, impettita. -Noi un tempo il fuoco lo respiravamo.
-Sono solo leggende- si lamentò qualcuno. Dal modo in cui i due draghi gli puntarono gli occhi addosso, Sheeva capì che era stata una viverna.
-BÈ, l'importante è che non lo fate più, ora. Sarebbe difficile esservi amici se starnutiste fiamme- intervenne il grifone che quella mattina Sheeva aveva visto ingoiare un pesce per intero.
-Se io possedessi la magia del Fuoco...- aveva preso a dire il drago senza un'ala, prima di corrucciare la fronte e guardare tutti con un ghigno minaccioso. -Incenerirei Igaar e salverei il regno di Oceaon!
E dopo aver declamato quella frase, il drago si lasciò andare a quella che doveva essere la brutta imitazione di un ruggito. A Sheeva venne da ridere.
Però, fuoco. Forse quello era un potere che avrebbe avuto possibilità di battere il veleno letale di Igaar. Ma per sua fortuna, i draghi non padroneggiavano più il fuoco da secoli, così come nessuna delle creature del mondo dell'Acqua. Igaar poteva dirsi salvo.
Mentre si godeva divertito la scena, con la coda dell'occhio vide una sagoma avvicinarsi a lui. Era Chrona, che veniva lì per farlo socializzare, indubbiamente.
-Non ti ho chiesto come ti chiami- gli disse, sedendosi accanto a lui. Anche se aveva qualche anno di più, non era molto grande, giusto un po' più alta.
Sheeva si chiuse nel suo silenzio, e per fare capire che non voleva parlare, si distese la testa sulle zampe anteriori, senza degnarla di uno sguardo.
-Non vuoi dirmi nemmeno da dove vieni?- riprovò il grifone.
Silenzio.
-Va bene, hai ragione, queste sono domande noiose. Qual è il tuo colore preferito?
Se prima le domande gli erano sembrate invadenti, quella in particolare gli sembrò stupida. Ma allora si ricordò di essere stato presentato a tutti come un drago di otto anni, e Chrona stava solo cercando di attirare la sua attenzione.
Stavolta, alzò la testa e ci pensò. Lui non l'aveva un colore preferito.
-Viola- disse, e non mentì più di tanto. Viola era il colore delle sue squame, e anche se di una tonalità più scura, era anche quello di Valgor.
-È un colore molto bello. Il mio è il rosso, invece- rivelò lei, e subito dopo, gli diede un dettaglio che Sheeva non si sarebbe aspettato di ricevere da una sconosciuta. -È il colore dell'armatura di mia madre. Lei è il generale che gestisce l'esercito sul versante nord.
Il versante nord. Sheeva non ci era mai stato, sul versante nord, e a quanto ricordava, Igaar non aveva mai combattuto su quei confini. Forse era per questo che la linea del fronte lì non era ancora arretrata.
-A me non piace il rosso- si sorprese a pensare ad alta voce. -È il colore del sangue.
Chrona cadde in silenzio, e le sue lunghe orecchie scesero leggermente verso il basso. Forse si sentiva in colpa ad aver ricordato a quel cucciolo della guerra in corso. O forse, anche lei avrebbe preferito non pensarci. Ma la guerra esisteva, e che lei se ne rammentasse o no, questo non l'avrebbe fermata.
-Sei molto bravo a volare, oggi ti ho guardato bene, sai? Dove hai imparato?
Sheeva si sentì pietrificare a quella domanda. Igaar non gli aveva detto cosa avrebbe dovuto rispondere a una domanda del genere, e ciò significava che avrebbe dovuto inventarsi una bugia sul momento.
-Mio padre- disse, in un sussurro. Forse era vero, ma Sheeva non lo sapeva, non lo ricordava. Ricordava di essere stato sempre bravo con il volo, sin dal giorno in cui Igaar lo aveva trovato. Ma quale fosse stata la sua vita prima di allora, non lo sapeva.
Sheeva si preparò ad aver fatte domande sulla propria famiglia, e a quelle sarebbe stato preparato. Ma invece, non arrivò niente del genere.
-Eri mai stato al castello, prima di adesso?- chiese Chrona.
Sheeva si limitò a dire di no con la testa.
-Io ci sono nata e cresciuta qui, invece. Un tempo avevamo una sala al castello fatta appositamente per fare schiudere le uova, ma adesso è stata chiusa. Quando ero piccola, il castello era un luogo pieno di vita. Ora le uova non le fa più nessuno.
E adesso, pensò Sheeva, lì dentro c'erano soltanto soldati e orfani in cerca di asilo. Nemmeno nell'esercito di Igaar si facevano più uova, nel regno le nascite erano rare. Sheeva lo sapeva per certo, perché non gli era mai capitato di incontrare draghi della sua stessa età, prima di venire al castello. La morte aveva sopraffatto la vita, anche in quello.
-Sai leggere?- fu la prossima domanda di Chrona.
Stavolta, Sheeva fece cenno di sì. Anche quella era una cosa che aveva imparato prima di conoscere Igaar, e anche se negli accampamenti non c'erano né libri né pergamene per allenarsi, non aveva mai dimenticato come si facesse.
-Tuo padre ti ha insegnato anche questo?-
-Sì- rispose Sheeva, nonostante non lo sapesse.
-Com'era tua madre?
