Tobirama 1/2
Hashirama era stato gentilissimo ed esaudiente, l'aveva accolta cordialmente e fatta accomodare a un tavolo al centro del locale, le aveva offerto un caffè e, dopo averle fatto qualche domanda di circostanza, le aveva raccontato un po' la storia e l'etica dell'attività di famiglia, aneddoti che (T/N) già conosceva, documentatasi prima di presentarsi al colloquio.
I Senju lavoravano nell'ambito della ristorazione da generazioni, il loro ristorante, nato come una piccola trattoria nella quale si potevano gustare piatti tipici del posto, nel corso degli anni si era sempre più evoluto e, generazione dopo generazione, seppur mantenendo le tradizioni di famiglia, si era classificato tra i primi locali gourmet più rinomati di Konoha.
Il locale era arredato in maniera piuttosto tradizionale, erano evidenti i riferimenti al folclore del posto e delle usanze di famiglia, ma non mancava l'impronta moderna nella cura e dettaglio della disposizione degli arredi.
Il ristorante Senju, situato nel cuore di Konoha, era facilmente raggiungibile sia con i mezzi che a piedi, il quartiere in cui era situato, nel mezzo della grande città, era il più prosperoso e per la maggior parte di residenza delle famiglie più benestanti.
La clientela abbiente non mancava mai, il locale era sempre pieno e così rinomato che per assicurarsi di avere un tavolo bisognava prenotare almeno due settimane prima.
Seppur il ristorante fosse stellato e per lo più frequentato da persone benestanti, l'ambiente era abbastanza informale e i prezzi non erano folli: d'altronde il locale nasceva come trattoria, un rifugio accogliente e familiare, alla portata di tutti e i proprietari ci tenevano particolarmente a rispettare le origini e i valori dell'attività che, una volta, era stata una semplice locanda; il Senju era un connubio perfetto tra la tradizione e il moderno, tra la famigliarità e la ricercatezza.
L'arredamento classico, ma fine e non pacchiano, l'accoglienza affabile di Hashirama e il suo staff, le pietanze tradizionali, rivisitate in chiave moderna, secondo le nuove tecniche culinarie, dallo Chef Tobirama e la sua brigata, avevano assicurato alla famiglia Senju una stella e la nomina, per tre anni di fila, come miglior ristorante di Konoha secondo la guida "LA FOGLIA".
Il ristorante di per sé non aveva pecche, non c'erano problemi economici ne di gestione, l'unico grande problema che la famiglia Senju, così come altri ristoratori, stava affrontando dal periodo della pandemia, ossia ormai da ben quattro anni, era la ricerca di personale valido.
Da dopo il Covid sembrava impossibile trovare persone del mestiere, ciò che era rimasto di disponibile era la marmaglia, gli improvvisati cuochi e camerieri, gli incapaci di sostenere i ritmi e i sacrifici del mondo della ristorazione, quelli che si spacciavano per qualcuno che non erano, senza capacità, vendendosi per stipendi che non meritavano; era diventato impossibile trovare qualcuno capace di fare il proprio lavoro e, ancora più difficile, era trovare personale disposto a rimanere a tempo indeterminato.
Seppur l'attività fosse gestita dalla stessa famiglia da sempre e all'interno delle brigate di sala e cucina ci fossero delle figure professionalmente valide e presenti, fisse, da anni, persone divenute ormai parte della famiglia Senju, c'erano alcuni elementi che, nel corso del tempo, si erano andati a perdere e non si era mai stati in grado di sostituire definitivamente.
(T/N) si era guardata intorno, ammirando con attenzione i cimeli di famiglia esposti nel locale: sulle pareti rosso scarlatto, erano appesi quadri d'epoca, custoditi in cornici di legno scuro, nei quali erano rappresentati vari vicoli o monumenti storici di Konoha.
Sia la struttura portante, le travi, il soffitto, che l'arredamento, erano di legno di cipresso; era un locale vissuto, ma intonso dal tempo, la famiglia se ne era sempre presa cura e, seppur ne avesse sfruttato appieno il suo valore, non l'aveva consumato.
Di primo impatto, appena varcata la soglia del ristorante, sembrava di essere tornati indietro nel tempo, ma in un periodo indefinito della storia dei Senju, indeterminabile ed eterno.
Una volta accomodatasi, con il menù tra le mani, l'impeccabile e moderna mise en place del tavolo e servizio attento e di alto livello, si ritornava all'epoca corrente, un'era in cui l'attenzione ai minimi dettagli, la meticolosità di raggiungere la perfezione, regnava al di sopra di tutto, persino dei costumi tradizionali.
E, poi, di nuovo, una volta assaporato il piatto, seppur d'impatto progressista, si veniva di nuovo trascinati indietro nel tempo, all'attenta e mirata ricerca dei sapori vetusti, originari, indistinguibili e inviolati dall'epoca moderna.
Gli occhi (C/O) di (T/N), dopo aver ammirato incuriosita, seguendo la esaudiente introduzione di Hashirama su quella che era la filosofia e la storia del ristorante e della famiglia Senju, erano tornati a puntare, statici, il proprietario che, ormai, aveva terminato il suo discorso introduttivo.
Il primo genito Senju era un uomo di bella presenza, molto garbato, disponibile, era una persona molto estroversa e di buona parlantina: stare in mezzo alle persone e guidarle in un'esperienza culinaria e storica, intrattenere l'ospite e seguirlo con cura, senza mai risultare apprensivo e invadente, noioso, non è da tutti.
L'uomo, sulla quarantina, aveva dei lunghi e lisci capelli castano scuro che teneva legati in una coda bassa, la quale gli arrivava a metà schiena.
La riga, che gli divideva la folta chioma scura, nella quale non si scorgeva alcun capello bianco, era perfettamente perpendicolare al suo viso e la sua acconciatura, seppur di semplice realizzazione, era impeccabile.
Era una rarità vedere un uomo con dei capelli così lunghi e ben curati, ma da Hashirama Senju, co-proprietario di un ristorante di alto livello, nonché Maître di sala, non ci si poteva aspettare di certo sciatteria e pessima presenza.
Era, oggettivamente, un bell'uomo, alto e ben piazzato, con un viso amichevole e il portamento elegante; era vestito ancora in borghese: indossava una maglietta a mezze maniche di un rosso accesso, che gli metteva in risalto la carnagione olivastra; la divisa da lavoro, che avrebbe indossata più tardi, poco prima dell'apertura del ristorante, per il turno del pranzo, gli avrebbe donato ancor più classe.
Seppur Hashirama fosse una persona estremamente pacata e paziente, dai suoi modi di fare, in quel momento, traspariva una certa frustrazione e impazienza.
Aveva emesso un sospiro sconsolato e le aveva rivolto un sorriso di circostanza, le sue labbra sottili si erano tese appena verso l'alto, mentre il suo sguardo inquieto si era rivolto verso il piccolo corridoio, alle spalle della ragazza, in fondo al quale era disposta la porta scorrevole di vetro satinato, che divideva la sala dalla cucina.
Era da dieci minuti che stava intrattenendo (T/N) ed era da più di venti minuti che aveva avvisato suo fratello minore dell'arrivo della ragazza con cui avevano fissato il colloquio di lavoro qualche giorno prima.
Erano a corto di personale da cucina da mesi, alla brigata mancavano almeno due persone per essere ottimale.
Gli ultimi quattro anni erano stati difficili per la famiglia Senju, erano insorti parecchi problemi familiari che, immancabilmente, erano stati anche lavorativi.
Il Covid aveva fatto strage nella loro famiglia: la pandemia si era portato via il Capofamiglia, Butsuma, precedente proprietario e Chef del locale, che, poco prima dell'inizio dell'epidemia, aveva deciso di andare in pensione e lasciare gestire il locale, in totale autonomia, ai figli.
Dopo una vita di lavoro in totale salute, proprio quando il Capofamiglia aveva deciso di lasciar spazio alla nuova generazione, alla creatività di Tobirama e all'accortezza di Hashirama, Butsuma Senju era venuto a mancare, senza potersi godere nemmeno un giorno di pensione, per colpa del Covid.
Nel lontano Dicembre duemila e diciannove, poco prima delle feste, l'uomo aveva annunciato alla famiglia che, dopo la chiusura del locale post-festività, avrebbe ceduto l'attività ai figli e si sarebbe goduto la sua meritata pensione, dopo quasi cinquant'anni di lavoro.
Butsuma era orgoglioso dei suoi figli, di come li aveva cresciuti, li ammirava molto ed era più che sicuro che insieme, quei due, avrebbero fatto grandi cose e ottenuto ottimi risultati, elevando, ancor di più, la reputazione del rinomato ristorante; era arrivato il momento, per lui, supportare Hashirama e Tobirama da casa.
Purtroppo, il Senju, si era ammalato gravemente di Covid all'inizio dell'anno nuovo, quando ancora le notizie sul nuovo virus non erano state ben chiare, quando il panico e la confusione avevano aleggiato sovrane in ogni paese.
Ancor prima di sapere di che cosa l'uomo si fosse ammalato così gravemente, così, da un giorno all'altro, il Capofamiglia era venuto a mancare all'improvviso.
Il lutto inaspettato non era stato facile da processare per Hashirama e Tobirama, specialmente senza poter lavorare, con il dubbio di come e se, mai, avrebbero potuto, effettivamente, prendere in mano l'attività di famiglia; isolati, distanti, per mesi e mesi, durante la quarantena, i due fratelli si erano ritrovati, per la prima volta nella loro vita, in difficoltà e senza una figura di riferimento.
Superato il Covid, la crisi lavorativa che ne aveva seguito e, in qualche modo, processato il lutto, i Senju avevano dovuto affrontare il problema del personale: una volta che il settore ristorativo si era ripreso dalla crisi economica e il lavoro era aumentato, i due fratelli si erano resi conto che per mantenere alti gli standard del loro locale e assicurare un buon servizio, avrebbero avuto bisogno di collaboratori qualificati.
Abituati a gestire l'attività tra famigliari, con pochi e fidati dipendenti, congiunti acquisiti della famiglia, i Senju si erano trovati davvero in difficoltà a integrare elementi nuovi, sconosciuti, nel loro business.
La sala, gestita da Hashirama, era stata molto più facile da formare e organizzare: il fratello maggiore aveva trovato un paio di ragazzi giovani, ma volenterosi, che con piacere aveva seguito e si erano dimostrati lavoratori esemplari.
Con il passaparola e qualche conoscenza, anche in cucina si era trovato qualcuno per tappare i buchi vacanti, purtroppo, però, i ruoli mancanti non vennero mai stabilmente occupati.
Il personale che si era proposto finora non era mai stato abbastanza per gli standard dello Chef, molto più severo e rigoroso di suo fratello maggiore: Tobirama era l'opposto di Hashirama, non era, di fatti, raro che il secondogenito criticasse il maggiore per la mancanza di polso e razionalità.
Se per lavorare con il primogenito bastava mostrare voglia di imparare e avere una buona indole, con il fratello minore bisognava avere carattere ed essere -davvero- cuochi eccezionali.
Per via della carattere freddo e scrupoloso di Tobirama, molti candidati, seppur validi, non erano rimasti per più di un paio di mesi a lavorare dai due fratelli.
Ma le sventure nella brigata di cucina non erano finite, dopo essersi ritrovato a corto di un Commis e di uno Chef de Partie Entremetier, era arrivato il turno della Patisserie.
La Pasticcera, che aveva lavorato con loro per dieci anni, pilastro fondamentale del ristorante, aveva deciso di mettere fine alla sua carriera lavorativa e di dedicarsi, invece, al mettere su famiglia.
Kurenai, a malincuore, aveva deciso di smettere di lavorare nella ristorazione, sapendo che sarebbe stato impossibile mantenere un lavoro così impegnativo e dedicarsi alla famiglia.
Aveva avvisato immediatamente i titolari del locale non appena lei e suo marito, Asuma, avevano deciso che, dopo cinque anni di matrimonio, era arrivato il momento di avere un bambino; i Senju avevano accolto la notizia con entusiasmo, d'altronde Kurenai era come una sorella per loro, pur sapendo che l'arrivo di un nipotino acquisito avrebbe significato perdere un membro fidato del team.
La Pasticcera aveva lavorato fino al quinto mese di gestazione, dando tempo ai fratelli Senju di trovare qualcuno che si sarebbe occupato dei Dessert al suo posto: purtroppo, però, era stato impossibile trovare qualcuno di adatto, da formare, in grado di sostituirla; Tobirama, lo Chef, aveva dovuto, così, dedicarsi, tra le altre cose, alla Patisserie.
Ma questo non è tutto: a seguito di un attacco di cuore, causato dal troppo stress, il Sous Chef, membro acquisito dalla famiglia da più di trent'anni, Kakuzu, aveva dovuto prendersi due mesi di mutua per recuperare fisicamente e mentalmente, lasciando Tobirama nella -merda- totale.
Fortunatamente era stata una questioni di pochi mesi, ma, quei sessanta giorni, per lo Chef e quella che allora era stata la sua mera brigata, era stata davvero dura tirare avanti senza creare altri problemi e danni permanenti.
Hashirama non sapeva più cosa dire a (T/N), aveva spiegato ciò che poteva del ristorante, ma la cucina non era il suo ambiente, spettava a Tobirama farle il colloquio e decidere i dettagli di assunzione con la ragazza, qui, ad aspettarlo da quasi mezz'ora, per il ruolo da Capo Partita ai primi.
Tobirama non stava facendo una bella figura con il suo non essere puntuale, in più stava mettendo in imbarazzo e difficoltà suo fratello, che non sapeva più come scusarsi del contrattempo.
Se la montagna non va da Maometto, Maometto va alla montagna; Il Senju aveva deciso che, visto che suo fratello non accennava a degnarli della sua presenza, probabilmente dimenticatosi del suo appuntamento, avrebbe scortato la ragazza in cucina, così che il minore fosse obbligato, una volta presentatagliela, a discutere i dettagli del colloquio con lei.
L'uomo non era entusiasta all'idea, anzi, aveva un brutto presentimento al riguardo: sapeva che quella cucina era un campo di battaglia e le possibilità che ci fosse una discussione in corso erano alte.
Purtroppo non sapeva come altro fare per far si che suo fratello degnasse l'ospite della sua presenza: lo era già andato a chiamare personalmente in cucina, poi lo aveva chiamato anche al telefono, non gli rimaneva che questa mesta opzione.
A volte Tobirama sembrava volersi tirare la zappa sui piedi con i suoi comportamenti sfrontati, con la consapevolezza che, con tali modi di fare, non solo si creava problemi, ma metteva i bastoni tra le ruote anche a chi gli stava intorno; il secondo genito Senju stava cercando disperatamente personale di cucina da mesi, ma non si stava poi sbattendo così tanto per trovarlo e tenerselo: sembrava che l'uomo si fosse rassegnato da tempo e avesse perso speranze e pazienza, ormai convintosi che avrebbe dovuto contare solo sulla forza lavoro che aveva già a disposizione.
''Andiamo... ti faccio vedere la cucina.'' Aveva detto, dopo essersi schiarito la voce, spezzando il silenzio creatosi minuti fa, Hashirama, alzandosi in piedi e facendo cenno alla ragazza di seguirlo.
(T/N) aveva annuito e, di seguito, si era alzata a sua volta, sistemando la sedia sotto al tavolo al quale si era seduta e recuperato, poi, il Curriculum che aveva abbandonato su di esso.
La coda di Hashirama ondeggiava elegantemente sulla sua schiena, seguendo l'andatura costante dell'uomo che, a pochi centimetri dalla porta che divideva la cucina dal corridoio della sala, aveva rallentato il passo, procedendo quatto quatto: prima di mettere piede in cucina voleva essere sicuro che ci fosse un buon clima all'interno, per evitare altre, eventuali, brutte figure.
La cucina pareva essere abbastanza insonorizzata: la porta che la divideva dalla sala era di un vetro piuttosto spesso, ma di certo non bastava per intrappolare totalmente i rumori all'interno della stanza.
Vicino all'entrata, era appena udibile la cappa di aspirazione in funzione, ma non si percepiva nessuno dialogare; Hashirama espirò sollevato e varcò, per primo, la porta che si aprì automaticamente scorrendo, ritirandosi nella fessura del muro, lasciando possibile il passaggio.
''Dove -stracazzo- è Hidan?!'' Aveva tuonato Tobirama, puntando la spatola di pasticceria, sporca di cioccolato fondente, verso l'orologio appeso al muro, il quale segnava le nove e mezza passate.
Dalla zona della Pasticceria, nella quale si era auto-isolato, da più di due ore, concentrato nella preparazione della mise en place dei Dessert, si era fatto strada, inquieto, marcando ogni suo singolo passo pesantemente, verso il centro della cucina, controllando che tutti i suoi sottoposti fossero a lavoro: ovviamente, come gli aveva suggerito il suo istinto, mancava qualcuno all'appello.
In pochi secondi Tobirama aveva esaminato ogni angolo della cucina, partendo dal Garde-manger, dove il Commis sarebbe dovuto essere, già da mezz'ora passata, a lavorare, a fianco del Sous Chef.
Non era una novità che Hidan non fosse puntuale, soprattutto nel weekend, era più unico che raro che si presentasse in orario; purtroppo il non essere puntuale era solo uno dei tanti problemi del ragazzo, che era una vera e propria mina vagante.
Diplomato a fatica, per via del suo scarso rendimento scolastico e la pessima condotta, nel corso della sua breve carriera lavorativa aveva cambiato fin troppi posti di lavoro per la sua giovane età.
Hidan non aveva affatto una buona reputazione e, probabilmente nemmeno la fedina penale pulita ; dai locali meno abbienti di Konoha, nei quali il teppista aveva lavorato brevemente, era girata la voce che, in un impeto di rabbia, il giovane aveva -quasi- accoltellato un suo collega.
