乇ㄩㄒㄖ卩|卂 || Ep. 1. Non perdere la testa





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Erano le quattro del mattino passate quando il telefono del capo del dipartimento di polizia di Eutopia prese a squillare come un indemoniato sul comodino. Fu il marito del poliziotto a svegliarsi per primo e, molto controvoglia, ad allungare un braccio e ad afferrare alla cieca la cornetta. «Sì?» esordì rauco, gli occhi azzurri gonfi di sonno. Un attimo dopo sospirò e passò al compagno, appena svegliatosi a sua volta, il telefono. Jones, con poco entusiasmo, lo prese. «Chiunque tu sia, spero si tratti di una questione di vita o di morte.» Il suo sposo, nel frattempo, accese una delle luci e rimase ad osservarlo, preoccupato. 

Il capitano Jones assunse un'aria corrucciata, poi alzò gli occhi al cielo. «Maledizione» sibilò tra sé. «Non fate nulla fino al mio arrivo. Che nessuno tocchi niente, mi sono spiegato? Dieci minuti e sono lì.» Riattaccò e scivolò fuori dal letto in fretta. 

Gareth lo guardò vestirsi velocemente. «Cos'è successo?» Sentiva di sapere, però, di cosa si trattava.

«Un altro omicidio, ecco cosa» lo rimbeccò Dario, visibilmente di pessimo umore. «Ne ho fin sopra i capelli di questa storia!»

Il marito deglutì a vuoto. «Avresti dovuto aspettare prima di tornare al lavoro. Rose è nata da appena due mesi e tre settimane dopo eri già di nuovo alla scrivania.» Non aveva mai visto qualcuno prendersi un periodo di paternità così breve e nel loro caso, specialmente, il medico aveva prescritto molto riposo e tanta calma, ma il consiglio era stato ignorato in modo deliberato. «Non ti sei ancora rimesso del tutto, forse...»
«Cosa, Gareth? Avrei dovuto lasciare una situazione del genere in mano a un sostituto o a Peterson? C'è un motivo se è lui lo sceriffo e se io sono il capitano. Non è di certo pronto a una cosa del genere e avrebbe finito per fare casino, e comunque...», Jones si bloccò appena in tempo. Aveva già detto troppo ed era contro le regole del suo ruolo parlare dei casi che aveva tra le mani con chiunque fosse al di fuori del dipartimento. Eppure era quest'ultimo, insieme al resto della città, a non sapere nulla di quanto tutti quei casi fossero tra loro collegati.

Il governatore, sicuramente imbeccato dal re, gli aveva ordinato di non dire niente a nessuno, tranne che ai poliziotti dell'equipe che era stata scelta per condurre le indagini nel totale silenzio e mantenendo un basso profilo. Gli avevano ordinato di operare con discrezione e più in fretta che poteva, ma iniziava a credere che fosse un errore non far sapere nulla a Eutopia e ai suoi abitanti che erano tutti, nessuno escluso, possibilmente a rischio.

Finì di abbottonarsi la divisa e si sporse per baciare brevemente il marito. «Da' un bacio a Rosie da parte mia. Ormai sai cosa fare, giusto? Se qualcosa non ti convince o sei hai difficoltà, chiamami e...»
«Tranquillo, ce la caveremo» lo rassicurò l'Alfa che, malgrado l'indole di base dei suoi simili, era fra i compagni più pazienti che esistessero. A conti fatti era lui l'uomo di casa ed era sempre lui a occuparsi della loro prima figlioletta, nonché probabilmente anche l'ultima, come il suo compagno aveva più volte specificato. «Tu, piuttosto, fa' attenzione.» La paura che potesse accadergli qualcosa mentre era là fuori a rischiare la vita come qualsiasi altro agente era tanta, a volte gli impediva di dormire la notte, specialmente quando non lo vedeva tornare a orari decenti e lo sentiva rientrare alle cinque del mattino.

Per colpa di quel suo costante nervosismo, dello stato d'allerta e di tanto altro ancora, Rose era persino nata anzitempo ed era dovuta restare sotto osservazione in ospedale per due settimane dopo un parto un po' problematico e difficile. Certo, era la loro primogenita, la loro prima esperienza da genitori e il medico aveva detto che Dario, probabilmente, avrebbe avuto delle difficoltà visto che aveva passato i trent'anni e non era mai una buona idea per un Omega avere figli così tardi.

