乇ㄩㄒㄖ卩|卂 || Ep. 26. La Danza degli Spettri






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Quattro anni dopo


Pochi avrebbero creduto che un simile gruppo fosse quasi del tutto formato da amici e persone che si conoscevano tra loro, tanto i membri sembravano diversi e agli antipodi.

C'era un giovane detective dall'aria più stanca che mai, uno sceriffo dalla carriera sempre più promettente, un ex- agente semplice appena promosso a tenente, un medico dall'aria tesa e dallo sguardo malinconico e un avvocato che ancora si domandava per quale ragione valida avesse dovuto allontanarsi così tanto da casa e per giunta con una scusa da propinare al proprio sposo.

Nel dubbio e in attesa che uno degli altri si decidesse a vuotare il sacco, lui vuotò il proprio bicchiere e mandò giù senza una singola smorfia il whiskey.

Il locale in cui si trovavano pareva abbastanza tranquillo e chic. Nulla di speciale, lui era abituato a livelli ancora più eccelsi, ma in fin dei conti quella non era una rimpatriata di piacere.

Il primo ad arrivare era stato lui e aveva già trovato lì Thorne, poi a seguire si erano uniti a loro Peterson, Wildbrook e per ultimo Herden.

Il detective li squadrò a turno. «Mi dispiace avervi chiamati con così poco preavviso, ma non potevo aspettare oltre e presto capirete cosa intendo.» Accennò con breve movimento del capo al medico. «Io e Max non riuscivamo a darci pace. Avevamo motivazioni differenti, certo, ma abbiamo scelto di unire i cervelli in virtù di uno scopo comune: la verità. Dopo tutto quello che è successo ancora nessuno ci aveva detto cosa davvero sia accaduto quattro anni fa, quando Eutopia è stata inghiottita da un'ondata di panico e da una strana epidemia.»

Dante si accigliò. «Pensavo di avervi detto e ripetuto di tenere il naso fuori dagli affari dei federali. Quella è gente pericolosa, Andrew.»

«Sono le stesse persone che hanno permesso ai giornali e al dipartimento di polizia per il quale lavoro di far passare tuo fratello per un idiota e un incompetente, quando sappiamo che ha dato letteralmente la vita per mantenere l'ordine a Eutopia. Se non fosse mai accaduto niente, forse avrebbe avuto il tempo di andare a farsi visitare e scoprire del cancro prima che divenisse talmente avanzato da non essere più trattabile né operabile.»

«Sono due discorsi differenti e non rimarrò qui a farmi sbattere in faccia cose che ricordo benissimo da solo.» Dante fece per alzarsi e andarsene, innervosito, ma fu il cognato a pregarlo di fermarsi e a di aspettare. «Credimi, è importante.»

L'avvocato lo squadrò. «Almeno tu avresti potuto avvisarmi. Che fai, Max, agisci alle mie spalle? Siamo cognati, parenti! Perché non mi hai detto niente?»

«Perché ci avresti impedito di scavare più a fondo.»

«Per una ragione sacrosanta.»

«Non sei in tribunale, perciò chiudi il becco e ascolta ciò che ha da dire Andrew» tagliò corto Herden.

Jones lo fissò. «Tornatene a dirigere il traffico.»

«Sono un cazzo di tenente, nel caso ti fosse sfuggito, e ciò non mi impedirà comunque di prenderti a calci.»

Peterson alzò gli occhi al cielo e fece cenno a entrambi con le mani di calmarsi. «Va bene, voi due, dateci un taglio. Qui siamo stressati tutti, ma dobbiamo mantenere la calma, chiaro?»

«Io sono calmissimo» lo rimbeccò Brian. «Non mi piace essere preso per i fondelli, punto.»

Vedendo che Dante stava per uscirsene con uno dei suoi proverbiali commenti maligni, Andrew gli tirò un calcio da sotto il tavolo e gli rifilò un'occhiata che gli intimava di smetterla.

«Se avete finito, gradirei andare avanti con la mia spiegazione.»

«Prego, allora» replicò Dante con voce strozzata, maledicendolo per avergli fatto un gran male alla caviglia. «Fanculo, cazzo.»

«Max, continua pure tu. È con te che sono iniziate le nostre indagini, dopotutto.»

Il dottore si prese un attimo. «È iniziato tutto poco dopo...», evitò di pronunciare quelle parole ad alta voce. «Come sapete, ho quasi subito ricominciato a lavorare. Avevo bisogno di non pensare a cos'era successo, di riprendermi a modo mio dal lutto, ma mi è stato impossibile farlo quando... quando molte delle persone che erano rimaste infettate ed erano poi guarite... un po' alla volta hanno scoperto di aver sviluppato fra le più svariate patologie oncologiche che la medicina conosca. Alcune del tutto da manuale, altre bizzarre, ma c'era sempre il sottile nesso dell'epidemia a spingermi a chiedermi se non fosse tutto collegato. Molti di loro non ce l'hanno fatta e...», sospirò e guardò lo sceriffo.

Peterson deglutì a vuoto. «Anche a Rogue, di recente, hanno diagnosticato il cancro, e posso assicurare che non ha mai fumato una sola volta nella sua vita, ha sempre vissuto in modo sano.»

«Il cancro è una questione anche di propensione naturale» si permise di puntualizzare Dante.

«Nella sua famiglia non c'era alcuna familiarità, Dante. Neanche un po'.»
«Mi dispiace, comunque. Ha già iniziato la terapia?»

«Sì, ma da poco. Per ora si barcamena fra gli effetti collaterali della chemio e il cercare di star dietro alla crescita di Arthur. Io vorrei poter fare di più, ma devo lavorare o non potremo permetterti le cure e solo gli dèi sanno quanto costino. L'assicurazione non basta a coprirle e non ci sono ospedali locali pubblici, solo privati.»

«Starà meglio, vedrai. Non sempre il cancro è una condanna.»

«Sì, ma se anche dovesse guarire, dicono che al novanta percento non potrà più avere altri figli.»

«All'utero? Cazzo.»

«Era distrutto quando gliel'hanno detto. Non sapevo come consolarlo, cosa dirgli per fargli vedere il lato positivo in una situazione che non ne ha alcuno.»

Dante, scombussolato, deglutì a vuoto. «Ancora non capisco come tutto questo possa esser riconducibile a quella storia. Quali altre prove avete?»

Andrew esitò. «Questo non ti piacerà, ti avverto. Anzi, ti farà incazzare parecchio.»

«Dillo e basta.»

«Fra i pazienti malati di tumore c'erano anche degli agenti di polizia, ma non solo quelli. c'erano pure i membri della scientifica, gli stessi che la notte in cui venne rinvenuta la testa di Rachel si recarono sul posto per raccogliere prove. Sappiamo tutti chi c'era con loro quella notte, a parte Reger. Alcuni sono già morti, altri invece tutt'ora stanno lottando per sopravvivere. Uno di loro addirittura ha scoperto di avere un tumore molto simile a quello di tuo fratello.»

La verità piovve su Dante come un macigno. «Un attimo... stai... stai dicendo che mio fratello si è ammalato per via di una sorta di contaminazione che ha provocato in lui la comparsa del cancro?»

«Esatto» replicò debolmente Max. «E lui, chissà come, ha iniziato a stare male dopo esser stato lì. Dario non era tipo da sottovalutare certi sintomi. È vero, da anni e anni diceva di avere dei forti mal di testa, ma non dimentichiamo che lavorava anche troppo e tendeva a spingersi oltre e a non riposare abbastanza. Non erano quelle le avvisaglie del glioblastoma e parliamo di una neoplasia rara, colpisce una bassa percentuale della popolazione, ma casualmente... ha colpito anche lui che si era avvicinato fin troppo a una zona altamente contaminata e infestata da scorie chimiche che si erano disperse nell'aria circostante. Ho una risposta molto semplice anche per i risultati degli esami che all'epoca Dario fece per assicurarsi di non aver contratto quella malattia: la risposta al test venne falsificata, forse per ordine dello stesso Reger. Quella volta un altro mio collega se ne occupò e purtroppo questo, col senno di poi, ha dato modo al disastro di compiersi. In fin dei conti il principale obiettivo dell'ex-governatore era di aver tuo fratello fuori dai piedi. Sapeva cosa sarebbe successo se Dario si fosse convinto di star bene, sapeva che non avrebbe avuto scampo alcuno. Era tutto ben studiato, per lui tuo fratello era una presenza troppo scomoda, era uno che faceva troppe domande e non mollava facilmente l'osso. Ecco la reale ragione per cui insisteva tanto perché Dario facesse quell'esame: per assicurarsi che il colpo fosse andato a segno.»

