乇ㄩㄒㄖ卩|卂 || Ep. 16. Resta




尺乇丂ㄒ卂



La porta della sua stanza si aprì, ma lui tenne gli occhi chiusi, stretto al cuscino, il viso sepolto nella federa imbottita.

Riconobbe tuttavia i passi di Maddox e poco dopo lo sentì sedersi sul letto. «Tesoro, è più di una settimana che non esci quasi di casa e non vai in ufficio. Sei sicuro che vada tutto bene?»

Sapeva che qualcosa tormentava Godric. Non lo aveva messo al mondo, era vero, ma era suo figlio e un genitore sapeva sempre quando la sua prole aveva qualcosa che non andava.

Gli accarezzò la schiena. Non importava che ormai avesse ventitré anni. Visivamente Godric sembrava ancora un po' un ragazzino e per lui sarebbe sempre rimasto il suo dolce bambino. Quando aveva dieci anni, a un certo punto gli insegnanti avevano chiamato a casa per sapere come mai quel bambino non si recava mai a scuola con qualcosa da mangiare. Alla fine avevano scoperto che Godric aveva ceduto per tutto quel tempo il pranzo a un senzatetto nei pressi della scuola.

Lui aveva un cuore d'oro e Maddox, così come Connor, avrebbero solo voluto vederlo finalmente felice.

Godric si decise a staccare la faccia dal cuscino, ma non si voltò a guardare suo padre. «Io... io ho combinato un pasticcio» ammise infine, la voce rotta. «Un vero pasticcio, pa'.»

Maddox non capiva. «Ma se grazie a te tuo padre è riuscito a salvare questa casa e i nostri risparmi!»

«N-Non mi riferisco a quello.»

«E a cosa?»

Ric si girò progressivamente e si mise seduto a gambe incrociate. Non guardò negli occhi il padre. «Come hai fatto a capire che amavi mio padre, papà? Insomma... quando hai capito che volevi stare con lui e con nessun altro? È stato difficile?»

Maddox sorrise. «Oh, ecco che si spiegano tante cose! Sei innamorato di qualcuno!»

«N-No, non è proprio... v-voglio dire... non lo so! Rispondi e basta, pa'!»

«Va bene, va bene.» Il signor Ranson si accomodò meglio e si ravviò i capelli corvini. Gli occhi verdi che scintillavano, pronti a carpire nell'espressione del figlio qualsiasi dettaglio. «Io sono nato in una famiglia molto benestante, sai? Ma tuo padre invece no. Lui... lui veniva da una famiglia che contava qualcosa come dieci figli, più i genitori e i nonni paterni e materni. Ha fatto di tutto per proseguire gli studi, però, e io l'ho conosciuto a scuola. Erano tempi molto diversi, credimi, e quelli come me e te, gli Omega, avevano un'area tutta per loro. Non potevamo mescolarci ai Beta e agli Alfa, specie perché non esistevano i soppressori. Io... dunque... avevo quindici anni e lui diciassette. Ai suoi tempi aveva una gran dose di fascino e anche se era povero, aveva carisma e tutti lo stavano a sentire, pendevano dalle sue labbra, e ascoltarlo era un piacere. A un certo punto iniziò a prender parte ai moti rivoluzionari a favore dei diritti degli Omega e delle minoranze, come ad esempio i rari Indigo. Oggigiorno ce ne sono pochissimi. Comunque...»

«Cosa sono gli Indigo?» chiese perplesso Godric.

«Oh, beh... sono l'anello mancante fra un Omega maschio e una femmina Omega. Per farti un esempio: quasi sempre, a vederli fino alla cintola, li prenderesti per dei ragazzi, ma possiedono un apparato genitale femminile. Non è questo a renderli speciali: sono gli unici in grado di avere dei figli da tutti e tre i generi Alphaga. Quasi, in realtà. Noi Omega, come sai, non possiamo ad esempio mettere incinta una femmina Omega o di altro genere. A malapena sembriamo dei maschi, ormai.»

Godric si chiedeva perché non avesse mai sentito parlare degli Indigo. «E quindi... sono estremamente rari?»

«Lo sono eccome, e purtroppo ancora oggi subiscono una forte discriminazione, proprio come accade a quelli fra di noi che nascono albini o con altri difetti genetici. Siamo una specie di base crudele, tesoro. Discendiamo dagli animali e in natura a prevalere è il più forte. Rimarremo sempre degli animali in minima parte.»

«Basta vedere cosa succede quando entriamo nell'estro» replicò Godric, cupo. «Non ragioniamo più e facciamo una stupidaggine dopo l'altra.»

«Oh, puoi dirlo forte. Tuo padre a volte non mi sopportava proprio. Ultimamente non mi è più capitato di andare in calore. Inizio a invecchiare, suppongo.»