I Senju non si erano fermati davanti ai gossip dei colleghi, tantomeno avevano giudicato il ragazzo negativamente prima di vederlo lavorare, ma, soprattutto, al tempo, quando lo avevano assunto, Tobirama era stato così disperato, a corto di staff, che lo aveva preso senza pensarci due volte, convinto che, nella sua cucina ben disciplinata, il giovane avrebbe abbassato la cresta.
Effettivamente, il ragazzo, lavorativamente parlando non era male, se si fosse tranquillizzato caratterialmente avrebbe potuto fare strada e diventare un bravo cuoco, invece di finire in galera ed essere un criminale.
Tobirama aveva affiancato il giovane a Kakuzu, sperando che l'uomo, conosciuto per la sua disciplina militare, sarebbe riuscito a temprarlo, con risultati però scarsi: i due, seppur lavorativamente fossero un bel team, non si sopportavano; Hidan era riuscito a far smattare più volte il Sous Chef che, esaurita tutta la sua infinitesimale pazienza, era arrivato -quasi- alla violenza fisica.
Kakuzu non si era nemmeno voltato in direzione dello Chef, ne tantomeno gli aveva risposto, aveva continuato a disossare, con destrezza, il suo carrè di vitello, ignorando bellamente Tobirama; stava così bene, lui, senza Hidan, poteva lavorare in tranquillità e, soprattutto in silenzio, senza essere disturbato dal continuo blaterare e inveire dell'irriverente sottoposto.
Lo Chef aveva puntato, ora, i suoi occhi irrequieti, ridotti a due fessure sottili, sullo stagista, alle prese nella tornitura delle patate.
''Che ne so io dove è, zio! Mica ci esco insieme!'' Aveva esclamato Naruto, il più giovane del gruppo, lanciando, scocciato, la patata, che aveva cercato di tornire il più perfettamente possibile per cinque minuti buoni, in un ciotola d'acciaio con dentro dell'acqua fredda.
La fronte di Tobirama, se possibile, si crucciò ancor più quanto già non fosse e il suo sguardo si fece ancor più tetro, carico di rabbia.
''Scusa! Intendevo Chef!'' Si era corretto velocemente il ragazzino dai capelli biondi, prima che suo zio sfogasse, davvero, tutta la sua rabbia repressa contro di lui.
Tobirama era, effettivamente, per Naruto, uno zio: sua madre, Kushina e la moglie di Hashirama, Mito, erano sorelle, il che rendeva i due Senju suoi zii acquisiti.
Naruto non si era ancora abituato a far parte di una brigata di cucina, con una gerarchia precisa e dei ruoli da rispettare, d'altronde era da poco più di due mesi che stava prestando il suo primo stage, aveva appena sedici anni e non era per nulla abituato a riconoscere i suoi familiari come superiori e datori di lavoro.
Lo Chef si era avvicinato al ragazzino, squadrandolo da testa a piedi, poi, aveva infilato la mano nell'acqua ghiacciata in cui Naruto aveva lanciato, brutalmente, la patata, tirando fuori un paio di Pommes Nature, giudicando scrupolosamente l'amatoriale lavoro del nipote alle prime armi.
''Tra mezz'ora devi aver finito, ne devi fare almeno altre venti... e fatte bene. Fai andare le mani.''
Gli aveva detto, l'uomo, senza sbilanciarsi troppo, sventolando la lunga spatola da pasticceria davanti al viso del giovane, dandogli un piccolo buffetto sul naso, imbrattandoglielo appena di cioccolato.
Tobirama non era di tante parole, tantomeno si sprecava a far complimenti: il fatto che non avesse detto nulla di negativo era paragonabile a un complimento silenzioso.
Naruto aveva tirato indietro, di scatto, la testa, ma non era stato abbastanza veloce per schivare la palettata e si era lasciato imbrattare il muso.
Si era imbronciato scherzosamente e aveva quasi osato ammonire lo zio, ma si fermò in tempo, si zittì ancor prima di proferire parola, evitando di tramutare lo scherzo in infortunio.
Doveva star zitto, godersi il complimento fantasma di suo zio e riprendere al più presto a lavorare, se non voleva prendersi una sgridata passati i trenta minuti che aveva a disposizione per finire di tornire.
''Porco D**! Hidan, dove sei?'' Questa volta Tobirama aveva inveito al telefono: dato che nessuno nella sua brigata sembrava sapere sotto quale ponte fosse finito l'Aiuto Cuoco e nemmeno se ne stessero più di tanto preoccupando, lo Chef aveva fatto l'unica cosa che gli era rimasta da fare: tempestare di chiamate il ragazzo ,sperando che, prima o poi, rispondesse al telefono.
Lo Chef de Partie Saucier, Kakashi, aveva provato già più volte a chiamarlo al cellulare, senza mai ottenere risposta: se non era riuscito a contattarlo lui, era utopico pensare che Hidan rispondesse alle chiamate di Tobirama.
Hashirama e (T/N) avevano varcato la soglia della cucina giusto in tempo per udire Tobirama imprecare più volte, sempre in maniera più colorita, al telefono.
Il fratello maggiore aveva sperato inutilmente di evitare una pessima figura davanti alla possibile futura dipendente, che ancor prima di iniziare a lavorare, aveva dovuto assistere alla teatrale arrabbiatura dello Chef.
Aveva abbandonato mollemente le braccia lungo i fianchi, rilassando, amareggiato, le spalle che, fino a pochi secondi fa, erano state in tensione.
(T/N) aveva assistito alla scenata, dietro Hashirama, che non aveva osato far, e farle fare, un passo in più dopo aver varcato appena la cucina e messo piede sulla prima mattonella grigiastra della stanza.
Non era sconvolta di ciò che stava succedendo, non era nulla di così tragico, aveva visto e subito in prima persona di peggio, certo non era capitata nel momento migliore per presentarsi, tantomeno, quello che doveva essere lo Chef non stava dando una buona impressione.
Di Tobirama, dei Senju, ne aveva solo sentito parlare e se ne era fatta, a grandi linee, una sua idea.
A Konoha ci era nata, cresciuta e aveva frequentato le scuole, conosceva bene il ristorante storico dei Senju, ci era anche stata più volte a mangiare, quando ancora era stat una semplice trattoria, da bambina.
Era stato emozionante varcare la soglia del ristorante Senju, totalmente diverso da come se lo ricordava; ora era un posto moderno e di classe, l'ambiente, il servizio e le pietanze si erano fatti raffinati, il locale si era evoluto negli anni, eppure la sensazione che aveva provato da adulta, rientrando nello storico locale, era stata la stessa di quando era stata ragazzina: si era sentita di appartenere a quell'ambiente, si sentiva legata in qualche modo a quel posto, seppur non lo avesse mai frequentato così tanto, se non nelle rare occasioni in cui ci era andata a mangiare da piccola.
Erano da anni che non tornava a Konoha, appena finita la scuola aveva sfruttato il suo lavoro per viaggiare ed era tornata raramente nella città di origine che le era sempre stata un po' stretta.
L'ultima volta che era tornata a casa, era stata costretta dalla pandemia, poi se ne era andata di nuovo non appena trovata l'occasione, ma, questa volta, era tornata per restare un po' più di un paio di settimane e, per farlo, aveva bisogno di un posto di lavoro che le piacesse davvero.
Le serviva avere un lavoro stabile vicino a casa e questo era l'unico posto che aveva attirato abbastanza la sua attenzione e le avrebbe potuto permettere di restare a lungo in città.
Tobirama si era accorto della presenza del fratello poco dopo aver lasciato il primo messaggio vocale minatorio, nel quale minacciava Hidan di licenziarlo -per davvero questa volta- se non si fosse presentato a lavoro a breve.
Hashirama pareva, stranamente, frustrato, affranto: osservava Tobirama con inquietudine, sempre più palesemente turbato dal comportamento che aveva acquisito il minore negli ultimi tempi, gli sembrava sempre più vicino a una crisi nervosa, ma non aveva idea di come affrontarlo e aiutarlo, ancora non aveva capito come avvicinarsi a quello sconosciuto che un tempo era stato suo fratello e aveva creduto di conoscere meglio di sé stesso.
Avevano dovuto superare anni difficili insieme, eppure, anche se avevano lavorato e vissuto a stretto contatto, ogni giorno, per quei quattro terribili anni, Tobirama gli era sembrato sempre più distante, estraneo.
Gli pareva così difficile, impossibile, avvicinarsi a quella che ormai era l'alter ego del suo fratellino, temeva l'affronto e la reazione dell'instabilità emotiva dell'uomo; sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare la situazione, era una questione di tempo prima che la bomba scoppiasse, stava lui decidere se tentare di detonarla per tempo, con la consapevolezza di fallire, ma averci provato o aspettare che esplodesse e fare conti con i danni e ciò che sarebbe rimasto dall'esplosione.
Hashirama voleva trovare il modo giusto per parlare con il fratello, ma prima doveva assicurarsi di avere, intorno a sé, alla sua famiglia, al ristorante, più stabilità possibile, ove evitare misure drastiche in seguito a scenari apocalittici.
''Hashirama? Cosa c'è?'' Gli aveva chiesto il minore, richiamandolo alla realtà, osservandolo scrupolosamente a distanza: pareva avesse visto un fantasma, aveva una brutta cera, non era il solito Hashirama sorridente e positivo, tutt'altro, trasmetteva un senso di inquietudine e angoscia.
Il maggiore, sentendosi puntare gli occhi di tutti i presenti addosso, si riprese velocemente, mascherando le sue paure abilmente.
''Chef, (T/N), la ragazza interessata alla posizione in Entremetier, è qui per il colloquio.'' Aveva esclamato, sforzandosi di sfoggiare il sorriso più falsamente vero che le sue labbra gli permettevano, inarcandosi malvolentieri, di fare.
Dopo essere stato sollecitato, personalmente, per la terza volta, dal fratello, finalmente, il minore si era deciso a presentargli attenzione.
Aveva inclinato leggermente la testa a sinistra, spostando la sua attenzione dal fratello a (T/N) che, in piedi, dietro ad Hashirama, stava studiando l'ambiente circostante, impassibile.
La cucina pareva essere abbastanza nuova, doveva essere stata rifatta di recente e, di primo impatto, sembrava ben strutturata, studiata nei minimi dettagli; l'ambiente open-space si sviluppava su un perimetro rettangolare ed era stato studiato in modo che tutti i reparti fossero disposti in ordine di uscita delle pietanze, partendo dagli Antipasti, sulla destra, fino ai Dessert, alla sinistra.
Davanti all'entrata della cucina, parallelamente, dove venivano impiattati primi e secondi, c'era il pass principale, equipaggiato dalle lampade di alluminio riscaldanti che pendevano dal soffitto tramite un cavo spiralato, che permette di regolarne facilmente l'altezza.
Dietro al pass era disposta la stufa perpendicolarmente, attrezzata da quattro fornelli a induzione da entrambi i lati, un rubinetto al centro, bollitore nella zona Entremetier e griglia in Saucier.
Entrambe le partire erano dotate di un tavolo da lavoro, con annesso lavandino e cassetti refrigerati e mini-frigo al di sotto del tavolo di acciaio.
Contro il muro, al lato opposto all'entrata della cucina, era disposto il forno, al suo lato destro, l'abbattitore e dopo di esso si poteva scorgere un corridoio che portava alle celle e al magazzino.
Il pass degli Antipasti caldi e freddi era subito dopo a quello delle pietanze principali, alle spalle della postazione dell'Entremetier.
Il Garde-manger era la zona più ampia e attrezzata: dietro al pass c'era il tavolo da lavoro principale, alle sue spalle se ne poteva scorgere un secondo, sul quale erano poste varie attrezzature da cucina come l'affettatrice, il tritacarne, il cutter e, alla sua destra, c'era un comodo e largo lavandino.
Contro la parete perpendicolare al tavolo principale, erano presenti due grossi frigoriferi, il terzo tavolo da lavoro refrigerato e, infine, un altro forno.
La Plonge, dove venivano lavati piatti e pentole, era alla destra dell'entrata, verso il Garde-Manger.
La Patisserie, invece, rimaneva a sinistra, dopo il Saucier ed era simmetrica alla zona degli antipasti; anche qui c'era molto spazio e tante attrezzature: i tavoli, i frigoriferi e il forno erano, in linea d'aria, perfettamente simmetrici a quelli del Garde-manger.
Essendo un ambiente open-space, per comunicare da un reparto all'altro non c'era bisogno di muoversi ed era facile, in questo modo, per tutti, sapere a che punto della preparazione e del servizio fossero i colleghi.
Gli occhi scarlatti di Tobirama, avevano vagato rapidamente sul foglio di carta che teneva stretto tra le dita, dove, in nero su bianco, erano riassunte le esperienze lavorative di (T/N).
Il Curriculum della candidata era ottimo, il migliore che gli era capitato tra le mani da quando aveva iniziato la sua utopica ricerca di personale qualificato.
La ragazza aveva lavorato in locali di alto livello, alcuni dei quali stellati, contribuendo nella loro crescita; aveva svolto la sua ultima esperienza lavorativa, durata due anni, come Chef de Partie Saucier, a Suna, nel ristorante ''Il Burattino'', locale di nuova generazione, post Covid, gestito da tre giovani fratelli che, appena dopo un anno di apertura, erano riusciti ad aggiudicarsi la stella.
(T/N) aveva un Curriculum impeccabile, vario e completo, aveva fatto esperienze di diverso tipo, era stata in ambiente totalmente opposti l'un l'altro, il suo profilo, sulla carta, era così perfetto, che, quasi, era sovra-qualificata per il locale dei Senju.
Tobirama aveva sempre e solo lavorato nel ristorante di famiglia, tutto ciò che sapeva gliel'aveva insegnato suo padre o lo aveva sperimentato da sè, da autodidatta, approfondendo i suoi studi nelle arti culinarie, provando, azzardando, elevando la cucina della ex locanda, come meglio aveva potuto fare, basandosi solo ed esclusivamente sulla sua conoscenza culinaria e di quella dei suoi sottoposti che, proprio come lui, non avevano mai fatto altre esperienze lavorative diverse dalla realtà nella quale da anni vivevano.
Portare la modernità in un ambiente totalmente tradizionalista non era stato affatto facile per lui: insegnare, imporsi sul personale, abituato a lavorare alla vecchia maniera, alle nuove tecniche e tecnologie in continua evoluzione, era stata davvero una grande impresa.
Seppur lo Chef fosse abbastanza soddisfatto dei passi avanti che aveva fatto nel corso degli anni, per innalzare il livello del locale, per rimanere al passo con i tempi, la sua aspirazione al migliorare ancora di più rimaneva eminente.
Purtroppo, però, sapeva i suoi limiti e quelli dei suoi dipendenti, sapeva che per fare il passo successivo, il grande passo, aveva bisogno di aggiungere alla sua brigato qualcuno che portasse novità, esperienze diverse da quelle del suo ristorante, aveva bisogno di una mente e una cultura culinaria opposta alla sua: (T/N) poteva davvero fare al caso suo se, davvero, dietro ai fornelli, si sarebbe dimostrata autentica, fedele, rispetto al suo Curriculum.
Erano tornati a sedersi in sala; Tobirama si era tolto grembiule e cappello velocemente e li aveva abbandonati, o meglio lanciati, insieme alla spatola di pasticceria sul tavolo dell'Entremetier, imbrattandolo di cioccolato e, a passo spedito, senza spiaccicare parola, tantomeno presentarsi, si era diretto verso la porta che divideva la sala e la cucina.
Hashirama aveva inspirato profondamente, cercando di trattenere il più possibile l'avversione che aveva, spesso, nei confronti dei modi di fare bruschi, talvolta maleducati, di suo fratello.
Aveva poi sorriso, il più gentilmente possibile, cercando di nascondere il fastidio, a (T/N), facendole cenno, con la mano, a seguire Tobirama.
Solo una volta giunti al tavolo, prima di sedersi, il minore aveva stretto la mano alla ragazza, degnandosi di presentarsi in maniera cordiale, prima di sottoporla all'interrogatorio.
Il cognome (T/C) gli era familiare, d'altronde (T/N) era di Konoha, ma a parte le scuole, di esperienze sul posto non ne aveva fatte.
''Conosci il mio Capo Partita, Kakashi Hatake?'' Le aveva domandato Tobirama, alzando lo sguardo dal foglio che aveva tra le mani, puntandole i suoi piccoli occhi scarlatti addosso, con fare indagatorio.
Tobirama, era il totale opposto di Hashirama, sia esteticamente, che caratterialmente, non si assomigliavano affatto, di primo impatto nessuno avrebbe detto che fossero fratelli: sin da ragazzini, le differenze caratteriali tra i due erano state contrastanti e, seppur gli scontri non mancassero mai, i due fratelli erano molto uniti e, in qualche modo, si completavano.
I lineamenti del secondogenito erano molto più marcati e austeri, l'uomo non aveva affatto una presenza amichevole e il suo carattere confermava il pregiudizio.
Il minore, che aveva appena varcato la soglia dei trentacinque anni, per colpa della sua espressione truce, il volto sempre teso, lo sguardo acre, dimostrava qualche anno in più del dovuto.
Seppur di presenza austera, Tobirama era, indubbiamente, un uomo di bell'aspetto, così come lo era, a modo suo, Hashirama: la bellezza era una delle virtù tramandate a ogni Senju.
''Sì, andavamo alle superiori insieme.'' Aveva annuito, succinta,(T/N), rispondendo prontamente alla domanda dello Chef, per nulla intimorita dalla sua indole suscettibile; non era di certo la prima volta che la ragazza aveva a che fare con superiori dall'apparenza burbera e diffidente, facciata che, la maggior parte delle volte, nascondeva, malamente, il loro essere insicuri e disorientati, categoria alla quale il probabile, futuro, capo sembrava appartenere o, almeno, questa era l'idea che si era fatta di Tobirama.