Rose, o Rosie, come la chiamavano loro affettuosamente, era arrivata per caso o per errore, a seconda di come si voleva osservare l'accaduto. Dario era uno di quelli che pensavano prima di tutto al lavoro, un Omega deciso a scalare da solo l'impervia montagna della carriera e aveva rimandato il progetto di avere finalmente un bambino per tanti di quegli anni, che Gareth, alla fine, si era arreso all'idea che non sarebbe mai accaduto.
Malgrado prima del matrimonio entrambi avessero fantasticato per un bel po' sul voler diventare genitori, nel tempo quel sogno si era sbiadito, era stato privato del suo piedistallo da prepotenti rivali quali il lavoro, la stanchezza e, spesso, scuse di ogni genere atte al ritardare ancora l'arrivo di un bambino.
Poi, appunto, una sera aveva visto tornare il compagno che gli aveva messo sotto il naso, con aria ben poco entusiasta, una ecografia. Gareth prima aveva sorriso, commosso nell'aver finalmente visto le sue preghiere acquisire forma concreta, ma poi, sotto lo sguardo risentito e accusatorio del compagno, compreso che forse quel sogno sarebbe tornato a essere un pallido  spettro destinato a svanire per sempre.
C'era stata una discussione accesa nelle quali Gareth aveva fatto presente di avere quasi quarant'anni e di non voler più aspettare oltre l'occasione di diventare padre. Dario, invece, da persona in carriera qual era, aveva chiarito in modo esaustivo di non voler rinunciare al lavoro per nessun motivo e, un po' egoisticamente, di avere cose più importanti da fare che esser preda di nausee mattutine, sbalzi d'umore e, per finire, il travaglio che non lo allettava per niente. Aveva ammesso, purtroppo, di non essere più interessato né di desiderare più un figlio, di non averne bisogno e che un bambino avrebbe solo scombinato e messo sottosopra la vita di tutti e due. 

Per alcuni giorni era sembrato a tutti e due che forse quella sarebbe stata la fine del matrimonio che, nel bene e nel male, per molti anni avevano cercato di far funzionare al meglio delle possibilità. Quattordici anni di unione si erano ritrovati, senza un motivo valido o forse per ragioni sfuggite ai due, sull'orlo di un pericoloso e nero abisso chiamato divorzio. Erano arrivati a non rivolgersi la parola quasi mai e a discutere anche per stupidaggini. Quando poi Gareth si era arreso all'idea che forse il compagno, anche di nascosto, avesse già preso la sua decisione e di nuovo posto il lavoro davanti alla famiglia e sì, ai doveri coniugali, una sera aveva visto tornare prima il suo sposo Omega e quest'ultimo prima aveva ammesso di aver preso un appuntamento per abortire, ma poi aveva avuto paura, non se l'era sentita di affrontare quella che era a tutti gli effetti un'operazione e aveva deciso di portare avanti la gravidanza, malgrado il poco entusiasmo e le grane che gli avrebbe procurato sul posto di lavoro.
Aveva continuato ad andare in ufficio e fare quello che di solito faceva fino al quinto mese, quando per miracolo un aborto spontaneo era stato scongiurato. A quel punto, volente o nolente, il capitano Jones aveva dovuto prendersi finalmente un periodo di riposo nel quale, di tanto in tanto, aveva mostrato segni non sempre ben celati di insofferenza e nervosismo estranei all'arrivo di quella che si era scoperto essere una bambina. Certo, bisognava ammettere che le loro rispettive famiglie, o meglio madri, non avessero contribuito a un proseguimento sereno della gestazione. La madre di Gareth mai era andata d'accordo con il genero che una volta aveva definito frigido e interessato solo alla carriera, inadatto alla vita di famiglia. La signora Jones, dunque, quella volta aveva riversato in faccia alla consuocera il bicchiere di vino che fino a un secondo prima aveva continuato a reggere in mano durante la conversazione andata via via incontro a un pessimo climax. Le due donne, dopo aver saputo che finalmente sarebbero diventate nonne, avevano sì e no fatto a gara per stabilire chi sarebbe riuscita per prima a far sbottare di proposito Dario. Naturalmente aveva finto la signora Herrick, imponendo al genero di chiamare la bambina con un nome scelto da lei. 

Paradossalmente il momento del parto era stato il solo a risultare davvero sereno, se ovviamente si tralasciavano le complicazioni sorte durante il travaglio che, inizialmente, era stato stabilito che si sarebbe dovuto svolgere fra le mura domestiche. Quando era stato chiaro che qualcosa non quadrava, Gareth aveva portato subito in ospedale il compagno. Non appena tutto si era concluso, l'ostetrico aveva parlato a entrambi i neo-genitori e consigliato loro di evitare delle future gravidanze perché ormai uno dei due aveva superato l'età adatta al proseguire una gestazione in modo sicuro.
Dario, in segreto, con se stesso aveva ammesso di non essersi sentito abbattuto né sconfitto, ma anzi... sollevato da quello che più che un piacere era diventato un mero dovere. Per un Omega avere figli, secondo la società, era l'aspirazione massima, per lui invece fonte di problemi e qualcosa che non lo metteva a suo agio. In tutta franchezza i bambini mai gli erano andati molto a genio, anche se Rosie, per ovvie ragioni, era un'eccezione. Lei era sua, era sangue del suo sangue e lui aveva sofferto per metterla al mondo. Risvegliava un istinto naturale contro il quale non poteva andare e che nella prima settimana trascorsa a casa con la bambina, proprio prima di tornare ad abbaiare ordini alla centrale di polizia, lo aveva spinto a non voler cedere a nessuno la piccola, neppure al compagno. Forse l'aver visto Rosie solo per pochi attimi, aver potuto stringerla pochissimo e poi aver dovuto per forza cederla a un'infermiera per ricevere le dovute cure, insieme all'istinto paterno aveva risvegliato anche una paura senza nome e viscerale, una paura che gli faceva temere che Rosie potesse venirgli strappata via dalle braccia bruscamente e per sempre. Era stata proprio quella paura, quindi, a dargli allo stesso tempo un proverbiale schiaffo e una ragione valida per tornare al lavoro prima del consueto e a distaccarsi un po' dalla vita di famiglia. Aveva capito che quella paura, a lungo andare, sarebbe risultata malsana sia per lui che per sua figlia e di dover concentrarsi su altro e tornare alla normalità. 

