乇ㄩㄒㄖ卩|卂 || Ep. 20. Dolore
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Il locale elegante presso il quale si sarebbero svolti i festeggiamenti era situato a Corinthya, la città situata a poca distanza dalla costa che vantava forse la parte di oceano migliore del territorio.
Corinthya non era che a un'ora d'auto da Nyrme e dunque non era stato un problema arrivare in orario e iniziare la celebrazione profana, dopo quella rigorosamente sacra.
Giunti lì si erano riposati e poi Godric, seguendo la tradizione, si era cambiato d'abito, indossandone un altro quasi del tutto uguale a quello del matrimonio, ma di colore scarlatto. Simboleggiava, in poche parole, il passaggio dal nubilato allo sposalizio, dall'innocenza alla carnalità di coppia, anche se nel suo caso... di carnalità ve n'era stata molta, forse troppa, vista la presenza silenziosa e inosservata del piccolo Jones dentro di lui.
Anche se avrebbe solo voluto trascorrere l'intera serata unicamente con Dante e averlo finalmente tutto per sé, dato che nell'ultima settimana, fra un preparativo e l'altro, di tempo per avere privacy ce n'era stato pochissimo, il ragazzo si sforzò di fare gli onori di casa e conoscere le persone care al marito, amici compresi.
La cena era stata squisita, anche se leggera, e il resto della serata era quindi stato riservato alla festa vera e propria.
E ora eccoli lì. Avevano appena finito il tradizionale ballo degli sposi e Dante, il quale pareva in vena di mattane, lo aveva sollevato fra le braccia facendogli prendere un colpo per l'improvviso slancio di galanteria.
«Certo che comunque pesi più di quanto sembri» lo punzecchiò a bassa voce Dante. Godric spalancò le labbra, stizzito, e gli assestò un forte pizzicotto sulla spalla. «Come osi?!»
L'altro lo rimise a terra e gli rubò un bacio mozzafiato. «Mi piace provocarti, tutto qui.»
«Non capisci niente» borbottò imbronciato il più giovane, puntando lo sguardo altrove con ostinazione. Un attimo dopo, però, aveva già ceduto all'innegabile fascino del suo fresco marito ed era tornato a baciarlo.
«Sei splendido, lo sai?» sussurrò Dante. «Lo sei già di solito, ma stasera non so ancora chi mi stia frenando dal prenderti e portarti direttamente in camera da letto per farti mio.»
Qualcosa in quella frase, forse il suo implicito e ardente significato, fece diventare il viso di Godric un tutt'uno col vestito rosso sangue. «Tu... tu... non puoi dire queste cose senza avvertire!» sbottò stridulo, sottovoce, il cuore che gli rimbombava nei timpani, il volto in fiamme.
«Che gusto ci sarebbe, se ti avvertissi prima di dirle?»
«Il gusto di non farmi stramazzare stecchito ad appena poche ore dal matrimonio, tanto per cominciare!»
Dante fischiò. «Ho davvero un fascino letale, allora.»
«... ti odio.»
«Nah, non è vero.»
Godric non riuscì a non sorridere e abbandonò la fronte sul torace del marito. I suoi occhi vagarono per la sala. «Tua madre che si è presentata di nero è stata davvero gentile» commentò sarcastico. Gli era dispiaciuto sul serio l'atteggiamento della signora Jones di chiara disapprovazione per quel matrimonio. La donna non aveva fatto altro che paragonare di tanto in tanto Godric alla sua cara e defunta Talia. Quando erano rimasti da soli per permettere a Dante di salutare gli altri ospiti, la madre di questi aveva squadrato con sufficienza il ragazzo e detto, senza parafrasare: «Mi chiedo quale stregoneria tu abbia adoperato per fargli dimenticare in così poco tempo il corpo ancora caldo di sua moglie lasciato a marcire in una bara».
Quello sì che aveva fatto male. Godric non aveva saputo ribattere in alcun modo, preso alla sprovvista da tanta scortesia. Non c'era stata per lui maniera di confezionare una replica sul momento. Per fortuna era poi arrivata Rebecca a salvarla e a dirgli di non pensare a qualunque cosa Lytha le avesse detto. «È sempre stata una stronza. Sicuramente Dante te lo avrà detto.»
Ciò non toglieva che presentarsi vestita di nero al matrimonio del proprio figlio non era mai una bella mossa, anzi augurava tutto fuorché il meglio per la nuova coppia.
Sentì Dante sospirare e poi una delle sue mani accarezzargli i capelli. «Lasciala perdere, Godric, sul serio. Mia madre non è mai stata felice in tutta la sua vita e pensa sia giusto procurare anche ai suoi stessi figli la medesima insoddisfazione.»
«Mhm.»
«Vuoi che vada a farci quattro chiacchiere?»
Il ragazzo sollevò lo sguardo e scosse la testa. «No, Dante. Non voglio che tu ti rovini così l'umore. Finiresti per litigare con lei e...»
«Tranquillo, chiarirò con lei solo quattro cosucce, niente di più» lo rassicurò Dante, sorridendogli e baciandogli la fronte. «Che le piaccia o meno, ora sei tu il mio compagno e a differenza di Talia non andrai da nessuna parte perché ti proteggerò e spalleggerò finché avrò vita.» Il giovane trattenne il fiato a quelle parole e lo osservò allontanarsi e dirigersi verso la madre, la quale se ne stava in disparte a conversare con un paio di invitati. Malgrado le pessime abitudini, indossava terribilmente bene la vita sregolata che aveva condotto: snella, con un viso che ancora era capace di apparire giovane e attraente, portava i lunghi capelli castani striati qui e là d'argento in un morbido chignon. La sua minuta figura era avvolta in un tubino nero senza spalle, ai piedi recava scarpe dal tacco alto della medesima tinta. Sarebbe stata perfetta, certo, ma solo per andare a un funerale.
I due invitati, capendo l'aria che tirava, li lasciarono da soli. Dante si avvicinò e incrociò le braccia. «Stavolta ti sei davvero superata, mamma.»
