乇ㄩㄒㄖ卩|卂 || Ep. 7. Sotto assedio
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La segretaria Nancy bussò e poi entrò nell'ufficio. Si avvicinò e posò un recipiente di carta fumante sulla scrivania. «Ecco il suo tè. È sicuro di non preferire un caffè? Visto che rimarrà qui quasi per tutta la notte, forse...»
Jones distolse lo sguardo dal foglio che poco fa aveva finito di battere a macchina e guardò la segretaria. Era una donna sulla quarantina dai capelli biondi e molto corti. «No, uhm... ultimamente il caffè proprio non riesco a digerirlo. Preferisco non rischiare.» Forzò un sorriso. «Puoi andare, Nancy. Voglio dire... puoi tornare a casa. Non occorre che tu rimanga. La situazione è tranquilla e posso gestire il resto degli impegni da solo. Va' a casa, è tardi.»
Nancy rimase di stucco. «Signore?»
«Cosa?»
«Si sente bene?»
Non era da lui comportarsi a quella maniera. Di solito riservava alla segretaria, che era di tanto in tanto leggermente pasticciona e lavativa, un bel po' di tirate come solo lui sapeva farle e non le aveva mai detto di tornare a casa prima del consueto.
«Sì. Certo» replicò il capitano della polizia, prendendo un sorso di tè. «Buonanotte.»
Lei decise di non insistere né di discutere. Benché sorpresa, preferiva non indagare e approfittare di quell'accesso di benevolenza per tornare a casa giusto in tempo per mettere a letto i suoi due figli. «Buonanotte, allora, signore» disse. Tornò alla porta, la aprì e vide che dietro di essa c'era il medico speciale, come tutti l'avevano soprannominato. Benché nella sua materia di competenza fosse sveglio, in quello sociale sembrava un autentico imbranato. C'era già chi, bonariamente, aveva iniziato a prenderlo un po' per i fondelli. Era un giovanotto sui trenta biondo, con occhi castani espressivi dietro a degli occhiali dalla montatura dorata e rotondeggiante, e non aveva fatto una gran bella figura con Jones quando ore prima il capitano era tornato, aveva deciso di fare il test e per qualche ragione che ancora tutti ignoravano, aveva sbagliato più di una volta a prendere la vena al capo della polizia. A un certo punto Dario si era talmente inviperito, a furia di essere stato scambiato per un colapasta da ultimare, che c'era mancato poco che avesse rifilato una sberla al medico. Non aveva mai gradito molto gli aghi per molte ragioni e la sua pazienza era stata messa a dura prova.
«Chiedo scusa, uhm... il capitano è qui? Ho con me i risultati dei test suoi e di altri agenti e... m-mi chiedevo se...», disse il dottore, impaperandosi. Forse era Jones a mettergli ansia e persino un po' di timore, ma non ci si poteva stupire, considerando che si parlava di una persona dal pessimo carattere.
Nancy gli sorrise cordialmente. Le faceva un po' tenerezza e lo aveva preso in simpatia. In fin dei conti il poveretto era lì per dovere e il minimo che potessero fare tutti loro era di cercare di farlo sentire a suo agio e non la pignatta di turno. «Sì, è qui. Prego, entri.» Si spostò e lo fece passare, poi chiuse la porta.
Jones squadrò il nuovo arrivato e inarcò un sopracciglio quando lo vide perdere la presa sui fogli e farli cadere sul pavimento. «Oh, cielo» disse fra sé, sospirando in modo volutamente esagerato e rilassando un po' la schiena sulla seggiola. Accavallò le gambe, scosse la testa con aria di severo giudizio e prese un altro sorso di tè, pregando che la bevanda gli fosse almeno un po' d'aiuto. Aveva di nuovo una nausea pazzesca e si sentiva più spossato e stanco che mai.
Per un attimo gli tornò alla mente una battuta che suo marito una volta aveva fatto, dicendo che quando faceva in quel modo sembrava proprio una vecchia bacchettona. Lui ci aveva persino riso su. Avevano litigato e quella frase scherzosa, in qualche maniera, era riuscita a rompere il ghiaccio e a salvare la giornata, ma forse... forse il problema era quello: quando si litigava troppo spesso, che si facesse poi pace o meno, c'era qualcosa che non andava. Era sempre stato bravo a stimare i danni e a percepire in tempo quando una situazione andava risolta o raddrizzata, eppure non si era reso conto che il suo matrimonio stava semplicemente finendo. In fin dei conti la sintesi di tutto era questa e comunque la si girasse, faceva schifo lo stesso.
Osservò con una smorfia insofferente quel medico sbadato raccattare gli esami sparsi per terra. Come cazzo ha fatto uno così a essere stato scelto per entrare nell'equipe reale?
Quello sì che era un mistero che avrebbe meritato un bell'approfondimento.
«È capace di fare due passi senza combinare tutte le volte un gran disastro?» chiese glaciale, tendendo la mano libera e facendo cenno con un indice al dottore di passargli i fogli. «Me li dia, prima di causare un'estinzione di massa con chissà quale altra balordaggine tipicamente nel suo stile. Ho già troppe grane da risolvere.» Ignorò apertamente il viso paonazzo del medico, chiaro segno di imbarazzo e vergogna.
«M-Mi scusi, non lo faccio apposta.»
«I fogli, prego. Odio ripetermi.» Una cosa che Dario aveva notato, era che le poche volte in cui il medico, in quelle ore, lo aveva incrociato, si era sempre comportato in quel modo insopportabilmente sbadato e spesso lo aveva beccato a fissarlo con aria alquanto ebete. Si chiedeva cosa avesse di tanto strano da meritare tutte quelle occhiate. Quello là pareva nato il giorno prima.
