potremmo ritornare - epilogo

Settembre 2018

Ho passato tutto il giorno a ricordarti
Nella canzone che però non ascoltasti
Tanto lo so che con nessuno
Avrai più riso e piano come con me
E lo so io ma anche te
Quasi 30 anni per amarci proprio troppo
La vita senza avvisare poi ci piovve addosso
Ridigli in faccia al tempo quando passa
Per favore ricordiamoglielo al mondo
Chi eravamo e che potremmo ritornare

— Sono qui da un anno, probabilmente è altrove. Sono passati così tanti anni, Jenn. — Le dico e abbasso la testa, continuando a girare il cucchiaino nel cappuccino ormai semifreddo davanti a me.

Non so come siamo arrivate a questo punto, non so esattamente come siamo finite a parlare di lui, ma siamo da ore qui dentro e la mia coinquilina, seduta di fronte a me in questo piccolo bar, non ha voluto che omettessi nulla. Ha continuato a farmi domande su domande, e io dopo tanto tempo, dopo anni che non ne parlavo con nessuno nonostante continuassi a pensarlo, mi sono lasciata andare.

— È una grande città, forse non hai cercato bene, o forse lo eviti, non ci fai più tanto caso. — Dice Jenn saccentemente, scrollando le spalle e prendendo tra le mani la sua tazza.

— Non avrebbe senso cercarlo. E ha una persona, adesso.

— Quindi mi stai dicendo che non vorresti rivederlo? Che, se succedesse tu volteresti la faccia dall'altra parte? — Le domande di Jenn sono dirette, con nessun giro di parole, e io mi chiedo come sia riuscita a starmi dietro e come faccia ora a ragionare così lucidamente.

— No — sospiro, e mi porto una mano sul volto. In realtà ci ho pensato. Ci ho pensato tante volte anche prima di trasferirmi, prima di trovarmi qui, dove sapevo ci sarebbe stato lui. C'è sempre stato così tanto a dividerci anche quando eravamo insieme che mi sembra quasi impossibile che sia accaduto. Che io sia finita proprio qui, che mi avrebbero offerto un posto di lavoro a cui non avrei mai potuto rinunciare.

Passo la vita sperando mi capiscano
Amici e amori affini prima che finiscano
E ancora sempre e solo
Una strada, la stessa
Scelgo sempre la più lunga, la più complessa
Quindi perché mi scanso invece di scontrarti
E tu perché mi guardi se puoi reclamarmi

Ho pensato a cosa gli avrei detto se me lo fossi ritrovata davanti; ho pensato a come avrei reagito, a come sarebbe stato. Ho pensato al fatto che avrei potuto vederlo insieme a lei nei locali, nel treno che prendo ogni mattina, in una delle strade che percorro ogni giorno. Ma è passato un anno da quando sono qui, e non è mai successo.

— Non l'hai più rivisto dopo quell'estate?

Io scuoto la testa, tornando a guardarla. — Dopo quell'estate non è più venuto. L'ho sentito per un po', ci ho sperato anche l'anno dopo, e quello dopo ancora.

Rivedere quella stessa spiaggia e quello stesso mare ogni anno dopo di lui riusciva a farmi provare sempre le stesse sensazioni. Camminavo lungo quel viale da sola, mi fermavo davanti al piazzale dove c'era stato lui, e che poi era stato occupato da qualcuno altro. Qualcuno che poteva anche aver presto il suo posto lì, ma che non avrebbe mai potuto competere con il posto che continuava ad avere dentro di me.

Spesso, quando mi fermavo, le lacrime iniziavano a cadere senza motivo sul mio volto, senza avvisarmi e senza che io cercassi di fermarle. Ogni anno mi sforzavo di lasciar perdere, di lasciarmi andare a qualcos'altro, di vivermi quelle estati che forse un giorno avrei rimpianto, ma in quel posto c'era troppo per poter essere accantonato e dimenticato. E non parlo soltanto di lui, parlo del modo in cui io mi sono sentita durante quelle estati, del modo in cui mi sono comportata, delle persone con cui guardavo le stelle, quelle con cui ascoltavo il rumore del mare e quelle con cui restavo ad osservare l'alba e il tramonto.