''È lui che mi ha riferito che stavate cercando personale.'' Aveva aggiunto, poi, spostando, per un breve istante, la sua attenzione dal suo interlocutore, scambiando uno sguardo di convenzione con Hashirama, seduto alla sinistra del fratello, immobile, taciturno, tornato allo stato di frustrazione e impazienza di poco prima.
Il primogenito Senju, inquieto, aveva abbassato lo sguardo, pavido, guardando, poi, di soppiatto, con la coda dell'occhio, il fratello, seduto al suo fianco, stoico, concentrato sulla lettura del Curriculum che aveva tra le mani, ponderando la prossima possibile domanda.
La chiamata da parte dell'Hatake era stata inaspettata, inaudita.
(T/N) aveva appena deciso di controllare, sulla schermata interattiva della machina, quanti chilometri le mancavano da percorrere per arrivare a casa, a Konoha, quando sullo schermo era apparso un numero di telefono sconosciuto, non registrato e la suoneria del telefono aveva sovrastato la voce del navigatore.
Non era solita rispondere a chiamate da parte di numeri sconosciuti, dato che spesso si trattava di pubblicità aggressiva, ma, siccome, aveva da poco sparso la voce che stava cercando lavoro, era obbligata, se voleva sistemarsi, a rispondere a ogni telefonata per valutarne la finalità e scongiurare di perdere una buona opportunità; di certo non avrebbe mai immaginato che, dopo neanche dodici ore dal suo ultimo turno di lavoro a Suna, avrebbe ricevuto la sua prima offerta di lavoro, specialmente, non si sarebbe mai aspettata di essere contattata da Kakashi Hatake.
''Pronto? Chi parla?'' Aveva accettato la chiamata immediatamente, senza lasciar squillare il telefono una seconda volta.
''Ciao (T/N), sono Kakashi Hatake.'' Aveva risposto, prontamente, il suo interlocutore, rivelando la sua identità.
La ragazza aveva aggrottato la fronte, perplessa e pensierosa, tenendo gli occhi (C/O) puntati sull'autostrada semivuota; Konoha distava da Suna cinque ore di macchina a velocità sostenuta e, lei, ne aveva appena percorse la metà.
Ricordava bene chi fosse l'Hatake, purtroppo non poteva dire di avere una buona opinione del ragazzino che aveva conosciuto dodici anni fa.
Kakashi, sin da bambino, aveva dimostrato di avere una notevole personalità e una innata intelligenza, che, purtroppo, con il passare degli anni, era tramutata in arroganza.
La sua boriosità spesso e volentieri gli aveva causato guai, sia con i professori, con cui adorava discutere e correggere, sia con i suoi coetanei, che si divertiva a sminuire ad ogni occasione possibile: l'Hatake, durante gli anni di scuola, era stato più odiato che amato.
(T/N), proprio perchè, come tanti dei suoi coetanei, lo aveva reputato un grandissimo rompicoglioni egocentrico, aveva cercato di averci a che fare il meno possibile, evitandosi traumi emotivi di cui non aveva affatto bisogno per crescere.
Seppur la sua antipatia fosse palese, ma non ostentata, il ragazzo non le aveva mai trovato da ridire; non erano mai stati amici, ma nemmeno nemici, si conoscevano, ma non si erano mai frequentati più del necessario, eppure, nonostante fossero conoscenti con un rapporto neutrale, per (T/N) era stato strano che il suo ex compagno di scuola, con cui non aveva parlato per anni, l'avesse contattata dal nulla, senza preavviso.
''Ho avuto il tuo numero di telefono da Rin... Nohara.'' Aveva aggiunto, poco dopo essersi presentato, Kakashi; il suo tono di voce era serio, pacato, piatto, non trasmetteva alcuna emozione.
(T/N) aveva espirato profondamente, indisposta: non aveva ancora, effettivamente, avuto una conversazione con l'ex compagno di scuola, ma, già con le poche informazioni che aveva ricavato da quella breve, monocorde, introduzione, aveva il timore, la sensazione, che quella telefonata l'avrebbe messa in difficoltà.
Nel corso degli anni, la (mora/bionda/rossa...) aveva imparato a fidarsi del suo istinto, della sensazioni che le arrivavano dalla pancia, invece di farsi influenzare dal parere altrui e a rimuginare sui suoi stessi pensieri, prima di prendere delle decisioni importanti nella sua vita; da quando aveva iniziato a essere più accorta e istintiva, a giudicare le persone e le situazioni in base al primo impatto che aveva di esse, si era risparmiata un sacco di tragiche esperienze, fregature, ansie e malesseri inutili.
Rin era una sua cara amica, erano andate a scuola insieme sin dall'asilo e, nonostante le loro carriere lavorative non permettessero alle due di vedersi più tanto spesso, come quando erano state ragazzine, erano rimaste, nel corso degli anni, in ottimi rapporti.
La Nohara si era diplomata in accoglienza turistica e, a differenza di (T/N), che non appena aveva avuto il diploma tra le mani ne aveva approfittato per andare a lavorare lontano da casa, Rin era rimasta a Konoha e aveva trovato lavoro presso il rinomato Hotel Hokage e, da lì, non si era mai mossa.
Erano da, ormai, quasi dieci anni che la ragazza lavorava nello stesso posto e, promozione dopo promozione, era stata premiata con un contratto a tempo indeterminato come Capo Receptionist.
(T/N) aveva fatto sapere da poco all'amica che sarebbe tornata a Konoha, questa volta per restare un po' più di un paio di settimane; era stata una decisione ponderata, ardua, ma necessaria, nessuno la stava obbligando a tornare in terra natia, ma si era sentita in dovere di procedere in questo modo, seppur le sue aspirazioni fossero altre.
Ovviamente, Rin, non appena ricevuta la notizia del ritorno della sua migliore amica, si era subito attivata per aiutarla a trovare lavoro in zona e, chi, se non lei, aveva riferito, della disponibilità della ragazza, all'Hatake.
Rin era in ottimi rapporti con Kakashi, da ragazzina aveva avuto una grandissima e, a parer di (T/N), irragionevole, cotta per lui, che, purtroppo, o per fortuna, a seconda dei punti di vista, non si era mai interessato ai sentimenti espliciti dell'amica; solo una volta concluse le superiori, si era venuto a sapere che l'Hatake non aveva mai avuto interesse nella Nohara o in nessun'altra ragazza perchè era omosessuale.
Saputa la verità, Rin si era finalmente messa il cuore in pace e si era arresa al cercare di conquistarlo, dato che, era ormai chiaro, fosse impossibile.
Kakashi, come Rin, non si era mai spostato da Konoha: dopo essersi diplomato, aveva proseguito i suoi studi culinari all'ANBU, una scuola di cucina che forniva corsi culinari approfonditi, poi, aveva preso il posto del padre, Sakumo, al ristorante Senju.
''So che stai cercando lavoro a Konoha. Nel ristorante in cui lavoro stiamo cercando un Capo Partita Entremetier, se ti può interessare ti posso mettere in contatto con i miei capi.'' Kakashi era stato molto diretto, non le aveva fatto domande di circostanza, non si era perso in chiacchere, era andato dritto al punto, rendendo noto lo scopo di quella telefonata improvvisa.
L'Hatake non aveva detto il nome del ristorante in cui lavorava, aveva dato per scontato che (T/N) lo sapesse: d'altronde, era risaputo che tutti quelli che avevano una viscerale antipatia, se non odio, nei confronti degli Uchiha, finissero a lavorare dai Senju.
Gli Uchiha e i Senju erano in guerra da generazioni, ogni pretesto era buono per litigare e nutrire l'autentico odio che le famiglie provavano l'una per l'altra.
I Senju erano stati i primi ad avviare la propria attività a Konoha: il ristorante, al tempo una semplice locanda, era stato il primo locale del paese che divenne, con il corso degli anni, una vera e propria città.
Gli Uchiha avevano avuto la stessa idea dei Senju ed erano stati i primi a fargli concorrenza.
Sangue amaro aveva iniziato a scorrere nelle vene di entrambe le famiglie che avevano cominciato a diffamarsi l'un l'altra; all'oppressione verbale si era, ben presto, unita la violenza fisica e in aggiunta, ogni idea era stata buona pur di darsi fastidio, intralciare, l'attività altrui.
Nonostante il ricambio generazionale, la guerra tra le due famiglie non era mai cessata, seppur, nel corso del tempo, avevano provato più volte a darsi tregua, per uno sciocco motivo, per un infimo dispetto, la disputa ricominciava.
Non c'era vincitori ne vinti, torto o ragione, era impossibile stabilire chi delle due parti fosse quella offesa e chi l'offensore: gli Uchiha avevano la loro versione della storia e i Senju la loro e, ovviamente, l'una non combaciava con l'altra.
Era quasi ridicolo come, nonostante fossero passati più di cento anni dall'inizio di questa tragicomica guerriglia, le due parti, persone adulte, con una mentalità totalmente differente da quella dei loro antenati analfabeti, che avevano iniziato a litigare come i bambini per sciocchezza ,tramutata, poi, in tragedia, non fossero riusciti a mettere fine a tutto.
L'odio tra Senju e Uchiha era persistente, profondamente radicato: alle nuove generazioni veniva imposto di odiare la famiglia concorrente, era diventata una tradizione provare ostilità, disprezzo l'una dell'altra.
Kakashi non era un discendente diretto dei Senju, ma era divenuto un loro familiare acquisito tramite l'amicizia che suo padre, Sakumo, aveva avuto con Botsuma e, soprattutto, anche lui, sin da ragazzino, era stato in disputa con un Uchiha.
Obito Uchiha, al contrario dell'Hatake, non aveva mai brillato d'intelligenza, tantomeno di talento e passione per la cucina.
Kakashi aveva deciso di seguire le orme del padre spontaneamente, mentre Obito era stato obbligato dalla famiglia a studiare per diventare cuoco e, in un futuro, portare avanti l'attività familiare.
L'Uchiha, come molti altri, non aveva mai sopportato i modi di fare dell'Hatake che, spesso e volentieri, si era preso gioco del ragazzino per la sua imbranataggine e mancanza di voglia di imparare il mestiere.
Obito, pur essendo, effettivamente, poco portato allo studio e a diventare cuoco, si era impegnato il più possibile per non essere la pecora nera della famiglia, ma Kakashi la sua dedizione non l'aveva mai presa in considerazione e, per tutti i cinque anni di superiori, non aveva fatto altro che sminuirlo.
Il sangue bellicoso Uchiha, scorreva come veleno nelle vene di Obito e non c'era voluto molto, prima che gli scherni e le umiliazioni verbali sfociassero in violenza fisica.
A sedici anni Kakashi aveva rischiato di perdere la vista dall'occhio sinistro durante una rissa con Obito che, in un impeto di rabbia, durante un'ora di laboratorio a scuola, aveva quasi accoltellato l'opponente.
Occhio per occhio, dente per dente; l'Hatake non era stato da meno e, appena avuta l'occasione, aveva ricambiato il favore all'Uchiha, sfregiandoli la parte destra del viso, colpendolo in faccia con una padella rovente, procurando al ragazzo una bruciatura di terzo grado.
Entrambi erano stati pesantemente puniti, anche se la scuola non aveva più di tanto voluto prendersi la responsabilità degli incidenti, non volendo mettersi in mezzo e prendere parte di una famiglia o dell'altra: entrambi i Clan donavano, annualmente, una importante somma di denaro per finanziare i progetti scolastici degli alunni e, ovviamente, l'istituto non voleva perdere le donazioni di nessuna delle due famiglie, quindi, aveva ben deciso di astenersi dalla disputa, seppur questa fosse accaduta in orario e suolo scolastico.
(T/N) aveva assistito a entrambi i litigi e incidenti e si era ripromessa che, mai, in vita sua, avrebbe avuto a che fare ne con gli Uchiha, ne con i Senju: entrambe le famiglie erano instabili, a tratti pericolose e, mettersi in mezzo, prendere parte alla loro guerra infinita, non serviva a niente, se non a creare altri screzi inutili.
Obito era stato un suo grande amico, ma, dopo l'episodio violento che aveva avuto con Kakashi, aveva deciso di prendere le distanze dal ragazzo, seppur questo le aveva creato, al tempo, un grande dispiacere.
''Non penso sia possibile per me venire a lavorare per i Senju.'' Gli aveva risposto, (T/N), istintivamente, senza nemmeno prendere in considerazione l'offerta di Kakashi, ambasciatore dei suoi datori di lavoro.
Rin avrebbe potuto risparmiare il disturbo a Kakashi, la ragazza sapeva bene che l'amica non avrebbe mai potuto accettare di andare a lavorare dai Senju, seppur l'occasione fosse stata ottima, perfetta per le sue esigenze, per arricchirle il Curriculum, non sarebbe stata una scelta saggia accettare.
In passato aveva fatto preso una decisione che le aveva arricchito il bagaglio culturale culinario, ma le aveva precluso l'opportunità di fare determinate esperienze; aveva accettato, con il tempo, le conseguenze delle sue scelte passate.
Il periodo del Covid l'aveva passato a Konoha: la pandemia era scoppiata durante le sue ferie e non era riuscita ad andarsene dalla Città Natale prima del lock-down generale.
Trovare lavoro, nei mesi successivi, di conseguenza alla crisi dovuta alla pandemia, era stato difficile, quasi impossibile, per tutti, (T/N) compresa: al tempo non era stato possibile spostarsi a piacimento, in base alle proprie preferenze e necessità, quindi la ragazza aveva dovuto cedere a compromessi con sè stessa e si era arresa al fatto che, se avesse voluto lavorare, sarebbe stata obbligata a rimanere nei pressi di Konoha, fino a quando non le sarebbe stato possibilmente andarsene via di nuovo.
Con le restrizione imposte dal Governo, il settore ristorativo era stato molto penalizzato, di fatti, molti ristoranti e hotel della zona avevano dovuto stringere la cinghia e attuare dei tagli sul personale, il che aveva reso la sua ricerca utopica.
Proprio quando si era arresa nel trovare un lavoro temporaneo, Obito l'aveva contattata, cercando disperatamente di riallacciare i rapporti, offrendole un posto di lavoro al ristorante gestito dalla sua famiglia.
Il Covid aveva fatto strage tra gli Uchiha, dall'inizio della pandemia molti membri della famiglia erano deceduti, alcuni erano stati intubati in ospedale, in bilico tra la vita e la morte e, a chi era andata bene, si era preso la forma più leggera della malattia che, però, bloccava a letto e permetteva a malapena di respirare.
Gli Uchiha erano molto più numerosi rispetto ai Senju, tant'è che la loro attività era stata esclusivamente gestita da membri purosangue Uchiha per anni: nel ristorante Sharingan non era quasi mai stato assunto nessuno che non appartenesse all'albero genealogico.
Gli Uchiha non erano mai stati molto inclusivi, tutt'altro, erano parecchio chiusi, gelosi della loro cucina, delle loro usanze e competenze culinarie.
(T/N) era stata prescelta a essere assunta dagli Uchiha.
Obito si era presentato sotto casa sua, senza preavviso; erano passati più di cinque anni dall'ultima volta che si erano visti e parlati, (T/N), poco alla volta, dall'incidente avvenuto tra i due ragazzini, aveva preso del tutto le distanze dall'Uchiha e finita la scuola ci aveva definitivamente chiuso.
Quando (T/N) aveva rivisto Obito, aveva temuto che il maleficio Uchiha avesse fatto il suo corso, che, alla fine, l'indottrinamento rigido predisposto dalla sua famiglia, avesse prevalso, una volta per tutte, sulla sua personalità.
Obito era sempre stato ritenuto difettoso, non conforme, dalla sua famiglia, troppo vivace, solare, sciocco, rumoroso, stupido, incapace rispetto ai rigidi canoni Uchiha.
La sua infanzia era stata dura, la sua adolescenza ancor più ostica, per guadagnarsi il posto di lavoro nel ristorante di famiglia aveva dovuto lavorare tanto su sè stesso, aveva dovuto annullarsi completamente per essere accettato e rispettato dai suoi famigliari.
Di primo impatto, quando gli aveva aperto la porta di casa, (T/N), vedendolo così rigido, smorto, freddo, inemotivo, con qualche anno in più rispetto all'ultima volta che lo aveva visto, aveva davvero temuto di aver davanti a sè un guscio vuoto, un perfetto automa Uchiha.
Fortunatamente, il ragazzino iperattivo che aveva conosciuto anni fa, non era del tutto svanito: dopo pochi secondi di angosciante silenzio, l'inerme Obito, era rinsavito e, nel momento in cui aveva iniziato a parlare, non era stato più capace di stare zitto.
(T/N) aveva fermato in tempo ex compagno di scuola in tempo, prima che quest'ultimo si inginocchiasse, teatralmente, davanti a lei, supplicandola di venire a lavorare nel ristorante di famiglia.
Per gli Uchiha, chiedere aiuto, soprattutto a qualcuno che non faceva parte della propria famiglia, era una vergogna: se il grande Chef Madara aveva dato il permesso al nipote di andare a implorare in ginocchio la ragazza, voleva dire che, davvero, gli Uchiha stavano passando un periodo terribile.
Obito, di fatti, le aveva spiegato che la maggior parte della brigata di cucina, formata da quindici cuochi, per colpa del Covid si era dimezzata notevolmente e, suo zio, lo Chef, si era ritrovato senza forza lavoro per continuare a mantenere gli standard ottimali del ristorante: Madara aveva temuto che, di questo passo, se non avesse trovato a breve una soluzione, avrebbe perso la tanto agognata stella che era riuscito a prendere prima dei Senju.
Il ristorante Sharingan era stato il primo locale a Konoha ad aggiudicarsi una stella, riconoscimento che gli Uchiha erano riusciti a mantenere per più di 5 anni di fila, al tempo.