«Sì, eccoli. Tenga.»
Prese i risultati degli esami e ovviamente controllò per primo il suo. Lo sfogliò. «Negativo» sentenziò fra sé, facendo un sospiro di sollievo. «Un problema in meno a cui pensare.» Notando l'espressione quantomai curiosa e fuori luogo del medico, si accigliò. «Beh? Cos'ha da guardarmi in quel modo, adesso?» Iniziava a perdere un po' la pazienza.
«Legga fino in fondo» biascicò in difficoltà l'interpellato. «Vede laggiù? Ecco... non ho trovato contaminazione alcuna, ma ci sono delle... beh, irregolarità, valori fuori dalla norma e così via.»
«La faccia breve, prima che arriviamo a domattina.»
«L'unica cosa che ho potuto evincere, è la presenza di una gravidanza tutt'ora in corso.»
Dalla faccia che fece il capitano, fu chiaro che non ci aveva creduto. «Cielo! Mi faccia il piacere! Prendo regolarmente dei soppressori che fungono anche da anticoncezionale. Forse le provette devono essersi scambiate o... non lo so neanche io! È ridicolo!» Sembrava sul punto di ridere di cuore. «Quali assurdità mi tocca sentire! Povero me!»
Il medico sospirò. «Le assicuro che quelli sono gli esami del suo sangue, capitano Jones. Nero su bianco. Non c'è nessun errore, perciò... uhm... congratulazioni.»
Il capo della polizia, colto da un sottile e velenoso velo di dubbio, decise per scrupolo di frugare nel cassetto dove aveva riposto le pillole. Se le portava sempre dietro e mai se le dimenticava, prima di tornare a casa. Controllò la scatola. Era tutto a posto, ma quando la aprì e sfilò fuori da essa il blister, la situazione si ribaltò, con suo gran dispiacere. Le pillole erano rosa pallido, proprio come sarebbero dovute essere, ma sul retro non c'era scritto il nome dell'anticoncezionale. «Pillole per il mal di testa» mormorò fra sé, quasi in stato di shock.
Il dottore si sistemò gli occhiali sul ponte del naso e incrociò le braccia. «Uhm... non è raro confondere quei due medicinali, mi creda. Le aziende farmaceutiche, qualche settimana fa, hanno deciso di lavorare per cambiare l'aspetto di almeno uno dei farmaci, in modo che... beh... non avvengano disguidi di questo genere. Quindi... è probabile che lei abbia creduto per non so quanto tempo di avere sotto controllo il suo estro e così via, ma in realtà... ha semplicemente prevenuto a se stesso di incorrere in qualche mal di testa. In realtà è un miracolo che a lungo andare non le abbiano fatto male. Il troppo stroppia, d'altra parte.» Deglutì e gesticolò. «B-Beh, in fin dei conti non è una cosa negativa, no? Che diamine! Le sarebbe potuto toccare un tumore o chissà cos'altro, forse il virus che sembra far impazzire i predatori, invece si tratta di una cosa bella! N-Non è felice?»
Jones, tuttavia, non lo stava ascoltando. Stava cercando di capire, di ricordare, e comprese quegli attacchi di nausea, specialmente quelli lontani da teste mozzate e corpi maciullati; comprese fin troppo bene costa stava accadendo nel suo corpo, gli sbalzi d'umore, e si rese conto che neppure si era accorto, impegnato e sotto stress com'era stato fino ad allora, di aver saltato un mese, forse di più, di calore. Non se ne era preoccupato, ogni tanto poteva succedere, specie a chi... beh... a un Omega che ormai non era più così giovane.
Era un dato di fatto, inutile negare l'evidenza, ma come poteva essere?
Scavò nella mente, più in profondità che poté, e vide se stesso prendere tempo addietro e fino alla settimana prima, anziché l'anticoncezionale che fungeva anche da Soppressore, delle semplici pillole per il mal di testa, quelle che di solito usava per via delle logoranti emicranie di cui soffriva sin da ragazzino. Si vide ancora cedere alle attenzioni che Reth, un mese e mezzo prima, una sera in cui era tornato presto gli aveva mostrato. Ricordò di aver pensato che era stata una vera fortuna che avesse preso la pillola, visto e considerato che suo marito si era scordato il profilattico e che il rapporto era stato intenso. Inizialmente aveva provato a dire di no, non sentendosi molto bene, ma non aveva voluto rovinare la serata e si era infine convinto ad andare fino in fondo.
Poi... poi niente, era tornato al lavoro, aveva continuato la vita di tutti i giorni, ignaro di aver fatto un'immane cazzata senza essersene reso conto.
E lui che aveva pensato solo di esser aumentato di un paio di chili perché ultimamente aveva smesso di fare jogging la mattina presto e un paio di volte si era concesso qualcosa di dolce, anche se aveva sempre odiato i dolci in generale. Si era addirittura detto che era normale, considerando la recente nascita di Rose, e che il suo corpo doveva ancora riassestarsi e tornare in forma, senza contare che non era più un ventenne. Si era detto che ormai i fianchi accentuati, le forme più morbide e il fastidio, il leggero fastidio al torace, fossero una conseguenza refrattaria della gravidanza o magari un sintomo semplice del calore. A volte accadeva che l'estro si presentasse in forme più lievi, quasi come un fantasma, ma no... no. Non era niente di tutto questo e non se ne era accorto perché aveva avuto ben altri problemi per la testa. Così tanti da non rendersi conto di aspettare di nuovo un figlio ed essersi forse giocato sul serio e per sempre la carriera. Si trattava appena di un cumulo di cellule minuscole, eppure aveva già provocato un casino pazzesco.