«Ho solo voluto esprimere il mio pensiero attraverso gli abiti. Non mi sembra un crimine federale, ancora» ribatté la donna, piegando appena le labbra in un sorriso costruito. «Il nuovo cucciolo di casa ti ha riferito della nostra chiacchierata, vedo.»
«È il mio compagno e ti conviene accettarlo, altrimenti stavolta giuro che taglierò i ponti con te, mamma. Per sempre.»
Lytha tornò seria e guardò in direzione di Godric che, da lontano, li osservava con ansia.
«È un ragazzino. Cosa vuoi che ne sappia di come si manda avanti una casa? Come credi farà a star dietro a tre bambini piccoli? Non pretenderà di cedere tutto il lavoro alla governante, spero!»
«Dimostrerà di saperne senza dubbio più di te» replicò glaciale Dante.
Un secco schiocco. L'avvocato si tenne il punto colpito, ma non batté ciglio. Molti si voltarono e rimasero di stucco capendo cos'era successo. Nessuno, però, poté battere la mortificazione di Godric.
Dalla folla si fece spazio Dario, il quale subito raggiunse il fratello e la madre. «Vieni, Dante. Torna da Godric. Non ne vale la pena, lo sai.» I suoi occhi scuri dardeggiavano, però.
Spinse il fratello lontano e lo riaccompagnò da Godric, il quale era sul punto di piangere. Si pentiva di aver parlato, di non essersene stato zitto e aver combinato un disastro.
Perché non ne faccio mai una giusta?
Sentendosi di colpo soffocare, arretrò e infine fuggì letteralmente via dalla sala, uscendo da una delle uscite secondarie, quella che dava direttamente sul pendio che conduceva direttamente alla spiaggia dalla sabbia bianca come la neve. La brezza serale serpeggiava fra i suoi capelli dorati e con sé portava un intenso odore di salsedine, quasi di libertà. Gli occhi gli bruciavano a furia di piangere, e non per la gioia, ma per il dolore. Aveva rovinato un giorno speciale che non apparteneva solo a lui, ma anche a Dante, il quale, forse, avrebbe sul serio meritato qualcuno di meglio al proprio fianco.
Non osò guardarsi indietro e si fermò solo quando arrivò a pochi passi dal bagnasciuga, dove le onde sciaguattavano vivaci, avanzando e arretrando secondo un ritmo che solo le profondità oceaniche potevano conoscere.
«Fanculo» mormorò tra i singhiozzi, lasciandosi cadere seduto sulla sabbia e togliendosi le scarpe per far riposare i piedi dolenti. Decise di avvicinarsi di più e lasciare che le onde li rinfrescassero un pochino.
Raccolse le ginocchia fra le braccia e su di esse abbandonò la fronte.
Se quello era il giorno più bello di tutta la sua vita, allora perché stava piangendo in quel modo?
Perse il senso del tempo, almeno finché non udì dei passi e infine qualcuno sedersi accanto a lui. Con reticenza sollevò la testa e puntò lo sguardo alla propria destra. Vide Dante intento a sciogliersi il farfallino e i primi tre bottoni della camicia. Non aveva la giacca e in quanto a umore pareva esser messo peggio di lui.
«Benvenuto nel mio mondo» disse rauco, senza ironia né sarcasmo. Pareva quasi chiedergli scusa, in qualche maniera. «Anzi... benvenuto nella mia famiglia.» Lasciò cadere il nastro di stoffa nera e sospirò. «Non sai quanto mi dispiace, Godric. Volevo che per te fosse un giorno che avresti ricordato, fra dieci anni a venire, con gioia e nostalgia. Invece... invece ricorderai solo mia madre che come al solito ha fatto in modo di rovinare tutto quanto. Lei... lei è come un buco nero, Godric, e si sa cosa fanno i buchi neri.»
Godric non disse né fece niente, poi, lentamente, gattonò per raggiungerlo e si accoccolò sotto il suo braccio già sollevato in attesa che ci si intrufolasse. Dante ormai capiva al volo i suoi modi di fare e non li scoraggiava mai. Lo strinse a sé e gli baciò i capelli.
«Non è stata colpa tua né mia» sussurrò il giovane. «Non pensiamoci più.»
Realizzò che gli sarebbe bastato sposarsi lì, su quella spiaggia, in quel preciso momento della giornata. Solo lui, Dante e le promesse che ore prima si erano scambiati.
Jones si morse il labbro inferiore. «Se solo non fossimo ancora alla festa, almeno in teoria, ti avrei già proposto di farci un bagno serale. Francamente non mi piace che altri vedano il tuo prestigioso fondoschiena, però, quindi sarà per un'altra volta.»
Godric sbuffò e infine scoppiò a ridere di gusto. «Prestigioso?» ripeté, in lacrime.
«Beh, come minimo, direi!»
Il ragazzo si guardò indietro.
Ma sì, chi se ne frega. Saranno tutti troppo impegnati a bere e a festeggiare.
Sciolse il nodo di raso che chiudeva la sopravveste rossa e lasciò scivolare quest'ultima a terra; allungò un braccio sul retro della schiena e abbassò la zip, quanto bastava a togliersi la tuta scarlatta.
Dante, il quale lo aveva osservato senza sapere se essere sorpreso o sconvolto, quasi boccheggiò vedendo la biancheria decisamente provocante del suo giovane sposo. «P-Porca... porca puttana» esalò.
L'altro sorrise con innocenza e gli diede le spalle, slacciando intanto il ferretto che teneva unite le due estremità di pizzo trasparente del reggiseno. Da quando la gravidanza era cominciata aveva notato un lieve aumento in quella parte del suo corpo.
Si lasciò alle spalle tutti e due i pezzi della biancheria rossa, poi iniziò ad avanzare nell'acqua finché non giunse più a largo, dove l'oceano era alto fin sopra i suoi fianchi.