«Smettila, pa'. A scuola i miei compagni mi dicevano che ero fortunato ad avere un genitore come te!»

Gli aveva dato un po' fastidio, a volte, perché si stava pur sempre parlando di suo padre.

Maddox agitò una mano e sorrise di sbieco. «Comunque... io e Connor iniziammo a frequentarci di nascosto. I miei non volevano che avessi a che fare con lui, lo definivano un poco di buono. Per loro era alla pari di un randagio. Io dovevo sposare un uomo perbene e della mia stessa classe sociale. Risposi a questa assurdità scappando di casa qualche anno dopo con Connor. Avevo diciotto anni. Ci sposammo, facemmo i nostri comodi e quando tornammo ormai era tardi per sciogliere le nostre promesse. Mi ero concesso a lui, il danno era fatto.» Il signor Ranson tacque. «Come capii di amarlo, chiedi? Non saprei. Non è una cosa che puoi semplicemente comprendere come si fa con l'aritmetica o la scienza. È guardare la persona che hai di fronte e sapere, dentro di te, che con lei ti senti completo, al sicuro da tutto, più forte di prima. Ami una persona veramente quando la accetti per ciò che è e non desideri cambiarla o piegarla ai tuoi desideri, e spesso tendiamo tutti a cercare in chi scegliamo di amare ciò che non troviamo dentro di noi. Altri invece scelgono qualcuno che inconsciamente ricorda loro i genitori. Tuo padre era e resta la mia anima gemella e io lo amo, difetti compresi, perché sono quelli ad avermi attratto, non i suoi pregi. Si fa presto ad amare il lato migliore di una persona, è difficile invece convivere con le sue ombre e ti assicuro che tutti hanno un lato oscuro. Come sai di amare qualcuno? È semplice: in quel buio riesci a vedere la luce che nessun altro vede. Te ne innamori. Ovviamente non mi riferisco a chi è segretamente un assassino seriale! Esistono le eccezioni.»

Godric deglutì. «Per lato oscuro cosa intendi, allora?»

Maddox sorrise e gli strinse una mano. «Quella piccola parte di sé che una persona non vuole mostrare agli altri perché ha paura che la distruggerebbero. Parlo delle fragilità, delle paure più profonde, dei sogni più ambiti, delle sofferenze più logoranti e delle gioie più genuine. Parlo, Godric, di ciò che quella persona è realmente quando nessuno può vederla e il sipario cala.»

Il ragazzo sospirò. «E se fosse quella stessa persona a non rendersi conto di cos'è in quei momenti? Se non riuscisse a vedere quella luce nel buio che tu invece, magari, vedi con chiarezza?»

Maddox ci pensò su. «Non ho tutte le risposte, ma sono convinto di una cosa: non puoi amare gli altri se prima non impari ad amare te stesso. Parte tutto da lì. Finché non farai pace con chi sei davvero, con i tuoi demoni, con il passato, tutto il resto continuerà a essere inutile. Quindi... se sappiamo di amare quella persona e sappiamo anche che non riesce a vedere dentro di sé alcuna bellezza, abbiamo il compito morale di aprirle gli occhi e mostrarle il suo riflesso attraverso i nostri occhi. Queste persone, tesoro, sono le più fragili e più difficili da amare, ma una volta che ti permettono di amarle... beh... ogni giorno con loro si rivela un viaggio verso gli Elisi e ritorno, un'avventura.»

Il signor Ranson curvò il capo e scrutò intensamente il figlio. «Non so chi sia la persona in questione e non ti costringerò a rivelarmelo. Se ti sei riconosciuto almeno un po' in ciò che ho detto fino ad ora, allora credo ne valga la pena. A me basta solo che sia un individuo perbene, Godric. Qualcuno capace di arricchire la tua esistenza e di farti del bene.»

Godric sospirò. «Io... ho cercato di dire a questa persona cosa provo, ma sono stato liquidato come se la mia fosse solo una semplice cotta di passaggio. Mi ha detto che merito di meglio, che non è come appare e altre corbellerie che onestamente mi sembrano solo una scusa per allontanarmi appositamente. Pensa di non poter dare più niente a nessuno e invece non è così.»

«Beh, piccolo mio... non risolverai niente restando in camera tua a coccolare il cuscino e a piangere.»

«E allora c-cosa faccio, papà?» singhiozzò Godric, allo stremo. «Vado per strada e mi metto a urlare ai quattro venti che lo amo? Onestamente vorrei solo andare da lui e prenderlo a legnate! Dopo avermi detto tutto questo, io gli ho chiesto di abbracciarmi e lo ha fatto! Lo ha fatto e per me è stato meglio di un bacio, di qualsiasi altra cosa! Sentivo il suo cuore e nient'altro aveva importanza! Ero in pace, mi sentivo... mi sentivo a casa!» Si coprì il viso e scoppiò veramente a piangere, non facendocela oltre. Quella storia lo aveva logorato per più di una settimana e continuava ad angosciarlo.