Cazzo.
Si sfiorò l'addome e si accorse che non era stata solo una fugace impressione, quella che aveva avuto quando aveva parlato con suo marito, il giorno prima che le loro strade si separassero. Era un gonfiore appena accennato, ma la pelle era decisamente tesa, al tatto c'era la tipica resistenza che poteva esserci solo quando qualcosa vi stava crescendo al di sotto. Lo sentiva anche sotto la camicia.
Se il tempismo di Rosie non era stato dei migliori, quello del piccolo là dentro era stato decisamente pessimo. No, neanche si poteva parlare ancora di un neonato o di un feto, e in fin dei conti non si sognava neppure di aspettare finché gli sarebbe di nuovo toccato l'inferno che aveva vissuto quando sua figlia era nata. Non se ne parlava. Non aveva intenzione di ripassarci una seconda volta, ma abortire significava dover farsi operare e poi attraversare un periodo di pausa per consentire alla ferita di rimarginarsi. In quello stato non sarebbe stato utile neppure a se stesso, ma la prospettiva di affrontare quel pandemonio in gravidanza, specie a fronte di una possibile separazione da suo marito, era assai peggiore. E poi non voleva un altro figlio. Già non riusciva a star dietro a Rosie, figurarsi a un altro marmocchio!
E comunque il rischio era troppo alto e alla sua età fronteggiare un'altra gestazione, a distanza persino così ridotta, corrispondeva a un suicidio in piena regola. Si rischiava la vita o di far nascere bambini con problematiche che potevano anche ucciderli subito dopo la nascita. Di solito i piccoli nati in tali circostanze erano malaticci o molto prematuri, vivevano pochissimo, troppo fragili per sopravvivere in un mondo dov'era la legge della natura e del più forte a prevalere, dove non vi era spazio per deboli.
Quale senso avrebbe avuto fronteggiare una seconda volta quello strazio, quando il finale era già previsto e per niente roseo?
Mantenne un po' di sano contegno. Non era il caso di andare in panne né di farsi vedere in crisi da quell'imbranato. «In infermeria c'è per caso un ecografo? Voglio essere certo fino in fondo. Non mi sogno di prendere accordi per un aborto e poi, magari, di scoprire che era un falso positivo o non so cos'altro.»
«Oh...», il medico schiarì la voce. «Sì, ho visto che ne è provvista. Vuole che sia io a darle un'occhiata?»
«Sì. Non voglio che si sappia in giro. Meno persone coinvolgo e meglio sarà. Appena avrò la prova finale, risolverò il problema e se tutto andrà bene, neanche avrò bisogno di dirlo a mio marito.» Si alzò, aggirò la scrivania e seguì fuori dall'ufficio il dottore. «Che serata maledetta» sibilò tra sé, di umore ancora peggiore. Se solo avesse avuto lì in quel preciso istante Gareth, parola sua che gli avrebbe scaricato l'intero contenuto di una pistola addosso. Forse no, non una cosa così eccessiva, ma un ceffone se lo sarebbe beccato eccome.
Ecco cosa si otteneva a darla sempre vinta ai propri mariti.
Mentre si dirigevano verso l'infermeria, il dottore disse: «Non deve per forza ricorrere a una cosa invasiva come l'aborto. Voglio dire... se proprio non vuole questo bambino, può parlarne con suo marito e darlo in adozione subito dopo la nascita. A volte le coppie che non se la sentono di avere altri figli e che non si trovano d'accordo su metodi drastici, scelgono questa alternativa».
Dario lo squadrò infastidito. «È obiettore di coscienza, per caso?» Poteva in parte capire che un medico aveva sempre a cuore la vita altrui, ma lì si parlava di una forma di vita neppure abbozzata, che non sapeva di essere viva né di cosa sarebbe diventata. Non era neanche senziente, a suo parere.
«No, non lo sono. Sono per l'aborto, sì, ma solo quando ci sono problematiche importanti. Per il resto, penso ci sia sempre una soluzione di mezzo, una meno estrema. Ci sono cose peggiori al mondo, non crede?»
«Beh, nel mio caso non posso far altrimenti. Mi hanno espressamente sconsigliato di avere altri figli, se voglio sperare almeno di arrivare ai trentacinque anni. Non rischierò la vita per un...», si morse la lingua. Non era il caso di esagerare con le parole, anche se... lo ammetteva... odiava quella creatura. Non era colpa sua, vero, ma la odiava lo stesso, proprio come al momento ne odiava il padre.
Non voleva quel bambino e nessuno gli avrebbe imposto di averlo quando non lo desiderava e non se la sentiva di affrontare di nuovo qualcosa che per lui era stato un trauma e un peso, anziché un'esperienza piacevole. Non il parto, ma tutto quello che era venuto prima. Quel... vuoto soffocante che aveva sentito per tutto il tempo e per i primi giorni dopo la nascita di Rosie, quando all'inizio non aveva voluto neppure prendersi cura di lei, ignorandone i vagiti, desiderando solo che la smettesse. Gli era stato imposto del riposo e se ne era stato a letto, dicendo a Gareth di vedersela lui con la bambina ogni volta che il marito si era presentato dicendogli che Rosie aveva iniziato a piangere, che aveva fame e così via. Non aveva neppure voluto allattarla e subito aveva stabilito di ricorrere al biberon.