Nessuno riusciva mai a capirmi. Nessuno riusciva a capire quanto fosse difficile fingere di non aver mai provato qualcosa di così grande e di così intenso, anche a distanza di anni.

Dovresti andare avanti, non pensi? Non puoi continuare a stare male in questo modo dopo così tanto tempo, era quello che mi dicevano quando provavo ad aprirmi, a parlare ancora di lui.
Per questo ho smesso, perché ne sono sempre stata consapevole; perché ho sempre saputo che tra noi non c'è stato niente di concreto, niente di razionale e niente di costruito. Io sono davvero andata avanti, dopo quell'estate e dopo quella successiva. Ma il suo ricordo l'ho sempre custodito con cura, insieme ai suoi sorrisi e alle parole che mi riservava. L'ho custodito perché non potevo farne a meno, ancora oggi non ci riesco. Credo che ci sarà sempre una parte di me che lo ricorderà nel modo in cui merita di essere ricordato.

Mi manchi veramente troppo troppo troppo ancora

— Non l'hai mai dimenticato, vero? — mi chiede Jenn, e il suo tono ora è più basso, la sua espressione è cambiata.

Io le sorrido, perché è impossibile non farlo. Ma si tratta di quel sorriso consapevole e da rimpianto al momento stesso, perché penso sempre agli attimi sprecati, a qualcosa che mi è sempre stato negato e che io, forse, desidero ancora.

— Come potrei dimenticarlo?

— Devi aver provato qualcosa di intenso per lui, da come ne parli e dal modo in cui i tuoi occhi sembrano animarsi quando lo fai. — Jenn mi sorride, e io faccio lo stesso.

— Sai, io non credo di esserne stata innamorata — comincio, con entrambe le mani intorno alla tazza. — Avevamo sedici anni e io dell'amore non ne sapevo niente. Tutto ciò che mi diceva, tutto quello che mi faceva provare quando eravamo insieme e anche quando eravamo distanti mi portava a pensare che quello potesse esserlo, perché prima non avevo mai sentito niente di simile per nessuno. E forse neanche dopo, ma il nostro è stato un amore diverso; un amore spontaneo, un volersi bene senza nessuna aspettativa, incondizionatamente nonostante tutto.

— Credi che se non aveste avuto la distanza a dividervi sareste ancora insieme, oggi?

Io abbasso lo sguardo, anche a questo ho pensato più volte. — Non lo so, probabilmente no. Però mi piace pensare di sì, mi piace pensare che ce l'avremmo fatta.

— Non ti fa stare male pensarlo?

— Prima di più. Fino a qualche anno fa lo rimpiangevo, qualche volta ho provato anche a scrivergli. In ogni mio momento di debolezza in lui cercavo un appiglio, qualcosa a cui aggrapparmi, perché sapevo che nonostante gli anni, nonostante tutto il tempo, lui mi avrebbe ascoltata e che mi avrebbe capita. Solo che mi sono sempre fermata un istante prima di ricaderci.

Dal modo in cui mi guarda Jenn mi rendo conto che sta provando a capirmi, che si sta fermando, che non vuole giudicarmi. Non so se abbia mai vissuto qualcosa del genere, non so se mi capisca davvero, ma la apprezzo per il modo in cui mi ha ascoltata.

— Se tu lo avessi la possibilità di rivederlo... — mi chiede, aspetta che io la guardi prima di continuare. — Cosa gli diresti?

Alla domanda di Jenn mi perdo, perché nonostante le volte io abbia immaginato di rivederlo, nonostante quello che io ho continuato scrivere su di lui in questi anni, ho bisogno di pensarci. E ne ho bisogno perché se avessi una sola, ultima possibilità di rivederlo, l'ultima cosa che vorrei sarebbe sprecarla, continuare a perdermi e non vivermela nel modo che meriterebbe di essere vissuta.

Poi, inizio a parlare e quasi neanche me ne rendo conto. — Probabilmente gli direi che mi è mancato e che a volte continua a mancarmi; gli chiederei se ha ancora le mie lettere, se le abbia mai rilette durante questi anni, se lui invece mi abbia dimenticata, se Kendra sappia di me, se lui gliene abbia mai parlato. Della nostra estate, degli sguardi, delle parole sussurrate, di quelle urlate e di quelle non dette; dei tramonti, delle sue mani intorno alla mia vita e poi tra i miei capelli, delle sue labbra sulla mia pelle, delle nostre canzoni, di quelle che mi dedicava.