Gareth, non sapendo di tutto ciò perché Dario non era tipo da confidarsi più di tanto con anima viva, aveva avuto la netta impressione che il suo amato avesse risentito molto della mancanza di un caso di cui occuparsi e del dipartimento da tenere sotto controllo, così tanto da voler fuggire dalla loro famiglia appena allargatasi. Gli era sembrato che nonostante l'Omega avesse dato alla luce una splendida bambina, con la gioia tra l'altro dei loro genitori e parenti, per lui a contare di più fossero comunque la carriera e l'azione, a conti fatti. Era brutto da pensare, lo sapeva bene, ma il silenzio è solito generare dubbi, quando si è di fronte a situazioni a volte ambigue.

Era comunque errato e fuori moda pensare che tutti gli Omega fossero dotati di un prevalente istinto genitoriale o che fossero solo degli Alphaga troppo deboli e delicati per pensare a se stessi. Quello che Gareth aveva sposato sbaragliava i luoghi comuni, poco ma sicuro, e benché alquanto mingherlino e in apparenza inadatto al lavoro di poliziotto, sapeva suonarle di santa ragione a un Alfa grosso il doppio di lui e per due motivi molto semplici: l'astuzia e la possibilità di sgusciare via e cogliere di spalle l'avversario. Aveva saputo fare delle proprie debolezze delle armi, niente di più. Eppure a volte gli sarebbe davvero piaciuto avere un compagno capace di non lamentarsi se per una domenica, di tanto in tanto, si restava in famiglia e si trascorreva una giornata in pace. Ricordava di aver sposato un ragazzo di appena vent'anni molto diverso, uno che un tempo, anni e anni prima, avrebbe disprezzato e deriso atteggiamenti che poi lui stesso aveva adottato. Com'era ironica la vita... 

«Bene, vado» disse Dario, controllando velocemente l'orologio che avvolgeva il suo polso sottile. «Non posso promettere che tornerò intero. Il governatore si trova già sul posto e non gli vado granché a genio. È la volta buona in cui mi spezzerà le ossa in ordine alfabetico.»

Si diresse alla culla dall'altro capo della stanza matrimoniale e si affacciò per guardare un'ultima volta la sua bambina prima di andare. Inclinò la testa e sorrise appena, accarezzandole con l'indice la testolina ornata da una corona di setosi e ricci capelli scuri che, sotto la luce soffusa presente in camera, presentavano riflessi mogano. Un contrasto splendido con l'incarnato color avorio che la faceva somigliare a una minuscola e fragile bambola di porcellana.
Dormiva della grossa, per fortuna aveva il sonno pesante e sembrava essersi abituata al suono del telefono, dato che in quella casa squillava molto, molto di frequente.

Sapeva di essere un papà un po' assente, anzi molto assente, e di dare certe volte l'impressione di non curarsi affatto della propria piccola, ma non era così. Voleva solo lavorare sodo, dare il massimo per rendere quel mondo più sicuro in primo luogo per Rose.

Prima della sua nascita aveva sempre visto il lavoro da un lato decisamente più ambizioso e arrivista, come obiettivo il voler affermarsi e dimostrare ai suoi superiori che non era uno di quelli adatti solo alle mura domestiche e che poteva valere più di qualsiasi Alfa massiccio e forte come un toro, ma poi, quando aveva stretto a sé la bambina per pochi attimi prima di vederla sparire fra le braccia di un'infermiera, aveva capito che era per lei, solo per lei, che doveva stringere i denti e impegnarsi per limitare i possibili pericoli presenti nel mondo che la circondava.

Sua figlia sarebbe cresciuta in una città sicura, pulita e ricca di opportunità, quella era la promessa che aveva fatto a se stesso e a Rosie.

Si chinò per baciarle la minuscola fronte, poi si decise a lasciare la stanza e a sbrigarsi a uscire e a salire in macchina. Prima di farlo, tuttavia, trasferì gli occhi scuri e pieni di apprensione sulla casa dove non sapeva mai se sarebbe tornato o meno, considerando il lavoro che faceva. Si chiedeva sempre, prima di varcare quella soglia, se sarebbe riuscito a rivedere Rosie e Reth, come da tanti anni era solito soprannominare il marito. 
Con tutto quello che per anni aveva visto, gli era difficile non provare timore nei confronti del domani. 
Controllò un'ultima volta lo specchio retrovisore e nel farlo incrociò lo sguardo di una persona che da anni non riposava con costanza e a volte persino saltava i pasti pur di star dietro al dipartimento al quale aveva venduto probabilmente l'anima. 
Scosse la testa e accese il motore.