Il medico con cui aveva parlato aveva chiamato quella cosa depressione post-partum, una condizione in cui spesso, per cause di forza maggiore, senza farlo apposta, si arrivava al punto, certe volte, di rifiutare il proprio bambino e di negargli le dovute cure, di fare come se non esistesse. Lui, però, la riteneva la conseguenza di quando si accettava di dare alla luce un figlio più per accontentare un partner che per reale convinzione di voler diventare genitore. Aver ripensato a quello che sua madre aveva detto per anni e anni, alle volte in cui gli aveva ripetuto che doveva sbrigarsi, se davvero voleva avere un figlio, perché stava invecchiando, perché forse ormai il suo corpo stava persino diventando sterile. Perché il suo adorato Dante – guai a chi le toccava quello stronzo – le aveva dato la soddisfazione di ben tre nipotini e di aver sposato una donna dolce ed educata, mentre invece l'unico Omega della famiglia, che tra parentesi lei sempre aveva definito un incapace e poi, più tardi, un arrivista perdigiorno, per trentaquattro anni della sua vita non era stato in grado di fare la sola cosa per cui un Omega nasceva tale e in più non era affettuoso né rispettoso come la cognata. Una volta, quando si era recato a far visita a sua madre, aveva persino notato che lei aveva rimosso tutte le fotografie in cui lui era stato un tempo presente.
Si era così stancato di sentirsi ripetere quegli insulti, di essere denigrato, che alla fine aveva ceduto, scoprendo poi di non essere neppure più padrone del proprio corpo, perché tutti quanti non avevano fatto altro che dirgli cosa fare o non fare, come si sarebbe dovuto sentire, perché non si fosse comportato come tutti quelli in attesa di un figlio e come lo strambo di famiglia solito, quello a cui mancava qualcosa. Nessuno aveva voluto saperne di dargli un minimo di spazio personale, di lasciarlo in pace e permettergli di vivere quella situazione come meglio gli aggradava, perciò... sì, era stato un trauma. Nient'altro che quello, e non lo avrebbe affrontato una seconda volta. Era libero di dire che preferiva qualsiasi altra cosa al vivere per mesi in un inferno di ipocrisia, di sorrisi forzati e attenzioni non richieste e sgradite. Era stanco di vedere la sua sfera personale, il piccolo angolo che sempre aveva tentato di ritagliare solo per sé, venire invaso e condiviso con qualcosa che lui non voleva dentro di sé. Non aveva mai avuto niente solo e unicamente per sé. Mai, ed era stanco. Maledettamente stanco. Il corpo era suo e ci faceva quel che gli pareva, e al diavolo suo marito, al diavolo la sua famiglia che riteneva l'aborto una cosa ripugnante e crudele. Al diavolo tutto.
Infastidito dall'occhiata che gli aveva appena lanciato il medico, si fermò. «Senta, lei non può capire cosa si prova» tagliò corto. «E francamente non devo giustificarmi con nessuno, tantomeno con lei. Le mie ragioni sono sacrosante, quando si parla di qualcosa che devo essere solo io ad affrontare. I bambini saranno dolci e coccolosi quanto diamine le pare, ma a giudicare da ciò che vedo scritto sulla sua targhetta, non avrà mai il doloroso dispiacere di dover partorirne uno. Non è uno spasso, gliel'assicuro.»
Non tutti erano tagliati per quel genere di cose e quello non era un reato, fino a prova contraria. A meno che le leggi non fossero cambiate nel giro di mezza giornata, non era un reato.
Entrarono in infermeria, il dottore accese la luce e il capitano della polizia attese in piedi, lanciando per un breve attimo un'occhiata invelenita a quel tizio che si era permesso di giudicarlo. Gliel'aveva letto negli occhi che trovava l'aborto e il suo atteggiamento in generale ripugnanti.
E poi la gente si permetteva di definire lui un bacchettone. Certo, come no.
Appena capì che l'attrezzatura era pronta, si avvicinò al letto ambulatoriale e si preparò per l'ecografia.
Il gel era freddo e fu ancora più spiacevole quando la sonda lo sparse sul suo basso ventre. Non reggendo oltre, si decise a guardare lo schermo in bianco e nero. Non se ne intendeva molto, ma doveva sapere. «Allora? Che roba è quella?» chiese, cercando di non suonare innervosito.
Il medico si accigliò. «Uhm... qui... qui vedo due camere gestazionali. È in attesa di due gemelli, per farla breve. Non so perché ci si stupisca sempre dell'alta incidenza delle gravidanze gemellari nella nostra specie. In fin dei conti discendiamo in parte dagli animali e... beh, non sono rare, a volte sono persino nella norma, solo che evolvendoci... anziché un'intera cucciolata, il numero dei piccoli è sceso a due o al massimo tre. Conta anche molto la familiarità con questo fenomeno. Nella sua famiglia ci sono stati alcuni casi simili?»
Jones sospirò. «Sì» replicò, decisamente poco entusiasta. «Ho... ho un gemello, in effetti.» Sbuffò. «Perfetto. Meraviglioso. Mi mancava questa per terminare la giornata.» Non era in grado di gestire appieno Rosie, figurarsi altri due neonati. Si ripulì dal gel e si rimise a posto gli abiti.
«In circostanze normali le avrei rinnovato le mie congratulazioni, ma ho tanto l'impressione che facendolo potrei beccarmi un pugno, perciò... auguri e basta, qualunque cosa scelga di fare» disse infine il medico. «Se ha bisogno di qualcosa, sa dove trovarmi.»