Stavolta, Sheeva non venne colto di sorpresa. No, quella domanda fece solo male. Perché un minuscolo ricordo, così sbiadito che aveva creduto di esserselo immaginato per buona parte della sua vita, lo aveva. Ricordava la sua voce, e nient'altro, mentre gli cantava una ninnananna. Il ricordo gli era tornato alla mente mesi prima, quando aveva sentito Valgor mugugnare quella stessa canzone.
Quando si era accorto che Sheeva lo stava sentendo, aveva smesso subito. Per qualche motivo, aveva scoperto che Igaar non voleva che quella canzone si cantasse tra i suoi ranghi, e Sheeva non sapeva il perché.
-Com'è la tua?- chiese Sheeva, rigirando la domanda. Non aveva voglia di dirle niente di sé, ma per qualche motivo, non aveva neanche voglia di raccontarle la bugia che Igaar aveva creato per lui. Era disposto, però, ad ascoltare il grifone.
-Lontana, e impegnata. È da più di un mese che non la vedo, e non mi è concesso lasciare il castello per andarla a trovare.
-Chi te lo impedisce?- chiese Sheeva. Se avesse sentito il nome della regina malvagia, non ne sarebbe stato sorpreso.
-Piccole pesti come te- disse lei, e quelle parole non suonarono affatto come un rimprovero. No, Chrona le aveva pronunciate sorridendo. -Se non ci sono io a badare a loro, allora chi lo farà?
Chrona si era voltata verso i cuccioli della sala, abbracciandoli tutti con lo sguardo. Calendula, la viverna arancione di quella mattina, aveva abbandonato la torre. C'era solo lei a badare a loro, adesso.
Se Chrona considerava il dovere molto più importante dei desideri del suo stesso cuore, allora Sheeva aveva trovato una cosa che li accomunava.
-Quindi non mi dirai come ti chiami?- riprovò a chiedere Chrona, seppur stavolta più rassegnata.
Sheeva ci pensò. Jin, avrebbe dovuto rispondere Jin. Quello era il nome che gli aveva imposto Igaar, quello l'unico nome che avrebbe dovuto conoscere.
Ma per qualche motivo, non aveva più voglia di mentire, non se non era ai fini della missione. In quel castello, non doveva per forza essere Jin, non doveva per forza essere quello che voleva Igaar.
In quel momento, pensò che forse poteva giocare a essere qualcun altro.
-Hai vinto tu. Mi chiamo Sheeva- ammise, senza guardare la sua interlocutrice negli occhi. Non aveva mentito, forse, ma a pensarci bene non avrebbe mentito neanche se avesse risposto Jin. Quello con cui si era presentato a Chrona era il suo vecchio nome, quello che aveva avuto prima di unirsi a Igaar. O almeno, Valgor gli aveva detto così, dopo che Sheeva aveva passato ore a scongiurarlo di dirgli qualcosa su di sé e sul suo passato, se la sapeva. Ne aveva ricavato solo quello, e non escludeva che Valgor gli avesse detto un nome qualsiasi solo per farlo stare zitto, ed essere lasciato in pace.
Ma non importava se quello fosse stato il suo vecchio nome o meno. Tutto ciò che voleva, in quel castello, era poter fingere di non essere il drago orfano senza ricordi adottato da Igaar.
-Credevo che te ne saresti uscito fuori con un nome brutto, e invece... che motivo avevi di nascondermelo?- fu il commento di Chrona.
-Un nome brutto come ad esempio?
-Non lo so... un nome da viverna, tipo, ma dei peggiori. Qualcosa come Mangiafuligine o Spazzapolvere.
Dalla prima volta da quando aveva messo piede in quel castello, Sheeva scoppiò a ridere.
E la sua risata dovette apparire nuova, forse perfino strana, al resto di quei cuccioli che lo avevano visto imbronciato per tutto il tempo. Li vide girarsi verso di lui, e smettere di fare tutto ciò che stavano facendo.
Quando se ne accorse, tacque.
-Non ridere troppo, sono nomi reali- gli sussurrò Chrona, e mentre parlava, il suo faccione rotondo si avvicinò un po' più al muso di Sheeva.
Ammiccò, e andò in direzione degli altri cuccioli.
-Allora, chi vuole sentire una storia?
Quella domanda venne accolta da una serie di squittii emozionati, e tutto il gruppo si radunò intorno a Chrona, al centro della sala. Sheeva rimase ad ascoltare dal suo giaciglio, l'eco della voce di Chrona abbastanza alta da permettergli di sentire. Ogni tanto, capitava anche che Igaar gli raccontasse qualche storia, ma le sue non gli erano mai piaciute. Si trattava per lo più dei suoi deliri di grandezza, durante i quali Igaar gli elencava tutte le cose che avrebbe fatto, quando avesse preso il comando di Oceaon.
Quella storia fu diversa. Non c'era sangue, non c'erano sovrani e non c'erano sudditi. Solo una rondine smarrita che volava alla ricerca della propria famiglia, e alla fine, ritrovava il suo stormo. Sheeva pensò che in fondo erano belle, le favole dei grifoni.
Quando arrivò la notte e per i cuccioli fu il momento di dormire, Sheeva si accorse di essere stanco. Il suo cuore era provato da tutte le diverse emozioni di quella giornata. Emozioni che non era abituato a provare, non al di fuori di quel castello.
Ma quella notte non fu come la precedente, e quando venne il sonno, stavolta non fu privo di sogni.
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