«E Reger, allora? Era un predatore, no? Neppure lui era immune a quella roba.»

Andrew e Max si guardarono, poi il detective rispose: «Ho indagato eccome anche su di lui, e sai cosa? Mentre tuo fratello si arrovellava per capirci qualcosa ed evitare che scoppiasse il panico, quel bastardo si è fatto prenotare un trapianto di fegato e lo ha affrontato nello stesso, identico giorno. Anche lui si era ammalato, ma a differenza di Dario ha avuto più fortuna sotto ogni punto di vista».

«Figlio di puttana» sibilò Dante, serrando i pugni sul tavolo. «Giuro che...!»

«Non preoccuparti, farò in modo che ottenga la condanna a morte, stavolta» lo rassicurò serio Andrew, il quale pretendeva a quel punto vendetta. «Col senno di poi ho fatto bene a recarmi in quell'ospedale abbandonato indossando una mascherina. Sentivo che non indossarla mi avrebbe forse esposto a un pericolo e ci avevo visto giusto. Mi è andata liscia come l'olio e ringrazio che all'epoca io e Lexie avevamo discusso, altrimenti avrebbe potuto seguirmi, testardo com'è, e avrei fatto rischiare la vita anche a lui. Magari ora... ora non sarebbe più al mio fianco, perciò sono davvero grato che le cose siano andate così.»

«Quindi?» incalzò Brian rauco.

Max riprese parola: «Quella storia dei tumori mi aveva allarmato molto e allora ho... ho chiesto a un mio collega e amico di farmi un favore, ovvero... di eseguire un'autopsia sul corpo di Dario non appena fossi riuscito a farlo riesumare».

«Chiedo scusa?» incalzò Dante, sperando di aver capito male. «Hai fatto che cosa?»

«Neanche a me l'idea faceva impazzire. Nel caso lo avessi dimenticato, amavo tuo fratello ed eravamo sposati. Non sprizzavo gioia da ogni poro al pensiero di farlo riesumare e tagliuzzare su un freddo tavolo operatorio, giusto per chiarire.»

«Bene! Dunque?»

«Dunque niente.»

«Cosa?»

Andrew intervenne: «Ciò che Max sta cercando di dire, è che del cadavere di tuo fratello non c'era più alcuna traccia. La bara era vuota, come se non fosse mai stata occupata».

«Puttanate. Ho assistito alla tumulazione!»

«Avvenuta il giorno dopo la veglia, in seguito alla quale eravate tutti andati a dormire in vista del funerale.» Thorne si chinò e recuperò da terra una valigetta. Da essa estrasse dei fascicoli e li schiaffò sul tavolo. «Serviti pure e dimmi come ti sembra questo bel quadretto, avvocato Jones. Forza.»

Scettico e infastidito, Dante aprì una delle cartelle e la sfogliò. «Cazzo è 'sta roba?»

«Il caso sul quale sto lavorando da tre anni e mezzo dopo il Killer della Mezzanotte.»

«Qui parlano di ladri di cadaveri.»

«Abbiamo definito così chiunque ci sia dietro la pessima abitudine di far sparire di tanto in tanto dalla tomba un cadavere, esatto. Caso vuole che siano i corpi di persone che avevano fra loro un nesso comune, ovvero l'epidemia e le conseguenze orribili e letali che essa ha avuto su di loro.»

«Per questo nella lista dei cadaveri scomparsi c'è anche quello di mio fratello?»

«Sì.»

«E perché nessuno ne ha saputo niente? Una cosa simile avrebbe fatto scalpore e fatto impazzire tutti!»

«Perché sono stato proprio io a impedire all'emorragia di propagarsi vietando esplicitamente ai giornalisti di parlarne. Non voglio che chiunque sia dietro a queste azioni si senta braccato o messo sotto i riflettori.» Thorne prese un altro fascicolo e lo tese all'avvocato. «Questo sì che ti manderà fuori di testa, amico. Leggi un po'.»

Dante, capendo la solfa, estrasse dalla tasca interna dell'elegante completo antracite un paio d'occhiali da vista e li inforcò. Dopo un po' spalancò gli occhi, gettò sul tavolo i documenti e gli occhiali con forza, scattò in piedi e bestemmiò. «Cazzo! Porca puttana! Vaffanculo!» Se ne fregò delle diverse persone che si voltarono a fissarlo a bocca aperta.

Andrew sospirò. «Sei sulla soglia dei quaranta e arrabbiarti così non ti fa bene per niente. Siediti.»

«Ah, chiudi quella cazzo di bocca! Lì c'è scritto che quei fottuti bastardi degli Hammond finanziavano gli esperimenti in quel maledetto laboratorio degli orrori, lo stesso che ha fatto crepare mio fratello! C'è scritto che quel figlio di puttana di Jeffrey Hammond si trovava a Eutopia dopo la fine del processo contro Reger perché stava cercando di distruggere le prove e in parte ci è riuscito! Cazzo!» sbottò sottovoce l'avvocato, cercando invano di controllarsi. Tremava dalla rabbia e per la frustrazione. Riprese in mano il fascicolo e continuò a leggere. «Hanno pure diverse case farmaceutiche in pugno!»

Max annuì. «Una di loro era quella che produceva il... il farmaco sperimentale che a un certo punto proposero a Dario. Gli dissero che aveva la possibilità di tentare quell'ultima via e di essere anche parte di una ricerca che mirava a guarire le neoplasie più aggressive come la sua. Non lo salvò, come sappiamo tutti, e io mi ero convinto che in realtà fosse un placebo, ma ho iniziato a nutrire dei sospetti quando ho scoperto che tutte le altre vittime ammalatesi in seguito all'epidemia avevano a loro volta accettato di far uso di quel farmaco con la promessa che si sarebbero salvate. Ho studiato caso per caso e alla fine ho capito una cosa: quel farmaco, anziché salvarli, accorciava loro la vita, acuiva i devastanti sintomi delle neoplasie. In poche parole li uccideva e li sta ancora uccidendo. La persona che amavo, in cambio dell'agonia e di una falsa promessa di salvezza, ha solamente ottenuto una gran somma di denaro che prima di morire ha fatto versare nei fondi fiduciari dei suoi figli. La sua morte un giorno pagherà a Rosie e ai gemelli il college, e lui... lui sapeva tutto. Sapeva che non si sarebbe salvato e che ogni singola iniezione di quel veleno lo avrebbe spinto sempre di più verso la fine, ma ripeteva di stare meglio, mi faceva giurare ogni giorno di non dire niente a nessuno, neppure a te, Dante, e al resto della vostra famiglia. Ora che so tutto, aggiungo anche questo: ho visto di persona come agiscono quelli che propongono tale cura sperimentale ai malati terminali. Fanno pressione sui loro sensi di colpa, sul fatto che si sentono un peso e una fonte di sofferenza per chi sta loro vicino. Molti di loro sapevano che stavano morendo più rapidamente, ma più soffrivano e più la somma alla fine sarebbe stata esorbitante, e tutti quei soldi sarebbero andati alle loro famiglie. Dario aveva già tentato una volta di accorciare la propria agonia e pensavo di averlo salvato dal baratro, ma alla fine è come se fosse lo stesso riuscito nel suo intento e lo ha fatto per proteggere dal futuro i suoi figli nell'unico modo ormai praticabile per un malato terminale. Mi diceva spesso che loro non avrebbero mai dovuto conoscere la povertà e la miseria come era successo a lui. Diceva che se doveva essere un peso per me e per le persone a cui teneva, almeno avrebbe fatto in modo di ricavare qualcosa da quella sofferenza che potesse aiutare Rosie e i gemelli in futuro.»