«Sì, sì, va bene. Come vuole» tagliò corto Jones, che aveva ben altre preoccupazioni cui far fronte. «Grazie per la visita lampo, uhm...», agitò una mano. Com'è che si chiamava quel tale? Gliel'avevano detto, ma l'aveva scordato. Tendeva a eliminare le informazioni in eccesso, quando non le riteneva fondamentali. Intanto scivolò giù dal lettino e non sopportando più i capelli sulle spalle, recuperò un elastico da una tasca e li legò in uno chignon alla bell'e meglio. Con la coda dell'occhio si accorse che ancora una volta il dottore lo stava guardando, ma appena i loro occhi si incrociarono, il medico distolse i propri in fretta e furia.
«Oh, uhm, Wildbrook. Maximilian Wildbrook.»
Il capitano della polizia lo squadrò altero. «Ah, sì. Beh, la ringrazio. Buonanotte.» Si diresse alla porta. Quando fu sul punto di uscire, però, Wildbrook lo richiamò. Rimase in ascolto, senza voltarsi. «So che non sono affari miei, lo so bene, ma penso che quando si è in due... le cose sempre in due vadano affrontate. Quale che sarà la sua decisione, le consiglio di dirlo comunque a suo marito. È un suo diritto saperlo, in fin dei conti.»
Dario si girò per squadrarlo. «Non si azzardi» disse irritato. «E non venga a parlarmi di diritti, quando non sa neppure...», si morse la lingua. «Non sono affari suoi. Ha proprio ragione. Non sono affari suoi e quindi è pregato di non ficcare il naso nelle mie faccende personali. Non ho bisogno dei consigli di nessuno. Pensi a fare il suo lavoro.» Uscì e si sbatté dietro la porta.
«M-Ma cosa... cosa significa?»
Andrew non ebbe il coraggio di guardare negli occhi il cugino. Sospirò. «È solo per la tua sicurezza, quella di Brian e tutti quelli che sono cari a entrambi, Skyler. Mi dispiace, ma... questa sarà presto un'ordinanza ufficiale. Vale per tutti i civili. Te lo avevo detto di partire quando ancora potevi farlo. Non hai voluto darmi ascolto e purtroppo gli ultimi sviluppi sono questi.»
Skyler era un'Omega e purtroppo per lui rientrava nella sottospecie dei predatori, proprio come tante altre persone che Andrew conosceva e aveva visto in quei giorni venire scortata nelle strutture di sicurezza apposite, volenti o nolenti.
Erano trascorsi sette giorni dalla sera in cui il capitano Jones aveva parlato alla stampa, scegliendo di dire la verità, di smettere di prendere in giro Eutopia e avvertirla di un pericolo imminente. Anzi, un pericolo che già stava dilagando ovunque. Il governatore e il re non avevano potuto far altro che appoggiarlo. Era importante mostrare alla gente che le autorità erano unite su un fronte comune.
Il detective Thorne aveva deciso di occuparsi personalmente di suo cugino e di tranquillizzarlo, di fargli capire che non doveva sentirsi un infetto o un untore, ma solo una persona che rischiava di regredire e di nuocere a chi amava. Come già era stato detto, Skyler non aveva voluto saperne di lasciare in tempo Eutopia e le frontiere erano state infine chiuse per davvero ed erano sorvegliate notte e giorno dai militari dell'esercito. Solo in casi estremi era stato ordinato loro di sparare su eventuali trasgressori.
Brian strinse una mano al compagno. «Saremo insieme. Siamo entrambi della stessa categoria. Non sarai da solo.»
«Ma tutti i nostri amici... il tuo lavoro...»
«Questa storia non influirà sulla carriera né mia né tua e gli altri capiranno. È una questione di vita o di morte, Skyler. Non possiamo rifiutarci e non abbiamo scelta. Rischiamo grosso anche penalmente, capisci?»
«E il bambino? A lui non pensi? Se dovessi sentirmi male... se... se per caso qualcosa andasse storto? Cosa ci faranno, lì, poi? C'è magari un vaccino? Esiste una cura preventiva o un modo per tornare indietro? Ci terranno sotto controllo o verremo messi in delle celle come dei prigionieri? Non andrò da nessuna parte finché non mi verrà detto per filo e per segno cosa accade in quei posti!»
Andrew e Brian si scambiarono un'occhiata tetra, poi il primo disse: «Purtroppo non esiste ancora una cura. Ci stanno lavorando tuttora, però. Verrete trattati con rispetto nei Rifugi, Skyler. Non sono delle prigioni, sono solo centri specializzati nei quali venite monitorati due volte al giorno e sottoposti a cure se doveste presentare dei sintomi sospetti».
Lexie per fortuna non era un predatore, ma la sua amica, Zelda, invece sì. Quella storia minacciava di distruggere le amicizie, di spaccare intere famiglie e milioni di persone erano in pericolo e nessuno di loro si era accorto in tempo della gravità della situazione.
Il capitano Jones era ancora a capo delle operazioni ed era più il tempo che trascorreva da una parte all'altra di Eutopia per via di nuove aggressioni e nuovi casi di infezione o di sparizione, che quelle in cui ormai stava in ufficio. Tuttavia, quando ciò accadeva, era indaffarato come tutti quanti loro a rispondere alle telefonate ansiose dei cittadini o alle segnalazioni che aumentavano di giorno in giorno. Era un vero inferno.
Dagli esami che il capo della polizia aveva fatto, comunque, non era emersa nessuna contaminazione, per fortuna, solo una gravidanza in corso e che stava attualmente proseguendo. Di quei tempi, purtroppo, fare un'operazione per porre fine alla gestazione sarebbe stato troppo rischioso e gli ospedali avevano sospeso attività di quel genere per far fronte a una malattia che si stava diffondendo a macchia d'olio e di cui non si conosceva il modo di proliferare e di attaccare, ma che lo stesso dava un gran daffare nelle corsie a tutti i medici e gli infermieri.