La verità era che voleva rivederlo, voleva sentire di nuovo la sua voce, ma non come era accaduto per mesi in ufficio. No, si riferiva a quel breve intervallo in una sala silenziosa dove non c'era nient'altro, a parte loro due.

Tentò di calmarsi e si asciugò le guance più volte. Scivolò traballante giù dal letto. «Io... io vado da lui. Mi sono stancato e stavolta mi starà a sentire!» Prese per le spalle suo padre, gli diede un bacio su ciascuna guancia e infine uscì dalla stanza a rotta di collo.

Maddox rimase dov'era. «Buona fortuna» mormorò, augurandogli sul serio di riuscire nell'impresa.

Alzò gli occhi al cielo e rivolse un'occhiata fra il critico e l'indulgente a quei tre terremoti. Alla fine si vide costretto a intervenire: «Lydia, lascia stare Marilka» disse a voce alta. «Avery! Niente spintoni alle tue sorelle, signorino!»

Abbassò lo sguardo sul discorso che avrebbe dovuto fare in aula la settimana a venire e che stava cercando di memorizzare al meglio. Sospirò, uscì dal soggiorno e chiamò la governante. «Anita? Le spiacerebbe occuparsi dei ragazzi mentre io cerco di lavorare?»
Era il suo giorno libero, ma era meglio approfittare anche delle pause per quel caso in particolare. «Per l'amor del cielo!» si lamentò a bassa voce, esasperato. Finalmente la governante raggiunse il soggiorno, superando il padrone di casa, e con severità richiamò all'ordine i tre bambini. «Avete passato il segno, voi tre! Su, fuori! Vostro padre deve lavorare e ha bisogno di silenzio!» Autoritaria come un sergente dell'esercito, rimise in riga i ragazzi e li fece uscire dalla sala uno a uno. «E non vi azzardate a borbottare o andrete a letto senza cena!»

Lydia fu l'ultima. Si voltò a guardare il padre e lui cercò di non farsi intenerire. «Su, Lydia, vai coi tuoi fratelli. Ho troppo da fare, adesso.»

La bambina si incupì. «Tu hai sempre troppo da fare» replicò, secca e arrabbiata, uscendo.

Anita sospirò e mise le mani sui fianchi. «La signorina Lydia sta solo soffrendo per... insomma... lo sa. Non è arrabbiata con lei, non davvero.»

«Ne ha tutte le ragioni» la contraddisse affranto Dante. «Talia era il cuore di questa casa. Serve dire altro?»

Nessuna creatura, anzi nessuna famiglia, poteva andare avanti bene senza un cuore che batteva. Talia in qualche maniera li aveva sempre tenuti tutti uniti, aveva mitigato la severità a volte eccessiva del marito nei confronti della disciplina da adottare coi figli e provato a instillare nei ragazzi dei sani principi morali, ricordando loro che bisognava amarsi e aiutarsi a vicenda, quando si era una famiglia.

Una donna come poche ormai ne era rimaste al mondo. La sua assenza iniziava sul serio a presentare il conto dei danni.

Le labbra di Anita ebbero un leggero tremore e la donna solo grazie alla compostezza che sempre aveva mostrato riuscì a mantenere il controllo sulle emozioni. Si era affezionata a quella famiglia sin da quando era ancora composta solamente da una giovane coppia innamorata con una bambina da crescere.

Una vera signora, ecco cos'era stata Talia.

Sta andando tutto a rotoli, pensò Jones. Ci stava sul serio provando con tutte le sue forze, ma era come se la sua vita gli stesse comunque scivolando fra le dita come sabbia, e più cercava di trattenerla e stringeva i pugni, più quel cumulo andava invece assottigliandosi e sgretolandosi.

Con la punta delle dita raccolse dal basso tavolino di cristallo il bicchiere con del whisky e se ne versò un sorso in gola. La governante esitò. «Non dovrebbe bere, signore.»

«Ci sto attento, Anita, non preoccuparti» la rassicurò Dante.

Sapeva bene quant'era semplice lasciarsi andare. Bastava allentare appena un po' la presa per cadere nel baratro e non intendeva finire come sua madre. «Mi aiuta a schiarirmi le idee, tutto qui.»

Riprese nell'altra mano il foglio con gli appunti per la difesa di un cliente. «Non me la sento di cenare, stasera. Non apparecchiare per me.»

«Beh, è ancora presto. Magari poi cambierà idea» replicò Anita, incoraggiante.

Udirono il campanello di casa suonare e lei uscì dal soggiorno. Percorse col suo solito passo elegante e sostenuto l'atrio e infine aprì il portone. Rimase piuttosto sorpresa nel vedere alla porta un ragazzo il cui viso non le era neppure familiare.