Sorrise tra sé vedendo che Dante lo stava raggiungendo. Lo attraversò un fremito nel vedere quell'uomo statuario, simile a un eroe dell'antichità, avvicinarsi e infine fermarglisi accanto.
«Vedo che ti sei fatto più audace.»
«Il merito va solo a te.» Godric sostenne il suo sguardo mentre arretrava, l'espressione sul suo viso era beffarda e giocosa. Appena fece per scattare, però, il marito lo prese al volo e lo strinse a sé da dietro. «Irretirmi e poi scappare» gli sussurrò all'orecchio. «Non si fa.»
«E chi lo dice?» replicò Godric, lasciandosi sfuggire un gemito quando le dita del marito sfiorarono il sensibile accenno di seno e poi corsero più in basso e fecero il giro dei suoi fianchi. Divaricò le gambe e si tenne stretto a lui mentre le falangi esperte di Dante esploravano l'interno scivoloso delle sue membra. Voltò il viso, allungò il collo e incontrò le sue labbra che avidamente ricambiarono all'istante il bacio.
Deciso a ricambiare le attenzioni del partner, il ragazzo si concentrò allora sul membro dell'uomo che chiaramente lo desiderava e in sincrono iniziò a stimolarlo. Soffocarono i gemiti baciandosi più che poterono. Vennero quasi nel medesimo istante, Godric grazie soprattutto alla stimolazione della prostata, e non fu semplice ricacciare indietro i lamenti di piacere, ma ci riuscirono.
Il giovane Omega sorrise quando il compagno, forse casualmente, gli pose una mano sul basso ventre. A giudicare da come poi con le dita lasciò una sorta di delicate carezze, però, quell'azione non fu affatto tale, ma un gesto che esprimeva dolcezza, vicinanza.
«Maschio o femmina?» chiese Godric, curioso.
«Felice e al sicuro» fu la risposta di Dante. «Il resto non ha importanza.»
Il ragazzo girò su se stesso e si strinse a lui. «Non penso di poter amarti più di quanto stia facendo proprio ora» disse con abbandono.
Suo marito sorrise tra sé, lo sguardo che luccicava. «Nemmeno io.»
Si tolse il cuscino dal viso e sbuffò sonoramente. Lanciò un'occhiata innervosita a Dante che, al contrario suo, dormiva profondamente. Avrebbe voluto tirargli qualcosa in testa, altro che storie.
È colpa sua se non riesco a dormire, pensò con rabbia.
L'ostetrica gli aveva detto che nel primo trimestre di gravidanza dormire gli sarebbe risultato a volte difficile, ma in quel modo era veramente troppo.
Il caldo, poi, non aiutava per niente.
Sarebbe bello se anch'io potessi godermi in santa pace la luna di miele.
Alla fine non ce la fece più e diede una cuscinata al compagno, il quale si svegliò e scosse la testa, intontito dal sonno e anche per la sveglia improvvisa. «Ma che...» biascicò. «Sei matto?!»
Il ragazzo esplose: «SONO DUE CAZZO DI MESI CHE NON RIESCO A DORMIRE, VA BENE?!» sbottò. «TU INVECE TE NE STAI BELLO BELLO A SONNECCHIARE! NON È GIUSTO! VOGLIO IL MIO AVVOCATO!»
Dante sbatté le palpebre con aria sbigottita. «Eh?» Stava realmente provando a capire, ma più ci provava e meno ci riusciva. Di cose ne aveva viste, avendo tre figli, ma Talia non era mai stata schizzata a quel modo. Non fino a tal punto. «Se provassi a calmarti, forse...»
«Sono calmissimo!»
«Certo, e io sono un paguro.»
«Prova a stare calmo tu con la nausea ad ogni ora e altre cose che neanche sto a elencare!»
Dante si passò una mano sulla faccia. Gli veniva da ridere se ricordava che mancavano almeno altri otto mesi alla fine di quel calvario. Non era sicuro se ci sarebbe arrivato tutto intero, a giudicare dall'espressione inviperita del suo sposo. «Prova a prendere qualcosa, allora. Oppure... non lo so, fatti un tè o una camomilla.»
«Non posso prendere la gran parte dei farmaci e ho troppo caldo!»
«Doccia. Fredda» sentenziò l'Alfa, categorico. «Almeno ti schiarirai le idee.»
Si fissarono a vicenda in silenzio, poi Godric, accigliato, disse: «Voglio le fragole».
«Cosa?»
«Voglio le fragole.»
«Amore...», Dante usò un tono ragionevole. «Sono le tre del mattino di domenica e ormai non sono più di stagione».
«Beh, trovale lo stesso.»
«Ma...»
«BENE, ORA SO QUANTO MI AMI! CIOÈ NIENTE!»
L'altro scosse il capo, alzò gli occhi al cielo e afferrò il proprio cuscino. «Vado a dormire sul divano.»
«NON OSARE TORNARE, ALLORA!»
«Prima o poi mi toccherà farlo. Siamo in luna di miele.»
«Luna di fiele, vorrai dire» borbottò furibondo Godric, guardandolo uscire dalla stanza. Un attimo dopo scoppiò a piangere, frustrato e stanco come mai si era sentito. Sentendo già la mancanza di suo marito, sgambettò fuori dal letto e corse per il corridoio, raggiungendolo e serrandogli le braccia attorno ai fianchi. Odiava essere così basso, accidenti. «No, non andare via» mugolò «Scusa, va bene? Non lo faccio apposta!»
Dante volse il viso e abbassò gli occhi per incontrare quelli rosa del compagno. «Non riesci proprio a dormire?» chiese.
«No.»
«Okay, okay. Allora non dormirò neanche io, così ti terrò compagnia. Ti va bene così?»
Godric annuì più volte e si lasciò prendere su come un bambino, stringendo le gambe dietro alla schiena del marito che, tutto sommato, amorevole sapeva esserlo eccome.
«Mi piace quando lo fai» commentò il ragazzo, inspirando il sentore della sua pelle. Sapeva di sole e leggermente di mare e salsedine. Fu restio a staccarsi da lui quando infine lo adagiò sopra il ripiano a penisola della cucina. «Che fai?»