Dante sembrava un vulcano prossimo a esplodere e a travolgere tutto quello che lo circondava. «Perciò tu sapevi che si stava ammazzando e non hai fatto niente? Sei rimasto a guardare mentre si faceva iniettare del veleno nelle vene che lo avrebbe solo ammazzato prima del previsto? Dimmi che non è così o giuro sui miei figli e su Godric che...»

Con una gran mole di dignità Max si alzò per fronteggiarlo ed essere alla pari con lui. Nei suoi occhi, però, oltre al dolore c'era anche la rabbia. «Ascoltami bene, avvocato Jones: io ero suo marito, va bene? Tu gli sarai pure stato accanto, ma non quanto me! Quando arrivavi tu cercava sempre di dissimulare e di rendere l'atmosfera il meno pesante possibile perché non voleva vederti soffrire, ma poi, quando rimanevo da solo con lui, tornava a stare male come un cane e a preoccuparsi di più per me che per se stesso! Tu non c'eri quando si intestardiva a voler proseguire quelle dannate flebo! Non c'eri quando poi stava peggio di prima e fingeva l'esatto contrario per non farmi allarmare! Non c'eri nemmeno quando mi disse che lo stava facendo per i suoi figli, per le creature che amava più di qualsiasi altra cosa al mondo, più di se stesso! Pensi che non abbia mai cercato di dissuaderlo, di fermarlo? Tu non vedevi i suoi occhi quando io provavo a dirgli che era una pazzia! Mi implorava di non intervenire perché ormai aveva firmato un vero e proprio contratto e che altrimenti ci sarebbero state delle conseguenze se non avesse rispettato le condizioni dell'accordo! Diceva che in ogni caso per lui era finita e che non avrebbe in fondo fatto alcuna differenza se avesse smesso o meno di accorciarsi l'agonia! Come credi che mi sentissi, dimmi?»

Più cercava di calmarsi e più gli era impossibile farlo.

«Di' quello che ti pare su altre cose, ma non ti azzardare più a mettere in dubbio che lo amassi o meno! Avrei potuto dar retta ai miei desideri egoisti e ignorare le sue parole, ma rispettavo la sua persona e la sua volontà, e quest'ultima era molto chiara, per quanto dolorosa! Fai presto a parlare quando la persona che tu ami è ancora in vita e in perfetta salute! Ti auguro solo di non ritrovarti mai al mio posto!»

La cosa che davvero stava spiazzando gli altri presenti al tavolo era l'aver appena visto quel medico solitamente calmo e ragionevole perdere le staffe, anche se non si poteva biasimarlo. Era chiaro che una volta o l'altra sarebbe per forza esploso e finalmente, dopo quattro anni di lutto, era accaduto.

Nessuno osò opporsi quando poi il medico disse che sarebbe andato a prendere una boccata d'aria fresca.

Dante, sapendo che sarebbe stato controproducente arrabbiarsi ancora, chiese a Andrew: «Quindi cosa intendi fare?»

«Ci sto ancora lavorando e non credo di poter risolvere l'enigma in tempi brevi. Per ora tutto ciò che ho è quello che tu stesso hai visto e sentito.»

«Perciò non sappiamo per quale motivo i cadaveri di quelle persone siano stati trafugati?»

«Non ancora, esatto, ma so che tutto questo non era che l'anticamera della profonda tana del Bianconiglio. Ti terrò comunque informato su eventuali sviluppi. Ci siamo dentro tutti e abbiamo le nostre motivazioni per andare fino in fondo alla questione. Dobbiamo farlo per i nostri colleghi che hanno pagato con la vita l'aver semplicemente svolto il proprio dovere, per Rogue che ancora lotta per sopravvivere e ha rifiutato subito di seguire la medesima terapia-killer e... per chiunque possa ancora incorrere nel medesimo pericolo e permettere a quei bastardi di farla franca. Ho perso molti colleghi e in particolare una persona che rispettavo e mi ha insegnato a essere un detective migliore di quanto non fossi all'inizio. l'unica cosa con cui posso ripagare tuo fratello, Dante, a questo punto è la verità. Fare in modo che tutto venga a galla e acciuffare i colpevoli. Lui avrebbe voluto questo.»

«Non saprei dire con certezza cosa avrebbe voluto o meno, non dopo cosa ho scoperto. Mio fratello ha fatto l'ennesimo calcolo e stavolta ha posto sulla bilancia la propria vita e dall'altro lato i soldi. Ha venduto quel poco che gli restava da vivere. Quel denaro è sporco del suo sangue e resta solo da sperare che i suoi figli non vengano mai a saperlo.»

«Non giudicarlo con tanta durezza, Dante. Nessuno di noi ha il diritto di giudicarlo. Noi siamo vivi, d'altronde. Siamo ancora vivi. Che diritto abbiamo di criticare i morti e le loro scelte? Era un figlio, un fratello, un amico, un compagno, un poliziotto, ma prima ancora di tutto questo era un genitore. Lo dico apertamente: non c'è cosa che non farei per i miei bambini e per la persona che amo.»

Peterson annuì debolmente. «Scherzi, amico?» intervenne rauco. «Mi farei crivellare di proiettili se questo dovesse servire a salvare Arthur e assicurargli un futuro splendente.»

«Vale lo stesso per me. Non c'è niente che non farei per Alder» confermò Herden.

Dante deglutì e cercò di immaginare, solo per un attimo, di ritrovarsi al posto del fratello: affetto da un tumore incurabile e che lo stava velocemente portando nella tomba, reduce da uno scandalo che lo aveva distrutto pubblicamente come poliziotto, messo di fronte alla certezza che non avrebbe mai visto i propri figli crescere né potuto realizzare alcun sogno accanto alla persona che amava. Privo di assicurazione sanitaria, i conti in banca in piena emorragia, tutto era stato ormai trasferito da tempo nei fondi fiduciari destinati ai suoi figli, la sola eredità che sarebbe riuscito a lasciarsi dietro. Probabilmente Dario, schematico come sempre era stato, aveva valutato i pro e i contro di quella faccenda e stabilito di non aver più nulla da perdere e tutto da guadagnare, seppur indirettamente. Qualche flebo di farmaci letali e il dolore sarebbe sparito prima del previsto, i suoi figli sarebbero stati salvi finanziariamente e Max sarebbe stato libero di guardare avanti e rifarsi una vita, se avesse voluto, senza sentirsi in colpa e senza pensare di non aver fatto abbastanza.

Forse era stata una scelta priva di rimpianti, dopotutto, e forse la prospettiva certa e inesorabile della morte aveva offerto una visione delle cose molto differente a suo fratello, gli aveva dato il coraggio di fare l'impensabile, di soffrire, certo, ma a fin di bene.

La sola cosa che non aveva calcolato, era che poi Andrew e Max avrebbero indagato, avrebbero scavato a fondo e finalmente portato in superficie parte della verità.

Nessun delitto era perfetto, ma quello ci si era avvicinato di molto.

Si versò dell'altro liquore, lo buttò giù tutto in una volta, poi: «Ditemi se vi piace questa teoria».

«Quale teoria?»

Si voltò e vide che Max era tornato e si era appena seduto di nuovo al tavolo.

Dante, sapendo che c'era ben poco da indugiare, decise di non riaprire l'argomento di poco fa e di andare avanti. «Gli Hammond possiedono ancora quelle case farmaceutiche, giusto? E una di esse produce tuttora quel farmaco responsabile della morte prematura di chissà quante persone già con un piede nella fossa, perciò la domanda è questa: che senso ha uccidere prima dei malati terminali con la sorte già segnata e addirittura pagarli per il disturbo? Più risentono degli effetti negativi del farmaco e più il prezzo sale, il premio cresce. Da dove mi trovo io, questa è un'attività dove il guadagno è minimo, le spese immense e le entrate carenti. C'è un inghippo sotto e va trovato nel furto di cadaveri. Cosa se ne fanno di cavie ormai morte? Certo, potrebbero eseguire delle autopsie per sapere cosa è andato storto e migliorare il farmaco, se solo non fossero al corrente della sua pericolosità.»