L'ultima volta che Andy aveva parlato con il suo capo, lo aveva visto piuttosto abbattuto e solo all'ultimo si era ricordato che anche lui aveva una famiglia dalla quale era costretto a restare lontano. Per anni aveva guardato Jones sotto una luce puramente lavorativa, l'aveva spesso visto come il proprio personale antagonista o persino una nemesi e spesso detestato, ma in quei giorni si era reso conto che era una persona come tutti gli altri, che aveva come tutti i suoi problemi, le sue angosce e le sue responsabilità come compagno e come genitore. Proprio per questo e perché condivideva il suo stato d'animo e la stanchezza che ormai era evidente sul suo viso sciupato e pallido, quello di chi non dormiva quasi più ormai e intanto doveva affrontare una gravidanza a rischio, di tanto in tanto cercava di essere gentile con lui e di alleggerirgli il lavoro, anche se non sempre quei gesti venivano accettati o comunque accolti di buon grado. Jones era una persona orgogliosa e con gli orgogliosi c'era ben poco da ragionare. Potevano anche crollare in ginocchio e tanto avrebbero rifiutato sempre e in ogni caso la mano che veniva loro tesa per aiutarli a tornare su. Se dovevano rialzarsi, lo facevano da soli.
Le ultime parole che il capitano gli aveva rivolto prima di concludere l'ultimo briefing che si era tenuto, lo avevano un po' scosso. ‟Siamo nelle tue mani, Thorne. Spero tu ne sia consapevole. Il dipartimento conta su di te." Gli aveva in un certo senso ceduto comunque il comando o gran parte di esso, aveva affidato probabilmente molta della sicurezza di Eutopia a lui e quella era una responsabilità gravosa, mai si sarebbe aspettato una cosa come quella quando era stato promosso. In parte era come se avesse gettato la spugna e scelto di ritirarsi, di darla infine vinta al governatore, anche se in sordina e in modo molto discreto. Forse invece c'era dell'altro, ma nessuno tranne lo stesso Jones poteva saperlo. Eppure, quando un paio di giorni addietro Andrew aveva trovato il coraggio di suggerirgli che forse avrebbe dovuto stare un po' a riposo, il capo della polizia aveva scosso la testa e detto che avrebbe fatto il suo dovere finché ne avesse avuto le forze, persino oltre, anzi. Non voleva saperne di mollare del tutto, si impegnava e lavorava comunque, dalla mattina alla sera, ma se la sua mente era ancora ben focalizzata sulla situazione drammatica che stavano affrontando, era chiaro che il suo corpo era di ben altro parere. Sembrava più magro, come se neppure le sue condizioni delicate riuscissero a dargli un aspetto sano e luminoso, come solitamente accadeva ed era accaduto anche a lui con la prima figlia. Andrew non riusciva a togliersi dalla testa l'idea che qualcosa non andava.
Ad ogni modo, non era sicuro di essere pronto, di potercela fare e di poter porre fine a quella storia, ma non aveva scelta, doveva tentare, anche se dal punto di vista personale era in ansia per diverse ragioni, soprattutto per via di Lexie. Aveva paura sempre che potesse accadergli qualcosa ogni volta che si separavano e lo vedeva uscire o, ancora, che era lui ad andarsene dall'appartamento. Si vedevano regolarmente, parlavano, trascorrevano il tempo assieme per conoscersi sempre un po' meglio poco a poco, e quasi sempre la serata finiva in modo decisamente incandescente. Mentre imparavano a conoscersi e ad aprirsi a vicenda, intanto aspettavano. Aspettavano la fine del mese per fare un test ben diverso da quello che veniva attualmente fatto negli ospedali di Eutopia. Andrew aspettava di sapere se sarebbe diventato o meno padre. Da un lato quasi ci sperava, era in fermento, l'attesa lo stava uccidendo a fuoco lento, ma dall'altro... provava paura, non si sentiva pronto, forse mai ci si sarebbe sentito. Aveva preferito non parlarne a Brian o a James. Finché non sarebbe stato sicuro, era meglio tacere e tenere la cosa segreta. Lexie aveva un atteggiamento neutrale nei confronti della questione, sembrava tranquillo, ma forse era una semplice facciata. Spesso Andrew lo aveva sorpreso a specchiarsi, specialmente di profilo. Da quel che aveva potuto vedere fino ad allora, però, non vi erano stati i tipici sintomi come nausea, mal di testa e tanto altro ancora. Forse la loro era una paura infondata e basta, ma per scaramanzia ogni volta che avevano rapporti sessuali Andrew si premurava di prendere una sicura precauzione, altrimenti l'attesa sarebbe stata inutile.
Una volta si era arrischiato a chiedere al ragazzo come si sarebbe sentito se avessero scoperto di aver generato una nuova vita prossima a nascere. Lexie aveva risposto che non sarebbe in fin dei conti stata la fine del mondo e che comunque, almeno, era sicuro che avrebbe reso padre un brav'uomo e non una canaglia, e tanto gli bastava. Andrew aveva avuto modo di vederlo cambiare in quei giorni, cambiare in meglio. Gli leggeva negli occhi che Logan iniziava già a essere un lontano ricordo, cosa che a lui non poteva che fare piacere, ovviamente. Non se la sentiva di biasimare fino in fondo Durby, ma non riusciva neppure a giustificarlo. Aveva combinato un casino e quello era stato il risultato. In quanto al piccolo Michael, purtroppo Drew aveva avuto pochissimo tempo per conoscerlo, visto che Lexie, seppur a fatica e con grande sofferenza, aveva detto a Evelyn di andare fuori città prima della chiusura delle frontiere e di portare con sé Michael finché l'emergenza non fosse rientrata. Le aveva persino dato quasi tutti i risparmi che possedeva per far sì che in quel lasso di tempo tutti e due potessero fronteggiare al meglio la vita lontana da Eutopia. Dunque, al momento, il bambino era affidato alle cure della ragazza e del fidanzato di quest'ultima, un ragazzo perbene che Lexie aveva conosciuto e giudicato in modo positivo.