Mentre ne parlo però, mi chiedo se sia davvero questo ciò che vorrei. Che lei, o qualsiasi altra persona, conosca tutti i nostri segreti, i nostri momenti, perché sono l'unica cosa che ci resta dell'altro, eppure io li ho intaccati tante volte, permettendo a chi mi stava vicino di conoscerlo, di venire a conoscenza di quasi ogni dettaglio.

Musica più forte,
Che sfidi la morte

— Gli chiederei se a volte mi abbia pensata, se abbia pensato a quei momenti, a quelle estati e a quanto eravamo felici; se ogni volta che gli capiti di ascoltare una canzone che mi ha dedicato, o che io ho dedicato a lui mi associ a quella liberamente, senza rimpianti e con il sorriso che amavo sul suo volto. — Mi fermo, perché Jenn sembra essere persa quasi quanto me, perché ho paura di annoiarla, di aver parlato fin troppo di me oggi, ma poi lei mi fa un segno, e io continuo. — Alla fine, gli chiederei se è felice, se è innamorato, se si sia reso conto di quanto ha da dare e se abbia trovato qualcuno che merita di averlo.

Le ultime parole le dico lentamente, quasi a voce bassa, e quando finisco, la mano di Jenn raggiunge la mia, mentre lei continua a guardarmi con gli occhi pieni della storia di qualcun altro, e della consapevolezza che nonostante tutto, sono stata fortunata ad avere la mia storia.

— Sono sicura che vi rivedrete, un giorno — dice, con ancora la mano sopra la mia. — Succederà perché entrambi ne avete bisogno, che sia oggi, domani, tra una settimana o tra cinque anni, voi avete bisogno della vostra fine, di quella che non avete mai avuto, perché credo che neanche lui ti abbia mai dimenticata.

Novembre 2018

Accarezza questa mia ferita
Che sfido la vita

Una musica nuova mi risuona nella mente, la ascolto più volte e faccio caso al testo; due persone perse, distanti, ma destinate a ritrovarsi. Qualcuno con un passato, con una storia da ricordare in ogni momento per quello che ti ha fatto provare, perché era giusta e lo è sempre stata; due persone separate da un destino che non sempre decidiamo noi, da qualcosa di troppo grande nonostante le aspettative e le speranze.

Sono parole che mi riportano inevitabilmente all'unica persona che io abbia voluto con ogni fibra di me stessa, corpo e anima. Alla persona che io aspetterei sempre, di cui non avrei necessariamente bisogno baci, amore, carezze: mi basterebbe la sua presenza, sapere che c'è, che sia con me. Mi sarebbe sempre bastato.

La nebbia leggera mi avvolge nonostante ci sia il sole alto in cielo, quando salgo le scale verso l'uscita della stazione. Cammino con le mani nascoste tra le tasche, un po' persa e un po' tra le nuvole, con ancora le parole di quella canzone che mi risuonano nella mente. Mi muovo quasi meccanicamente, tanto da non accorgermi della persona che sta uscendo dal piccolo bar a cui sono diretta anch'io, che mi travolge completamente e che mi permette di restare in piedi e di non scivolare, afferrandomi nonostante la colpa sia mia.

— Scusami, è stata colpa mia. Ero distratta e...— vengo interrotta da lui, che dice di non preoccuparmi, prima che io sollevi lievemente il volto e che lui sussurri il mio nome quasi come se gli mancasse il fiato. E poi manca anche a me, quando glielo sento ripetere e quando lo guardo.

— Harry — Sussurro, e non riesco più a controllare la mia mente, il mio corpo. Se fosse successo qualche anno fa probabilmente non avrei esitato ad abbracciarlo, a correre verso di lui e a chiedergli di restare e non andare più via. È un combattimento a fronte aperto e ho bisogno di assicurarmi che sia tutto vero, che stia davvero accadendo. Che lui sia davvero davanti a me di nuovo, dopo tutto questo tempo.

— Come stai? — mi chiede dopo qualche istante, e so che anche dentro di lui qualcosa sta combattendo, perché non siamo più i ragazzini che eravamo a sedici anni, ma non è neanche possibile reprimere completamente ciò che stiamo provando in questo momento. Perché per certe cose non importano gli anni, non importano i luoghi, non importano gli altri. Importano i momenti, e questo è uno di quelli.