«Desidera?» incalzò cortese.

Il giovane esitò. Aveva le braccia conserte, come se avesse freddo, e se le strinse ancora di più al petto, senza incrociare direttamente lo sguardo della donna. Gli ci vollero due tentativi per parlare. «Il... il signor Jones è in casa?» chiese rauco.

«Lei sarebbe...?»

«Sono... sono Godric Ranson. Sto praticando il tirocinio presso il suo studio legale. Avrei davvero bisogno di parlargli.»

Anita era incerta. «Non saprei. Il signor Jones ha esplicitamente chiesto di non essere disturbato e chiarito di non voler vedere nessuno oggi.»

«La prego, faccia un tentativo.»

Qualcosa nello sguardo del ragazzo convinse Anita a farlo almeno entrare in casa. «Aspetti qui. Vedrò cosa posso fare.» Tornò in soggiorno a passo svelto, senza essere precipitosa. «Signor Jones, c'è una persona che vorrebbe parlarle.»

Dante, che aveva ricominciato a camminare per la sala e a ripetere a voce alta il discorso per la difesa, si fermò, emise un verso di pura ed esasperata irritazione e spalancò le braccia, senza voltarsi. «In nome di tutti gli inferi, qui sto cercando di evitare che un innocente venga giustiziato per un reato non commesso!» esclamò, al limite. «Ho detto che non volevo essere disturbato, Anita!»

Lei mantenne la calma. «Si tratta del signor Ranson.»

«Connor?» chiese l'uomo, passandosi due dita sugli occhi.

«No. È un ragazzo di nome Godric. Credo sia il figlio di Connor.»

Jones ammutolì, poi: «Va bene. Digli che può entrare» disse lentamente.

Quando si voltò, però, vide alle spalle di Anita Godric, il quale non aveva resistito e chiaramente aveva fatto da solo, forse temendo una risposta negativa.

La governante avvertì la tensione nell'aria ed ebbe il buonsenso di lasciarli da soli, limitandosi a dire al padrone di casa che sarebbe uscita con i ragazzi per fare un giro e approfittare del bel tempo.

Dante squadrò brevemente l'ospite. «Dunque, dopotutto, non stava così male.»

Ric rimase un po' di stucco per quella fredda accoglienza. «È stato lei a dire che potevo prendermi qualche giorno» si permise di ricordargli. Jones, alcuni giorni prima, si era recato dai Ranson per parlare di affari con Connor e Godric ammetteva di non esser uscito dalla propria stanza con la scusa di stare male. Eppure alla fine non aveva resistito, era sceso di sotto in punta di piedi e si era affacciato nel soggiorno quanto bastava a poter vedere, anche solo per un istante, il collega di suo padre. Era stato un miracolo che non lo avessero sorpreso a origliare, ma non ricordava quasi nulla della conversazione in sé per sé.

Dante si ficcò le mani nei pantaloni grigi del completo. «Quindi?» chiese laconico, stringendosi nelle spalle.

«Me lo dica lei» lo rimbeccò Godric, deciso a non perdere quella sorta di lotta di sguardi. «Dica quel che le pare, ma la penso ancora come l'ultima volta in cui abbiamo parlato.»

Jones serrò gli occhi e scosse la testa, esasperato. «Ancora con quella storia? Mi sembrava di essere stato chiaro.»

«È stato chiaro solo ad accampare scuse. Non ha risposto neanche a una delle domande le ho posto in quell'occasione.»

«Forse perché non avevo risposte da darle.»

«Perché ora mi tratta così?»

«Perché lei, signor Ranson, sembra dimenticare un dettaglio, in particolare: io e suo padre siamo amici. Ha idea di come possa dunque suonare ciò che mi ha detto quella sera? Crede sul serio che io abbia molte alternative?»

«Qui stiamo parlando di me, non di mio padre.»

«Cresca un po' e impari a guardare le situazioni nel loro insieme, allora. Non ho altro da aggiungere.»

«Io invece sì.» Godric non intendeva demordere. Era troppo presto per dichiararsi sconfitti. Fece qualche passo in avanti. «Dice che merito qualcuno migliore di lei. Dice di non essere come appare, di aver fatto cose orribili e... tutto il resto del panegirico di quella sera! Sa che cosa le dico io, però? Lasci che sia il sottoscritto a decidere, a emettere un verdetto definitivo! Non può pretendere di scegliere anche per me!» Sospirò. «Non la conosco e ha ragione. Allora mi permetta di conoscerla meglio. Voglio farlo! Mi dia almeno una possibilità! Che cos'ha da perdere?»