«A questo punto un tè me lo faccio sul serio.»
«Ma saranno trenta gradi e passa fuori!»
Dante si voltò lentamente a guardarlo. «Poi lo lascerò a raffreddarsi, banana.»
Godric sbuffò una risata e non se la prese per quell'insulto affettuoso. Ormai sapeva bene cosa diceva Dante, quando voleva realmente insultare qualcuno.
Esitò e lo guardò accendere la fiamma sotto il bollitore di acciaio. «Sai che sono stato adottato, giusto?»
«Mhm.»
«Beh... ho... ho scoperto di avere in realtà un fratello. Nacque insieme a me, però... a Nyrme all'epoca c'era una legge molto severa sul controllo delle nascite e allora i miei dovettero fare una scelta fra me e lui. Scelsero me e lui... insomma, rimase in orfanotrofio, dov'eravamo nati e poi stati abbandonati subito dopo.»
Suo marito posò la schiena contro il ripiano, proprio accanto a lui, e incrociò le braccia sul torace nudo. «Ed è finita così?» chiese.
«Sì. Sono cresciuto ed eccomi qui, ma di lui non ho mai saputo niente fino ad ora. Ho sentito per caso che i miei ne parlavano, prima che io e te ci sposassimo. Ho detto loro che avrei tentato di ritrovare mio fratello, chiunque sia.»
Dante sospirò. «Non so se è una buona idea.»
«E perché?»
«Non lo so, però... pensaci: lo trovi, ti presenti da lui e gli spiattelli tutta la verità? Se dicessero a te che sei stato scartato per favorire qualcun altro, leggi di Nyrme a parte, come ti sentiresti? Io mi incazzerei parecchio, francamente.»
«Quindi non dovrei indagare, secondo te?»
«Puoi anche farlo, ma poi dovrai ponderare attentamente la tua scelta finale. Lui potrebbe anche decidere di non voler vederti. Potrebbe non crederti. Sono tante le opzioni.»
«Ma... io sono suo fratello. Potrei anche essere la sola famiglia che ha!»
«La famiglia è un concetto sopravvalutato, a volte, Godric. Guarda la mia e capirai cosa intendo.»
«Ma tu e i tuoi fratelli vi volete bene.»
«Abbiamo iniziato a farlo solo di recente. Ognuno per sé. È stato così per anni, specialmente per via della nostra razza. Le volpi non sono viste granché bene, non serve che te lo dica: i predatori più feroci come i lupi o i grandi felini ci snobbano, quelli più piccoli e le prede, invece, non si fidano. Abbiamo l'odiosa reputazione di essere... poco raccomandabili e disonesti. Un pregiudizio che va avanti da secoli, se aggiungiamo poi che la mia famiglia discende da degli immigrati, ecco che abbiamo fatto jackpot.»
Godric sospirò, poi piegò un angolo della bocca verso l'alto. «A me invece piacciono molto le volpi» disse, facendogli l'occhiolino. «Scusa ancora per prima, comunque. Davvero, non lo faccio apposta. È la mia prima volta e non so come gestire questi... questi sbalzi d'umore continui, poi ho sempre la nausea e così via. Non mi è mai piaciuto essere petulante e non voglio iniziare ad esserlo proprio adesso, specialmente non con te.»
Dante sorrise fra sé, poi gli scostò i capelli dal viso. «Se mi dici tutto questo mentre mi guardi con questi occhioni a calamita, ti perdonerei anche se mi trovassi sul pavimento ad agonizzare nel mio stesso sangue dopo che mi hai accoltellato. Credimi.»
L'altro fece una brutta smorfia. «Un esempio meno macabro?» scherzò, anche se un fremito spiacevole lo aveva attraversato. Era sempre stato dotato di fervida immaginazione e... era riuscito purtroppo a figurarsi bene la scena. «Non farei mai niente di simile» aggiunse. «Piuttosto morirei di persona.»
Dante lo fece accostare e gli baciò una guancia. «Sciocchezze. Ti voglio accanto a me per molti altri anni a venire.»
Il ragazzo sorrise dolcemente. «Quindi sei felice con me? Non ti è ancora venuta voglia di rispedirmi dai miei?»
«Fossi matto. Poi chi lo sentirebbe Connor?»
Godric sbuffò come un toro inferocito e gli assestò uno schiaffo sul retro del capo. «Sei uno stronzo! Ritratto tutto!»
«Sopravvivo lo stesso.»
«Ah, sì?!» Godric balzò giù dal ripiano e gli diede un pugno sul braccio, ma come già era successo un'altra volta, finì solo per farsi male alle nocche. «Ahi! Brutto...!»
«Piantala o ti fai male, te l'ho già detto» lo apostrofò divertito Dante. «Non impari mai la lezione, eh?»
«Un giorno di questi mi vendicherò!» sentenziò Godric. «Guardati le spalle!»
«Ma se non riesci a farmi niente neanche quando ti sto di fronte?» Dante spense il fornello, ma dimenticò che il manico del bollitore era rovente e finì solo per scottarsi o quasi. «Porca di quella puttana putrida!» imprecò.
«Ah!» fece vittorioso Godric. «Chi è il coglione adesso? Eh?»
Dante lo squadrò, poi scoppiarono a ridere di gusto. Quando si furono un po' calmati, il ragazzo andò a recuperare nel refrigeratore del ghiaccio. «Da' qua, questo aiuterà.» Prese la mano del marito e vi posò sopra il ghiaccio, dopo averlo ovviamente avvolto in un panno per evitare che il freddo, anziché aiutare, gli procurasse invece un'altra scottatura. «Non ti posso lasciare da solo un momento!» commentò in maniera drammatica.