Andrew aveva capito di dover stargli ancora più vicino. Non poteva neppure immaginare cosa dovesse significare vivere separati dai propri figli, non era mai stato padre, ma a giudicare dalle volte in cui gli era capitato di sorprendere il ragazzo stare sulla soglia della cameretta vuota con l'espressione di chi sperava di trovarla di nuovo occupata per magia, o ancora quando una volta era andato a trovarlo e notato i suoi occhi arrossati per via di una crisi di pianto recente, doveva essere straziante.
Che situazione orribile. In generale era davvero, davvero orribile.
Vide Skyler alzarsi e lo imitò. «Risolverò questa faccenda» gli disse. «Te lo prometto. Lo giuro a entrambi.» Trasferì gli occhi su Brian. «Voi restate uniti, nel frattempo. Andrà tutto bene.»
Lui stesso era un predatore, ma data la gravità della situazione e il ruolo che ricopriva, il governatore lo aveva eccezionalmente esentato dall'internamento in una delle strutture e lo aveva fatto proprio per dargli la possibilità di risolvere il caso e salvare la vita a tre quarti della città, proprio come aveva fatto con il capitano e con James.
Una cosa era sicura: doveva sbrigarsi. Qualcosa non gli tornava e lì qualcuno stava tramando nell'ombra per gettare nel panico una metropoli intera aizzando i cittadini gli uni contro gli altri.
Era ormai sicuro che i primi soggetti scomparsi, infettati o morti avevano avuto tutti a che fare con il Black Dahlia. Era un dato di fatto. Tutti loro avevano presentato un atteggiamento strano prima di morire o sparire, ma solo una di loro aveva fatto qualcosa di diverso, andando contro quel macabro copione: Rachel. Rachel aveva detto a Lexie di aver combinato qualcosa di grave e poi riferito a Zelda di essere venuta a conoscenza di un segreto terribile, ma la strada si interrompeva lì. C'era sempre quell'ostacolo nero e abissale chiamato vuoto, l'ignoranza su ciò che Rachel aveva tenuto nascosto ed era stata sul punto di confidare alla sua amante.
Quindi, pur avendolo fatto ripetute volte, Andrew era deciso a controllare di nuovo l'abitazione della defunta. Forse poteva trovare finalmente un indizio che magari non aveva notato o scovato fino ad allora, qualcosa che lo indirizzasse in una direzione ben precisa. Doveva tentare tutte le strade e sentiva che quella di Rachel lo avrebbe portato dritto alla meta. Bastava solo imboccare la giusta direzione ed era fatta.
Si avvicinò al cugino e lo abbracciò forte. «Andrà tutto bene» gli ripeté sottovoce, come quando erano stati piccoli e Skyler, spaventato dai temporali estivi, si era intrufolato spesso nel suo letto per sentirsi al sicuro. Entrambi erano cresciuti in campagna e nella stessa dimora che per generazioni era appartenuta alla famiglia di Andrew e a quella del padre di Skyler, André; quest'ultimo, purtroppo, non aveva fatto in tempo a vedere il figlio realizzarsi, diventare medico, sposarsi e costruirsi un futuro. C'era stato l'inizio della guerra, anni prima, e il conflitto era terminato molto di recente. Molti, già dal principio, erano stati richiamati dallo Stato per prestare servizio militare al fronte. Fra i tanti richiamati al dovere, purtroppo, anche André, come il padre di Drew, era dovuto partire.
Andrew ricordava ancora l'ultima volta che aveva visto suo zio. Ricordava quell'uomo spiritoso, in gamba e alla mano, ancora giovane e prestante, che si era inginocchiato dopo che lui, bambino ignaro dei problemi degli adulti, gli aveva ripetuto più volte di non andare e di restare con loro. André lo aveva stretto forte a sé e gli aveva detto che sarebbe tornato presto, che andava tutto bene. Gli aveva fatto promettere di restare unito con i suoi cugini e il resto della famiglia, poi si erano separati e Andrew l'aveva visto uscire dalla porta di casa e salire sul furgone nero dei militari con già la divisa addosso.
A differenza del signor Thorne, tuttavia, André non aveva più fatto ritorno. Un'esplosione lo aveva ucciso, senza lasciare neppure un brandello del suo corpo, se non parti così minuscole che sarebbe stato inutile cercare di rimettere assieme.
Skyler e il suo gemello, Asher, avevano sofferto molto per la scomparsa del padre e Andrew, insieme agli amici di infanzia James e Brian, era stato loro vicino come meglio aveva potuto. Talmente il loro quartetto era diventato inseparabile e affiatato, che tre di loro avevano infine scelto la medesima carriera, eccetto Skyler che sin da piccolo aveva sempre voluto fare il medico come il padre e scelto definitivamente di seguire quella strada quasi come a voler onorare in un certo senso la memoria di André.