Era stato grazie a Madara se il ristorante di famiglia aveva ottenuto la menzione sulla guida ''LA FOGLIA''.
Il locale era situato in una delle zone di ristrutturazione più recenti, moderne e abbienti di Konoha, vicino alle zone di villeggiatura dei ricchi del paese, rimaneva parecchio in periferia, lontana dal centro storico e dal ristorante dei Senju.
Non era un ristorante alla portata di tutti, i prezzi erano salati e la cucina raffinata e particolare, non adatta ai palati comuni.
Quando Madara aveva preso il posto del padre, Tajima, aveva rivoluzionato completamente la cucina del locale, rendendola più innovativa, all'avanguardia, progressista; appassionato di cucina molecolare, lo Chef aveva sconvolto la tradizionalista visione della cucina, portando alla luce la gastronomia molecolare, la moderna arte culinaria, basata sulla scienza.
Con a disposizione una grande brigata giovane e attenta, Madara era riuscito a portare avanti il suo progetto facilmente e, se non fosse stato per la pandemia, nel duemila e venti, il locale avrebbe potuto prendere la seconda stella senza difficoltà.
Purtroppo il Covid gli aveva messo i bastoni tra le ruote e, anche se erano stati tempi difficili, di crisi, le aspettative del pubblico e della critica erano rimaste comunque alte nei suoi confronti, il che lo aveva portato ad scendere a compromessi con i principi e i regimi famigliari.
(T/N) non era riuscita a dire di no alla richiesta disperata di Obito, anche se riluttante: accettare di lavorare per gli Uchiha era come fare un patto con il Diavolo.
A lei serviva un lavoro momentaneo, qualcosa per tirare su un po' di soldi e far passare il tempo, mentre aspettava che il mondo riprendesse un minimo di normalità e lei potesse tornare a muoversi e spostarsi come voleva, mentre agli Uchiha servivano figure sostitutive temporanee alla brigata originale.
Seppur non fosse una grande sostenitrice degli Uchiha e della loro metodica, della loro filosofia culinaria, indubbiamente lavorare in un ristorante come lo Sharingan, di così alto livello, era stata una grande opportunità per crescere e far esperienza e, (T/N), al tempo quasi venticinquenne, non si era fatta scappare la possibilità, seppur non fosse stata del tutto sicura della sua scelta.
''So che hai lavorato per gli Uchiha, me l'ha detto Obito ed è lui che mi ha suggerito, in realtà, di chiamarti.''
Le parole di Kakashi avevano destabilizzato (T/N), ancor più di quanto già non fosse dal momento in cui aveva risposto alla telefonata da quel numero sconosciuto; per poco non aveva sbagliato l'uscita dell'autostrada tanto era stata sovrappensiero, confusa, dalla constatazione dell'Hatake che, successivamente, le aveva concisamente spiegato che lui e Obito erano divenuti grandi amici.
Con il passare degli anni, crescendo, Kakashi si era reso conto che da ragazzino era stato davvero una spina nel fianco nei confronti di chiunque, dopo la morte di suo padre, Sakumo, si era ritrovato solo e aveva rimuginato sulle suo passato e sulle sue scelte, i suoi comportamenti: la cicatrice, meritata, che gli trapassava l'occhio sinistro perpendicolarmente, gli avrebbe ricordato per tutta la vita gli errori che aveva commesso da giovane.
Aveva trascorso vent'anni della sua vita convinto di essere superiore a tutti, guardando dall'alto al basso chiunque, specialmente gli Uchiha, nutrendo un'avversione infondata verso il prossimo.
Aveva abusato della sua bravura in cucina per sminuire, quando in realtà la sua vocazione era da sempre stata quella di insegnare, di trasmettere agli altri la sua passione e conoscenza in ambito culinario.
Passati i vent'anni si era reso conto che lui non aveva avuto alcun motivo di avercela con gli Uchiha, tantomeno con Obito, seppur con il ragazzino ci avesse litigato e avuto da ridire ogni giorno, per anni.
L'Hatake si era rifiutato di imporre l'odio verso la famiglia Uchiha ai nuovi geniti Senju: era arrivato il momento di mettere fine a quel circolo vizioso che veniva portato avanti da generazioni; continuare a rivangare il passato nel presente, non avrebbe portato nulla di positivo nel futuro.
Obito la pensava esattamente come Kakashi: bisognava proteggere le nuove generazioni, educarle, crescerle in maniera diversa da come erano stati cresciuti loro, era arrivato il momento di mettere fine alla tradizione dell'odio, della rivalità, tra le due famiglie: i giovani di oggi, non erano responsabili dei dispetti e dei danni che gli anziani Uchiha e Senju si erano procurati nel corso del tempo.
Dall'interno, subdolamente, Obito e Kakashi, avevano iniziato a educare correttamente nipoti, cugini, tutti coloro che non avevano nulla a che fare con il fardello di rancore degli avi Senju e Uchiha.
''Mi stai chiedendo di mentire.'' Aveva ribadito (T/N), quando Kakashi le aveva detto che non era necessario che i suoi capi sapessero della sua esperienza al ristorante degli Uchiha.
Era una regola non scritta, che tutti a Konoha e dintorni conoscevano: nel momento in cui si prendevano le parti di una famiglia, rispetto all'altra, si veniva riconosciuto come subordinato della casata scelta e non ti sarebbe mai stato possibile avere rapporti di alcun tipo con l'opposizione.
(T/N) sapeva che le sarebbe stato impossibile per lei lavorare con i Senju, perchè in passato era stata dipendente degli Uchiha.
La ragazza aveva capito che la situazione dei Senju era precaria, capiva che Kakashi stesse solo cercando di aiutare la sua famiglia adottiva a risolvere il problema del personale, ma ciò che le stava chiedendo di fare per lui, per loro, era qualcosa di davvero grave e scorretto, le stava chiedendo di rimetterci la sua reputazione.
Con quale coraggio, l'Hatake, con cui non era mai stata in buoni rapporti, si era permesso di contattarla chiedendole di mentire ai suoi stessi capi, alla sua famiglia, alle persone con cui lui lavorava da più di dieci anni.
''Non ci guadagno niente da quello che mi stai proponendo, anzi, rischio solo di essere immischiata nei vostri problemi. Non ho intenzione di rimetterci la mia integrità nelle faide idiotiche tra Senju e Uchiha.'' Aveva aggiunto, poi, in un sospiro esasperato, iniziando davvero a essere infastidita dalla situazione.
''Pensi che ti sarà facile trovare un lavoro a Konoha se rendi pubblico che sei stata a lavorare dagli Uchiha?'' La domanda secca e mirata di Kakashi l'aveva riflettere su un'inezia che si era dimenticata di analizzare a tempo debito, quando aveva deciso di tornare a Konoha e trovarsi un posto di lavoro vicino casa.
Effettivamente non aveva pensato che quei sei mesi di lavoro presso lo Sharingan, nel duemila e venti, a Konoha avevano un certo peso: in pochi era stato concessa l'opportunità di lavorare per gli Uchiha, più che una benedizione era considerata una condanna da parte dei ristoratori del paese che evitavano gli Uchiha, più dei Senju, come la peste; Konoha era grande, era una città vasta, ma quando si trattava di notizie di una certa importanza, la voce si spargeva fin troppo velocemente.
Nessuno voleva finire tra le dispute delle due famiglie e se qualcuno fosse venuto a sapere che lei avesse lavorato per gli Uchiha, che avesse il loro marchio a fuoco stampato sul sedere, nessuno, in tutto il paese, l'avrebbe mai assunta per evitare possibili scontri con la famiglia Senju.
Lei stessa aveva tenuto nascosto, al tempo, a tutti, di essere stata assunta dagli Uchiha, aveva custodito con vergogna e ansia quel segreto per sei lunghi mesi, sperando che nessuno del settore lo venisse a sapere, in modo che il suo futuro lavorativo a Konoha non venisse precluso da quella breve, ma faticosa, esperienza.
Kakashi, quel saputello, aveva avuto ragione per l'ennesima volta: se (T/N) voleva un lavoro a Konoha, per ottenerlo, avrebbe dovuto mentire, eliminare dal suo Curriculum l'esperienza in casa Uchiha, sperando che quest'ultimi non venissero a sapere del suo rientro in patria.
Madara non l'aveva presa affatto bene quando (T/N) aveva rifiutato il posto di lavoro indeterminato che le aveva -affabilmente- proposto al tempo, anzi, si era parecchio offeso, disegnato dall'essere stato rifiutato da una comune cuoca, alla quale lui, da buon benefattore aveva pensato di graziare, inserendola nella sua famiglia.
(T/N) aveva rispettato gli accordi e non aveva accettato perchè le sue aspirazioni lavorative erano state altre, di certo, a ventiquattro anni, non era stata per nulla intenzionata ad accettare di rimanere per sempre schiava degli Uchiha; di conseguenza alle sue azioni, (T/N) si era fatta nemica Madara che, con l'ego intaccato, non volendo accettare il rifiuto, aveva deciso di far finta di nulla, come se nulla fosse successo, come se non ci fosse mai stato tra di loro alcun tipo di accordo, rinnegandola e non riconoscendola come una sua ex dipendente.
Madara poteva rinnegare tutto quello che voleva, ma sulla carta (T/N) lì ci aveva lavorato, le prove c'erano, quindi la ragazza, riconoscendo l'esperienza dagli Uchiha come una delle più importanti, l'aveva mantenuta sul Curriculm sapendo che al di fuori del suo paese, quel breve rapporto di lavoro valeva tanto.
Non si sarebbe mai aspettata di dover eliminare quell'esperienza dal Curriculum per assicurarsene un'altra, di pari livello, dalla famiglia Senju.
Tobirama era parecchio concentrato nell'analisi del Curriculum di (T/N), nemmeno fosse un documento burocratico complesso, il quale era accurato leggere con attenzione prima di firmare, perchè avrebbe potuto dissimulare una truffa.
Hashirama sapeva che il fratello sarebbe riuscito a trovare la pecca nel Curriculum della ragazza: il minore aveva da trovare da ridire per qualsiasi cosa, aveva un talento innato nel trovare il pelo nell'uovo.
''Come mai hai deciso di tornare a Konoha?'' Le aveva, poi, domandato, Tobirama; il suo tono di voce era basso e profondo, formale, trasmetteva autorità e compostezza.
Se Hashirama era la copia esatta del padre fisicamente, il fratello era tale e quale a Botsuma caratterialmente: irremovibile e dispotico, pretenzioso e perfezionista, orgoglioso e suscettibile, Tobirama pretendeva il meglio da sè stesso e da chi aveva intorno, era molto difficile da accontentare, la pragmaticità era la sua miglior dote, ma anche il suo più grande difetto.
Se non fosse stato per la concretezza del fratello minore, il suo essere spietatamente realista, Hashirama, al contrario, estremamente ottimista e idealista, senza basi fondate, non sarebbe mai stato in grado di gestire il ristorante, specialmente il personale.
Il primogenito era troppo buonista, ingenuo, si fidava facilmente di chiunque, dava troppa libertà al personale; Hashirama voleva essere il fratello maggiore di tutti, voleva creare un gruppo affiatato, integrare tutti nella famiglia, senza distinzioni e pregiudizi.
Tobirama era d'accordo con l'ideale del maggiore, ma rendere quella idea astratta concreta non era così facile e indolore: i membri acquisiti della famiglia dovevano essere scelti con criterio e attenzione, con scrupolosità.
''Per stare vicino alla mia famiglia.'' Aveva risposto lei, sempre con prontezza.
In realtà (T/N) gli avrebbe voluto rispondere che le motivazioni per cui era tornata in patria erano private, dettagli non necessari e rilevanti alla proposta di lavoro, se, poi, aveva, comunque, deciso di esternare il movente del suo rientro, era perchè sapeva che rispondendo adeguatamente a quella domanda la considerazione dei Senju nei suoi confronti sarebbe aumentata notevolmente.
La (mora/bionda/rossa...), davvero, era tornata a Konoha per star vicino alla sua famiglia: i suoi genitori avevano iniziato ad arrancare con l'avanzare dell'età, i primi problemi di salute si erano palesati e, (T/N), si era sentita in dovere, da figlia, di avvicinarsi il più possibile a casa in modo da essere sempre reperibile e di aiuto.
Aveva viaggiato, era stata lontana da casa per anni, nessuno l'aveva mai trattenuta, fermata, nel seguire le sue aspirazioni, aveva ancora necessità di muoversi e cambiare, imparare, non aveva intenzione stanziarsi, soprattutto non a Konoha, ma, ora come ora, era necessario che si prendesse una pausa dal migrare e tornasse in patria.
Come previsto la sua risposta aveva compiaciuto i due fratelli: la famiglia, per i Senju, era il valore più importante e non potevano che avere del riguardo per chiunque si dimostrasse altrettanto devoto e rispettoso nell'adempiere il suo ruolo nel nucleo familiare.
Per i Senju la famiglia non era solo sangue, chiunque era benvenuto nella loro casata, a onorare il loro cognome, a patto che venissero rispettati i cinque principi essenziali per vivere in accordo e nel rispetto di tutti i membri familiari: sinceritá, rispetto, tolleranza e responsabilità, questi erano i requisiti necessari per far parte della loro famiglia e mantenere le relazioni con i familiari, i colleghi, in armonia.
I due fratelli avevano assunto la medesima espressione dopo aver udito la risposta di (T/N), per pochi effimeri secondi, I Senju, così diversi l'uno dall'altro, erano parsi identici.
I lineamenti marcati di Tobirama si erano addolciti appena, per una frazione di secondo: il suo viso era parso più rilassato, le sue sopracciglia sottili, le quali fino a poco prima erano state inarcuate gravosamente verso il basso, rendendo il suo sguardo ostile, avevano rilasciato la tensione accumulata e avevano ripreso la loro posizione naturale, incorniciandogli elegantemente gli occhi scarlatti.
Hashiarama, che fino a poco prima era stato inerme, teso, con lo sguardo basso, inquieto, l'aveva guardata con celata dolcezza, riprendendosi, finalmente, dallo stato catatonico in cui si era confinato.
Tobirama non le aveva più posto alcuna domanda, seppur sul Curriculum del suo avesse trovato un'anomalia, alla quale, però, non si era permesso di indagare.
(T/N), dopo i mesi di lockdown generale, pareva essere stata ferma per quasi un anno: sul suo resoconto lavorativo, il suo primo lavoro post-Covid risaliva a metà Marzo duemila e ventuno.
Al cinico secondogenito Senju era sembrato strano, inverosimile, che con un Curriculum così vario, la ragazza avesse trovato un lavoro dopo così tanto tempo dopo la pandemia; erano stati, sì, tempi difficili, ma il settore ristorativo era stato i grado, seppur con alcune difficoltà iniziali, causate dalle restrizioni, di riprendersi velocemente.
Seppur il sospettoso desiderio di sapere, indagare, ci fosse, lo Chef aveva evitato di essere troppo indiscreto e invadente; aveva ipotizzato, basandosi sulla precedente risposta della probabile, futura, dipendente, che il motivo per cui (T/N) fosse stata trattenuta dal lavorare fosse stato di natura familiare, privata.
L'interrogatorio non era stato poi così prolisso e greve, tutt'altro, era stato conciso e indolore; Tobirama, di seguito, le aveva fatto la sua proposta, una volta spiegatole sbrigativamente come funzionasse il lavoro.
La paga mensile che le offrivano era più che buona, per iniziare le era stato proposto un contratto di sei mesi, con quindici giorni di prova e, se, allo scadere del contratto entrambe le parti fossero d'accordo sul prolungamento dell'accordo, allora glielo avrebbero piacevolmente rinnovato.
Gli orari di lavoro erano i classici, le solito dieci ore di lavoro al giorno, due turni spezzati dal pomeriggio, con un giorno e mezzo di riposo a settimana, la Domenica sera e il Lunedì, giorni in cui il ristorante rimaneva chiuso.
Tobirama era stato diretto, poco espansivo, ma efficiente nel darle le informazioni base che potevano interessarle sul momento, tutto ciò che non non valeva la pena di spiegarle a voce lo avrebbe visto e imparato, si sarebbe organizzata, una volta iniziato a lavorare.
(T/N) aveva accettato senza esitazione o perplessità gli accordi, dando la sua immediata disponibilità; dopo il weekend, firmato il contratto a norma di legge, avrebbe iniziato a inserirsi nella nuova brigata, nella famiglia Senju.
Ambientarsi e prendere i ritmi di un nuovo posto di lavoro richiede sempre del tempo e un po' pazienza, sia da parte del nuovo arrivato che da parte dei colleghi già inseriti nell'ambiente lavorativo da tempo.
Paese che vai, usanze che trovi; ogni luogo di lavoro è diverso, è importante adattarsi e rispettare le modalità di organizzazione proposte.
Tobirama si era organizzato come meglio aveva potuto quando si era trovato a corto di personale, la sua brigata fissa lo aveva sostenuto il più possibile, aiutandolo a mantenere gli standard della cucina alti, lavorando più del dovuto spesso e volentieri, per far si che non mancasse mai nulla e il lavoro rimanesse scorrevole il più possibile, nonostante le mancanza di personale.
Due mani e un cervello in più avevano migliorato, indubbiamente, la scorrevolezza e l'umore di tutti.
(T/N) sin dal primo giorno si era concentrata e data da fare per integrarsi il più velocemente e armoniosamente possibile nel nuovo ambiente di lavoro e, senza troppi intoppi, era riuscita nel suo intento.
A livello organizzativo non aveva avuto problemi: aveva predisposto a suo piacimento la sua partita, si era studiata il menù e lo Chef le aveva passato le ricette che le sarebbero servite per la preparazione della mise en place ed era stato molto presente e attento durante i suoi primi giorni, seguendola con meticolosità per essere sicuro che qualsiasi cosa la nuova arrivata facesse fosse corretto e conforme agli standard.