«Perciò pensi che tutto avvenga all'interno di quelle case farmaceutiche?»

«Io credo proprio che siano una semplice copertura, sapendo quanto sono loschi gli Hammond e quanto lontano si spinga la loro ombra intimidatoria. Qui c'è di mezzo un esperimento di qualche sorta, Andrew, o un guadagno che ancora non riusciamo ad afferrare.»

«Tra l'altro, alcuni familiari delle vittime hanno preteso in questi anni che venissero fatti degli esami sui corpi dei defunti per sapere cosa li avesse uccisi prematuramente nello specifico. Dulcis in fundo, la loro richiesta è stata sempre respinta o aggirata per mezzo di assurdi cavilli medici o legali.»

«Quindi qualcosa da nascondere c'è eccome, dopotutto. Ottimo lavoro, dottore.»

«Per un po' sono stato sposato con un poliziotto. Sai com'è, mi ha contagiato con il suo amore per i misteri e le indagini.»

Dante abbozzò un lieve sorriso. «Ti ha insegnato bene, allora.»

James si morse il labbro inferiore. «Se non vogliono che vengano eseguite delle autopsie, è possibile che le sostanze che hanno causato la morte di quelle persone restino nei cadaveri anche dopo la morte. Forse si tratta di agenti patogeni o di prodotti chimici.»

«In tal caso potrebbero solo respingere le richieste di riesumazione, invece rischiano grosso e fanno sparire i corpi» ragionò a sua volta Andrew, non molto convinto. «Io lo trovo bizzarro.»

«Beh, meno prove ci sono e meglio è» insisté Peterson.

«Allora perché opporsi alla cremazione? È successo anche questo.»

«In effetti è accaduto anche con Dario» intervenne di nuovo Max. «Voleva essere cremato, ma per un motivo o l'altro non è stato possibile rispettare la sua volontà. Sembrava tenerci particolarmente, ma niente da fare.»

Dante si accigliò. «A un certo punto, durante la veglia, iniziammo a discutere gli uni con gli altri proprio a tal proposito. Ci accusammo a vicenda di non aver rispettato le ultime volontà di mio fratello, ma alla fine nessuno volle mai ammettere di aver interferito con esse in qualche maniera e... se nessuno di noi lo ha fatto, allora è stato qualcuno di esterno e abbastanza potente da poter stabilire le regole e i divieti del gioco.»

«Non mi sembra un gioco. Stiamo parlando di vite innocenti, qui.»

«Invece è proprio di un gioco che si tratta, Herden, e forse... mio fratello ha solamente mosso le pedine fin dove gli è stato consentito. Ha scelto di concedere come premio per la scommessa la sua stessa vita perché forse qualcosa lo aveva scoperto eccome e intendeva vederci chiaro. Indagava sugli Hammond, giusto? E spesso per dare lo scacco matto prima va sacrificata la regina. Lui era la nostra regina e ha mosso gli altri pezzi sulla scacchiera, li ha preparati per noi perché proseguissimo con le indagini.» La mente di Dante correva, si snodava, e più galoppava più riusciva a intravedere uno spiraglio di luce nel buio, la verità. «Era furbo! Oh, se era furbo! Una volpe di tutto rispetto, direi!»

Era talmente semplice da risultare palese.

«Lui aveva dei sospetti e non gli è sembrato vero quando il suo obiettivo si è avvicinato credendo di averlo in pugno. Si è fatto usare e lo ha usato a sua volta. Era una partita eccome, quella! Voleva la verità e l'ha quasi afferrata. Ci scommetto che mentre stava morendo si rodeva il fegato per non esser riuscito a capire in tempo ogni cosa. Mio fratello era un testone e fosse stato per lui sarebbe vissuto più a lungo degli stessi dèi pur di avere l'ultima parola. Ha indagato fino alla fine e dato una solida base ai sospetti che aveva accumulato. La prova tangibile era proprio ciò che gli stava accadendo. Li aveva inchiodati.»

Guardò Max. «Come si chiamava la casa farmaceutica in questione?»

«Uhm... una cosa che iniziava per P, ma non ricordo bene. Era un nome bizzarro per una compagnia di quel tipo.»

Nella mente di Brian parve accendersi una lampadina. «Qualcosa che aveva a che fare con Plutone, per caso?»

«Sì. Plutonian Shores Medcare, ora lo ricordo!»

«A un certo punto, quando stavo per abbracciarlo quando era venuto a salutare Andrew, mi disse che se mi fossi avvicinato mi avrebbe mandato su Plutone con un pugno. Non me la sono mai scordata quella.»

«È molto probabile che fosse una sorta di messaggio cifrato» convenne Andrew, anche se per lui era tutto pazzesco e contorto. «Mi disse che aveva ottenuto una possibilità esclusiva per andarsene prima da questo mondo e credevo fosse una metafora, un modo come un altro per scherzare sulla morte, ma ora... ho quasi l'impressione che avesse voluto darmi un altro indizio. Mi disse di non vendere l'anima in cambio del successo nel lavoro come aveva fatto invece lui. Forse anche quello era un messaggio fra le righe.»

Poteva darsi come invece poteva essere tutto frutto del caso.

Il detective sollevò gli occhi verdi e li posò su Max. «Come ti sembrava quando riceveste la visita di quel medico, rappresentante o qualunque altra cosa fosse?»

L'uomo cercò di ricordare, finché non impallidì. «Non sembrava sorpreso. Affatto. Ebbi quasi l'impressione che si fossero già visti altrove.»

Dante annuì. «Quindi lo sapeva già quando ha fatto visita a Andrew. Sapeva cosa sarebbe accaduto e ha cercato di lasciare qualche indizio qui e là senza render palesi i propri sospetti. Aveva già scelto da tempo come procedere.»

«Ma perché non dire tutto e basta?»

«Quale gusto ci sarebbe stato, altrimenti? Saresti stato motivato come lo sei ora, se ti avesse servito la pappa già pronta e su un piatto d'argento? Ti conosceva, Andrew. Era stato lui a garantire per la tua promozione a detective, no? Lavoravate insieme al caso dell'epidemia e ti aveva sicuramente studiato sin nei minimi particolari e da vicino. Avevi bisogno di uno sprono, di un motivo per muovere battaglia un'ultima volta. Ha dato a ognuno di noi una ragione per essere qui ora. Voleva che lavorassimo insieme al caso che lui non è riuscito a risolvere fino in fondo.»

James esitò. «C'è un'altra cosa che mi inquieta e sarò io a farvela presente: se ho ben capito le tempistiche, oserei dire che il Killer della Mezzanotte avesse scelto, casualmente, di colpire di nuovo proprio mentre Max, nel frattempo, iniziava a notare che molti malati di cancro avevano avuto a che fare con l'epidemia, alcuni erano addirittura stati dei poliziotti. Quel matto ancora sostiene di non sapere cosa lo abbia spinto a uccidere e forse... ora capisco perché: non c'è mai stato un movente, se non...»

Thorne si accigliò. «... se non prender tempo e assicurarsi che l'attenzione mia e del dipartimento fosse rivolta altrove.»

C'erano tanti di quei collegamenti che la testa rischiava di esplodergli. Quanto ancora si sarebbero rivelate profonde le radici di quello schema?

«Talmente eravamo indaffarati nel cercare di catturare quel pazzo, che uno spropositato aumento di malati di tumore negli ospedali sarebbe stato l'ultimo dei nostri problemi. Era un'esca e ci siamo cascati in pieno.»

Brian quasi si afflosciò sulla seggiola. Era cereo in volto. «Aspettate... in realtà... un giorno, mentre tutti non facevamo che pensare al killer, venne in centrale una donna. Era disperata, diceva che suo marito era stato colpito dal misterioso virus, che era guarito, ma poi si era ammalato di cancro ed era morto nel giro di poco tempo dopo aver aderito a una cura sperimentale che avrebbe invece dovuto salvarlo. Lei aveva poi richiesto di poter riavere indietro le spoglie dell'uomo per celebrare il funerale, ma... le avevano detto di aver per sbaglio cremato il corpo. Voleva denunciare l'accaduto, ma poi...», tremava. «È arrivata la Aguélo. Io ero in panne, non sapevo cosa fare ed ero appena tornato da una delle ronde che dovevamo fare ogni singola notte per pattugliare le strade. La Aguélo si offrì di pensare lei stessa a quel caso e mi disse che potevo andare a riposarmi. Fu insolitamente gentile, quel giorno.»