— Me la cavo — rispondo, e ancora non mi sembra vero. L'ho desiderato così tanto e così tante volte, che non mi sembra vero. — Tu?

Harry abbassa per un istante lo sguardo e poi accenna un sorriso, i suoi occhi verdi sono sempre lì che mi guardano nello stesso modo in cui mi guardavano otto anni fa.

— Anch'io, sto bene — dice, poi si passa distrattamente una mano tra i capelli più corti di quanto li ricordassi. Indica il bar al nostro fianco: — Hai già fatto colazione?

Io scuoto la testa. — In realtà ci stavo andando ora, vengo qui quasi ogni mattina.

— Anch'io. — Replica, e conosco ogni parola della domanda che si sta ripetendo nella sua mente. Perché non ci siamo mai incontrati durante tutto questo tempo? Poi però si riprende, anche lui non vuole sprecare gli attimi che ci sono stati concessi, e che entrambi sappiamo, non siano infiniti, che non dureranno per sempre. — Allora, posso offrirtela io?

Io annuisco con un sorriso, Harry mi guarda ancora una volta prima di aprire la porta del locale per lasciarmi poi passare davanti a lui. Ci sistemiamo in un angolo in fondo, lontani dalle altre voci. È il tavolo successivo a quello in cui eravamo sedute io e Jenn la settimana scorsa e un paio di mesi fa, quando ci ritrovammo a parlare di lui.

— Ho preso soltanto un caffè veloce. — Dice Harry quando gli chiedo se lui abbia già mangiato, dato che ci siamo scontrati quando lui stava appena uscendo da qui.

Restiamo quasi in silenzio fino a quando un cameriere si presenta al nostro tavolo con le nostre ordinazioni.

— Da quanto sei qui?

— Mi sono trasferita poco più di un anno fa, lavoro come giornalista nel centro. — Prendo la tazza tra le mani per riscaldarle, poi la porto alle labbra.

— Sapevo che ce l'avresti fatta. — E quando lo dice mi sorprende, perché non pensavo se ne ricordasse. Io gli sorrido, e nonostante gli anni sento ancora qualcosa dentro quando mi guarda in quel modo. Mi è mancato. Mi è mancato tutto di lui, anche se ho sempre avuto poco. Ma quel poco, mi è mancato come se avessi avuto l'universo tra le mani e non avessi saputo custodirlo.

— Avril mi ha detto di averti incontrata, è tornata anche lei per qualche anno. — Annuisco, e ricordo la delusione di quando la vedevo e mi illudevo che ci fosse anche lui, che prima o poi sarebbe arrivato. Lui non è mai più tornato.

— Ci sono stata fino a qualche estate fa. È sempre stato strano dopo di voi.

Anche lui annuisce. — Eravamo un bel gruppo, stavamo bene.

— Eravamo felici. — Aggiungo, ma Harry abbassa lo sguardo sulla sua crostata e cambia argomento. A tratti mi sembra di essere tornata ad avere sedici anni.

— Sei da sola, qui?

Nonostante io sappia quello che in realtà mi sta chiedendo, gli rispondo: «No, vivo con un'altra ragazza. Lavoriamo insieme.»

— Tu, invece? Sei ancora con la tua famiglia?

Esita prima di rispondermi, e io ne capisco il motivo soltanto quando poi lo fa. — La mia famiglia si è trasferita più a nord, io sono rimasto qui. Vivo con la mia ragazza.

— È una cosa seria, allora. — Abbozzo un sorriso, ma la risposta la temo anche se so che tra noi non potrà mai esserci più niente.

— Sembra di sì. — Dice velocemente. — L'anno prossimo ci sposiamo.

È inutile negare che faccia male, perché il nonostante tutto non basta più. Un po' farà sempre male.