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Superò i nastri rossi sui quali era stampato l'acronimo della polizia di Eutopia e raggiunse velocemente il governatore e alcuni degli agenti dell'equipe che era stata scelta con molta cura. Erano tutti pronti a rischiare ogni cosa per metter fine a quella storia, agenti che non avevano nulla da perdere ed erano fedeli ai principi su cui il sogno di Eutopia si era basato all'epoca della fondazione risalente a più di mille anni prima.
In tutta franchezza Jones dubitava che i padri fondatori avrebbero applaudito vedendo cos'era diventata Eutopia.

Il governatore Reger si voltò a guardare l'Omega in divisa. Sembrava di pessimo umore, aveva anche lui la faccia di uno che non dormiva sonni sereni da un bel po' di tempo. «Finalmente è arrivato» lo apostrofò brusco. «Poteva metterci un altro po', già che c'era!»

Jones deglutì. «Mi dispiace, signor governatore. Ho fatto più in fretta che ho potuto. Stavo...»

«Oh, immagino debba essere difficile separarsi dal proprio cucciolo a distanza di soli due mesi dal parto. Forse avrebbe fatto meglio a dedicarsi esclusivamente alla paternità, come tanti altri suoi simili. In fin dei conti accudire i piccoli Alphaga è ciò per cui siete naturalmente programmati. Non capirò mai questa storia dell'integrazione sociale! Tsè!»

Jones si morse la lingua di fronte a quella frecciatina bella e buona. Reger sembrava avercela ancora di più con lui e il genere cui apparteneva da quando lo aveva visto una volta presentarsi con gli eventuali segni di una gravidanza in atto. Era successo la settimana prima del suo temporaneo ritiro. Invece di mettersi a discutere, decise piuttosto di concentrarsi sulla scena del crimine: c'era parecchio sangue, come al solito, ma...

«Dov'è la vittima?» chiese perplesso. 

Reger si aggiustò gli occhiali da vista sul ponte del naso diritto e gli disse di seguirlo. Procedettero per qualche metro, stando ben attenti a dove mettevano i piedi. Si trovavano appena fuori Eutopia, nel bel mezzo di un campo pieno di erbacce, più in là vi era un edificio ormai abbandonato da tempo. Di recente aveva piovuto e il terreno era alquanto fangoso. Sembrava di camminare su una gigantesca spugna giallo-verde illuminata dai fari della polizia e della scientifica.

Reger si fermò e indicò un punto a tre metri di distanza da loro. «Ciò che resta della vittima si trova laggiù. Sarà un bel problema risalire all'identità. Come sicuramente lei saprà, solo di recente si sono scoperti nuovi metodi per effettuare il riconoscimento di un cadavere e non sempre sono precisi.»

«Forse, esaminando i denti...»

«La testa non è ancora stata ritrovata e ho l'orribile dubbio che ormai sia da dare per dispersa. Da quel che ha detto la scientifica, la vittima è sicuramente morta da almeno una settimana. I resti sono in pessime condizioni e... dai segni presenti sui vari brandelli, pare che qualcosa o qualcuno di bestiale l'abbia fatto o fatta a pezzi, forse quando era ancora in vita. Spero comunque che si possa ricavare qualcosa con quei nuovi esami.»

«Si riferisce all'esame del DNA, signore?» gli venne in aiuto Dario.

«Sì, esatto. Quello.»

Jones si avvicinò senza la minima ombra di incertezza. Era abituato a vedere scenari come quello, seppur non così cruenti. Il tanfo era nauseante, ma il sentore del sangue non mentiva, specialmente per quell'eccessiva tonalità dolciastra. Faceva venire in mente un vaso pieno di acqua stagnante in cui era immerso un bouquet di fiori secchi o, di nuovo, un vassoio rugginoso strapieno di frutta marcia. In una sola parola: disgustoso, da far ribrezzo persino alle mummie.
«È un Omega, stavolta» sentenziò, coprendosi naso e bocca. L'odore era insopportabile e il cadavere di un Alphaga marciva lentamente. In una settimana i tessuti erano ancora in piena decomposizione, cosa che era spiacevole a vedersi e anche da annusare. «Chi ha trovato questo scempio?» chiese rauco. Gli veniva da rimettere sì e no persino la cena che aveva mangiato al suo matrimonio.

Reger lo squadrò in silenzio, sicuramente per giudicare la sua reazione, poi: «Un gruppo di ragazzi venuto qui con l'idea di sbronzarsi e di farsi qualche dose in santa pace. Il nostro amico dilaniato deve aver rovinato tutta la poesia, suppongo».

Dario, malgrado tutto, soffocò una risata. Il governatore sbatté le palpebre, impassibile. «Lo trova divertente, capitano? Pensa che tutto questo sia uno scherzo?»

«Uh, cosa? N-No, no! Stavo...»

«Torni serio, per piacere, e si sbrighi ad arrivare a capo di questa mattanza. La sua incompetenza inizia a ripercuotersi su di me. Il re mi sta addosso giorno e notte, si è stancato di vedere la città più importante di questo Stato esser presa di mira da un pazzoide fuori controllo.» Reger era uno di quelli che non alzavano mai la voce e non c'era da stupirsene: quando si era come lui, con quegli occhi gelidi e penetranti, quella voce dura e inflessibile, non vi era bisogno di urlare per farsi ascoltare.