«Il mio migliore amico, tanto per cominciare» replicò l'altro, serio. «Poi... cos'altro? Ah, sì: la stima dei miei figli che dopo aver perso la madre da neppure tre settimane mi vedrebbero intento a trascorrere del tempo sospetto con qualcuno che non conoscono, qualcuno di estraneo alla famiglia e che forse, dal loro punto di vista, intende solo prendere il posto della madre defunta. Ma non finisce qui: cosa ne sarebbe della mia reputazione? Inizierebbe a circolare voce che ho un debole per i miei tirocinanti e solo gli dei sanno cos'altro, poi, si inventerebbe la gente per screditarmi. Finirebbe nei pasticci anche suo padre, giusto per ricordarglielo, e a quel punto passerei per quello che lo ha pugnalato alle spalle pur di spassarsela con un ragazzino. Devo continuare?»

Godric sorrise appena con un velo di ironia. «Vedo, però, che ha preso in considerazione la cosa. Quindi come sta la storia?»

«L'ho appena detto come sta la storia.»

«No, lei ha solo spiegato quali potrebbero essere le conseguenze se scegliesse di farmi avvicinare. È diverso. Io voglio sapere cosa vede quando mi guarda. Voglio sapere come si sente in questo preciso momento, come si è sentito quando le ho detto che la desideravo e che mi piace da impazzire! E glielo sto ribadendo anche adesso, giusto per chiarire!»

Era persino pronto a prendersi tutta la colpa e responsabilità, nel peggiore dei casi. Era pronto a pagare per entrambi.

Dante imprecò sottovoce. Si chiedeva quanto ancora quel ragazzo intendesse scavare nella sua pazienza.

«Lo vuole davvero sapere?» chiese, quasi con sfida. A quel punto, forse, era meglio essere onesti fino in fondo. «Bene. Ammetto che nelle prime settimane in cui ha iniziato a praticare il tirocinio nel mio studio, volentieri avrei tradito mia moglie. Lo ammetto: un paio di volte mi è capitato di guardare in posti dove non avrei dovuto guardare, perché sono fatto di carne e sangue anch'io e non sono mai stato perfetto in vita mia. In fin dei conti non sarei stato né il primo né l'ultimo a voler scoparmi il tirocinante di turno! Però poi mi sono detto che ero sposato, che ero a mia volta padre e che in fin dei conti si stava parlando di un ragazzino, del figlio di un mio caro amico, per giunta. Mi sono ricordato che non voglio essere quel tipo di persona.»

Godric si chiese come mai, anche se aveva preso i soppressori in quei giorni regolarmente, lo stesso sentiva le budella contorcerglisi smaniosamente, il basso ventre ardere più che mai. Si chiese se era possibile che un Alfa potesse avere un simile effetto sul suo corpo. Non era colpa del calore, lo sapeva. Era... qualcos'altro, e lo faceva impazzire. Talmente lo faceva sragionare che le sue gambe agirono ancor prima della sua mente e dei suoi stessi desideri, guidandolo finché non si ritrovò proprio di fronte a Dante, il quale lo squadrò come se non riuscisse a capire quali fossero con esattezza le sue intenzioni.

Non di nuovo, pensò snervato, sentendosi in trappola. Il sentore floreale del ragazzo minacciava di dargli alla testa e quegli occhi dal raro colore simile a quello dei petali delle rose canine lo disorientavano. Non aveva neppure la scusa di trovarsi in ufficio. Erano a casa sua.

Riusciva a sentire che il cuore aveva aumentato i battiti, pulsava freneticamente. Persino la sua pelle pareva esser diventata più sensibile e percepire sin nella più minuscola cellula il tessuto della camicia.

Dentro di sé pregò che il ragazzo non si avvicinasse oltre, perché non era più sicuro di come avrebbe potuto reagire altrimenti. Le sue peggiori paure, così come le sue brame più controverse e solleticanti, presero la tangente quando il ragazzo gli afferrò la camicia, si sollevò sulle punte, lo fece chinare verso di sé e pose le labbra sulle sue. Fu allora che il suo profumo avvolse completamente i sensi e la ragione di Dante, annegandoli in un torpore dolce, da capogiro e intenso che sapeva d'orchidea, di biancospino e tanto altro ancora. Le labbra erano morbide, appena un po' umide, pregne del sapore di Godric e calde. Dèi, se erano calde.

Jones non pensava più al corpo di sua moglie che marciva sottoterra. Non pensava più neppure alla piccola bara bianca che giaceva in quella medesima fossa. Non gli importava di cosa avrebbero pensato Connor e i suoi dipendenti, di cosa l'intero e dannato creato avrebbe detto.

Affondò una mano nei lunghi capelli del giovane Omega e rispose al bacio, prima con un po' di finale ritrosia, poi sopraggiunse invece l'avidità.

Lo sentì quasi sciogliersi nella sua stretta, avvertì le braccia del ragazzo cingergli il retro del collo e la sua esile mole premergli contro, chiaramente vogliosa d'altro, di più di quanto non stesse già prendendo.