Dante serrò un pugno sul tavolo. «Quella stronza mi ha anche chiuso la porta in faccia quando ho cercato di convincerla a permettere a te, Andrew, di aiutarmi a indagare sugli Hammond. Non voleva che ficcanasassimo e con Brian voleva limitare i danni ed evitare che lui si insospettisse o volesse approfondire la questione.»

Quella corruzione sembrava espandersi a macchia d'olio di minuto in minuto. Più univano i pezzi e più il mosaico complessivo si ingigantiva.

Andrew a sua volta realizzò un'altra cosa. «Dario mi disse di non remare contro di lei e di mettermi in testa che ormai era la Aguélo a comandare. Disse che contava solo proteggere la città e unire le forze. Non mi stava rimproverando, mi stava dicendo di fare attenzione a quella donna e di non provocarla.» Tutto pareva combaciare alla perfezione, proprio come un puzzle che era sul punto di esser ormai completato e risolto. Mancava solamente un ultimo tassello, quello centrale che avrebbe portato a termine il disegno: che fine avevano fatto i cadaveri di tutte le vittime della Plutonian Shores Medcare? Che fine aveva fatto la salma del defunto Jones? Qual era il senso dietro a tante azioni mostruose e crudeli?

Quel mistero andava chiarito e risolto. Tutti loro, nessuno escluso, avevano una ragione valida e sacrosanta per proseguire assieme quella sorta di partita a scacchi dove la posta in gioco erano tante altre vite innocenti, vite che ancora potevano esser salvate. Dario era morto, tanti altri lo avevano seguito nella tomba, ma quel sacrificio era stato ripagato con la verità o, almeno, gran parte di essa. Come l'ex-capitano della polizia era stato coraggioso nella morte, di fronte alla prospettiva di non avere un futuro davanti a sé, ma di voler lo stesso servire la giustizia fino all'ultimo, così loro avrebbero perseguito quell'obiettivo finale. Erano in ballo e dovevano ballare, dopo che quella macabra danza era stata aperta dagli spettri di coloro che ormai erano trapassati.

Nel silenzio calato fra di loro, seppur smussato dal sommesso cicaleccio degli altri avventori del locale, la suoneria di un telefono si intromise come un molesto e inatteso ospite. Dante quasi sussultò, tanto era assorto in mille riflessioni. Mormorando un'imprecazione, estrasse l'apparecchio dalla tasca interna del doppiopetto e rispose immediatamente quando lesse il nome del proprio sposo. «Godric, che succede?»

Gli altri rimasero zitti e lo guardarono poco a poco subire una trasfigurazione nell'espressione del viso: dapprima si fece confuso, poi un po' alla volta sempre più inquieto e perplesso, infine...

«A-Aspetta un attimo... che significa che Jeffrey Hammond è morto? Non era in prigione?»

Dall'altro capo, Godric a stento riuscì a staccare lo sguardo dallo schermo della televisione che mandava in onda il notiziario. Era del tutto incentrato sulla misteriosa e violenta morte di Jeffrey Hammond. «Confermano c-che non si è trattato di un suicido, ma sembra non si sia trattato neppure di una semplice rissa finita in tragedia fra i detenuti. D-Dante...» Fece un respiro profondo. «Stanno dicendo che, a giudicare dalla scena del crimine, possa essersi trattato di un'autentica esecuzione. Chi l'ha fatto fuori aveva un valido movente e gliel'ha fatta pagare senza pietà, e questo senza neppure esser visto dalle guardie. Non sanno ancora come abbia fatto a superare le difese della prigione e arrivare fino a Jeffrey. Dicono che presto controlleranno le registrazioni delle telecamere di sicurezza e...»

La voce del ragazzo si arrestò, gli occhi color malva si sgranarono.

«Porca miseria» esalò. «P-Pare che l'assassino abbia lasciato anche una firma! Aspetta un attimo!» Rimase in ascolto e ciò che udì lo inquietò non poco. «Ha scritto un nome con il sangue di Hammond sulla parete: Black Fox.»  

Malgrado fosse stato inchiodato davanti a tutta la corte del tribunale e non avesse potuto far niente per contrastare l'appassionata e feroce arringa d'accusa dell'avvocato Jones, l'ex-governatore Reger sarebbe stato un vero ipocrita nel dire che la vita in prigione fosse dura, difficile e colma di privazioni.

Forse andava così per una persona qualsiasi, ma a lui era stato riservato un trattamento di favore per svariati e validi motivi.

La sua cella era ben tenuta e piuttosto spaziosa; gli era concesso di leggere tutti i libri che desiderava, bastava solo che chiedesse. Se voleva fumare, poteva farlo; se gli andava di sgranchirsi le gambe, gli veniva concesso di andarsene a spasso per il cortile, seppur supervisionato da una guardia; se voleva mangiare qualcosa di gran lunga più commestibile del rancio che veniva servito nella mensa, veniva subito accontentato, proprio come era accaduto circa venti minuti prima.

Ciò che invece Arwin Reger non poteva sospettare, era che di lì a poco la quiete del suo confortevole soggiorno in prigione sarebbe stata infranta senza il minimo riguardo.

Quando, infatti, udì dei passi calmi e cadenzati procedere per il corridoio, subito gli parvero inusuali, fin troppo leggeri. Gli sembrò addirittura che le calzature responsabili di quel suono possedessero almeno un accenno di tacco.

L'ex-governatore mise via il libro che stava leggendo e si mise seduto sul comodo e morbido letto dotato di una trapunta inamidata e in flanella. Tenne gli occhi azzurri fissi sulla porta blindata della cella finché quest'ultima, dopo che i passi si furono arrestati, dopo un breve intermezzo fatto di chiavi che venivano usate e girate nella toppa, si aprì.

Ad entrare non fu una delle guardie con indosso la divisa, bensì una figura assai più minuta, snella e del tutto fuoriluogo per una prigione di massima sicurezza. Non indossava affatto abiti da guardia, bensì qualcosa di estremamente aderente e nero pece, una tuta traslucida che non faceva che metter in risalto la provocante forma fisica del ragazzo o uomo che si trovava là dentro con Reger. Aveva i capelli mossi e corti, non superavano in lunghezza la nuca; quel poco di incarnato visibile, considerando che solo la testa e parte del torace non erano coperti dall'insolito indumento, era color avorio; le labbra erano piene e di un bel colorito; gli occhi, dietro a una maschera nera che li copriva alla perfezione, scintillavano arguti come monete d'oro zecchino nella penombra.
Parte della tuta consisteva proprio in calzature che erano un tutt'uno con il resto di essa e, effettivamente, erano dotate di tacco alto che recava pienamente giustizia alle sottili caviglie e alle gambe magre e sode.

Mentre Reger faceva risalire di nuovo lo sguardo, per un attimo non poté evitare di soffermarsi sul torace glabro ed efebico che saltava all'occhio per via della profonda scollatura sotto cui, poi, vi era una stretta cintura a vita alta dalla quale pendevano una fondina con una pistola e, dall'altro lato, il fodero di un autentico pugnale a lama ricurva.

Arwin si concentrò poi sul fastidioso e tintinnante suono delle chiavi il cui anello veniva fatto roteare attorno all'indice affusolato del misterioso e singolare individuo, solo per notare subito dopo che le dita celate dal tessuto aderente erano armate di unghie molto simili ad artigli in sottile e scintillante metallo. Ma le stranezze non finivano lì, visto che da oltre la schiena dello sconosciuto, di tanto in tanto, faceva capolino e serpeggiava una vaporosa coda color inchiostro, la quale ricordava spudoratamente quella di una volpe. Attorno al flessuoso collo un sottile collare dotato di piatte borchie.