«Temo di aver proprio bisogno di te» replicò l'altro alla medesima maniera, mentre si perdeva nell'osservare ogni particolare del suo viso. Accostò l'altra mano e prese fra le dita un ciuffo inanellato dei suoi capelli. «È come se tante minuscole fate avessero trascorso giorni e notti intere a filare dell'oro puro» disse fra sé, quasi come se stesse facendo una profonda riflessione. Sfiorò una sua guancia. «E qui, invece» continuò, concentrandosi sul lieve colorito che campeggiava sulle gote del giovane, «mi sembra di rivedere il rossore dei monti quando l'alba posa su di loro il suo caldo bacio». Scivolò in basso e ripercorse la forma delle labbra, saggiandone la morbidezza. «Petali di timide rose non ancora sbocciate.»
Dante deglutì a fatica.
«A volte mi assale il terrore che sia tutto un semplice sogno, e allora mi ritrovo a desiderare di non voler svegliarmi mai più. Mi piace anche quando discutiamo, perché sento che non c'è paura, non c'è pericolo. Sento che da parte tua c'è amore persino quando ti arrabbi e mi dai dello stronzo. Non sapevo litigare con amore, prima di conoscere te. Litigavo e basta.»
Posò entrambe le mani sui fianchi del giovane, senza alcuna intenzione sessuale. Solo per averlo vicino, per toccarlo e assicurarsi che fosse reale.
«Sono un mostro insensibile se a volte mi rendo conto di desiderare di averti conosciuto prima? O che tu fossi nato prima e avessi subito incrociato il mio cammino?»
Certo, le cose avrebbero preso una piega diversa e non avrebbe avuto Lydia, Marilka e Avery con sé, ma non si poteva di certo comandare a bacchetta i pensieri e i desideri più nascosti e tormentati dell'animo. Giusto?
Godric scosse la testa. «Non sei un mostro né insensibile. I pensieri sono solo tuoi e puoi farne quanti ne desideri. Questo non ti rende necessariamente una persona cattiva. Tutti abbiamo pensato cose come queste, almeno una volta nella vita.»
Il tempo dei mortali era limitato. Era normale ritrovarsi ad avere ripensamenti, rimpianti e rimorsi, di tanto in tanto. Era naturale, era sano e giusto.
«Godric?» lo apostrofò Dante, la voce insolitamente flebile. «Io... credo proprio di amarti, sai? E non mi importa se non ha senso. Mi fa star bene. E tu ormai sei l'unico angolo di pace al centro dell'inferno che mi sia rimasto, a parte i ragazzi. S-Se... se dovesse accaderti qualcosa... ne morirei. Ne morirei e basta. Senza se e senza ma.»
Non stava affatto esagerando. Gli era bastata quella crisi di panico avvenuta nel giorno del loro matrimonio per iniziare a capire tante cose su se stesso, su Godric e il loro rapporto di crescente sintonia. Erano diversi, forse agli antipodi, ma proprio per questo c'era quel qualcosa di inafferrabile che li teneva uniti. Era stata sufficiente la giusta spinta di eventi per mettere in moto quel meccanismo che anche in quel preciso istante tirava i fili del loro presente e del loro futuro.
«Io prometto di proteggerti finché avrò forza e avrò vita, ma tu devi giurarmi che non mi lascerai da solo ad affrontare un mondo che mi spaventa di più ogni giorno che passa.»
Il ragazzo inclinò la testa in un modo che lo fece sembrare più tenero del solito. «Io intendo solo andare avanti, e mi piacerebbe tanto farlo con te che mi tieni per mano. O così o niente. Ho preso molto seriamente le promesse che ci siamo scambiati.»
Asciugò col dorso dell'indice una lacrima appena sfuggita al marito. «Come puoi essere un mostro insensibile se in una sola goccia riesco a vedere la tua intera anima?»
«Ti amo» sussurrò con voce strozzata Dante. «Cazzo, quanto ti amo!» Affondò la mano fra i suoi capelli e lo baciò con ardore e disperazione, ma soprattutto con amore. Più amore di quanto avrebbe mai pensato di poter provare e dispensare per un altro essere vivente.
Max sorseggiò il proprio caffè, poi chiese: «Allora, hai trovato un modo per... farla pagare agli Hammond... diciamo legalmente?»
«No» replicò Dario, demoralizzato. «Sulla carta e in generale sono senza macchia e senza paura, a parte le accuse di violenza carnale contro quel bietolone di Jeffrey che, purtroppo, quel genio del male di mio fratello riuscì anni fa a far cadere. A volte Dante va veramente a cercarsi le grane, quando non sono loro a trovarlo.» Si versò un po' d'acqua in gola. «In realtà... stavo pensando a una maniera per far riaprire quei casi e, non so, magari avviare un'inchiesta, ma come ben si sa mi hanno dato il benservito e di certo non posso andare dalla polizia di Nyrme pretendendo che rivedano questioni ormai chiuse e archiviate, specie perché alcuni poliziotti, dicono, sono corrotti e hanno conoscenze nelle cerchie degli Hammond.»
«Accidenti.» Il medico sbuffò. «Non credevo l'avrei mai detto, ma forse...»
«Non dirlo, allora.»
«Magari tuo fratello ha ragione.»
«Maximilian Wildbrook!» esclamò scandalizzato l'Omega, senza alzare la voce, visto che erano in un luogo pubblico.
«S-Sto s-solo dicendo che m-magari...»
«Ah-ah! Non ci provare! Vie legali e stop!» Rio restrinse lo sguardo. «Stai dalla parte di mio fratello? Sul serio? Non ci posso credere! E dovresti rispettare ogni forma di vita, persino i sassi!»
«I sassi in realtà non sono propriamente delle...»
«Non ti arrampicare sugli specchi.»
«Okay, sto zitto.»
«Ecco, bravo.» Il moro controllò l'orologio al polso. «La baby-sitter ormai dovrà tornare a casa» disse, una certa nota triste nella voce. «Non ti ho chiesto come prosegue il lavoro.» Non voleva parlare solo dei problemi, specie quelli altrui.
«Beh, va» ribatté Max, facendo spallucce. «Solito via vai di gente che sta male, gente che muore, che nasce e così via. In ospedale va così.»