L'altro fece un passo indietro, sentendosi vagamente aggredito nonostante fosse il capitano della polizia, un Omega abituato ai gesti intimidatori dei tanti colleghi che prima della sua promozione per anni avevano continuato a schernirlo, a fare di tutto per farlo rinunciare alla carriera o ricordargli che era un Omega e che per quelli come lui l'unico posto adatto fosse il focolare casalingo e la stanza dei bambini da rassettare.

Se poi si aggiungeva che non era nato a Eutopia, ma fuori da essa, ecco che arrivava la ciliegina sulla torta.

Da bambino aveva sopportato da parte dei ragazzini della sua stessa età o più grandi e di genere Alfa molte angherie, di essere chiamato con disprezzo un ‟tenero volpacchiotto", dato che era quella la sua forma animale, ma con Reger non poteva fare quel che a un certo punto aveva fatto con quei bulli: alzare la testa e reagire.

Si sarebbe giocato la carriera, sarebbe dovuto tornare con la coda fra le gambe a casa e arrendersi al dover star dietro solo a sua figlia, al preparare pranzo e cena, alle faccende domestiche, tutte cose che aveva sempre odiato fare, se si toglieva il prendersi cura di Rose.

Importava poco a Reger che si fosse dimostrato fra le migliori reclute ai tempi dell'accademia. Era uno di quelli conservatori e che ritenevano gli Omega dei buoni a nulla perfetti solo per fare da incubatrici ai futuri cittadini Alphaga, nient'altro.

Dario, però, non era mai stato tale e mai si sarebbe arreso di fronte alla discriminazione del proprio genere. 

«Farò tutto il possibile, signore» rispose, recuperando un po' di coraggio e di amor proprio. «Prenderò il criminale, mi creda. Lo farò, dovesse anche costarmi la vita.»

Il governatore Reger sorrise appena e in modo un po' meccanico. «Lo spero, Jones. Lo spero per il bene del distintivo che ha tanto sudato per guadagnarsi e che ora sfoggia con orgoglio sulla divisa. Se l'assassino non verrà acciuffato, se la situazione dovesse degenerare e il re accorgersi di aver dato fiducia a un arrogante, incompetente Omega, sarò io stesso a ordinarle davanti ai suoi uomini di consegnarmi quello stesso distintivo. Poi vedremo, allora, se imparerà ad abbassare gli occhi e a tenerli incollati a terra, quando si trova alla presenza di qualcuno di gran lunga superiore a lei.» L'Alfa non aggiunse altro e si allontanò, lasciando il capo della polizia in compagnia della scientifica e dei brandelli di un Omega che era stato molto meno fortunato di lui.

Le labbra gli tremavano mentre cercava di tenere sotto controllo la propria indole emotiva che gli urlava di andare da quello spaccone saccente e mandarlo a quel paese. Si guardò attorno e si pettinò i capelli scuri dietro un orecchio. Fu allora che vide qualcosa nell'erba, sepolta in parte sotto un brandello di quelli che un tempo erano stati dei jeans. Si sfilò da una tasca i guanti di lattice viola che poco fa uno della scientifica gli aveva consegnato e se li mise, poi si chinò e raccolse fra due dita la catenella spezzata alla quale, però, miracolosamente era ancora appeso un piccolo disco di metallo con una incisione sopra.

I suoi occhi da Alphaga in poco tempo si adattarono alla mancanza di luce  e lo aiutarono a leggere l'incisione: ‟Proprietà del Black Dahlia". Il resto era purtroppo rovinato, compreso il simbolo stilizzato sul retro della targhetta. Qualunque cosa avesse aggredito quel poveretto o quella poveretta, non aveva risparmiato neppure un semplice ciondolo, ma se non altro, dopo settimane, finalmente il capitano Jones poteva dire di avere una pista, per quanto labile.

Mise in una piccola busta trasparente quanto aveva trovato, la sigillò e si allontanò dalla scena del crimine, deciso a seguire la traccia che aveva scovato.

Nella sala era presente una lavagna il cui contenuto era stato in parte cancellato; vi erano poi tavoli che potevano ospitare una coppia a testa di agenti e due spaziose finestre che lasciavano entrare generosamente la grigia e spenta luce del mattino.

Andrew si sbrigò a bere l'aspirina che aveva deciso di portarsi dietro, poi si alzò e andò al cestino per buttare il bicchiere di carta.

Erano tutti in fermento, il cicaleccio per lui era insopportabile visto che stava ancora smaltendo un po' della sbornia che alla fine si era preso pur di togliersi dalla testa quel ragazzo soprannominato la Dalia Nera.

Non essendo abituato agli alcolici, Alfa o meno, purtroppo poi aveva dovuto fare i conti con le conseguenze della propria pessima scelta.

Eccolo lì, infine, sveglio per miracolo e mezzo intontito, circondato da colleghi che si domandavano il perché il capitano Jones avesse ordinato a molti di loro, lui compreso, di presentarsi a un briefing dell'ultimo minuto alquanto eccezionale e importante. Malgrado ce ne fosse sempre una a Eutopia e il loro fosse un dipartimento perennemente impegnato, tutti erano consapevoli che si trattava di qualcosa di cui non erano al corrente.