V'erano altri dettagli sui quali avrebbe potuto spaziare, ma tutto poteva esser riassunto nell'appena visibile cerchietto coperto dai capelli color mogano e dotato di orecchie a punta nere.

Fu solo dopo aver visto quegli ultimi elementi che Reger sentì il cuore sprofondargli fin nello stomaco. Benché in circostanze differenti avrebbe descritto quell'insieme come sensuale e accattivante, aveva letto i giornali, aveva visto l'immagine del frame di un video di sorveglianza che era stato reso pubblico dalla stampa: davanti a lui c'era Black Fox, la persona che solo un mese prima aveva giustiziato con fredda crudeltà Jeffrey Hammond nella sua cella. C'era ben poco da fissare con la bava alla bocca il proprio futuro assassino.

«Suppongo che tu sia qui per me, stavolta» disse infine, mantenendo il controllo sulla voce. «Ti sei presentato anche da Hammond con un vassoio di buon cibo o mi stai riservando un trattamento speciale?»

Neppure lui sapeva dove stesse traendo la forza e il coraggio per far uso del sarcasmo in una situazione del genere, sapeva solo una cosa: Black Fox sicuramente aveva prima pensato alle guardie e nessuno sarebbe intervenuto per scongiurare l'inevitabile.

Dove passava quell'individuo che sembrava esser uscito dritto dritto da un fumetto o dalle fantasie proibite di qualunque Alfa in vena di piccanti giochi di ruolo, altro poi non rimaneva che sangue e morte, giustizia impartita con bieca neutralità e senza filtri alcuni. Una giustizia dove non v'era posto per la clemenza.

C'era addirittura chi sosteneva che Black Fox stesse rubando il lavoro ai giudici e alla polizia, dato che colpiva solamente le persone che sembravano meritare appieno la morte.

Vigilante, giustiziere o malvagio che fosse, o tutte e tre le cose, quella sera avrebbe reclamato sicuramente un'altra anima.

Arwin lo sapeva, glielo lesse in quegli occhi dorati che lo fissavano.

Una delle mani artigliate di Black Fox si serrò di colpo sulle chiavi, dando fine dunque all'intollerabile tintinnio. l'individuo mascherato fece alcuni passi in avanti e lasciò a terra il vassoio, per poi tornare alla postazione iniziale, ossia a non molta distanza dalla porta. Si appoggiò con la schiena allo stipite e inclinò di lato la testa, la bocca piegata in un mezzo sorriso enigmatico e gelido.

«Le concedo un ultimo pasto prima della fine. Non faccia domande e lo consumi mentre io, intanto, le racconto una storia.»

Reger, senza perdere la solita tempra, si accigliò. «Una storia? E perché mai?»

«Parla di una persona cieca e stupida, una persona ambiziosa che si arrischiò a volare troppo in alto, finì per far sciogliere le ali di cera che recava sulla schiena e precipitò giù in un oceano di rovina e rimpianto. Un poliziotto, per la precisione. Le suona familiare, governatore Reger?» Lentamente sollevò le dita e si tolse la maschera dagli occhi, come se essa fosse rimasta in perfetto equilibrio tramite un equilibrio a pressione.

Quando abbassò di nuovo le braccia, Reger rimase solo in parte spiazzato. Come aveva fatto a non riconoscerlo? E lui che aveva sempre pensato che una maschera come quella non potesse in alcun modo fare la differenza.

«Tu eri morto» disse quasi in un sussurro. «Mi avevano detto che non avevi risposto in maniera adeguata alla terapia ed eri morto!»

Come poteva essere? Gli avevano assicurato, quattro anni prima, di averlo sistemato per le feste e una volta per tutte.

Eppure eccolo là, vivo e vegeto, con la sola differenza celata negli occhi decisamente più chiari simili a oro fuso. Occhi che lo squadravano, ora, con una tale carica di odio e silenziosa ira da fargli credere di esser ancora vivo per miracolo. Era una fortuna che non fosse ancora diventato di pietra sotto tale sguardo.

«Anche io credevo di esserlo, ma se vuole posso farle sentire il polso. Le assicuro che il mio cuore batte ancora, forse addirittura meglio di quanto facesse prima. Tuttavia... sì, per un po' io stesso mi ero convinto di essermene andato, almeno finché, quando ho chiuso gli occhi e mi sono lasciato avvolgere dal buio e dal silenzio, non ho capito che in realtà il cuore batteva ancora, solo che in maniera talmente lenta e impercettibile da farmi sembrare bello che defunto. Non potevo far altro che stare lì, in balia ora di mio marito che invano cercava di rianimarmi, ora di mia sorella che mi preparava per la bara e la tumulazione. Mi convinsi di essere morto, solo per poi inorridire all'idea che la morte in realtà fosse proprio quello: rimanere intrappolati in un corpo destinato a marcire e diventare polvere, consapevoli di tutto ciò che ci circonda, senza poter però prendervi più parte, senza poter aprire gli occhi, parlare, piangere o urlare. Avrei voluto farlo tante volte, sa? Piangere e gridare, ripetere a mio marito che ero ancora lì con lui, di stringermi perché ero terrorizzato e non sapevo cosa mi stesse succedendo; è stato orribile assistere passivamente alla mia veglia funebre e poi al funerale, ascoltare mio fratello parlare durante la cerimonia e non poter alzarmi, raggiungerlo e abbracciarlo forte. Non poter essere lì per placare il pianto della mia Esther che nel bel mezzo della funzione si era messa a piangere senza posa. Mi convinsi che quelli fossero i veri inferi, che fosse quella l'orrenda punizione che mi era stata riservata, ma poi... poi capii di essere ancora vivo. Capii che mentre giacevo dentro la bara, paralizzato e in preda a una sorta di coma cosciente o letargo, stavo cambiando. Le forze un po' alla volta mi tornarono, riuscii finalmente ad aprire gli occhi, a muovermi di tanto in tanto, anche se là dentro era pressoché impossibile. Mi resi conto che, contro ogni aspettativa, alla fine quella cura mi aveva davvero salvato dal cancro, pur senza essersi limitata a guarirlo. Poi, come uno di quegli zombie nei film dell'orrore, ho lottato per liberarmi dalla prigione in cui ero stato messo per errore e sono risalito in superficie. Per paura e per uno scrupolo dettato dall'istinto ho sistemato la terra di nuovo sulla fossa, infine sono corso via dal cimitero e per un po' mi sono nascosto. Ricordo che quella notte pioveva, ricordo che mi sentivo ancora intontito e spaesato, tutti i miei sensi sembravano esser stati spinti al massimo delle capacità. Sentivo le gocce di pioggia arrivare ancor prima che si infrangessero su di me. I tuoni mi assordavano e i fulmini mi accecavano.»

Da allora non poteva far a meno di detestare le tempeste e i temporali in generale. Gli ricordavano ogni volta quella notte.

«Mi sono chiesto a lungo cosa fossi diventato, se fossi ancora vivo o magari sospeso fra il mondo dei vivi e quello dei defunti, ma alla fine ho capito di essere vivo come mai mi ero sentito prima. Mi sono concesso del tempo per elaborare tutto quanto e poi... beh, non essendo più un poliziotto né tecnicamente parte della società, in quanto morto, almeno sulla carta, ho scelto di risolvere delle questioni in sospeso come più mi aggradava, senza più farmi problemi a far uso del lato peggiore e più crudele della legge.»

Arwin, suo malgrado, sorrise di sbieco e con scherno. «Ti è stata concessa la possibilità di sopravvivere a una malattia che pareva non averti lasciato scampo alcuno e... cosa hai fatto? Invece di tornare dal tuo adorato marito e dai tuoi pargoli, ti sei dato all'omicidio? Una gran bella discesa negli inferi per uno come te, Jones, così leale nei confronti della legge. La vittima che diventa carnefice. Che cliché!»

«Oh, non posso che concordare con lei! Si sposa bene con quello del politico corrotto fino al midollo, in effetti.» Solo per un breve istante lo sguardo di Dario venne attraversato da un bieco e ambiguo lampo quando Arwin, il quale aveva riacquistato una certa sicurezza, mangiucchiò qui e là la propria pietanza.