«E...», Rio si umettò le labbra. «Hai... n-non lo so, conosciuto qualcuno?»
Il dottore capì subito dove voleva andare a parare. «Non dirmi che stai ancora pensando a cos'ha detto tua madre al matrimonio di Dante» fece, incredulo. «Sul serio?»
«Sì, sul serio, Max» insisté l'altro. «Insomma... su il resto ha torto, ma su di me... su di noi... non tanto, non credi?»
«Non credo, invece.»
«Tu sei un Alfa e a trent'anni, quasi trentuno, anzi, sei ancora giovane, ma per me è diverso. Io sto solo invecchiando, la vita media di un Omega si aggira sui cinquanta. In pratica... ho vissuto più della metà della mia esistenza. E se ci mettessimo insieme per davvero e prima o poi ti venisse voglia di avere dei figli? Figli tuoi, Max, non del precedente uomo con cui stavo. Hai idea di quanto sarebbe brutto per te? Sarebbe come costringerti a non vivere appieno la tua vita e io... io non posso ignorare come mi sento, quando ci penso.»
«Per me è ormai è come se Rosie, Esther e Mytra fossero figli miei, Dario. Mi va benissimo così. Non sarà di certo questo a condizionarmi.»
«E quando anche tu non sarai più così giovane e dovrai restare a guardare mentre me ne vado un po' alla volta? A questo non pensi? Immagina quale strazio sarebbe per te. Non lo meriti.»
Max sospirò. «Ho visto, una volta, una coppia sposarsi in ospedale. Reparto di oncologia. Ci sei mai stato in un reparto come quello? Io sì. Avranno avuto al massimo... non lo so, venticinque anni, e uno di loro era in fase terminale. Non sarebbe sopravvissuto, glielo avevano detto chiaramente, eppure alla fine si sono sposati lo stesso. Quello che stava male se n'è andato la settimana dopo e senza rimpianti. Non c'è scusa che regga. Se ami una persona, perché non dovresti stare con lei? Perché la vita sta pian piano scivolando via? È normale, è la vita, Dario, e nessuno meglio di un medico sa quanto sia ingiusta e crudele.»
Vide chiaramente Dario fremere in risposta a quel che gli aveva appena raccontato.
L'Omega forzò un sorriso, ma pareva sul punto di piangere. «L'esempio lampante ce l'hai davanti, Max. E forse, tra non molto tempo, capirai cosa intendo.» Scosse la testa. «Devo... devo tornare dai bambini, adesso. Ci sentiamo.»
Si alzò e ringraziò che avessero pagato sin da subito, perché gli rese più facile andare alla porta e uscire dal locale. Estrasse dalla borsa le chiavi dell'auto, ma le mani gli tremavano tanto che finirono per far cadere tutto. Imprecò e udì dei passi in avvicinamento.
«Che intendevi dire, poco fa?»
Non rispose e raccolse le chiavi dall'asfalto. «Intendevo quel che intendevo.»
Max sapeva che qualcosa non andava e sentiva che scoprire di cosa si trattava non gli avrebbe fatto piacere. Lo fece voltare e non ottenne molta resistenza. «Non sono arrabbiato. Va tutto bene. Dimmi...»
«V-Va tutto bene, dici?» Rio non sapeva se piangere o ridere istericamente. «Una favola! Una... una fottuta fiaba dell'orrore!» sbottò, coprendosi gli occhi.
Max notò un passante fissarli con aria ebete. «Si faccia un po' gli affari suoi, di grazia! Questo è un Paese libero!» lo apostrofò il medico, infastidito. Si avvicinò a Dario e gli avvolse un braccio attorno alle spalle. «Ti riaccompagno a casa, poi tornerò qui per prendere la tua auto e riportartela. Va bene?» gli disse con calma, ma usando comunque un tono che non ammetteva repliche. Lo vedeva che non era nelle condizioni di guidare.
Il tragitto non era di per sé lungo, ma lo parve per via del silenzio tombale calato fra di loro. Un silenzio che non presagiva niente di buono o piacevole.
Era come quando si avvertiva nell'aria il sentore di umidità e poco dopo, puntualmente, scoppiava l'acquazzone.
Quando arrivarono a destinazione, Max spense il motore e si voltò. «Adesso dimmi che sta succedendo. Coraggio.» Si sporse e gli strinse una mano, e provò una fitta al cuore non appena Dario ricambiò la stretta disperatamente, quasi temesse di cadere in un baratro.
«Non vuoi davvero saperlo» replicò rauco, il tono monocorde, spento. «E io non voglio farti del male così. Sei una persona sensibile, Max. Troppo per affrontare questo e io non sopporterei di sapere che sono la causa della tua sofferenza.»
«Anche quella è parte della vita. Sono più forte di quanto credi.»
«Davvero?»
«Mettimi alla prova.»
L'Omega si torturò le mani nervosamente, senza guardarlo. «Col senno di poi, credo che... dopotutto... mio padre mi abbia lasciato qualcosa in eredità.»
«Cioè?»
«Non ci arrivi?»
«Preferisco non tirare a indovinare.»
«Bene, allora.» Era tutta la sera che Dario tentava di trovare un modo per allontanare da sé Max e risparmiargli tutto quanto. Ci aveva provato fino all'ultimo, ma forse la verità gli avrebbe finalmente aperto gli occhi. La verità era brutale, ma equa. Non lasciava spazio a incomprensioni o indecisioni. O la si accettava o la si combatteva, solo per perdere in partenza.
Diglielo e basta, si disse.
«Ho... ho...», si agitò sul posto, imprecando. «Ho il cancro, Max. Va bene? Volevi parlare di vita crudele e ingiusta? Eccoti servito, e ora dimmi: credi ancora che ne valga la pena? Sicuro di voler restare accanto a una persona che fra meno di un anno sarà morta? Perché è così che andrà a finire.»
Max tentò di riprendersi, ma il cuore gli massacrava le costole e riusciva solo a pensare che non poteva essere. Non lui. Non quando aveva capito di amarlo!