Kakashi, responsabile della postazione di fronte a quella della ex compagna di scuola, era stato, a sua volta, molto disponibile nell'aiutarla a integrarsi.
La mole di lavoro, ora ben distribuita tra i colleghi, era, comunque, notevole, ma giusta per gli standard di un locale con una stella.
Anche il servizio era ben organizzato, le prenotazioni, prese intelligentemente da Hashirama, facilitavano lo scorrimento del lavoro, dettando ritmi ben stabiliti e ottimali per il coordinamento tra la sala e la cucina.
Con i suoi nuovi colleghi non si trovava male, seppur alcuni di loro fossero dei personaggi piuttosto ardui, ma allo stesso tempo delicati, da gestire.
La sala era eleganza pura; Hashirama e la sua brigata erano in ottima sintonia tra di loro e con garbo, senza mai scomporsi, riuscivano a non fomentare, quasi mai, i malumori della cucina, principalmente quelli dello Chef.
Il primogenito aveva messo insieme, furbamente, una brigata formata da persone con caratteri piuttosto pacati e tolleranti, in modo che Tobirama, almeno con la sala, non potesse accanirsi più del dovuto.
Tenzo, Shikamaru e Sai erano le persone più calme, condiscendenti e riservate che (T/N) avesse mai incontrato in vita sua.
Tenzo, nonchè compagno di Kakashi e cugino dei proprietari, era un ottimo Chef de Rang e venditore di vino e aveva dato una gran mano ad Hashirama a formare i due giovani Commis di Sala che, seppur avessero fatto poche esperienze lavorative e peccassero ancora di professionalità di tanto in tanto, sapevano comportarsi e muoversi abbastanza bene in sala.
Shikamaru e Sai, giovani vent'enni, erano due ragazzi piuttosto silenziosi e di poca compagnia: il primo era un pigrone indolente, dipendente dalla nicotina, ottimo nell'organizzare il lavoro per renderlo il meno faticoso possibile, il secondo, invece, apatico e con scarse doti comunicative, era portato a prestare una gran attenzione e cura nei dettagli.
Hashirama aveva messo insieme una brigata di sala ben bilanciata, ogni elemento compensava le mancanze degli altri, lui stesso, spesso, si era ritrovato a venir corretto o assistito, dai suoi sottoposti che, di tanto in tanto, lo sapevano stupire insegnandogli qualcosa di nuovo.
Ovviamente, se fosse stato per Tobirama, i due portapiatti sarebbero stati licenziati già da tempo per mancanza di esperienza e spirito di iniziativa, ma, soprattutto, per totale inesistenza di voglia -generale- di vivere; i due pesce lessi, purtroppo, però, erano intoccabili e insostituibili a detta del fratello maggiore, entusiasta dei suoi monocorde sottoposti.
Anche la brigata di cucina, tutto sommato, era bilanciata, soprattutto ora che (T/N) era stata inserita nel team.
Lo Chef era un uomo estremamente schematico e organizzato, aveva dovuto imparare a esserlo per poter portare avanti il lavoro al meglio, senza intoppi, durante i periodi di crisi.
In mancanza di uno Chef di Partita e un Pasticcere aveva dovuto riorganizzare le partite, distribuendo il lavoro in più equamente e trovare uno schema funzionale per il servizio.
Come la maggior parte dei cuochi, Tobirama non apprezzava particolarmente la Pasticceria, ma aveva dovuto, per forza, prendersi la totale responsabilità della partita dei Dessert una volta che Kurenai aveva lasciato il posto di lavoro.
Il secondogenito non era un Pasticcere, tantomeno aveva mai aspirato a esserlo, ma, dato che anche il resto della sua brigata pareva nutrire una celata avversione per la Pasticceria, si era sacrificato per il bene del locale e messo a studiare l'arte della Pastisserie, in modo da essere sicuro di mantenere gli standard dei Dessert alti, come il resto delle pietanze servite nel suo ristorante.
Tobirama lavorava incessantemente, dedicava ogni momento della sua vita esclusivamente al ristorante di famiglia: il sua unica ambizione, il suo unico perpetuo pensiero, era quello di rendere fiero suo padre, sovrastando gli Uchiha e la loro attività.
Il fine giustifica i mezzi; Tobirama avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per raggiungere il suo obiettivo e, la sua leale brigata, la sua famiglia, lo avrebbero seguito fedelmente, portandolo alla vittoria.
Il Sous Chef, Kakuzu, era una colonna portante del locale, era da quasi trent'anni che faceva parte della famiglia Senju, da quando, a diciannove anni, Botsuma, l'aveva assunto come Commis di Cucina.
Kakuzu proveniva da una famiglia di macellai, ma il suo sogno, era sempre stato, sin da bambino, di arruolarsi nell'esercito; purtroppo, per via dei suoi problemi di cuore, manifestatasi dopo i primi mesi di arruolamento, la sua carriera militare era stata molto breve.
Dopo la delusione, la sua vita era tramutata in tragedia: suo padre aveva mandato in rovina l'attività di famiglia giocando d'azzardo e, in un raptus di collera, sotto effetto dell'alcool, aveva tentato di uccidere moglie e figlio.
La povera donna non sopravvisse alla furia del marito che venne fermato da Kakuzu, il quale, seppur sfuggì alla morte, rimase segnato a vita dalle azioni del padre: nell'intento di ucciderlo a coltellate, il macellaio di paese, aveva deturpato il figlio, procurandogli più di trenta fregi in tutto il corpo; era stato un miracolo se, al tempo, giovane, Kakuzu era riuscito a scampare la morte.
Appena maggiorenne, si era ritrovato senza genitori, indebitato a vita, con il corpo deturpato e le mani sporche di sangue.
Al tempo la scioccante notizia della tragedia aveva complito profondamente tutti gli abitanti di Konoha, specialmente Butsuma che si era sentito in dovere di porgere il suo aiuto al giovane ragazzo, accogliendolo nella sua famiglia calorosamente.
Il Sous Chef era un uomo che incuteva un estremo timore per via dell'aspetto e carattere ostico: rigido e serio, disciplinato e di poche parole, il braccio destro dello Chef, era un lavoratore seriale, estremamente dedito e fedele ai Senju, tanto da dedicare la sua vita al loro servizio.
Pur essendo un ottimo cuoco, abile nella preparazione della carne, il Secondo Chef, faticava a concepire e accettare, abituato alla cucina tradizionale, la creatività e innovazione di Tobirama.
Proprio per questo motivo, il Senju, aveva deciso di affiancare al più anziano della famiglia, una figura giovane che potesse colmare le lacune dell'uomo di vecchio stampo.
Tobirama era capitato nel posto giusto, nel momento giusto; aveva incontrato Hidan per caso, in una notte di metà luglio, durante una -rilassante- passeggiata post servizio tra i vicoli di Konoha.
il Senju aveva assistito a una rissa tra il giovane attaccabrighe e degli Uchiha: a quanto pareva Hidan doveva aver tentato di approcciare la ragazza sbagliata, una nipote di Madara, ma i cugini, contrariati, dovevano essersi messi in mezzo tra l'albino e la sua conquista, finendo a fare a botte.
Quando Tobirama aveva sentito sbraitare il cognome della famiglia avversaria, tra un insulto e l'altro, non ci aveva pensato due volte a raggiungere il giovane preso di mira dagli Uchiha, per porgergli il suo leale aiuto.
Inaspettatamente, una volta localizzati la rissa, la disputa era già cessata e il vincitore indiscusso, quasi del tutto illeso, seppur in difficoltà numerica, era stato Hidan: abituato a fare a botte, non ci aveva messo molto a sistemare la prole Uchiha, nonostante lo svantaggio.
Tobirama, impressionato dalla tempra del ragazzo, si era presentato e gli aveva offerto da bere e, tra un drink e l'altro, chiacchierando era saltato fuori che Hidan era del mestiere e stava cercando lavoro; lo Chef, senza esitazione e pregiudizi, nonostante la brutta reputazione del giovane Aiuto Cuoco, aveva assunto, su due piedi, forse un po' troppo alterato dall'alcool, il giovane teppista.
I due fratelli, come Botsuma, come ogni Senju, avevano la sindrome della crocerossina: Kakuzu non era di certo stato il primo sventurato a essere stato accolto in famiglia, tantomeno Hidan sarebbe stato l'ultimo.
Il vent'enne, seppur mancasse di disciplina ed esperienza, ma soprattutto di inibizione della rabbia, aveva delle ottime potenzialità e, anche se caratterialmente non fosse facile a gestire,
lavorativamente era un automa.
Tra Kakuzu e Hidan era stato odio a prima vista, ma lo Chef era stato irremovibile nella sua decisione e aveva condannato i due a lavorare insieme, seppur questi si minacciassero di morte ogni giorno.
Tobirama seppur non si sprecasse mai a far complimenti ai suoi colleghi, ancor meno propensi a riceverne e accettarli, senza imbarazzarsi, era davvero fiero di come erano stati in grado, da vera squadra, famiglia, a superare le difficoltà che si erano palesate nell'ultimo periodo, dimostrandogli, per l'ennesima volta, quanto fossero devoti alla famiglia Senju e le sue aspirazioni.
Il timer aveva fatto appena in tempo a emettere un mero, insulso, squillo; allo scoccare del conto alla rovescia, (T/N) aveva silenziato immediatamente l'orologio digitale che aveva al polso, dandogli un piccolo buffetto con le dita.
Con una schiumarola a rete aveva scolato delicatamente, dall'acqua in ebollizione, le carote tornite, porgendole, poi, una volta sbianchite, in una bastardella con abbondante acqua ghiacciata, in modo da bloccarne la cottura e conservane il colore acceso.
Aveva, poi, rivolto la sua attenzione, al Fondo Bruno che stava sobbollendo nella marmitta a lato del pentolone di acqua bollente, accurandosi di eliminare, con una schiumarola, le impurità che galleggiavano in superficie del brodo.
Gli occhi (C/O) avevano vagato, ritrovandosi a osservare, con attenzione, la figura assorta nei suoi pensieri, infondo alla cucina.
Tobirama aveva esalato un sospiro indolente, mentre i suoi occhi scarlatti vagavano sul
ricettario.
Aveva riletto più e più e volte il procedimento della ricetta che, in realtà, sapeva bene a memoria, eppure, nonostante avesse realizzato il dessert più e più volte durante quei mesi, continuava ad avere la necessità di assicurarsi che ciò che si ricordava fosse autentico, fedele alla ricetta originaria.
Si era sistemato il longilineo cappello di carta bianco che gli copriva il capo, cercando, invano, di nascondere sotto di esso alcuni ciuffi argentei ribelli gli ricadevano scomposti sulla fronte.
Due grosse occhiaie scure gli incorniciavano gli occhi, rendendo il suo sguardo ancor più greve; Tobirama solitamente entrava alle sette del mattino in cucina, un'ora prima dell'orario prestabilito per i suoi dipendenti e usciva, fisicamente, dal ristorante, seppur la sua testa non staccasse mai da lavoro, dopo le ventitre, lavorando, spesso, più di quindici ore al giorno.
Il ristorante di famiglia era la sua vita, non gli pesava affatto dissipare tutte le sue energie a lavoro, d'altronde l'attività era tutto ciò che aveva, che cos'altro avrebbe potuto fare del suo tempo, se non impiegarlo lavorando incessantemente?
Al di fuori del locale non era nessuno e non aveva niente, nel corso della sua vita aveva, da sempre, impiegato tutte le sue attenzioni ed energie nell'attività di famiglia, era ciò che sapeva fare meglio, l'unica cosa che era in grado di fare bene.
Le dita si strinsero sul bordo del tavolo d'acciaio, le braccia tese, sostenevano il corpo proteso in avanti.
Diversi cicatrici rosacee, di tagli e bruciature, accumulate negli anni, gli solcavano, insieme alle vene violacee, in contrasto con la carnagione nivea, gli avanbracci.
Aveva puntellato il pavimento con l'estremità anteriore della scarpa, rinforzata in punta da uno strato spesso di acciaio, prima di tirarsi dritto e iniziare, finalmente, dopo essersi riletto per l'ennesima volta il procedimento, la preparazione della ricetta in questione.
Ormai aveva perso le speranze di trovare un Pasticcere, si era rassegnato al doversi occupare della Patisserie e, seppur con il tempo e lo studio le sue capacità fossero migliorate notevolmente, quel reparto non era il suo ambito.
Occuparsi totalmente della Pasticceria gli portava via un sacco di tempo prezioso, aveva una valanga di cose molto più importanti di cui avrebbe potuto occuparsi meglio, se solo non avesse avuto sulle spalle il fardello dell'esserne responsabile.
Seppur ora che la brigata aveva integrato un membro in più e la quantità di lavoro fosse stata equamente ridistribuita tra le partire, Tobirama non era ancor del tutto soddisfatto e tranquillo: si poteva sempre migliorare, c'era sempre una qualche minuzia da sistemare, la perfezione, seppur l'uomo fosse ben consapevole che fosse utopica da raggiungere, era lo standard ideale.
''É già abbastanza sciupato, non consumarlo maggiormente con il tuo sguardo truce.'' Aveva asserito Kakashi, posizionandosi dall'altra parte della stufa, di fronte a (T/N), richiamando l'attenzione su di sè.
L'Hatake si era allontanato dalla partita qualche istante prima dello scattare del timer e, ritornato dal magazzino, aveva scorto, in lontananza, la nuova collega assorta a fissare con intensità, Tobirama, meditabondo in Pasticceria.
(T/N) aveva sbattuto velocemente le palpebre, quando il soggetto delle sue attenzioni era mutato drasticamente, da un secondo all'altro, senza il suo assenso.
Kakashi non aveva, esattamente, sussurrato la sua asserzione, ma aveva, comunque, mantenuto un tono di voce più basso del normale, in modo che nessun altro, se non lei, avrebbe potuto cogliere il suo commento; la cucina era grande e spaziosa e, proprio grazie all'ambiente open-space, la comunicazione era facilitata, il che significava che tutti erano in grado, perfettamente, di sentire i colleghi parlare da un capo all'altro della stanza.
La (mora/bionda/rossa...) aveva inarcato un sopracciglio, contrariata dalle parole di Kakashi che, dall'altro lato della stufa, aveva mimato, comicamente, la sua espressione facciale, incurvando, a sua volta il sopracciglio dell'occhio sano.
''Ti ricordavo più solare.'' Aveva, poi, commentato, l'ex compagno di scuola.
Era passato ormai più di un mese da quando (T/N) era stata assunta dai Senju e aveva iniziato a lavorare per loro; Kakashi era collega con il quale aveva avuto la (s)fortuna di dover lavorare a stretto contatto, tant'è che, piano piano, inevitabilmente, avevano preso confidenza l'uno con l'altra.
Il commento dell'uomo era stato lecito e obiettivo, effettivamente la ex compagna di scuola, da ragazzina era stata molto più espressiva e sorridente, seppur introversa e timida, di quanto lo fosse ora.
''Non vuoi sapere come ti ricordo io, invece.'' Le aveva risposto, lei, ostile, sbuffando, poi, drammaticamente; l'Hatake era divenuto, con l'avanzare dell'età meno spocchioso e saputello, ma, di certo, non si tratteneva, come un tempo, a dare la sua non richiesta opinione appena poteva.
''Touchè...'' Aveva ridacchiato appena Kakashi, alzando le mani in aria in segno di resa, prima di voltare le spalle alla ragazza e continuare il suo lavoro dove lo aveva lasciato.
Sì, (T/N), come Kakashi, era cambiata parecchio durante il corso degli anni, specialmente durante i suoi primi anni di lavoro la sua personalità era mutata notevolmente, aveva temprato il suo carattere in modo da riuscire a omologarsi il più possibile nell'ambito lavorativo, il che l'aveva portata a essere meno espansiva con i colleghi e, soprattutto, prudente nello studio dei loro comportamenti, mantenendosi a distanza da soggetti equivoci: Tobirama era, per l'appunto, un individuo alquanto complesso ed equilibrato nella sua instabilità.
Il secondogenito Senju era davvero dedito al suo lavoro, ma era così affaticato, prevalso, dalle proprie aspettative, che, piano piano, si stava facendo consumare dall'insistenza nel prevalere, necessariamente, in ogni modo, sugli Uchiha; se c'era qualcosa a cui il Senju aspirava e a cui teneva, più della sua carriera, più dell'attività di famiglia a cui dedicava ogni attimo della sua vita, era primeggiare, imporsi, sulla famiglia avversaria: Tobirama, ormai, perdurava in mercè dell'odio che nutriva verso gli Uchiha.
Tobirama aveva raggiunto, a passo spedito il centro della cucina, tenendo, in una mano, un pentolino di acciaio e, nell'altra, un cucchiaio da minestra; aveva mescolato, durante tutto il tragitto, dalla Pasticceria alla zona dei piatti caldi, la salsa che aveva appena preparato, osservandola, con un cipiglio in volto, quasi disgustato.
''(T/N).'' Aveva richiamato l'attenzione della nuova arrivata, facendo gli ultimi passi in sua direzione.
''Dimmi se manca noce moscata.'' Aveva asserito, precipitoso, rigirando, per l'ultima volta, la Crema Inglese aromatizzata con il cucchiaio, riempiendolo, poi, fino all'orlo con liquido e, senza preavviso, glielo aveva presentato davanti al viso, a pochi centimetri dalla bocca.
(T/N), senza aver avuto il tempo di potersi pulire le mani per prendere l'oggetto contundente con cui lo Chef la stava intimidando, non aveva potuto fare altro, se non accogliere tra le labbra la generosa cucchiaiata di salsa che Tobirama aveva predisposto per lei.
Si fece spazio tra le labbra della ragazza con il cucchiaio, con un movimento celere, ma fluido, prudentemente, senza imporsi.