Si riscosse dallo stato meditabondo in cui era piombato quando una voce dal tono secco e autoritario gli ordinò: «Thorne, alza i tacchi e torna al tuo posto. Avanti, scattare!»

Sobbalzò e a momenti bestemmiò nel ritrovarsi a un tiro di schioppo dal capitano Jones che sembrava di umore ancora peggiore del solito. Alla vista di quegli occhi scuri che lo squadravano con gelido rimprovero deglutì, non osò fargli ripetere l'ordine e come una scheggia andò a sedersi accanto a James, il quale sghignazzò. «Perché mi scordo sempre di filmarti? Avresti dovuto vedere che faccia hai fatto quando ti sei accorto che il Grande Capo era dietro di te!»

Jones, che l'aveva sentito eccome e già da solo pareva aver preso autenticamente in odio Andrew, fulminò con un'occhiataccia lo sceriffo. «Tappati quella fogna che chiami bocca, Peterson.» Chiuse la porta con un tonfo, si diresse alla scrivania e vi si appoggiò, le braccia incrociate. «Suppongo vi stiate chiedendo tutti perché vi abbia fatto venire qui con il permesso esclusivo di battere la fiacca per almeno un'ora. Beh, sappiate che non mi sono rimbecillito. Abbiamo un caso molto grosso e importante fra le mani, un caso che si sta espandendo come un'epidemia mortale per tutta Eutopia e forse anche oltre. Se siete qui, è perché ho scelto gli agenti che mi sembravano più adatti al sostenere le indagini e il loro peso. Vi assicuro che è roba solo per gli stomaci forti e per chi non si lascia impressionare al primo colpo, perciò vi dico sin da subito che se non ve la sentite di continuare, la porta è quella. Chi non si sente abbastanza forte e coraggioso, meglio che si ritiri immediatamente. Non ho tempo per i mollaccioni e i deboli di cuore. Senza offesa, ma ho occupazioni più urgenti del dover fare da balia a voialtri.»

Nessuno si mosse. 

«Bene.» Jones prese dalla scrivania le cartelle che si era portato dietro e le consegnò a tutti e venti gli agenti. Tornato al proprio posto, ordinò loro di esaminare i fascicoli e di aprire bene le orecchie. «Quello che vedete è tutto ciò che abbiamo scoperto fino ad ora sulle sparizioni e le morti violente di cui siamo venuti a conoscenza io e pochi altri membri del dipartimento. Il governatore e il re sono al corrente di quanto sta accadendo e mi stanno col fiato sul collo. All'inizio credevamo che la faccenda si sarebbe risolta in tempi brevi, ma così non è stato e quindi sono costretto a chiedere a voi di darci una mano. La verità nuda e cruda è che forse abbiamo a che fare con un casino bello grosso. Intesi?»

Andrew abbassò gli occhi e trattenne il fiato quando, insieme a diversi rapporti battuti a macchina, trovò delle fotografie scattate su vere e proprie scene del crimine. Non aveva mai visto così tanto sangue, così tanti interiora e cadaveri; l'ultimo caso di omicidio, poi, era orribile. Il corpo della vittima, ancora priva di nome e identità, tolto il fatto che a giudicare dal sentore del sangue registrato si trattava di un Omega, era roba da film dell'orrore.

Interruppe il capo della polizia sollevando una mano per parlare. «Mi scusi, signore: quando è avvenuto l'ultimo crimine, di preciso? Non è scritto nel rapporto» chiese.

L'interpellato lo guardò. «Sono venuto a saperlo verso le quattro di mattina, ma la scientifica ha decretato che la morte è avvenuta più di una settimana fa. Prima o ultima volta che un gruppo di sbandati perdigiorno torna utile alla polizia.» Alcuni risero, ma si chetarono immediatamente all'occhiataccia che il capitano lanciò a ognuno di loro.

«Sappiamo qualcos'altro?» incalzò Andrew.

«Sì, in effetti, ed è qui che entri in gioco tu, Thorne.» Dario richiuse il proprio fascicolo. «Ovviamente sotto la mia supervisione, sarai tu a dirigere le indagini. Sei un detective, adesso, ed è la tua occasione per dimostrarmi che non sono stato un idiota a darti quel distintivo. Ho un bel po' di affari arretrati da sistemare qui in centrale, perciò sarai tu a seguire la pista che ho individuato sulla scena dell'ultimo crimine. Si tratta di un indizio striminzito, ma è una delle poche prove che abbia scovato fino ad ora.» Estrasse dalla tasca dei pantaloni blu scuro la placchetta sigillata dentro la busta e la mostrò a tutti. «Questa ci dice che l'Omega deceduto era probabilmente un dipendente, chiamiamolo così, del club Black Dahlia. Voglio che tu, Thorne, vada lì e faccia il tuo dovere di detective. Voglio sapere il motivo per cui non risulta dai nostri archivi che una denuncia di sparizione sia mai stata fatta. Una persona che lavorava lì è scomparsa nel nulla da più di una settimana e nessuno ha detto niente, cosa che mi insospettisce non poco. Voglio risalire all'identità dell'Omega ucciso, certo, ma anche scoprire una buona volta perché più di una vittima era in qualche modo collegata a quel maledetto posto. Tutti quelli uccisi e scomparsi appartenevano a distretti diversi di Eutopia, ma in qualche maniera avevano in comune l'aver a che fare con il club in questione.»