Era stato lui il primo a lasciare per sempre la casa condivisa da entrambe le famiglie e a trasferirsi a Eutopia per gli studi e, infine, a rimanerci per lavorare nell'ospedale locale. Era quello che si era impegnato di più, specialmente considerando i pregiudizi ancora in auge fra molti Alphaga sul conto degli Omega. Una volta Skyler aveva ammesso con Brian e Andrew, quando una volta erano usciti per una serata di bevute, di aver inizialmente scelto come specializzazione ostetricia e di non aver per un soffio superato il test di ammissione. Un professore gli aveva dunque detto che poteva aiutarlo a essere lo stesso ammesso, ma subito dopo fatto delle avances e specificato che avrebbe dovuto soddisfare quelle per proseguire il percorso di studi. Ovviamente aveva declinato l'ignobile proposta e scelto un indirizzo diverso, dovendo tacere sull'accaduto per la paura di subire eventuali ritorsioni.
Andrew, dal canto suo, col senno di poi ammetteva di aver spesso giudicato male gli Omega, a parte il cugino. Anche lui si era lasciato influenzare da quei pregiudizi ancora radicati a Eutopia e solo in quei giorni aveva iniziato a farsi un bell'esame di coscienza e ad ammettere che quella città sul serio non era perfetta e aveva tanto su cui lavorare, sempre che sarebbe riuscita a restare intera dopo quella storia del contagio.
Skyler si separò dall'abbraccio. «Mentre non ci sono... ecco... tieni d'occhio Asher da parte mia, okay? Sai com'è fatto e quando verrà a sapere che io e Brian siamo stati internati in quel posto... i-insomma, lo sai che si preoccupa per un niente e che va in iperventilazione.»
«Tranquillo» lo rassicurò Andrew. «Asher non è uno stupido e capirà. Lo terrò d'occhio.»
«Non siamo mai stati separati in questo modo, da quando siamo nati.» Langford guardò altrove, gli occhi cerulei persi nell'osservare la casa dalla quale molto presto si sarebbe dovuto congedare per cause di forza maggiore. «È vero, quando sono partito per venire a stare qui e studiare, lui è rimasto a casa con la mamma, ma non era solo e con lui c'era Samantha. Si è trasferito poi perché così non saremmo stati lontani e avremmo potuto vederci tutti quanti, e ora guarda com'è andata a finire. Anche Samantha dovrà...?»
Thorne sospirò. «Temo di sì. Considerando la sua forma animale, temo che rientri fra i predatori più a rischio e più pericolosi, se infettati.» Un conto era un Alphaga la cui forma alternativa era quella di un gatto, ad esempio, un altro era quando qualcuno, come ad esempio Samantha, era capace di tramutarsi in una leonessa. Non era propriamente roba da niente vedersela con una leonessa che non conservava più la ragione ed era regredita allo stato selvaggio e feroce.
«E James?»
«Lui, come me, ha ottenuto una dispensa dal governatore. Da quando Rogue ha subito un'aggressione, James non si dà pace. Vuole arrivare fino in fondo al caso proprio come me e forse ha una motivazione più valida della mia. Non l'ho mai visto così determinato e furioso allo stesso tempo. Continua a dire che secondo lui c'è qualcosa di strano in questa storia, qualcosa che ancora non siamo riusciti a scoprire. Onestamente gli dò ragione.»
Skyler deglutì. «Finché tutti lotteremo per il bene, nessuna motivazione sarà scontata o più valida delle altre. Se è abbastanza forte, allora è sufficiente.» Si asciugò una guancia col dorso della mano. «Io e Brian avevamo appena iniziato ad arredare la cameretta. Mi chiedo s-se... se riusciremo a finirla prima dell'arrivo del piccolo. Accidenti.» Pareva di nuovo sul punto di scoppiare in lacrime. Era logorante vederlo in quello stato.
«Sì che ci riuscirete.» Andrew strinse una spalla a entrambi. «Vostro figlio nascerà in una città sicura e libera dal pericolo. Ve lo giuro sulla mia vita. Dovessi perdere un braccio, una gamba o tutto quanto, risolverò il caso.»
Brian sorrise, orgoglioso dell'amico. «Siamo tutti con te, detective. Prendi a calci nel culo anche da parte mia il bastardo o i bastardi che hanno fatto tutto questo. Dai un abbraccio a James da parte mia e... beh, sta' vicino anche a lui. Quando sono andato da lui, era al capezzale di Rogue e sembrava... insomma, era distrutto.» Rogue purtroppo era in coma e almeno per il momento non dava segni di ripresa. Era stato conciato un bel po' male e, per via dell'aggressione che aveva subito, perso l'uso di un occhio, metà del viso sfregiato. Anche se poi i medici lo avevano sistemato, le cicatrici sarebbero rimaste per sempre. Senza contare che James poteva stargli vicino solo pochi minuti al giorno, per poi dover andare via perché il suo compagno era stato infettato. Non si sapeva ancora dove si spingesse il contagio, ma era meglio non rischiare.
Andrew guardò un'ultima volta il suo amico più caro e il cugino, poi, con lo sguardo pieno di lacrime che non voleva versare davanti a loro, abbandonò la stanza e infine la casa. Quando lo fece, venne accolto dal silenzio tombale che era calato sulla città. Un paio di giorni prima si era deciso di stabilire un severo coprifuoco e lui era dispensato da esso solo quando era in servizio. Non volendo farsi beccare in giro a quell'ora e per giunta nel giorno libero che si era preso, aveva scelto saggiamente di presentarsi lì con la divisa, per dare così l'idea di non star infrangendo le regole.
Il tramonto stava calando su Eutopia, la città sotto assedio da parte di un nemico invisibile, e la inondava di luce sanguigna mentre il detective Thorne saliva in auto e ripartiva.
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