Da quel momento in poi la conversazione diventa quasi più vuota, si mantiene su una linea dritta, non scava nel profondo e io non sono sicura di esserne felice, non so cosa mi aspettassi.
Ho sempre pensato a quello che gli avrei detto se ci fossimo ritrovati, se me lo fossi ritrovato davanti, un giorno, e adesso che ce l'ho, adesso che è davanti a me, che mi guarda negli occhi e che mi sorride come se fossimo ancora davanti a quel mare, io non riesco a dirgli le parole e a porgergli le domande che in questi anni hanno continuato a ripetersi nella mia mente.
È solo quando entrambi ci alziamo e lui sfila il portafogli dalla tasca della giacca, che gli cade qualcosa che sembra sbloccarmi, che sembra sbloccare entrambi inevitabilmente.

Mi abbasso per raccoglierlo, ed è in quel momento che ogni singolo istante, ogni singola parola e ogni singola canzone mi passa davanti agli occhi e mi scuote in un brivido. Trattengo la metà del mio anello ancora un po' tra le dita, prima di alzarmi e di tenderlo verso di lui ancora una volta, esattamente come l'ultima in cui l'ho visto.

— Non riesco a credere che tu ce l'abbia ancora. — Dico senza più riuscire a trattenermi. — Che sia sempre con te, in qualche modo.

— Non sono mai riuscito a lasciarlo andare, anche se significava non lasciare andare neanche te, o il tuo ricordo.— Harry non mi guarda mentre lo dice, è lui a parlare ma nonostante il tempo, nonostante siamo tornati ad avere sedici anni durante quest'ora trascorsa insieme, la realtà è un'altra. Siamo sempre noi, ma siamo cambiati e tutto il resto intorno è mutato con noi, è inutile nasconderlo ancora.

Usciamo dal locale, camminiamo per un po' lungo il marciapiede trafficato.

— Hai ancora le mie lettere?

Questa volta lui lo sguardo lo solleva, i suoi occhi trovano i miei è quella per me è già una risposta. — Non ci hai dimenticati?

— Non ce l'ho mai fatta. Non ho dimenticato te, non ho dimenticato le tue parole, la tua fiducia, la tua speranza, la tua sincerità. Hai sempre visto la realtà e ciò che potevamo avere come qualcosa di possibile, come qualcosa per cui combattere, per cui ne valesse la pena. Solo che io me ne sono reso conto troppo tardi.— Si ferma, sospira, il modo in cui mi sta parlando è così intenso che sento le lacrime accumularsi ai lati degli occhi. — Mi sono reso conto che ci sarebbe bastato soltanto aspettare, che forse avremmo potuto farcela, se io non ti avessi lasciata a combattere da sola. O probabilmente no, le nostre strade si sarebbero comunque divise e non ci saremmo mai più incontrati, forse ci saremmo dimenticati se fosse accaduto tutto in un modo diverso; forse mi avresti odiato e io ne sarei stato felice, perché in questo modo avrei smesso di farti del male, di farti aspettare per qualcosa che non ti ho mai dato.

Le parole di Harry mi scavano dentro, fino a far riemergere tutto il dolore, le lacrime, le speranze e la fiducia che io riponevo in lui; i pomeriggi, le notti passate ad aspettare un suo messaggio, un suo segno, anche dopo tutto.

— Kendra lo sa? — gli domando, perché devo saperlo. Devo sapere se abbia mai detto a lei di ciò che potevamo avere, di ciò che potevamo essere.

— Sa quanto basta.— Dice. — Sa chi sei e chi sei stata, ma non sa di tutte le lettere, non sa di tutti i momenti e di tutti gli attimi. Sono sempre stato egoista su questo, perché non ho mai voluto condividerti con nessuno, perché il tuo ricordo è sempre stato tutto ciò che mi era rimasto di te.

— Però combattere per noi, combattere per me, sarebbe stato troppo per te, vero? Ti avrebbe distrutto anche soltanto provarci.— È qualcosa che dico senza risentimento, senza riuscire più a tenermi dentro ciò che avrei dovuto urlargli otto anni fa.

— Cosa avrei dovuto fare? Avevamo sedici anni, non avevo idea di come comportarmi. Mi piacevi davvero e ne ero spaventato, perché sapevo che non avrei potuto averti, non nel modo in cui avrei voluto.

Quando lo dice io quasi sorrido, perché lui è sempre stato così, e scoprire che neanche adesso sia cambiato sotto questo punto di vista non so se cambi la concezione che io ho sempre avuto di lui nonostante tutto; che dopo tutti questi anni lui ancora non abbia capito, che non se ne sia reso conto.