No, ti prego, no... no...
«N-Non è detto che... insomma, ci sono le cure e...»
«Ho un tumore cerebrale, Max. E se mi opero, paradossalmente avrò un'aspettativa di vita ancora più breve.» Dario si passò due dita sugli occhi e fece un lungo respiro. «È per questo che sto cercando di farti cambiare idea da tutta la sera! Io non voglio che tu assista a questo inutile strazio! Non ne sopporto l'idea e se solo non avessi dei figli, non esiterei un attimo ad ammazzarmi stanotte stessa! Comunque la si giri, fa schifo lo stesso! E ora ripetimi che vuoi restare con me, forza! Come continua la storia di quei due in quel reparto, dimmi? Ti sembrava felice il novello sposo, la settimana dopo? È a questo che stai andando incontro!»
Lo aveva saputo solo due giorni prima e il mondo, di nuovo, gli era crollato addosso. Un conto era che qualcuno gli sparasse. Poteva cavarsela, com'era già accaduto, ma non si sfuggiva a cose come quella. Non c'era via di fuga.
Onestamente lo tormentava il pensiero che vincere la causa per ottenere la custodia di Rosie non fosse servito a niente. Non avrebbe comunque potuto vedere sua figlia crescere e diventare grande, e cosa dire di Mytra ed Esther? Non lo avrebbero neppure ricordato. Nessuno dei tre avrebbe ricordato il suo viso, la sua voce... niente.
Era stato tutto inutile.
La vita era crudele, aveva detto Max. Lo era eccome. Era stata così crudele da averlo indotto a innamorarsi di un uomo splendido, lo stesso che gli era accanto e lo guardava senza sapere cosa dire o cosa fare, e poi sbattergli in faccia che non sarebbe riuscito a dare un seguito a quei sentimenti che lo stavano logorando.
Frenò l'impulso di baciarlo, di scusarsi per essere stato brutale, e aprì la portiera. «Ti sto solo facendo un favore, Max. Te l'ho detto: non ne valgo la pena.»
Finì di sciacquarsi la bocca e uscì dal bagno a passo malfermo. Vide venirgli incontro sua sorella, Beatrice. Era la sola a non avere attualmente una famiglia a causarle grossi impegni e anche la più discreta in certe situazioni.
Non era stato semplice spiegarle la situazione nel suo reale insieme, ma non aveva avuto molte alternative, specie dopo aver ammesso con l'oncologo che lo aveva fatto visitare che la sua assicurazione non sarebbe riuscita a coprire spese alte come le cure per quel genere di tumore.
La verità era che quasi tutti i risparmi li aveva sempre destinati a un conto in banca che sarebbe potuto servire in futuro a Rosie, e anche ai suoi fratellini, per l'università o cose del genere.
Insomma, le finanze erano ridotte e a quel punto lo erano anche i mesi di sopravvivenza che inizialmente gli avevano accennato: da poco meno di un anno, senza cure, senza medicinali capaci di tenere almeno a bada un po' dei sintomi, se ne sarebbe andato nel giro di quattro mesi, e per dove era situato risultava impossibile da operare senza che si andasse incontro a un'emorragia sul tavolo operatorio.
Era tardi per la chemio, tardi per qualsiasi misura controffensiva.
Era stato sincero con sua sorella e non aveva parafrasato inutilmente, ma l'aveva anche implorata di non dire niente agli altri, specialmente a Dante che pareva essere tornato a esser felice con il suo nuovo compagno e con l'arrivo del loro figlioletto. Non voleva in alcun modo oscurare quella felicità.
Le persone morivano tutti i giorni, in continuazione, era una certezza. Era la sorte comune di tutti loro, ma non lo era nascere. Nascere era una fortuna, un azzardo, e mai era scontato. Era felice che suo fratello avrebbe dato il benvenuto a un nuovo membro della propria famiglia. In un certo senso era come se quel bambino avrebbe riempito il vuoto che lui avrebbe presto lasciato.
Era solo una coincidenza, ma restava un bel pensiero.
«Di nuovo la nausea?» chiese Beatrice, avvicinandoglisi. Sembrava voler accarezzargli una spalla, ma allo stesso tempo non voler farlo. Alla fine, però, lo fece.
«Come stanno i bambini?»
«Tranquillo, ora dormono tutti e tre.»
«Scusa se...», Dario non terminò la frase. La verità era che si sentiva un peso per se stesso e gli altri. «D-Devo... dovrò parlare con quello stronzo. Le pratiche per l'affidamento non si concluderanno subito.» Avrebbe preferito farsi strappare il cuore anziché vedere i suoi figli, specialmente i gemelli, venirgli portati via, ma cos'altro poteva fare a quel punto? Non sarebbe stato più in grado di provvedere a loro, sarebbe potuto morire in ogni momento. «Più in fretta farò e prima potrai occuparti della tua vita.»
Beatrice non poteva e non doveva restare lì con lui ad assistere a quella pena, perché tale era.
«Non devi per forza affidarli a lui. Affidali a me o a Rebecca.»
«Rebecca ha già i suoi figli a cui pensare e tu non hai un compagno o una compagna, una relazione stabile. E poi per legge la loro tutela va a Gareth. Resta il loro padre biologico, anche se da quando sono nati non ha neppure voluto vederli. Ben gli sta.»
Un modo più semplice e veloce c'era, in realtà. Sarebbe stato indolore, rapido. Niente avvocati, niente pratiche per l'affidamento, nessuna umiliazione nel dover ingoiare l'ennesima sconfitta, dopo una blanda vittoria durata solo un attimo.
C'era differenza tra il porre fine in quel momento a tutto o l'attendere che i sintomi della malattia o un edema cerebrale terminassero il loro lavoro?
«Bea, senti... devo chiederti un favore: per qualche giorno vorrei che accompagnassi i bambini a casa di Gareth. Digli che... che devo partire per andare... non so dove, decidi tu. Digli questo e che quindi non posso occuparmi di loro. Ho bisogno di fare il punto della situazione e di farlo con calma.»