Godric, intanto, aveva le idee molto chiare e al momento riusciva solo a pensare di voler fare di tutto per far dimenticare a Dante la moglie defunta. Dentro di sé si ripeteva che lei era morta, non c'era più, ma lui invece era lì, era vivo ed era pronto per lui, disposto a dargli tutto se stesso fino all'ultimo brandello, persino a dargli l'altra cosa preziosa che aveva perso insieme alla sfortunata sposa. Gli avrebbe dato anche dieci figli, se solo fosse bastato a seppellire per sempre il ricordo di qualcuno che non esisteva più. In fin dei conti era giovane, certo, ma non così tanto per la biologia di un Omega. La natura gli aveva dato molti doni inestimabili con cui afferrare ciò che tanto bramava e reclamarlo come suo. Gli aveva dato la bellezza, una sensualità innata, intelligenza, capacità di adattamento e sì, di poter essere all'altezza di stargli accanto da pari a pari.

Che altro vuoi di più, dimmi?

Non poteva rifiutarlo ancora. Non poteva essere così crudele, perché in fin dei conti non era affatto tale.

Si mosse nella sua presa e lo spinse piano, un po' alla volta, verso il divano. Un'ultima spinta e poi gli fu a cavalcioni, proprio come era accaduto con altri, anche se poi non era mai andato fino in fondo e si era sempre tirato indietro non appena aveva capito che non era il momento adatto né la compagnia era davvero alla sua altezza.

Ma lui... diamine se lo era. Era all'altezza, ed era anche in suo potere. Glielo leggeva in quegli occhi simili a perle nere e scintillanti di lascivia. Vi era anche dell'altro, un fondo d'incertezza e confusione. Forse in silenzio gli stava chiedendo se realmente intendeva proseguire, se era ciò che voleva sul serio.

Era nelle stesse identiche condizioni di quando si trovavano in ascensore, intrappolati non solo da quattro mura di pochi metri quadrati, ma dal loro istinto più primordiale di tutti.

Provava la sua stessa smania, la medesima brama esasperante e viscerale.

Volendo vederlo appositamente sragionare si mosse sopra il suo inguine che già lo desiderava e ottenne un rauco e basso lamento, come se in lui avesse causato una reazione a catena piacevole e dolorosa allo stesso tempo.

Ora sai come mi sono sentito per mesi, pensò il ragazzo, quasi sadicamente. Si meritava in parte la sofferenza, l'attesa e la paura che entrambe potessero portare a un nulla di fatto.

Godric sorrise, un'inebriante e ipnotica curvatura delle labbra. Si tolse la maglietta aderente che metteva in provocante risalto il suo corpo esile, ma leggiadro e con le curve al punto giusto, la vita stretta e i fianchi che poi si allargavano in una biforcazione dentro la quale si celava il vergine suolo che di lì a poco avrebbe finalmente rivelato i propri segreti.

Liberò prima i fianchi dai jeans attillati, poi le gambe, e con essi vennero a mancare anche gli slip.

Incoraggiò le mani dell'uomo a sfiorargli la pelle setosa, il corpo morbido come quello di una pernice. Non era più semplicemente seduzione, ma accoppiamento, e una volta che era cominciato non poteva interrompersi, la natura doveva fare il proprio corso.

Il giovane Omega si lasciò a quel punto manovrare docilmente e un attimo dopo essere stato spinto giù sul divano accolse fra le gambe che fremevano d'impazienza i fianchi dell'Alfa.

Rispose ai suoi baci, si aggrappò alle sue spalle e attese. Spalancò le labbra. Dante non fu molto delicato, ma irruente e famelico come una belva ansiosa di divorare la preda. Godric avvertì qualcosa dentro di sé opporre una debole resistenza e poi cedere, poi ancora qualcosa di caldo scorrere fra le natiche. Era doloroso, proprio come gli era stato detto, ma gli piaceva. Gli piaceva da impazzire. Capì che era più facile di quanto si fosse aspettato, che la combinazione di passi di quella danza era sempre stata dentro di lui, in attesa di essere eseguita e venir messa alla prova.

Sorrise fra sé e si strinse a lui, desiderando che in qualche maniera quell'attimo potesse cristallizzarsi nel tempo, ma ad ogni spinta era chiaro che il tempo non si sarebbe fermato.

La sensibilità estrema del suo corpo e il viso, ogni centimetro dell'uomo che stringeva a sé, si contendevano la sua attenzione in un turbine frenetico di sensazioni che lo scuotevano come un terremoto.

Fu di nuovo docile quando Dante lo fece voltare di lato e poi ebbe di nuovo inizio la danza. Malgrado il ragazzo fosse sempre stato piuttosto pudico e timido, quella posizione non lo metteva a disagio, anzi riusciva a sollecitare angoli di lui che ad ogni spinta gli donavano in cambio un piacere beato che quasi gli annebbiava la vista e accecava i sensi.