Non seppe perchè ma si ritrovò a dover sostenere lo sguardo critico di Tobirama che la osservava, accortamente, assaporare la sua salsa; il liquido vellutato le era scivolato delicatamente sulla lingua, abbandonando la superficie incava del cucchiaio che, con lentezza celata, l'uomo le aveva allontanato dalla bocca, stando ben attento che nessuna goccia del fluido le colasse dalle labbra.
Era stata una questione di secondi, ma il tempo le era sembrato essersi fermato dal momento in cui i suoi occhi incerti, perplessi, avevano incontrato lo sguardo irremovibile, intenso, del Senju; si sentì in soggezione, inferiore, in uno stato indegno, di umile asservimento nel momento in cui, trepidante, aveva acconsentito, obbligatamente, ad assecondare la saporita imposizione dell'uomo.
Aveva premuto la lingua sul palato, sfregando le papille gustative contro di esso, ricercando il noto aroma leggermente speziato e vellutato del seme.
''É perfetta.'' Aveva risposto (T/N), approvando la crema aromatizzata, dopo averla assaporata con mansuetudine.
Lo Chef l'aveva fissata intensamente per ancora qualche istante, senza mai battere ciglio, prima di allontanarsi, così come era venuto, a passo spedito, tornandosene nel suo angolo di cucina a produrre, senza più proferire parola.
La (mora/bionda/rossa...) aveva seguito con lo sguardo i movimenti lesti dell'uomo, ponderando, ora che le era permesso, l'accaduto.
''Il Capo ha marcato il territorio... mi tocca farmi da parte.'' Aveva sbuffato, fingendosi, teatralmente, affranto, Hidan che aveva assistito alla scena semi-erotica, da di fianco la macchina del sottovuoto, mentre stava aspettando che il sacchetto di salsa al pomodoro venisse privato dall'aria, rischiando, che il liquido fuoriuscisse dalla busta, dalla distrazione.
Il giovane Aiuto Cuoco non si era affatto fermato dinanzi alla differenza di età e, sin dal primo giorno di lavoro di (T/N), aveva cercato in tutti i modi di sedurla e, nonostante gli innumerevoli rifiuti ricevuti, non si era mai dato per vinto, troppo narcisista e orgoglioso per accettare un no come risposta.
Con il passare del tempo, lusingare la nuova arrivata era diventato un passatempo, un gioco scherzoso a cui la ragazza si era trovata, involontariamente, a praticare, senza, però, mai, esagerare nel dar troppa corda all'estroso Hidan.
L'albino aveva affiancato la Capo Partita, ritirandole nel cassetto refrigerato il sacchetto perfettamente sigillato, cercando, malamente, di trattenere un ghigno divertito.
(T/N), crucciò, per l'ennesima volta, quella mattina, le sopracciglia, indisposta dal commento irrisorio del ragazzo che insinuava, lascivo, che Tobirama avesse, celatamente, lasciato intendere, a lei e al resto della brigata, che avesse dell'interesse nell'avere un tipo di rapporto diverso, più intimo, di quello professionale con lei.
''Smettila di dire cazzate e inizia a sbucciare le fave, altrimenti ti faccio pentire di non essere in Garde-Manger a lavorare.'' Lo aveva ripreso la Chef de Partie, mostrandosi, forse, fin troppo infastidita dalla constatazione dell'albino che, nonostante la minaccia, non aveva smesso, intrepido, di ghignare di sottecchi.
Kakuzu, che, da quando erano entrati in cucina, due ore prima, non aveva alzato la testa dal banco di lavoro, ne tantomeno spiccicato parola, aveva rivolto un'occhiata omicida, carica di dissenso, verso Hidan e, di seguito, si era soffermato a osservare, critico, ma comprensivo, la reazione indisposta di (T/N) che, sentendosi, insolitamente, presa di mira dai tetri occhi verde smeraldo dello stoico uomo, si era, notevolmente, crucciata.
Persino il lavapiatti, Chouji, ragazzone più interessato al leccare le pentole, più che lavarle, dal fondo della cucina, aveva guardato, incredulo, con il muso unto, l'accaduto.
La ragazza si era voltata di scatto verso Kakashi, sentendo il suo sguardo minuzioso gravarle sulla schiena, confidando nel sapiente giudizio di quest'ultimo.
La cuoca aveva, innocentemente, pensato che, con quel gesto, lo Chef avesse voluto metterla alla prova: semplicemente, aveva pensato che le aveva fatto assaggiare la crema per testarla, ancora diffidente nei suoi confronti e il gesto di imboccarla era stato motivato dal fatto che, lei, in quel momento, avesse le mani sporche.
L'Hatake percepì la confusione e turbamento che le parole del Commis avevano procurato all'ex compagna di classe; seppur Hidan, per la maggior parte del tempo, parlasse a vanvera e blaterasse blasfemie, Kakashi temeva che, questa volta, l'irriverente Aiuto Cuoco non avesse detto, del tutto, una castroneria.
Hashirava era arrivato giusto in tempo a richiedere l'attenzione del fratello minore, offrendo all'Hatake la possibilità di avvicinarsi a (T/N) e parlarle, ora che Tobirama aveva seguito il maggiore in sala.
''Tobirama detesta la noce moscata, è per questo che ha richiesto il tuo parere. Vuol dire che si fida di te e riconosce il tuo valore.'' Le aveva spiegato, sperando che le sue parole potessero rasserenarla sull'accaduto di qualche minuto fa.
Lo Chef non lusingava con complimenti, i suoi apprezzamenti erano sempre celati, tanto che, chi non conosceva bene l'uomo orgoglioso ed emotivamente difficile, ma con un grande rispetto e orgoglio nei confronti della sua brigata, la sua famiglia, non era in grado di cogliere le sue lusinghe.
''Sarà come dici tu, Kakà... ma non ho mai visto il Boss, ficcare a te o al vecchio storione un cucchiaio in bocca, dissimulando le sue frustrazioni sessuali.'' Hidan, di nuovo, non aveva potuto, ovviamente, trattenersi nel commentare le parole dell'Hatake che lo fulminò con lo sguardo, stizzito, ma per nulla stupito, dell'irriverenza e scurrile onestà del giovane.
Il ragazzo lo aveva guardato fingendosi confuso, come se non si fosse reso conto che le sue parole avessero, in qualche modo, agitato la nuova arrivata; Hidan, di primo impatto, poteva anche sembrare un idiota, ma, sotto quella buffa bandana nera, decorata da piccoli teschi stilizzati, si celava una mente arguta.
(T/N) non voleva credere alle attestazioni di Hidan, seppur aveva il presentimento che Kakashi e -persino- Kakuzu, sostenessero il concetto espresso dall'indiscreto Commis, a volte fin troppo schietto, senza filtri.
Non era vietato avere relazioni con i colleghi, anzi, era quasi inevitabile che all'interno di un ambiente lavorativo almeno due persone iniziassero a frequentarsi, era lecito e imprevedibile provare interesse o attrazione per qualcuno, per una persona con cui, necessariamente, si passa la maggior parte del proprio tempo durante la settimana e impari a conoscere in fretta; c'è chi, addirittura, riesce a sostenere e gestire più storie con diversi collaboratori, ma non è mai consigliato, professionalmente, di avere relazioni private con le persone con cui si lavora.
Le tensioni e i malumori, generalmente, non mancano mai, ma se ai malesseri di causa lavorativa, si aggiungono anche i drammi della vita privata, inscindibili dall'ambiente di lavoro, lavorare in sintonia, evitando il più possibile screzi, diventa quasi impossibile.
(T/N) aveva avuto le sue esperienze, aveva compiuto liberamente i suoi sbagli, riconoscendo i propri errori, imparando a sue spese quali esperienze valesse la pena di avere e quali, invece, evitare di fare nell'ambiente di lavoro.
Era da anni che aveva precluso qualsiasi tipo di relazione privata, con i propri colleghi, al di fuori dell'ambito lavorativo e, da quando aveva preso questa ponderata decisione si era risparmiata un sacco di drammi e pensieri.
Mantenere un profilo basso, essere poco espansiva ed evitare di essere coinvolta in qualsiasi disputa, non voleva dire che si estraniasse, che non legasse, con i suoi colleghi, tutt'altro, aveva sempre avuto ottime relazioni professionali: aveva solo imposto un limite alla sua condiscendenza, separando il più possibile la sua vita privata da quella lavorativa.
Era da tempo, ormai, che si era presa una pausa dall'altro sesso, dopo le svariate deludenti relazioni che aveva avuto e, seppur di tanto in tanto, il senso di solitudine la pervadeva, sapeva che rimanere single era la scelta migliore per lei.
Non era mai stata fortunata in amore, non credeva di essersi mai innamorata di nessuno, tanto che, con il tempo, si era -quasi del tutto- autoconvinta di non essere in grado di amare.
(T/N), in compenso, amava il suo lavoro e aveva deciso di dedicarsi totalmente alla sua carriera lavorativa, limitando, il più possibile, il tempo da impiegare nella sua vita privata.
Da quando aveva evitato, a tutti i costi, di avere relazioni extralavorative di alcun tipo, la sua vita era stata molto più tranquilla e, soprattutto, il suo umore e la sua sanità mentale ne avevano giovato; di certo non aveva intenzione di annichilire la meritata serenità che aveva guadagnato, con sacrifici e fatica, negli ultimi anni in alcun modo.
Eppure la scelta che aveva preso, quella di tornare a Konoha e lavorare per i Senju, era stata un azzardo al quale non si era sottratta, pur sapendo, scientemente, che il suo equilibrio sarebbe stato a rischio.
(T/N) si era seduta compostamente, dopo essersi tolta la giacca, la quale aveva sistemato sullo schienale della sedia, sulla quale si era, poi, seduta.
Aveva stretto tra le dita il tessuto caldo della maglia (C/P), tentando, invano, di riscaldarsi le dita congelate; era Novembre e le temperature, nell'ultimo mese, erano calate drasticamente e la ragazza, che per due inverni aveva vissuto a Suna, dove a malapena aveva indossato il giubbotto durante i tiepidi mesi invernali, stava soffrendo terribilmente il clima freddo di Konoha.
''Allora... come va il lavoro?'' Le aveva chiesto Rin, seduta dall'altra parte del tavolo.
Era la prima volta che le due amiche riuscivano, fisicamente, a incontrarsi, da quando (T/N) era tornata a Konoha, seppur, ormai, fossero passati già due mesi dal suo rientro in terra natia, erano riuscite a darsi appuntamento solo ora, nonostante abitassero a pochi minuti l'una dall'altra; Rin aveva i suoi impegni e le sue abitudini, da anni svolgeva lo stesso lavoro nello stesso medesimo posto e la sua ruotine era ben definita, tanto che, l'incontro con l'amica era quasi stato un avvenimento straordinario, imprevisto.
''Kakashi mi ha detto che ti sei integrata bene.'' Aveva aggiunto, sistemandosi la soffice sciarpa di lana color prugna sulle spalle.
Kakashi di qui, Kakashi di là, Kakashi, sempre Kakashi... nonostante Rin si fosse rassegnata anni fa di non poter essere un potenziale partner amoroso per l'Hatake, dato il suo differente orientamento sessuale, (T/N) era convinta che l'interesse per l'uomo non fosse, però, passato.
I due erano divenuti, nel corso degli anni, grandi amici e, adesso, l'ex compagno di classe era anche collega di (T/N), ma questo non giustificava, di certo, il fatto che Rin non appena potesse, avesse l'occasione, inserisse l'Hatake in qualunque discorso.
Seppur la ragazza aveva rivalutato l'ex compagno di scuola, non era divenuta, di certo, una sua fan, come lo era Rin.
''E cos'altro ti ha detto quel pettegolo?'' Aveva domandato, ostile, (T/N), dopo che il cameriere, che aveva preso il loro ordine, si era allontanato; aveva appoggiato gli avanbracci sul tavolo, facendo perno su di essi per sporgere in avanti il busto, in direzione dell'amica.
Il tenue, quasi dolce, sorriso di circostanza che aveva porto al cameriere qualche istante prima, era svanito nell'istante in cui la ragazza aveva riportato la sua attenzione su Rin, la quale, a stento, camuffava un evidente sorrisino malizioso.
Le fossette, ai lati delle labbra della mora, erano ben delineate, seppur il ghigno fosse appena accennato, prematuro, i suoi grandi occhi color nocciola, enunciati dalle lunghe ciglia che li contornavano, erano pervasi dalla curiosità: Rin non era interessata al lavoro, bensì alle relazioni che l'amica aveva instaurato con i colleghi, specialmente con il più importante di tutti, il suo Capo.
Evidentemente, tutti, si erano convinti che Tobirama avesse dell'interesse celato nei confronti di (T/N) che, da due mesi, stava cercando di non dare peso a tale accusa, procedendo con cautela evitando, il più possibile, di fomentare il pettegolezzo a cui, personalmente, lei non credeva, seppur le persone che conoscevano l'uomo, meglio di quanto lui conoscesse sé stesso, le avessero fatto intendere il contrario.
Il Senju era un uomo estremamente discreto, schivo, soprattutto era così dedito al suo lavoro che la ragazza dubitava che, effettivamente, Tobirama potesse avere interessi al di fuori dell'attività di famiglia: proprio come lei, forse anche di più, era una persona così incentrata sulla sua carriera professionale che la sua vita al di fuori dell'ambito lavorativo era misera.
Se, come lei, l'uomo dava più importanza al suo lavoro che alla vita privata, era infattibile che ci fosse spazio per un interesse amoroso, indi per cui, era impossibile che provasse alcun tipo di attrazione dei confronti della nuova arrivata.
''Sarebbe anche ora che ti trovassi un buon partito e mettessi radici da qualche parte...''
Aveva commentato Rin, sospirando sconsolata, per nulla intimidita dallo sguardo truce di (T/N) che si fece ancor più cupo, carico di astio, all'udire l'opinione dell'amica, la quale pareva non comprendere i timori e le ragioni della (mora/bionda/rossa...).
Rin svolgeva lo stesso medesimo lavoro da quasi dieci anni, lavorava le sue otto al giorno, per cinque giorni a settimana, aveva un contratto a tempo indeterminato ed era più che soddisfatta della sua carriera lavorativa, aveva abbastanza tempo libero per dedicarsi a sé stessa, ai suoi hobby e alle sue conoscenze, non aveva mai avuto grandi ambizioni, tantomeno voleva essere schiava del suo lavoro.
Non aveva mai compreso le aspettative dell'amica che, sin da quando aveva concluso gli studi, non aveva trovato, ancora, una sistemazione fissa, il suo posto nel mondo, men che meno, si capacitava di come il lavoro di (T/N) potesse essere più importante della sua vita privata; per quanto Rin volesse bene all'amica, la supportasse nei suoi progetti, i suoi spostamenti, non era completamente d'accordo con la sua filosofia di vita.
La mora temeva che (T/N) si sarebbe annichilita passando da una cucina all'altra e si sarebbe, presto, ritrovata sola e senza un reale, compiuto, progetto; non voleva che, necessariamente, tornasse a Konoha, ma, di certo, l'opportunità che l'amica aveva, tutt'ora, dai Senju, sembrava essere l'ideale, un buon inizio, con delle basi solide, per garantirle un futuro stabile, se, davvero, Tobirama era interessato alla ragazza, come Kakashi le aveva dato da intendere.
''Ti ricordo che hai detto la stessa identica cosa circa tre anni fa quando ho brevemente lavoravo per Madara -fottuto- Uchiha.'' Aveva sputato, acida, (T/N), rivangando su ciò che l'amica le aveva detto anni fa, ossia, lo stesso, medesimo, commento, che si era permessa di rifare tutt'ora, nel presente.
''Esatto! Hai sprecato la tua occasione di assicurarti un lavoro a tempo indeterminato dagli Uchiha, non fare lo stesso identico errore con i Senju!''
La Nohara non si era data per vinta: più (T/N) cercava di metterla alle strette, di rinfacciarle di essere petulante e ripetitiva nelle sue convinzioni, nelle sue monotone ideologie, più lei si sentiva in dovere di difendere la sua fondata, ma irrichiesta, opinione al riguardo della vita dell'amica.
''Ti eri riavvicinata a Obito... speravo nascesse qualcosa tra di voi.'' Aveva aggiunto, in un sospiro sconsolato, abbandonando la schiena contro la sedia, osservando distrattamente il cameriere appoggiare, con garbo, il cappuccino sul tavolino che le divideva.
(T/N) aveva chiuso gli occhi e inspirato profondamente, cercando di mantenere la calma e trovare le parole adatte per spiegare, in modo più semplice e comprensibile possibile, a Rin, la quale proprio pareva non voler capire il suo punto di vista, che il suo perseverante giudizio, non fosse, per nulla, plausibile e ragionevole.
Rin sapeva benissimo che l'Uchiha era innamorato di lei da più di dieci anni e, come la ragazza non riusciva a smettere di trovare interesse per Kakashi, Obito non era ancora stato in grado di accettare il rifiuto e smettere di amarla.
Era stata lei l'artefice della riunione tra (T/N) e Obito, convinta che, se i due fossero tornati a frequentarsi e lavorare insieme, dalla loro amicizia sarebbe nato qualcosa di più intenso, ma, purtroppo, la sua visione vaneggiante, utopica, non aveva preso forma: in preda alle manie di controllo, aveva creduto che sarebbe stata in grado di sistemare le vite di entrambi gli amici, ma, purtroppo, il destino non era stato dalla sua parte.
Il tepore che la tazza di ceramica stava emanando era confortevole: finalmente le sue dita intorpidite dal freddo stavano riprendendo sensibilità.