Gli era stato detto di non fare nulla di avventato o di estremo, ma se ne infischiava. Chi glielo aveva detto era lo stesso che prima gli aveva esposto i costi delle cure e fatto capire che era roba solo per i ricchi e i privilegiati, perciò al diavolo.
Non avrebbe aspettato la fine come aveva fatto suo padre, il quale a sua volta aveva dovuto affrontare quel calvario senza copertura medica, senza terapia, solo come un cane.
Ne aveva abbastanza di lottare, solo per poi rendersi conto ogni volta che avrebbe perso.
Era stanco, nella mente e nel corpo. Era solo stanco.
Sua sorella annuì. «Okay.» Non sembrava convinta, forse non si fidava, ma probabilmente il buonsenso le imponeva di lasciar perdere e permettergli di fare quel che voleva fare. «V-Vado a... a preparare tutto, allora.»
«Grazie» le disse il fratello, tenendosi alla cornice di una porta lì vicino per via delle vertigini. Avrebbe voluto dirle addio e basta, ma non voleva farlo. Odiava gli addii in generale, gli mettevano tristezza e lui non voleva essere triste. Lo era già la sua vita e tanto gli bastava.
Un po' alla volta riuscì a raggiungere la camera da letto. Faticò non poco a ricordare dove avesse messo i pochi effetti personali che gli avevano consentito di tenere dopo il congedo, ma quando un flash gli apparve davanti, trovò la scatola nell'armadio, la prese e andò a sedersi sul letto. Appena la aprì, lo assalirono tanti di quei ricordi ormai capaci solo di dargli dolore, che fu tentato di rinunciare. Gli fece male rivedere la divisa, quella che aveva indossato anche quando il governatore gli aveva sparato al municipio. Era ancora sporca di sangue ormai seccatosi da tempo e diventato parte integrante della stoffa, come una scura tintura che recava vagamente un sentore ferroso.
Aveva fatto proprio una gran bella figura come poliziotto, non c'era dubbio. Il peggior poliziotto di Eutopia.
Vide il distintivo. Gli avevano permesso di tenerlo, se non altro per esser riuscito ad arrivare fino a quel punto della carriera. Poi, finalmente, vide lei e con movimenti lenti e cauti la prese, controllò il caricatore e vide che era ancora intatto, rimasto dove l'aveva lasciato.
Richiuse la scatola, la mise via e si sedé di nuovo sul letto, nascondendo l'arma sotto il cuscino in attesa che Beatrice venisse da lui per dirgli che stava andando via.
Lo avrebbe fatto solo quando avrebbe udito la macchina partire e il silenzio espandersi nella casa. Non un minuto prima.
Ce la puoi fare, si disse. O questo o finirai come tuo padre. Morirai comunque, non puoi farci niente.
Sussultò appena quando alla fine sua sorella venne da lui. La guardò.
«Noi andiamo, però... se vuoi, poi, tornerò qui. Non devi restare da solo.»
«Non ce n'è bisogno, davvero.»
Lei sospirò e fece per andare, ma all'ultimo tornò indietro e lo guardò con aria implorante. «Non farlo. Qualunque cosa tu abbia in mente, Dario... ti prego, non farla.
Come se avessi delle alternative.
«Non so di che parli.»
«Invece lo sai benissimo. Hai idea di cosa possa fare questo a una famiglia? Se non vuoi frenarti per te stesso o per me, fallo per i tuoi figli. È questo ciò che vuoi gli diremo quando saranno adulti e vorranno la verità? Gli diremo che ti sei ammazzato?»
«Gli direte che è stato un tumore a uccidermi. Sono già morto, Beatrice, non lo vedi?»
«Finché sarai qui a parlare con me, non sarai morto.»
«Certo, come vuoi tu.» All'occhiata che lei gli lanciò, Dario perse le staffe. «Voglio solo evitare di soffrire e di stare peggio di quanto non stia adesso! Cosa c'è di sbagliato in questo?! Egoista è chi vuole che una persona rimanga anche quando chiaramente vorrebbe solo andarsene! Devo continuare questo strazio solo per evitare di far star male voi? È questo che stai dicendo?!»
«Papà non è morto di cancro. Non è stato quello a ucciderlo» snocciolò Beatrice, avendone abbastanza. «Ha fatto la stessa cosa che hai fatto tu! Si è ammazzato!»
Lui puntò lo sguardo sul pavimento. «E sai che ti dico? Ha fatto la scelta più giusta per se stesso, almeno in quel momento.»
«Ti restano quattro mesi, non quattro settimane! Hai idea di quante cose potresti ancora fare e sistemare in quattro mesi? E vuoi battere in ritirata adesso!»
Dario rise e solo per non piangere o non sbottare sul serio. «Lo dici come se avessi una vera scelta! Sul serio, sei esilarante!»
Beatrice ci mise un po' per parlare. Gesticolando, disse: «Fai almeno pace con nostra madre».
«Cosa?»
«Se stai morendo, allora a mio parere dovresti chiudere per sempre con il passato per... per andartene con un po' di pace nel cuore. Ecco. È una stronza e non se lo merita, ma è un passo che devi fare. Non puoi... non puoi morire senza esserti lasciato alle spalle tutto quanto.»
Lo sguardo di Dario dardeggiava di rabbia. «Per quello che mi riguarda può andarsene a fanculo e rimanerci. Non avrà mai il mio perdono! Mai! A lei farà solo piacere sapere che tra non molto sarò sottoterra, e sai una cosa? Fa' pure, Beatrice: diglielo! Non mi importa!»
Lei dovette andare al piano inferiore quando udì il campanello suonare. Quando fece ritorno, cinque minuti più tardi, al suo fianco c'era Max. Gli occhi di Beatrice fecero la spola dal fratello al medico e viceversa. «Cerca... cerca di fargli cambiare idea. Magari ti ascolta» disse rauca, per poi lasciarli da soli.
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