Andrew deglutì a vuoto, non molto contento di dover tornare lì. «Capitano... esattamente... a cosa stiamo andando incontro?» Era la prima volta che vedeva Jones così preoccupato e teso, e questo non era un bene. Non riusciva a mascherare fino in fondo con il solito comportamento spinoso l'inquietudine che aveva negli occhi.

Jones scelse con cura la risposta da dare, ma alla fine riuscì solamente a dire: «A un mostro, Thorne. Abbiamo a che fare con un mostro che sta facendo a pezzi Alphaga innocenti di ogni genere ed estrazione sociale. Sappiamo solo questo: prima di sparire ed essere a volte stati ritrovati morti, sembravano aver assunto degli atteggiamenti strani e inusuali, alcuni testimoni hanno osato definirli inquietanti. La mia opinione del tutto personale è che qualcuno abbia sguinzagliato qualcosa di molto pericoloso, aizzandolo contro chiunque possa ritrovarsi nel mirino di questo misterioso boia». Fece una pausa. «Ve lo dico in via del tutto confidenziale: se non acciufferemo questa canaglia e non porremo fine alla faccenda, potrebbero esserci delle brutte conseguenze per tutti quanti noi. Non mi riferisco al perdere il posto, ma al rispetto della città che serviamo e da sempre cerchiamo di proteggere e rendere più sicura. Potremmo essere i prossimi a morire o a perdere una persona a noi cara. Non è detto che gli omicidi e le sparizioni siano circoscritti soltanto alla zona del club. Potrebbe trattarsi di qualcosa di più grosso e grave, potrebbe esserci chiunque al posto di quei poveracci che avete visto nelle fotografie. Siamo tutti in pericolo e non c'è una zona di Eutopia che possa definirsi fino in fondo sicura.» Un'altra pausa. «Ve lo ripeto e poco mi interessa di suonare ridondante: chi non se la sente di seguire questa indagine, è pregato di lasciare la stanza e di dimenticare quanto ha udito qui dentro. Non siete forzati a rischiare la vita e la sicurezza dei vostri cari, non se non ne siete sicuri e non siete disposti a tutto per fermare la scia di sangue che abbiamo di fronte. Non subirete alcuna ripercussione, se deciderete di ritirarvi.»

Con gran dispiacere e sdegno di Andrew, furono undici gli agenti che, dopo essersi guardati a vicenda, decisero di alzarsi e di andare via senza osare più rivolgere mezzo sguardo a Jones.

Un altro, poi, si mise in piedi. «Io... Io ho quattro figli, capitano» biascicò. «Mia moglie non sta bene, ultimamente, e...»

«Va bene, ho capito. Va' pure anche tu» lo interruppe Dario senza troppe cerimonie, sventolando una mano per scacciare la questione. «Mi dispiace per tua moglie, Finch. Le auguro di star meglio.»

L'agente fece un cenno. «La ringrazio, signore.» Se ne andò e Thorne si rese conto che erano rimasti in otto. Era assurdo e vergognoso. Anche lui aveva una famiglia, dei parenti, degli amici, compresi quelli presenti nella stanza, ma lo stesso aveva scelto di restare perché sapeva che qualcuno doveva pur agire in un modo o nell'altro. Non si poteva sempre restare a guardare in attesa che arrivasse l'eroe di turno a salvare la giornata!

«Lasciali perdere, Thorne» lo apostrofò il capitano, notando la sua espressione infastidita. «Meglio così. Almeno so su chi posso realmente contare. La scrematura è andata come mi aspettavo. L'ho già detto, mi pare: non me ne faccio niente delle mezze tacche.»

Andrew annuì. «Io farò del mio meglio, signore. Non ho paura di niente.»

Jones gli piantò addosso gli occhi scuri. «Allora sei uno sciocco, un arrogante o entrambe le cose» sentenziò severamente. «Chi non ha paura, prima o poi si ritrova a sbatterci contro il muso. Chi non conosce la paura, non conosce neppure i propri limiti né il modo migliore per superarli e migliorare se stesso. La paura a volte salva la vita, Thorne, e a volte ci impedisce di fare delle immani cazzate. Vedi di ricordartelo.»

Persino James, il quale ormai non si stupiva dei modi diretti e spesso crudi del proprio capo, spalancò la bocca di fronte a quel rimprovero pronunciato con quasi una sottile dose di acredine. 

Videro Jones slacciare i primi bottoni della divisa e mostrare una cicatrice sul torace, proprio vicino al cuore. A vedersi era orribile e la ferita che un tempo era stata inferta doveva aver fatto un bel po' male. «La vedete questa? Me lo sono fatta proprio perché non avevo paura di niente, esattamente come te, Thorne. Non conoscevo la paura e la mia stupidità mi ha fatto fare il passo più lungo della gamba. Certo, sono diventato uno sceriffo dopo essermela procurata, ma sono quasi morto e mi hanno ripreso per il rotto della cuffia. Da allora ho imparato ad avere paura di tutto e di tutti e a riporre in essa la massima fiducia. È così che riesco a fare quello che faccio: sapendo di avere una fottuta paura del mondo in cui vivo e che la vita non è un gioco. Non è un cazzo di musical dove tutti cantano come degli idioti e alla fine ogni cosa va per il verso giusto e la gente ottiene quel che desidera; la vita non è una pellicola e non si riavvolge solo perché stiamo lì a piangere lacrime di sangue e a pregare gli dèi per avere una seconda occasione. Si vive e si muore, oppure si vive o si muore. La cogliete la differenza?»