Gli occhi (C/O) avevano vagato nel piccolo locale, il Jinchuriki Bar, senza una meta precisa, come se (T/N), tra la clientela assorta nelle proprie, private, conversazioni, le tazze fumanti di thè e cappuccini, l'odore di caffè e dolci appena sfornati, potesse trovare incentivo adatto, le parole giuste, con cui far comprendere alla testarda, illusa, amica, che le sue visioni idealiste, non sarebbero mai potute divenire realtà.
''È infattibile che tra me e Tobirama possa esserci qualcosa. Ti ricordo che gli sto mentendo... se dovesse venire a sapere che ho lavorato per gli Uchiha...''
Non seppe come continuare la frase, non voleva nemmeno immaginare la reazione dell'instabile Senju, se fosse venuto a sapere la verità, che lei e, in primis, suo fratello maggiore, la sua stessa famiglia gli stessero mentendo, lo avessero privato del sapere un dettaglio, tutt'altro che insulso, della carriera lavorativa di (T/N).
Il senso di colpa crescente, pian piano, aveva iniziato a nutrirsi della sua integrità, tanto che, più volte, nel giro di quei due mesi di lavoro, (T/N) aveva parlato con Hashirama di quanto portare avanti quella farsa la stesse logorando, di quanto la infastidisse mentire; l'empatico Senju aveva ammesso, a sua volta, di essere irrequieto e non si sentisse in pace con sé stesso a mentire a suo fratello, eppure, seppur l'angoscia di essere scoperti stesse progredendo, giorno dopo giorno, avevano, comunque, deciso di ignorare l'apprensivo senso di inquietudine e continuare a raggirare Tobirama, sperando, utopicamente, che, mai, il minore scoprisse la verità.
Tutto stava andando fin troppo bene, c'era un clima molto più sereno e mite da quando (T/N) si era integrata nella brigata, sarebbe stata una mossa azzardata, estremamente illogica, rovinare la quiete creatasi, seppur questa fosse fondata su una menzogna instabile: da un momento all'altro, con o senza un propria confessione, la verità sarebbe potuta venire alla luce, rovinando, volendolo o meno, la stabilità emotiva e mentale di Tobirama.
Il minore dei Senju era, notevolmente, molto meno stressato e nevrotico, era più disponibile al dialogo e meno propenso al tramutare ogni conversazione inerente al più insulso disguido in un drammatico diverbio.
Avere una persona in più, in cucina, su cui poter contare, aveva alleggerito, notevolmente, il carico di lavoro e di responsabilità a tutti, a Tobirama in primis.
Il secondogenito non era mai stato di molte parole, non era espansivo e propenso ai complimenti e, il fatto che avesse confidato il suo sincero, seppur conciso, apprezzamento nei confronti di (T/N), al fratello maggiore, era stato un avvenimento più unico che raro; Hashirama, prima di tutti, aveva avvertito nelle parole cortesi di Tobirama, un velato interesse, al di fuori dell'ambito lavorativo, per la ragazza.
Ovviamente Hashirama non aveva indagato, sapendo che sarebbe bastato un non nulla per far imbarazzare e indispettire l'impacciato fratello, il quale, con le sue scarse doti relazionali, non avrebbe mai espresso, apertamente, il suo interesse.
''Se è davvero innamorato di te, ci passerà sopra.''
(T/N) aveva sgranato gli occhi (C/O), rimasta sconvolta alla risposta irrazionale di Rin che, proprio, non voleva smettere di seguire le sue illusioni.
La tranquillità con cui la ragazza aveva risposto alle ansie e preoccupazioni dell'amica, riguardo a un argomento così complesso e delicato, era surreale: Konoha era stata fondata sull'astio tra Uchiha e Senju, c'erano, letteralmente, delle leggi restrittive che tutelavano l'una famiglia dall'altra; (T/N) non concepiva come Rin avesse potuto ingenuamente pensare che Tobirama avrebbe mai potuto perdonare il tradimento da parte di suo fratello e del suo presunto interesse amoroso così facilmente, quando l'odio e la rivalità tra le due casate era così radicato.
''Innamorato? Parliamo a malapena... per favore Rin... smettila di guardare dramma Koreani.''
La (mora/bionda/rossa...) era esasperata dalla conversazione in cui era stata coinvolta, intrappolata, facendola pentire di essere uscita con l'amica; la Nohara sapeva essere dannatamente insistente e fastidiosa quando si impegnava: tutta colpa di Kakashi e della predominante influenza che aveva su di lei.
''In realtà sto leggendo dei romanzi erotici che mi ha consigliato Kakashi. Forse, se li leggessi anche tu saresti più propensa a credere nell'attrazione e l'amore.'' Di nuovo, la mora, non aveva sprecato l'occasione per nominare il suo amore platonico, ribattendo all'affermazione acida dell'amica.
(T/N) aveva sbuffato affranta, sconfitta dall'insistenza di Rin nel difendere le sue tesi da romanzo rosa... anzi erotico.
Bruscamente, aveva impugnato il cucchiaino da caffè tra le dita, mescolando, poi, con più enfasi del necessario, il cappuccino, dopo averci aggiunto un'intingente quantità di zucchero, nella speranza di non addolcire solo la, ormai tiepida, bevanda, ma anche il suo temperamento.
L'insistenza con cui la Nohara cercava in tutti i modi di persuadere l'amica, spronandola ad avere una relazione era, davvero, soffocante; Rin progettava la sua mancanza, esigenza di avere una relazione d'amore con l'uomo di cui era innamorata da anni nelle vite altrui: lei non avrebbe mai avuto la possibilità di amare ed essere amata da Kakashi come desiderava, ne tantomeno riusciva a darsi pace e superare il rifiuto, di conseguenza provava un forte senso di invidia nei confronti di chiunque avesse la possibilità di avere relazioni senza remore, non capacitandosi di come fosse possibile che alcune persone, come (T/N), non avessero morboso bisogno della presenza dell'amore nella loro vita.
Più passavano gli anni, più la (mora, bionda, rossa...) era convinta che Rin dovesse allontanarsi da Kakashi per il bene di entrambi, in modo che lui avrebbe potuto vivere la sua vita, con il suo compagno, senza sentirsi responsabile dell'infelicità della ragazza che, come un'ombra, lo pedinava ossessivamente, nutrendosi meramente delle attenzioni che l'Hatake le concedeva in amicizia, un rapporto unicamente basato sulla commiserazione; in un ambito parallelo, le stesse dinamiche si ripetevano tra la Nohara e Obito, incapace, a sua volta, di abbandonare il circolo vizioso.
Impressionata da come l'amore cieco e non corrisposto aveva traviato le sue conoscenze più strette, (T/N), che di esperienze romantiche ne aveva avute ben poche e di scarsa resa, era giunta alla conclusione di non voler, mai, ritrovarsi nella posizione di mettere a rischio la sua serenità e integrità per colpa di qualsiasi tipo di attrazione o sentimento.
La celata intesa che c'era tra lei e Tobirama, in ambito -strettamente- lavorativo, non era, in ogni caso, da confondere con della letale infatuazione; niente e nessuno sarebbe riuscito a mettersi in mezzo tra il Senju e la sua rivalità con gli Uchiha, così come nulla e alcuno sarebbe stato in grado di ostacolare (T/N) e le sue ambizioni lavorative.
Una fitta lancinante l'aveva prepotentemente sopraffatta quando, d'istinto, aveva serrato la mascella e i denti avevano fatto una drastica pressione sull'acciaio resistente del cucchiaino da caffè che si era portata alle labbra.
Parli del Diavolo e spuntano le corna; Tobirama si era palesato nel locale, come se fosse stato evocato dall'importuno alludere della sua persona.
Il Senju non l'aveva salutata, passandole a fianco, ma l'aveva diligentemente osservata, degnandola di un cenno di capo, prima di passare a fianco del tavolino a cui era seduta con l'amica.
Il contatto visivo fu effimero, limitato dal passo spedito di Tobirama, ma, fin troppo prolungato e intenso per per gli standard di discrezione e disciplina di entrambi.
Di nuovo, si ritrovò a dover sostenere lo sguardo critico di Tobirama che l'aveva osservata, accortamente, lambire con le labbra il cucchiaino, l'oggetto contundente con il quale, (T/N), aveva, quasi, attentato alla sua stessa dentatura.
Era stata una questione di secondi, ma il tempo le era sembrato essersi fermato dal momento in cui i suoi occhi sorpresi, impacciati, avevano incontrato lo sguardo risoluto, profondo, del Senju; si sentì, anche questa volta, colta alla sprovvista dalla presenza inaspettata del capo.
Si sentì in imbarazzo, inferiore, in uno stato indegno, di umile asservimento nel momento in cui, trepidante, aveva puntato di suoi occhi (C/O) in quelli scarlatti di lui, acconsentendo, obbligata nel suo stato di asservimento, ad assecondare la predominanza dell'uomo.
L'alluvio e simbolico atto del lambire tra le labbra l'oggetto di metallo e il prolungato, seppur, al tempo stesso, breve, contatto visivo, l'avevano, di nuovo destabilizzata.
Questa volta, però, aveva fatto tutto da sola, non era stato Tobirama a imporsi su di lei, costringendola affabilmente a sottomettersi alla sua intimidazione, bensì era stata lei stessa a rendersi remissiva agli occhi di lui; se avesse celermente distanziato il cucchiaino dalla bocca, prima di concedergli la sua attenzione, un saluto di rimando, avrebbe potuto, senza remore, evitare l'allusiva, allegorica, remissività.
''É così malleabile la tensione sessuale che c'è tra voi due che potrei tagliarla con un coltello da burro.'' Rin, aveva appoggiato il mento tra i palmi delle mani, facendo perno sui gomiti per sorreggersi il capo, osservando maliziosamente, con un sorrisetto saccente, l'amica seduta dinanzi a lei che, fin troppo concentrata a osservare Tobirama togliersi uno dei tanti strati -superflui- di vestiti che indossava, non le aveva più prestato attenzione.
''Se ne fai parola con Kakashi...'' Aveva intimato la (mora, bionda, rossa...), ripuntando i suoi occhi (C/O) sulla Nohara, dopo aver distolto, bruscamente, prima di essere colta in fragrante a fissare senza ritegno, lo sguardo da Tobirama, una volta che, quest'ultimo, si era seduto al tavolino, in fondo al piccolo bar.
Rin aveva riso senza remora, per nulla intimorita dalla minaccia incompiuta dell'amica, continuando a deriderla e schernirla, incapace di darle tregua, specialmente ora che i suoi presentimenti erano stati confermati: i fatti valgono più delle parole; (T/N) poteva negare a sè stessa quanto voleva di essere attratta dal Senju, ma le sue reazioni dichiaravano l'opposto.
Tobirama si era tolto il giaccone color ottanio e lo aveva abbandonato a lato del divanetto di pelle sintetica su cui, poi, si era seduto compostamente.
''Mirai, chi c'è? Chi è questo signore? Wow! Lo zio Tobirama.''
Kurenai aveva attirato l'attenzione della figlia, di poco più di un anno, che teneva tra le braccia, parlandole dolcemente, alterando il suo naturale tono di voce, rendendolo più acuto e mellifluo.
La bambina, dai folti capelli corvini, aveva reagito, incoraggiata dalle parole della madre, muovendosi energicamente sul grembo della donna, emettendo tanti, insensati, striduli, versi, sorridendo candidamente al Senju che, non appena si era accomodato, aveva allungato le braccia in direzione dell'ex collega che le aveva passato, con cura, la bimba.
Tobirama aveva sollevato a mezz'aria la piccola, osservandola con attenzione, constatando che, dall'ultima volta che l'aveva vista e tenuta in braccio, era cresciuta parecchio.
La facciata dell'uomo serio e composto non crollava nemmeno dinanzi alla tenerezza della nipotina acquisita: di certo il Senju non era il tipo da versetti e smorfie, questi sciocchi comportamenti appartenevano al fratello Hashirama, molto più disinvolto e propenso al mettersi in ridicolo.
Kurenai aveva sorriso caldamente, osservando divertita l'uomo alle prese con la bambina.
Tobirama era estremamente orgoglioso, mancava di tatto ed era, spesso e volentieri, parecchio scontroso, ma aveva una cura e attenzione maniacale nell'interessarsi al bene delle persone a lui care e, seppur non comunicasse mai a parole, vergognoso, fermato dal suo ego, i suoi sentimenti, sapeva dimostrare genuino affetto a suo modo; bisognava solo imparare a conoscerlo e capirlo per rendersi conto di quanto, in realtà, dietro alla sua superficiale impassibilità, si celava una persona incredibilmente premurosa e protettiva.
Era, ormai, da quasi due anni che Kurenai aveva messo da parte la sua carriera da Pasticcera per occuparsi, a tempo pieno, della sua famiglia: lei e suo marito, Asuma, grande amico dei Senju, non chè direttore dell'Hotel Hokage, avevano deciso, in comun accordo, che quella era stata la scelta migliore per loro e la figlia.
Seppur a Kurenai mancasse il suo lavoro, era più che soddisfatta della sua nuova vita da moglie, madre e casalinga; anche se il rapporto di lavoro con i Senju era stato interrotto, la loro amicizia non era mutata, tutt'altro, da membro acquisito del Clan, aveva mantenuto un gran rapporto con tutti i suoi ex colleghi, specialmente con Tobirama.
''Ti ho portato un paio di idee per la carta nuova.'' Gli aveva detto, facendo scivolare la cartellina di plastica trasparente, con all'interno dei fogli, sul tavolino di legno chiaro; dallo spessore del dossier era evidente che, ciò che la ex Pasticcera gli aveva, gentilmente, portato, non erano solo degli spunti per dei nuovi dessert, bensì pagine di ricette dettagliatamente spiegate per facilitare la produzione dei dolci, il più possibile, allo Chef.
Kurenai non era più la Pasticcera della Locanda Senju, ma rimenava, comunque, la fidata aiutante e confidente di Tobirama, che di aiuto e consulenze aveva sempre bisogno, non solo in ambito della Patisserie.
''Grazie, Kurenai.'' Aveva sospirato, sollevato e grato, osservando distrattamente la rima di carta, di un intingente spessore, che la donna gli aveva messo davanti.
Le labbra tinte di un rosso rubino si erano tirate verso l'insù, in un sorriso affabile; conoscendo Tobirama, Kurenai si sarebbe aspettata, da parte di quell'uomo estremamente diligente e dedito al suo lavoro, un imminente, oppressivo, studio del materiale che gli aveva appena offerto, ma era chiaro che, oggi, la premurosa attenzione del Senju, fosse dedita altrove: gli occhi scarlatti erano fissi, senza riserbo, sulla ragazza seduta a qualche tavolo più in là del loro.
Kurenai aveva capito immediatamente che la ragazza con cui l'amico aveva scambiato quello sguardo d'intesa, camuffato da un cenno di saluto, doveva essere la rinomata (T/N), la Capo Partita che i Senju avevano assunto da poco, il presunto interesse di Tobirama.
''Ti piace?'' Gli aveva chiesto, discreta, puntando gli occhi mogano in direzione della (mora, bionda, rossa..) che si era, visibilmente, irrigidita, da quando l'uomo le era passato a fianco.
''Lavora bene e si è integrata subito nella brigata. I ragazzi sono contenti, va d'accordo con tutti.'' Tobirama non aveva colto alcuna malizia nella domanda che gli aveva posto Kurenai, tant'è che le aveva risposto prontamente, senza soffermarsi a interpretare ciò le aveva chiesto, esattamente, l'amica.
Non le aveva detto nulla di diverso da quello che le aveva ripetuto al telefono, più volte, quando si erano sentiti nei mesi addietro; il minore dei Senju era una persona estremamente enigmatica, per comprenderlo e poterlo decifrare, attenzione e dedizione, solo chi lo conosceva e ci aveva lavorato, a stretto contatto, per anni, era in grado di cogliere il vero significato dietro alle sue parole, al suo continuo ripetersi.
L'ex collega aveva intuito, da sè, che Tobirama nutrisse dell'interesse nei confronti della nuova arrivata, Hashirama e Kakashi avevano, poi, confermato la sua sensazione.
Sarà stata la maternità, sarà stato il sesto senso di donna, sarà stato, semplicemente, il buon senso, ma Kurenai non aveva avuto, per nulla, una buona sensazione riguardo del raggiro al quale la famiglia di Tobirama aveva preso parte a sua insaputa; il maggiore dei Senju aveva insistito nel sostenere la bugia, garantito l'appoggio di (T/N), Kakashi e, persino, di Kakuzu.
La Pasticcera mai si sarebbe aspettata dal taciturno uomo di prender parte complotto: il fedele mastino dei Senju, era, in assoluto, la persona a cui Tobirama era più legato, l'uomo teneva a Kakuzu ancor più di quanto volesse bene al fratello di sangue.
Quando Botsuma era venuto a mancare, il Sous Chef era divenuto la figura di riferimento per Tobirama, un padre, un fratello maggiore, oltre che un amico più che fidato.
Se il cauto Kakuzu aveva preso parte alla combutta, consapevole di rischiare di perdere la fiducia di Tobirama, voleva dire che, davvero, la situazione nel ristorante Senju doveva essere stata veramente precaria, altrimenti non si sarebbe spiegata la rivolta di quadra nei confronti dello Chef.
Tobirama non era stato in grado di superare la morte improvvisa del padre, l'isolamento forzato imposto dalla quarantena non aveva di certo aiutato l'introverso e solitario Senju ad affrontare il lutto; in quei mesi di solitudine, seppur non lo aveva ammesso, l'uomo aveva avuto bisogno della sua famiglia più di quanto si sarebbe mai aspettato.
L'orgoglio di Tobirama era stato, però, più forte del suo malessere e non aveva permesso a nessuno dei suoi familiari di stargli vicino, supportarlo da remoto, nei suoi momenti di sconforto.
Si era fatto forza come aveva potuto, si era aggrappato al solo sentimento che era rimasto immutato, che non si era assopito durante il suo periodo depressivo: la collera.