Da parte sua Dante faticava molto, decisamente troppo, a negare ai propri istinti di averla vinta fino in fondo. La pallida collottola del ragazzo era lì, affiorava in quella cascata d'oro zecchino che pareva scintillare alla luce del tardo pomeriggio. Sarebbe stato semplice sporgersi e affondarvi le zanne da predatore, illudersi di poter in tal modo attivare un legame che avrebbe persino potuto far rimarginare il cratere che Talia aveva lasciato morendo.

Era tentato di farlo sul serio, ma poi cosa?

Lo sentì contorcersi nella sua stretta e allora gli cinse lo stomaco con l'avambraccio mentre entrambi raggiungevano il climax.

Ci volle una decina di minuti prima che fosse loro concesso di separarsi e a lui di retrocedere. Sperava solo che Godric stesse prendendo con costanza i soppressori adeguati. Ce n'erano di diverse tipologie e quelli basilari non fungevano anche da contraccettivi.

Abbandonò la fronte su una sua scapola. «Sei soddisfatto, adesso?» chiese sussurrando, dandogli del tu per la prima volta. Ormai le formalità erano pressoché inutili.

Mi chiedo quale ricordo ti resterà di oggi.

Sapeva di essere stato rude, di non aver rispettato un granché l'inesperienza del ragazzo, ma era sempre stato in quel modo. Non riusciva a fingere quando l'istinto prendeva il sopravvento. Era un avvocato che cercava di fare la cosa giusta, ma allo stesso tempo era anche un Alfa di indole predatrice e tale indole, specialmente quando aveva a che fare con chi era invece una preda, tornava in superficie, era prepotente e voleva l'ultima parola.

Col senno di poi era stato un bene che Anita avesse portato i ragazzi a fare un giro, altrimenti lui avrebbe avuto un bel po' di cose da spiegare e chiarire.

Godric non rispose subito. Quella domanda lo faceva quasi sentire in colpa, come se lui avesse fatto le bizze e Dante si fosse limitato a dargliela vinta, e non era così.

«Mi chiedo, invece, perché i soppressori non abbiano avuto effetto» disse. «Era come se non li avessi presi affatto.»

Dante non seppe rispondere a quella domanda. Era il primo a non capire. «Sii sincero con me, adesso: avevi in mente di fare quello che hai fatto, quando sei arrivato qui?»

«Ho improvvisato. Alla fine ho capito che con te le parole non servono a molto.»

Probabilmente avrebbe dovuto dirgli che non faceva uso degli anti-concezionali, visto che non ne aveva mai avuto bisogno, ma forse non era successo niente.

Una parte di lui sperava nel contrario e le ragioni erano tante, ma non era sempre detto che un amplesso portasse a un risultato. In ogni caso... ormai era andata.

Si voltò e si avvicinò a Dante, posò la testa sopra il suo cuore, proprio come aveva fatto la settimana prima, e Dante di nuovo non lo respinse. Senza una parola gli cinse la schiena col braccio e abbandonò la fronte sui capelli del ragazzo.

Odiava non sentirsi in colpa per quanto era successo dopo sole tre settimana dalla scomparsa di sua moglie. Odiava se stesso perché non riusciva a respingere Godric e perché, proprio in quel momento, desiderava averlo il più vicino possibile.

Esitò prima di sussurrare: «Se vuoi così tanto starmi accanto, puoi farlo. Fallo, ma sapendo che non sono perfetto».

Era dopotutto un crimine voler allontanare da sé la solitudine e dimenticare gli ultimi eventi? Poteva esser biasimato se voleva relegare in un angolo i ricordi di Talia e andare avanti, tagliare i ponti con il passato?

Godric avrebbe voluto fare i salti di gioia, ma ebbe la decenza di contenersi. «Vuoi che resti, quindi?»

L'altro annuì, di nuovo in silenzio. Non parlava perché in caso contrario avrebbe reso palese che stava piangendo, e non gli era mai piaciuto mostrarsi fragile. Ultimamente era accaduto fin troppe volte e quel ragazzo aveva già armi sufficienti con cui metterlo alle strette.  

Erano le sei e mezza del mattino quando Grace, con ancora addosso il pigiama, i capelli spettinati e una tazza di caffè in mano, andò ad aprire la porta del suo appartamento e vide Godric fiondarsi dentro come una scheggia.

Il caffè le finì quasi addosso e le schizzò un po' sulla canottiera rosa. Lentamente sollevò gli occhi verdazzurri sull'amico. Pareva avere intenzioni sì e no da omicida.

«Sarà meglio per te avere una scusa decente per questo pasticcio, Godric Ranson, o giuro che...»

«Grace, io...», il ragazzo prese un bel respiro. Aveva l'aria un po'... stropicciata. «Io e Jones abbiamo fatto sesso.»