Tutti e otto annuirono. Andrew cercò di non mostrarsi risentito dopo essere stato ripreso come un ragazzino scemo.

Aveva compreso il discorso del suo superiore, ma lo stesso non vedeva l'assenza di paura come un tratto negativo della personalità. Cosa c'era di male nel mettersi sempre in prima linea e voler agire secondo ciò che la mente suggeriva subito?

«L'istinto, però, è più potente della paura. Io mi fido del mio istinto, capitano.»

«Il tuo istinto» lo rimbeccò Jones, «puoi allegramente ficcartelo su per il culo. Sei un detective solo di nome, solo perché ora sulla divisa hai uno scintillante distintivo nuovo di zecca, ma sei ancora ben lontano dall'essere un detective. Ti ho nominato tale perché ho intravisto un barlume di spigliatezza e di intuito, del potenziale, ma di questo passo durerai meno di un mese proprio per colpa del tuo adorato istinto. Quello, senza un po' di disciplina, di umiltà e duro lavoro, non è altro che boria e saccenteria.»

Inaspettatamente fu l'agente Herden a prender parola: «A me sembra che l'istinto di Andrew non lo abbia mai messo nei casini né gli abbia mai fatto fare la figura dell'idiota».

Il capitano Jones fece scorrere lo sguardo su di lui, poi sorrise in modo fin troppo indulgente. «Non mi stupisce che dopo quasi dieci anni di permanenza in questo dipartimento, agente Herden, tu ancora non sia stato promosso come i tuoi due compari.»

James e Andrew abbassarono lo sguardo, visibilmente in difficoltà e imbarazzati. Brian, invece, ammutolì, sentendosi umiliato davanti al resto dei compagni.

Dario, vedendo che si erano decisi tutti a smetterla di pensare alle stupidaggini, passò al dare disposizioni e assegnò a ognuno di loro gli otto dei venti distretti di Eutopia che risultavano più compromessi nelle indagini ed erano stati toccati, in un certo senso, dal misterioso serial killer.

«Ripercorrete sentieri che io e la mia squadra abbiamo già percorso. iInterrogate di nuovo, cercate nuovi indizi, spolpate fino all'osso come e dove potete. C'è un motivo se noi, a differenza della specie umana, abbiamo prevalso e conquistato il posto d'onore nel mondo: siamo belve fiere e instancabili e niente deve o può frenarci. Prendiamo questo bastardo e facciamogli vedere come trattiamo i mostri.» Guardò Andrew. «Thorne, recati al Black Dahlia e appena avrai scoperto qualcosa in più, vieni nel mio ufficio per fare rapporto. Mi aspetto sviluppi entro le prossime quarantotto ore. Vale lo stesso per gli altri. Fra due giorni ci riuniremo qui e confronteremo eventuali nuovi indizi e piste.»

Gli otto capirono che era tutto, almeno per quel giorno, dunque si alzarono e abbandonarono la sala. Quando anche Andrew fu sul punto di andare via, però, Jones lo richiamò. Tornò indietro. «Sì, signore?»

Il capitano lo squadrò. «Non deludermi e non farmi pentire della fiducia che io e tanti altri abbiamo riposto in te. Questo è il tuo battesimo del fuoco, Thorne, e puoi fare solo due cose: superarlo con successo o lasciare a qualcun altro il tuo ruolo. Spero di essere stato sufficientemente chiaro. Niente cazzate, detective, o te ne torni a pattugliare le strade come un comune agente di polizia. L'istinto lascialo ai fuoriclasse.»

Andrew raggelò a quelle parole, per un attimo fu lì lì per dire a Jones che lo riteneva un emerito stronzo che se la tirava e si riteneva migliore degli altri, di lui, ma alla fine annuì. «È stato più che chiaro, signore. Le dimostrerò che mi sono meritato la promozione.» Non aggiunse altro e lasciò la sala, senza poter evitare di sbattersi dietro la porta.

Quel Jones si riteneva chissà chi solo perché era stato nominato capitano e pensava di essere il più furbo e il più intelligente nel dipartimento, ma lui era pronto a buttarlo giù dal suo amato piedistallo  in qualsiasi momento, a occhi bendati e con una mano legata dietro la schiena. In fin dei conti era un Omega e tutti gli Omega erano facili da rimettere al loro posto. Jones non l'avrebbe scampata solo perché aveva un distintivo diverso dal suo e con inciso il nome di "capitano". Avrebbe dato chissà cosa pur di vederlo venir strapazzato ben bene da qualcuno più in alto di lui e con il quale non si permetteva certi atteggiamenti degni di un pugno in faccia.

Te lo do io il battesimo del fuoco, signorina.

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