Caricatosi di aspettative e responsabilità, aveva fatta sua la causa del padre e dei suoi antenati Senju: eccellere in ambito culinario, distruggere professionalmente gli Uchiha, incombere sull'attività rivale, portando il ristorante di famiglia all'apice del successo.
Il regime e le imposizioni del nuovo aspirante Chef erano stati troppo pesanti e improvvisi per i colleghi, abituati a tutt'altro tipo di organizzazione e lavoro, tant'è che sin da subito c'erano stati problemi e discussioni riguardo alla dittatura zelante di Tobirama.
Incapace di placare il collerico fratello e le sue manie distruttive, Hashirama, impotente dinanzi alla furia del minore, si era fatto da parte, sconfitto, confidando nell'influenza che Kakuzu e il suo pugno di ferro avevano su Tobirama.
Effettivamente, Kakuzu, era stato in grado di mediare tra i due Senju e di correggere, in qualche modo, i comportamenti caustici del fratello minore, il quale aveva avuto solo bisogno di sentirsi sostenuto, appoggiato dai suoi familiari nel suo progetto che aveva come obiettivo l'evoluzione dell'attività di famiglia.
L'ambizione dell'ego di Tobirama si era mitigata per poco; quando Kurenai aveva dato le dimissioni per concentrarsi sulla sua famiglia, lo Chef si era ritrovato, di nuovo, caricato di altre aspettative e responsabilità, aveva ricominciato a essere poco lucido, alterato dalla preoccupazione di non raggiungere il suo obiettivo.
Questa volta la disciplina militare e il ferreo rigore di Kakuzu non erano stati abbastanza per tranquillizzare l'irrequieto e iracondo Senju ed era stato proprio durante l'ennesima lite durante il servizio serale, durante il quale erano volate pentole, piatti e mestoli per tutta la cucina, che il Sous Chef aveva rischiato di morire d'infarto causato dall'incessante stress al quale Tobirama lo aveva forzato per mesi.
Solo dopo aver rischiato di perdere il suo mentore, Tobirama, minacciato dal senso di colpa per aver attentato, involontariamente, con i suoi comportamenti sprezzanti, alla vita di Kakuzu, si era costretto a placare il suo ego e la sua sete di conquista.
Se Hashirama, Kakashi e Kakuzu si erano coalizzati, pur sapendo che con la loro scelta avrebbero messo a rischio, una volta per tutte, la stabilità emotiva e mentale di Tobirama e il rispetto e la fiducia che aveva nei loro confronti, voleva dire che, di nuovo, lo Chef aveva ceduto al suo alter-ego, contro cui nessuno dei tre aveva più intenzione di scontrarsi.
(T/N) era il capo espiatorio, una vittima sacrificale, l'ennesima perdita; Tobirama, prima o poi, sarebbe venuto a conoscenza della verità e, questa volta, l'orgoglio tracotante del Senju non avrebbe mostrato carità nei confronti di nessuno.
Kurenai aveva promesso ad Hashirama di non divulgare la verità al fratello minore, seppur lei fosse stata contraria al raggirare l'uomo, prevenendo gravi ripercussioni per tutta la famiglia Senju: nel momento in cui aveva scelto di tacere, aveva accettato la sua sorte, la stessa del resto dei suoi ex colleghi.
Tutti tenevano a Tobirama, lo rispettavano e lo comprendevano, eppure, nessuno aveva più prodezza di confrontarsi con lui e la sua ossessiva avversione ed eterna rivalità con gli Uchiha che, da anni, lo stava logorando, nutrendo il suo ego d'ira e ostilità nei confronti di chiunque non condividesse la sua stessa dottrina dell'odio.
''E tu ci vai d'accordo?'' Gli aveva, allora, domandato, una volta che il cameriere, che aveva preso il loro ordine, si era allontanato dal tavolo.
Kurenai avrebbe preferito che Hashirama l'avesse lasciata all'oscuro della situazione e non l'avesse obbligata a finirci in mezzo, rendendola attivamente partecipe nel suo piano d'azione mirato nei confronti del fratello minore; per un ingenuo sprovveduto, per nulla bravo a mentire, il maggiore aveva attuato un complesso espediente, forse fin troppo tortuoso da gestire, tant'è che, presto o tardi, il suo inghippo gli si sarebbe rivolto contro.
Il primogenito Senju era stato il primo a rendersi conto che Tobirama aveva del riguardo nei confronti di (T/N), ma non aveva osato mettere in imbarazzo il fratello, facendogli domande specifiche al riguardo, sapendo che, se l'avesse costretto a esporsi, il minore si sarebbe chiuso in sè stesso ancor più di quanto già non facesse.
Hashirama voleva che il fratello si facesse una vita al di fuori del ristorante, che, per quanto fosse importante, da quando l'avevano preso in gestione loro due, non aveva fatto altro che dividerli.
Tobirama era un uomo solitario, lo era sempre stato, ma da quando il padre era morto, sembrava essersi abbandonato alla solitudine: dal prediligere lo stare da solo, l'uomo era regredito all'isolamento forzato, alterazione estrema del star bene da sè.
Il barlume di speranza in Hashirama si era attizzato, quando il fratello aveva inaspettatamente manifestato dell'interesse in (T/N) al di fuori dell'ambito lavorativo: se Tobirama avesse trovato il coraggio e la cura di nutrire il suo interesse e instaurare un reale rapporto con la ragazza, forse, finalmente, avrebbe smesso di essere ossessionato dagli Uchiha e le dispute che c'erano state in passato tra le due famiglie rivali; la ragazza sarebbe potuta essere un'ottima distrazione e, soprattutto, una buona influenza.
(T/N) avrebbe potuto fare davvero al caso di Tobirama, non solo a livello lavorativo, ma anche personale; purtroppo il secondogenito, introverso e impacciato, quanto orgoglioso e meticoloso, aveva bisogno di essere spronato nel procedere all'avvicinarsi alla ragazza.
Hashirama sapeva di essere troppo diretto e disinvolto per esortare il minore senza che quest'ultimo si sentisse oppresso e prevalso dalla vergogna, per aiutarlo a smuoversi, bisognava essere accorti e premurosi nella scelta delle parole con cui tentarlo e a chi, se non Kurenai, una donna empatica e affabile, poteva essere affidato l'arduo compito di aiutare l'ex collega a uscire dal guscio?
Di nuovo, Kurenai aveva espresso la sua riluttanza nella riprovevole pensata del Senju a cui, un'altra volta, era stata costretta ad aderire, condizionata dalla positività di Hashirama, ormai convintosi di aver trovato il rimedio alla perpetua inquietudine del fratello minore.
''Parliamo poco e strettamente di lavoro.'' Tobirama aveva osservato le manine paffute di Mirai stringersi intorno alle sue dita tese, le quali le servivano da supporto per mantenere il suo traballante corpicino in equilibrio.
''Tra poco le scade il contratto, ma glielo vorrei rinnovare.'' Si era voltato in direzione di Kurenai, con un cipiglio in volto: le labbra erano tese leggermente verso il basso, in un broncio interrogativo, la fronte, come sempre, crucciata, gli gravava sugli affusolati occhi a mandorla.
Era dubbioso, incerto sul come procedere, non era sicuro che (T/N) fosse disposta a rimanere a Konoha, a lavorare per loro; non ci aveva mai un gran che parlato con la ragazza, ma aveva capito, era ben conscio del fatto che la (mora/bionda/rossa...) avesse delle ambizioni diverse dallo stanziarsi, trovare un posto di lavoro fisso.
Se Tobirama non avesse avuto l'attività di famiglia da mandare avanti, anche lui avrebbe fatto lo stesso, specialmente rammaricava di non aver mai sfruttato gli anni di gioventù per fare esperienze di lavoro diverse, lavorare in realtà totalmente differenti da quella di casa; se solo da ragazzo avesse avuto un po' più di audacia, invece di rimanere nell'ombra del padre, seguendo rigorosamente i suoi insegnamenti, probabilmente, ora come ora, la sua cultura culinaria sarebbe stata molto più ampia.
Il ristorante era una sua responsabilità e intendeva adempiere al suo compito diligentemente e, per farlo, aveva bisogno di circondarsi di persone che condividessero e supportassero la sua ambizione, persone su cui avrebbe sempre potuto contare e, non era sicuro, che (T/N) fosse coinvolta nella causa.
Il ristorante Senju, per (T/N), valeva come posto di lavoro, come poteva valerne un altro, non era emotivamente legata all'attività di famiglia, aveva passione per il suo lavoro, ma non aveva alcun tipo di interesse nell'ambiente lavorativo, era totalmente fredda, indifferente, dinanzi ai principi e valori dei Senju.
Tobirama non sapeva come e, soprattutto, se sarebbe riuscito a coinvolgere di più (T/N) per assicurare la sua permanenza; non gli era mai capitato di dover convincere qualcuno all'unirsi al Clan, chiunque si fosse unito alla loro famiglia l'aveva sempre fatto, piacevolmente, di propria iniziativa e non si era mai pentito della propria scelta, tanto di decidere di dedicare la propria vita negli interessi dei Senju.
Forse, il fatto che (T/N) non avesse interesse nell'unirsi all'affiatato gruppo, significava che non era conforme ai requisiti per entrare a far parte della famiglia.
Kurenai aveva sorriso tenuamente, sventolando con grazia, la mano a mezz'aria, in cenno di saluto, quando Rin, dipendente di suo marito Asuma, si era voltata in sua direzione, salutandola da lontano.
La Nohara era stata meno leggiadra nei movimenti, al contrario di Kurenai che aveva quietamente replicato l'ossequio animato della ragazza, la quale si era, giovialmente, sbracciata, per farsi notare.
Al contrario dell'estroversa e solare amica, (T/N), che si era girata, a sua volta, in direzione dei conoscenti, era rimasta seduta composta, rigida, palesemente infastidita dall'irruento ed eccessivo ostentarsi, per farsi notare, di Rin.
Non c'era da stupirsi che Tobirama fosse, in qualche modo, attratto dalla nuova arrivata e che, tutto sommato, seppur non ci fosse un gran dialogo, andassero d'accordo: (T/N) proprio come il minore dei Senju, era una persona estremamente composta e introversa, come, del resto, lo erano, a loro modo, Kakashi e Kakuzu, persone con cui l'uomo andava molto d'accordo proprio perchè gli assomigliavano caratterialmente.
La difficoltà di Tobirama di avvicinarsi a (T/N) stava proprio nella loro affinità caratteriale: nessuno dei due era propenso all'interazione, in più l'orgoglioso uomo, era estremamente timido e vergognoso; cresciuto nell'ombra dell'esuberante e prode Hashirama, il minore aveva sempre assunto la figura del fratello coscienzioso e prudente, pronto ad ammonire e placare lo stravagante entusiasmo del maggiore.
A Tobirama era sempre sembrato assurdo come suo fratello, con i suoi modi di fare immaturi e il suo senso dell'umorismo puerile, fosse riuscito, effettivamente, a sposarsi; il suo essere stupito del fatto che Hashirama fosse stato in grado di trovare una donna con cui mettere su famiglia non era da confondere con l'invidia: il secondogenito Senju non era invidioso in alcun modo del maggiore e della sua vita, la vita da uomo sposato con famiglia non faceva, di certo, per lui, più propenso all'ambito lavorativo che a quello familiare.
Ammirava nel fratello, anche se non lo avrebbe mai ammesso esplicitamente, la sua spontaneità e sicurezza, la sua positività; se Tobirama fosse stato dotato, quanto Hashirama, di tali qualità innate, avrebbe fatto molta meno fatica a relazionarsi ed esprimersi senza risultare, sempre, troppo rigido e imperturbabile o, come veniva grezzamente riconosciuto, stronzo.
Kurenai aveva flebilmente soffiato sul thè scuro, nell'intento attenuarne il calore della bevanda bollente; una fievole, effimera, nuvola di tiepida condensa aromatica si era dissolta verso l'alto.
''Prova a renderla più partecipe nelle decisioni... l'hai assunta perchè ha lavorato per vari rinominati ristoranti con diverse filosofie culinarie: chiedile consigli sul nuovo menù, se ha qualche idea per contribuire.'' L'unico modo efficace per spronare e convincere Tobirama ad avvicinarsi a (T/N) era quello di usare come fine il lavoro, confidando che una volta instaurata una base di rapporto, il resto sarebbe venuto da sè.
Ciò che, però, tutti stavano supponendo era che anche la ragazza fosse, effettivamente, interessata a Tobirama, certezza non garantita; tutti si erano convinti che tra i due ci fosse del celata intesa, ma, in realtà, nessuno ne era effettivamente certo, nemmeno i diretti interessati, estremamente diffidenti e riservati, parevano esserne sicuri e in grado di riconoscere l'interesse che avevano l'uno per l'altra.
Tobirama aveva continuato a guardare Kurenai perplesso e indeciso: il suo suggerimento non era stato abbastanza articolato per essere preso in reale considerazione.
Il Senju aveva bisogno di un concreto e ben pensato prospetto, uno efficace schema da seguire con cura e dedizione per raggiungere il desiderato fine.
Premette le labbra cremisi sul bordo della tazza di ceramica bianca, sottraendosi dal sorridere, dinanzi alla candida, quasi innocente, espressione confusa dipinta sul volto, solitamente imbronciato dalla rigorosa concentrazione, di Tobirama.
''Sei lo Chef... è compito tuo far sentire i tuoi collaboratori apprezzati, riconoscendo le capacità e competenze di ognuno di loro.'' Una delle più grandi qualità del Senju era proprio la sua capacità organizzativa, era molto arguto e attento e, seppur lui non credesse affatto di esserlo, era estremamente indulgente nella sua oggettività.
Kurenai gli aveva appena ricordato che i suoi sottoposti dipendevano da lui e dalle sue decisioni, la responsabilità della brigata era sua, ogni malessere, intoppo, problema, ma anche conquista, elogio, riconoscenza, derivavano dalle sue capacità gestionali e doti attributive: se Tobirama voleva che i suoi collaboratori fossero appagati dal proprio lavoro, doveva essere lui, il primo, a predisporre un ambiente favorevole alle doti di ognuno di loro.
Come aveva saputo riconoscere e sfruttare le capacità di Kakashi, Kakuzu e, persino, dell'irriverente e ingestibile, Hidan, per ottenere il rendimento e appagamento massimo da ognuno di loro, avrebbe dovuto trovare un modo per convincere (T/N) a rimanere, basandosi sul
far rendere al meglio la sua vasta cultura culinaria.
La tazzina del caffè aveva, instabile, traballato sul piattino di ceramica bianca: Mirai, incapace di stare ferma, aveva allungato le braccia tozze verso il bordo del tavolo, raggiungendo, con le minute mani paffute, il piccolo recipiente delicato che, per fortuna, vuoto, venne, prontamente, afferrato da Tobirama, prima che si ribaltasse e potesse ruzzolare a terra.
La bambina era piuttosto energica e intraprendente, era vispa ed espansiva, disinvolta e non si faceva, di certo, intimorire, nemmeno dal cupo zio: impavida, quando l'uomo l'aveva presa in braccio, tenendola saldamente contro il suo petto, per evitare altri possibili danni, Mirai, senza indugiare, gli aveva afferrato, stringendo tenacemente i pugni, una ciocca di capelli argentei, tirandoli con veemenza.
Tobirama aveva serrato la mascella e, a denti stretti, trattenendosi dall'inveire contro l' -ingenua- bambina, aveva cercato di liberarsi dall'oppressiva morsa delle cicciottelle dita della nipote.
Kurenai era venuta in aiuto al pover uomo, maltrattato da una neonata, tentando, inutilmente, di ammonire la figlia che, di rimando, come se avesse effettivamente capito le parole di rimprovero della madre, aveva iniziato a proclamare ad alta voce, stridendo versi senza senso, per nulla intenzionata a lasciare andare la presa sui capelli dello zio.
Per fortuna, dopo un breve, ma intenso, attimo di terrore, l'ex Pasticcera riuscì a distendere le dita della bimba, liberando dalle sue grinfie Tobirama, il quale ne uscì indenne, con tutti i capelli in testa.
Gli schiamazzi di Mirai avevano attirato l'attenzione, parecchi clienti si erano voltati in direzione delle urla, disturbati, osservando di sottecchi la tragicomica scena; (T/N), come il resto dei presenti, aveva assistito al dramma da lontano.
Di nuovo, i loro sguardi si incrociarono, per un breve, effimero, istante, in un accenno di saluto, prima che la ragazza, in piedi, indossata la giacca (C/P), si allontanasse dal campo visivo di Tobirama, diretta verso l'uscita del bar, seguita dall'amica che, di nuovo, si era sbracciata per salutare Kurenai.
''Prendetevi un caffè e discutete di lavoro, come stiamo facendo io e te ora.'' Kurenai era stata molto astuta nella scelta delle parole con le quali stava tentando Tobirama: non aveva alluso a un appuntamento, a incontro romantico, tantomeno gli aveva dato da intendere che il lavoro doveva essere una mera scusa per tentare di approcciarsi con (T/N), seppur, in realtà quello era il fine, l'obiettivo al quale, con calma, con i suoi tempi, il Senju avrebbe potuto pervenire.
La consulenza era stata essenziale ed efficace: Kurenai era riuscita nel suo intento di incoraggiare e indurre il Senju a rapportarsi con (T/N) con il fine di convincerla a continuare a far parte della brigata, divenendo l'ennesima figura portante della famiglia.
La farina del Diavolo va tutta in crusca; l'imbrogliato progetto di Hashirama, nel quale erano coinvolte, ormai, fin troppe persone, presto o tardi, si sarebbe ritorto contro di lui e i suoi complici e, soprattutto, nei confronti dell'ignaro Tobirama.
[21457 parole] - 10 Agosto 2024
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top