La ragazza spalancò la bocca. «Porca paletta!» quasi urlò. «E me lo dici così?!» Lo raggiunse e gli ficcò in mano il caffè. «Su, su, bevi e alla svelta! Voglio sapere tutto!»

Lui sorseggiò la bevanda, la finì tutta d'un fiato e le restituì la tazza. «Sono andato da lui, non ce la facevo più e volevo chiarire finalmente come stavano le cose. Sai, no, dopo l'incidente dell'ascensore e...»

«AH, CAVOLO!» sbottò isterica Grace, agitando le mani. «Non mi interessa il prologo! Entra nel vivo della storia e spiegami come ti è saltato in testa di scoparti il tuo capo!»

«Non lo so! È successo!»

«Sì, lo vedo! Sembri uscito da una centrifuga!»

Godric deglutì e guardò di sottecchi l'amica. «Uhm... p-potremmo... averlo fatto più di una volta, ecco» pigolò.

La ragazza si spiaccicò una mano sulla faccia. «TU-SEI-UN-CRETINO! Non dico altro! Basta!» Lo superò e tornò in cucina, borbottando come una pentola mentre si preparava un altro caffè.

Lui la seguì e sospirò, sedendosi al piccolo tavolo. «Non abbiamo usato le precauzioni. Lui pensa che io stia prendendo i soppressori che fungono anche da contraccettivi, ma non è così e non so come la prenderà quando e se dovesse saltar fuori una sorpresina. Ah, cavolo! Se papà lo viene a sapere, sta' pur sicura che gli prenderà un colpo.»

Grace non sapeva se prenderlo a schiaffi o direttamente a calci. «Il calore? Ce l'hai ancora? Se sì, allora sei salvo. Se non avverti più alcun sintomo, il Paparino ha fatto la magia e tra dieci mesi darai alla luce all'estero un piccolo Jones, lo darai via, tornerai e nessuno lo verrà mai a sapere! Chiaro? Sareste rovinati entrambi!»

Godric deglutì. «Uhm... s-sì, il calore c'è ancora» mentì, sperando di esser stato abbastanza convincente. La verità era che stava alla grande e gli sembrava un sogno.

«Sicuro?» insisté lei, dubbiosa. «Guardami negli occhi e dimmi la verità. A parte gli scherzi, Ric, è importante. Ti rendi conto di che razza di casino verrebbe fuori? E poi come faresti? Cosa ne sarebbe del tuo futuro?»

«Ci sono tanti che sanno destreggiarsi con gli studi anche se in gravidanza. E penso che un bambino nasca per portare felicità e più luce nel mondo, nella vita di una persona, non per toglierla.»

Grace si versò in gola un lungo sorso di caffè. Annuì. «Sei gravido. Fantastico.» Si massaggiò le tempie dopo aver posato la tazza. «Glielo dirai?»

«Beh... presto o tardi le mie condizioni si noteranno. Nasconderlo sarebbe inutile.»

«Specialmente se intendi continuare a frequentarlo.»

«Appunto.»

«Quindi lui ci sta? Insomma... gli piaci? O sei solo il surrogato di una moglie ormai defunta?»

Godric posò i gomiti sul tavolo e con le mani si sostenne le guance. «Non ne ho idea. Non è facile da capire come uomo, Grace. Cioè... credo gli piaccia la mia compagnia, credo di piacergli fisicamente e non solo, però... non lo so. Credo di dover aspettare altri sviluppi.»

«Questo è sicuro» commentò lei, accennando con lo sguardo al suo corpo che presto, man mano, sarebbe cambiato. Si sedé di fronte a lui e gli strinse una mano. «Su, dai, dimmi com'è stato» aggiunse, raddolcendo il tono.

Il ragazzo arrossì subito quando ripensò a cos'era successo. «N-Non saprei.» Non poteva affermare che quegli amplessi fossero stati l'esempio della delicatezza. «Intenso, direi. Non è andato per il sottile, lo ammetto, ma dopo la prima volta mi sono acclimatato ed ero già più sicuro di me. L'ultima volta sono stato io sopra.»

Gli era quasi sembrato che Dante non avesse potuto far a meno di lui dopo la prima volta. In tutto avevano consumato sei rapporti sessuali, tanto che a un certo punto Jones aveva dovuto chiamare la governante per dirle di far cenare fuori i figli, giusto per avere della privacy ed evitare scomode domande.

Avevano comunque stabilito di comportarsi come di consueto in ufficio, sempre che fosse possibile dopo quanto avvenuto.

Per il resto, si era deciso di dare tempo al tempo. Lui in ogni caso sentiva dentro di sé, anche in quel preciso istante, che qualcosa dentro il suo corpo era cambiato e lo avrebbe fatto ancora.

Restava solo da vedere come Dante avrebbe reagito a tale cambiamento.  

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top