«E dimmi, Black Fox, cosa farai quando avrai eliminato tutte le persone sulla tua lista nera? Striscerai di nuovo nella tomba?»

«Sto vagliando ogni possibilità, ma temo di non poter fare nulla di simile, anche se vorrei poter farlo. Ho provato svariate volte a eliminarmi da solo, ma sembro ormai immune a qualsiasi tentativo di farla finita.»

«E ciò significa che la cura ha funzionato eccome. Avresti dovuto informarti meglio sui dettagli della terapia sperimentale, anche se sono convinto di una cosa: non volevi guarire né salvarti, tu volevi solo averla vinta, avere l'ultima parola e trovare la prova schiacciante che ti avrebbe dato ragione. Dico bene?»

«Mi conosce meglio di quanto pensassi» replicò Black Fox, un lieve e sinistro sorriso sulle labbra. «Vada avanti, la prego.»
«Quando hai capito come stavano più o meno le cose, se non è chieder troppo?»

«Più o meno quando mi è stato proposto di sottopormi a una sperimentale cura, anche se, con la magra assicurazione che mi ritrovavo ad avere, non possedevo i requisiti necessari per una cosa del genere. Ho sin da subito avvertito l'odore di marcio e non mi sbagliavo, così come non mi sbagliavo sulla teoria che non fosse casuale che solo i predatori si fossero ammalati. Siamo più forti e aggressivi degli altri Alphaga, oserei dire... dei soldati perfetti, una volta ricevuto un adeguato addestramento. Prendere dei malati terminali qualsiasi e trasformarli in macchine da combattimento è una mossa niente male e prima o poi scoprirò se ci sono altri come me e in che modo, al contrario mio, sono stati assoggettati. Mi sembra ovvio che vengano controllati in qualche maniera, altrimenti sarebbe tutto inutile.»
«Questo dovrai scoprirlo da solo. Lungi da me privarti del brivido della caccia.»

Dario, ancora una volta, sorrise in maniera vagamente bieca. «Mi perdoni il gioco di parole, Reger, ma è proprio vero quel che si dice sin dai tempi antichi: i morti non parlano.»

«Non mi risulta d'esser morto, visto che sto ancora conversando con te.»

«Ne è sicuro? È sicuro di essere ancora vivo, dopo aver ingurgitato non so quanto estratto di digitale, oleandro e aconito? Io direi che ormai possa considerare se stesso parte della natura e concime per i vermi, sempre che i vermi siano d'accordo nel consumare la carne di una carogna come lei.» Si avvicinò lentamente. «Lei è rimasto a guardarmi mentre morivo poco a poco. Mi ha spinto fra le braccia del cancro che poi ha iniziato a corrompermi e messo a rischio la vita dei miei figli, quelli che avevo in grembo e per miracolo non sono rimasti intaccati dalle esalazioni velenose attorno all'ospedale. Chi è che ride, adesso?»

Rapido come un'aspide gli serrò le dita attorno al collo. «Come ho fatto a diventare così? Cosa c'era in quella robaccia che mi sono fatto iniettare?»

Reger, furioso quanto lui, rispose a denti stretti: «Una sostanza che ha solamente innescato la mutazione genetica. La mutazione può verificarsi solo quando il corpo destinato ad essa subisce un grosso trauma o viene sottoposto ad alti livelli di sofferenza fisica. Appena il confine viene superato, ecco che la mutazione comincia. Odiami pure, ma ricorda questo: dovrai vivere con il costante pensiero che sono stato io a strapparti a una morte miserabile e ti ho concesso di continuare un'esistenza che chiaramente non desideravi più. Povero capitano Jones! Pur di servire la tua amata legge e sconfiggere i mostri, hai guardato troppo a lungo nell'abisso e sei diventato a tua volta ciò che un tempo aborrivi e contro il quale lottavi! Non sei altro che una tragedia vivente!»

Il cocktail letale di veleno, intanto, sembrava cominciare a far effetto. Era visibile dalle sclere arrossate, dalla voce strozzata e un po' gorgogliante. Jones scosse l'ex-governatore con malagrazia. «Ce ne sono altri come me? Altri sono sopravvissuti alla mutazione? Dove sono? Parla!»

Reger, pur moribondo, gli rise quasi in faccia. «Se anche ve ne fossero... non te lo direi comunq...», non riuscì a terminare però quella frase, perché dalla sua bocca venne fuori una rossastra e spumosa mistura di saliva e sangue. Disgustato, deluso e snervato, Dario lo lasciò andare e lo osservò rovinare a terra, venir scosso da violenti spasmi e infine giacere immobile sul pavimento.

«E così trapassa Arwin Reger, il corrotto governatore di questa città dimenticata dagli dèi» disse fra sé. Si chinò, procurò al cadavere un veloce taglio sul braccio con uno degli artigli e con il sangue, come sempre faceva, lasciò sulla parete la propria firma. «Fuori un altro balordo.»

Sapendo che di lì a poco le guardie si sarebbero riprese dopo essere state stordite da lui, un modo come un altro per evitare spargimenti di sangue, si mise di nuovo sugli occhi la maschera e uscì dalla cella. Ripercorse svelto il corridoio, prese la stessa scorciatoia attraverso la quale si era intrufolato nella prigione e fatto ciò sparì nella notte, proprio come un'ombra.

Il detective Thorne si fermò e inginocchiò davanti al cadavere ormai freddo dell'ex-governatore Reger. Vedendo lo stato in cui versava, dopo aver notato il vassoio di cibo, ci mise ben poco a unire i punti e a decretare che era morto per avvelenamento. Il responsabile gli fu subito chiaro quando sollevò lo sguardo e vide sul muro la ormai famosa firma di Black Fox.

«Questa storia ci sta sfuggendo di mano» disse a James, il quale non pareva tuttavia troppo dispiaciuto per il trapasso di Reger.

Lo sceriffo scosse la testa e si strinse nelle spalle. «Beh... non è che non ce lo aspettassimo. Avevamo messo in conto che forse anche lui sarebbe finito nel suo mirino.»

Black Fox sarebbe anche potuto risultare utile, un giustiziere di quartiere, se solo non avesse avuto il brutto e macabro vizio di amministrare la giustizia a suon di condanne a morte e, dunque, macchiarsi di crimini altrettanto atroci e indifendibili.

Non avevano a che fare con un giustiziere, bensì con una mina vagante imprevedibile e pericolosa.

Peterson si avvicinò al collega e chiese, sottovoce: «Sei ancora così sicuro che non si tratti di qualcuno di nostra conoscenza? Insomma... togliendo le altre vittime... prima Hammond e poi Reger... non ti suona come un collegamento familiare e ovvio? Di volpi ne conosciamo due, Andrew, e so per certo che Dante non avrebbe in alcun modo potuto ammazzare queste persone».

Thorne lo squadrò con raggelante severità. «I morti non risorgono dalla tomba, James. Sia io che Dante e gli altri concordiamo su questo. Perché insisti ancora con questa storia?»

«È alquanto evidente» insisté Peterson, allusivo. «Quante altre prove ci servono? Che lui una volta o l'altra venga a farci una visitina in centrale, si tolga la maschera davanti a tutti e si riveli per chi è realmente? Hai visto anche tu le registrazioni!»

«La loro qualità non era elevata e si è voltato solo per pochi attimi. Non si vedeva bene il viso.»

«Lo riconoscerei ovunque. Sono anni che lo conosciamo, Andrew! Non dirmi che non hai notato la benché minima somiglianza!»

«Non mi risulta che Dario avesse gli occhi dorati né la camminata da battona, scusa la brutalità» tagliò corto il detective. «So che questa storia ci sta mandando fuori di testa, ma non per questo dobbiamo iniziare a credere che un morto possa semplicemente risvegliarsi e seminare il terrore fra i criminali della città!»

«Se solo il cadavere non fosse già scomparso da tempo, ti direi di andare al cimitero, far riportare in superficie la bara e controllare che si trovi ancora là sotto!» perse le staffe James. «È un vero peccato, perché almeno in quel modo ti saresti deciso a credermi!»
«Per fare un dispiacere a Max, magari? Non faremo niente di simile e non voglio dare a un uomo col cuore spezzato false e letali speranze.»

La questione della Plutonian Shores Medcare lo aveva messo a dura prova, certo, ma doveva restare coi piedi per terra e saper riconoscere quando la fantasia iniziava ad annebbiare il buonsenso.

Si interruppero all'arrivo di Brian, il tenente Herden, che disse loro di seguirlo fuori dalla cella e in corridoio, dove un detenuto, ben sorvegliato da una guardia che lo teneva saldamente per una spalla, attendeva. «Lui era sveglio e ha visto coi suoi stessi occhi Black Fox correre via in tutta fretta. Ripeti a loro ciò che hai detto a me.»

L'uomo esitò, poi: «È vero, l-l'ho visto. Ho sentito delle voci provenire dalla cella di Reger, ma non sono riuscito a capire di cosa stavano parlando. So solo di aver poi sentito il suono di qualcuno che stava morendo un bel po' male, poi lui è uscito di corsa e....»

«Com'era? Sapresti descrivercelo?» chiese James.

«Era un fulmine, ma per quel poco che ho visto... direi che fosse di bassa statura, snello, capelli corti e scuri, una coda da volpe. Non sono riuscito a vedere altro. L'ho detto: si muoveva rapidamente, in un modo che non ho mai visto. Quel tizio, chiunque sia, non è normale. Nessun Alphaga potrebbe muoversi a quel modo.»

Thorne sospirò. «Sei sicuro di non esser riuscito ad afferrare nulla della loro conversazione? Sforzati, per favore.»

«Niente, lo giuro. Però una cosa l'ho notata: chiunque sia Black Fox, era ovvio che ce l'avesse con Reger per una ragione valida. Lo si capiva dal modo in cui si rivolgeva a lui, dal tono di voce.»

«Okay» sospirò il detective. «Puoi andare.»

Prima di tornare in cella, però, il galeotto si voltò e guardò i tre poliziotti: «Quel tipo non si fermerà davanti a niente e a nessuno. Se nessuno gli darà un freno, lui continuerà e non smetterà di uccidere finché non lo prenderete o non gli sparerete».

I tre, dopo ciò, si scambiarono un'occhiata tesa.

«Dalla morte con furore» commentò cupo Peterson, rifilando al detective un'occhiata severa che lo implorava di darsi una svegliata e sì, di superare l'incredulità e convincersi che avessero a che fare con una persona che, contro ogni logica, davvero sembrava esser tornata dall'oltretomba per risolvere in modo brutale dei conti in sospeso.

«Smettila» sibilò irritato Thorne. «Piuttosto dai disposizioni per un'autopsia. Voglio sapere cos'ha ucciso nello specifico quello stronzo.»

Superò sia lui che Brian e se ne andò.

Herden guardò l'amico, nonché suo superiore. «Sai, James... i-inizio ad avere qualche dubbio anch'io, a esser sincero. Voglio dire...»

Lo sceriffo contrasse la mascella. «Non so più cosa dire, pensare o a cosa credere, Brian.»

«Se è davvero lui, allora forse, prima o poi, si paleserà ad almeno uno di noi, forse a Max.»

Peterson non negava di avere un po' paura all'idea di ricevere una visitina da parte di Black Fox, che egli fosse in realtà Jones o meno. «Onestamente, in parte, spero che non lo faccia. Lo spero soprattutto per Max. Se Dario è riuscito in qualche maniera a tornare o addirittura a sopravvivere a nostra insaputa... una cosa è ovvia, specialmente vedendo cosa sta facendo: non è la persona che ricordavamo. Mi dispiace dirlo, ma... tutto quello che fino ad ora ha mostrato è solo di esser diventato un individuo possibilmente molto pericoloso.»

Brian non era molto d'accordo. «Reger e Hammond se lo meritavano, e così pure gli altri.»

«Ma questo non ci dà il diritto di scegliere chi deve vivere e chi deve morire. Non è questa la giustizia che tutti noi supportiamo e difendiamo.»

«Loro erano responsabili di tutto questo, anche della malattia di Rogue» gli ricordò Herden, un po' infastidito dal suo improvviso accesso di nobiltà e neutralità di pensiero. «Se tu avessi il potere di rimediare agli errori della legge, rimarresti semplicemente zitto e buono, a guardare mentre i malvagi la fanno franca?»

«Almeno la metà delle vittime era già in prigione, la loro sentenza era stata emessa. Erano stati già puniti. Ucciderli ha forse risolto qualcosa? Ha riportato in vita le persone morte a causa loro? Ha migliorato la vita dei cittadini di Eutopia e contribuito al benessere comune?» chiese di rimando James, serio come mai era stato prima. «Non mi risulta che Rogue stia guarendo grazie all'omicidio di Reger e Hammond. È ancora malato di cancro, soffre ancora per gli effetti della chemioterapia e io ancora piango ogni sera per il terrore che se ne vada per sempre. Non è cambiato niente. Questa è giustizia sommaria, Brian, e questo termine non implica mai conseguenze positive.»
Aveva imparato che prima di sparare e uccidere qualcuno, che si trattasse anche del peggior criminale esistente, bisognava pensarci molto bene e poi metter via la pistola, tirare fuori le manette e lasciare che fosse la vera giustizia a fare il suo corso. Quella che consentiva anche a una persona considerata irrecuperabile di rinascere e migliorarsi, di rimediare agli errori commessi. La possibilità di vivere non andava tolta a nessuno. Nessuno poteva arrogarsi il diritto di essere giudice, giuria e carnefice di qualcuno.

«Se intende proseguire su questa strada, è meglio che non si palesi a me, altrimenti farò il mio lavoro e lo metterò dietro alle sbarre» concluse, il tono intransigente. «Preferisco ricordare Jones per com'era, per la persona pronta a fare sempre la cosa giusta e votata alla legge, piuttosto che fermarmi a pensare a come persino l'individuo più irreprensibile possa cadere nel baratro della crudeltà e della violenza.»

Tra l'altro Black Fox non era il primo tizio mascherato e dalle capacità chiaramente fuori dal comune che era saltato fuori dal nulla e all'improvviso. Ce n'erano altri in circolazione e James aveva l'impressione che sarebbero solamente aumentati.

Quella storia non gli piaceva e sperava solo che Andrew si decidesse ad aprire gli occhi e ad accettare che alcune cose, a volte, non potessero essere spiegate con la logica e il raziocinio.

Vedendo che Brian pareva ancora in preda a un vero conflitto interiore, Peterson gli strinse una spalla. «Sei libero di pensarla come vuoi, ma non dimenticare il lavoro che svolgi e per quale motivo lo stai svolgendo. Non scordare che non serviamo noi stessi, ma la città. Il nostro compito è proteggere i cittadini, Brian, e le persone rinchiuse qua dentro o quelle là fuori, in attesa di essere catturate, rimangono parte di Eutopia e meritano di esser difesi dall'unica e attuale minaccia, ovvero Black Fox. Ora come ora è lui a essere pericoloso e a dover esser fermato, in un modo o nell'altro.»

N.d.A.

Finalmente sono riuscita a tirare le somme di quanto narrato fino ad ora e ammetto di non essermi sentita così in hype dai tempi in cui scrivevo man mano la seconda parte di Tredici Rose, quando Andrew è tornato con furore e ha iniziato a giocare al gatto e al topo con Alex & co.
Un po' lo ammetto: la tematica del contrappasso e del karma che prima o poi ti piomba addosso con la stessa delicatezza di un treno mi stuzzica sempre parecchio e qui urgeva un pareggiamento di conti. 
Ho detto che qui non esistevano il sovrannaturale e la magia, ma non ho mai detto, invece, che non esistessero cose come la fantascienza e roba nello stile DC e Marvel. E comunque, ehi: è una Omegaverse e questo già mi istiga abbastanza a dar sfogo all'inventiva xD
Ad ogni modo, spero che l'intreccio sia venuto bene e di aver in qualche maniera sbaragliato le aspettative. Era chiaro che prima o poi avrei fornito una risposta al mistero dietro all'epidemia dei predatori ed ecco finalmente la spiegazione. Alla prossima!

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