— Secondo te io come ci sono stata? Credi che non abbia distrutto anche me combattere per entrambi, nonostante sapessi ancora prima di provare qualcosa per te che la speranza sarebbe stata vana?

— Ho sbagliato io. — Dice dopo qualche istante, quasi come se si stesse arrendendo una seconda volta. — In ogni caso, in ogni cosa, ho sbagliato io. Non avrei mai dovuto permetterti di legarti a me, e io non avrei dovuto fare lo stesso con te. Non avrei dovuto appoggiarti, e tu non avresti dovuto scegliere me, perché non l'ho mai meritato. Non ti ho mai meritata.

Ma ora riesco a convincermi che non era e non è una realtà.Ripeto poi, come se quelle parole le avessi lette ieri, e non otto anni fa. — È quello che mi hai scritto in risposta alle mie lettere. Quello che mi hai scritto dopo che io ti avevo dato tutto, e che avrei continuato a darti se me l'avessi permesso. Pensi ancora che non lo sia stata e che non lo sia neanche oggi, neanche adesso?

Harry abbassa ancora una volta gli occhi, preme le labbra in una linea e poi sospira. — Ricordo quelle parole, e forse da un lato le pensavo davvero, solo che non riuscivo più a distinguere il giusto da ciò che volevo, da ciò che ritenevo meno doloroso.

— Sei stato un vigliacco, Harry. Ti sei sempre e solo arreso per paura, non sei mai stato disposto a combattere.

— Lo so. — Ammette, sollevando le spalle. Scosta lo sguardo da me, si passa una mano sul volto e poi torna a guardarmi. — Lo so perché ti ho cercata, anche se non volevo mai ammetterlo a me stesso. Cercavo qualcosa, quello che mi restava di te, in ogni ragazza che incontrassi. Cercavo un dettaglio del tuo volto, del tuo sorriso, del tuo corpo, per la paura di dimenticarlo. Per la paura di dimenticarti, di non riuscire più a ricordarti. Guardavo la tua foto e mi ripetevo che non avrei potuto fare niente, che era meglio così, per auto convincermi di essermi comportato bene con te.

— Non mi hai mai cercata per davvero se poi non mi hai più trovata. — Anche io l'ho cercato in chiunque incontrassi, ma neanche io ho mai trovato qualcuno che capace di riportarmi a lui. Qualcuno che mi riportasse in quella bolla ormai volata troppo in alto, soffiata via e forse distrutta dal tempo, in cui io riuscivo a trovarmi ogni volta con lui.

Harry mi guarda, poi l'angolo delle sue labbra si solleva, una fossetta si crea un'incisione sulla sua guancia. — Quello che continuo a non trovare in nessuna è la sincerità che hai sempre avuto tu. Hai sempre detto qualunque cosa ti partisse da dentro senza il timore di essere giudicata. Sei sempre stata te stessa, e io ti ho soltanto rovinata, rovinando anche le tue estati.

— Non hai rovinato niente, Harry. — Le emozioni che sento dopo tutte queste parole e avendolo davanti a me sembrano sopraffarmi, e sto lottando contro le lacrime, che minacciano pesanti di scivolare lungo il mio volto.

— Tu sei stato l'estate più bella di tutta la mia adolescenza, sei stato l'amore che ho sempre voluto, lo sguardo che ho sempre ricercato in chi mi stava intorno. Hai spezzato le mie speranze, il mio cuore tutte le volte che te l'ho esposto, ma mentirei se adesso ti dicessi che rimpiango ogni cosa, che cambierei tutto.

Ci siamo avvicinati entrambi, quella che ci divide è una distanza che fino a otto anni fa non avremmo esitato a rompere.

— Non vorresti indietro le lacrime, le parole non dette e l'amore che ho voluto toglierti nonostante ne provassi per te? — mi domanda ed è quasi come se lo sussurrasse, quasi come se tentasse di farsi odiare, per poter poi perdonare me stessa.

Una lacrima cade sul mio viso, lo percorre e io non cerco neanche di fermarla. Harry se ne accorge, muove una mano quasi per sollevarla, ma poi qualcosa lo blocca. Io scuoto la testa.

— Avevamo sedici anni, avrei fatto di tutto per tenerti con me. Mi sentivo invincibile.

— Lo eri.— Replica. — A me lo sei sempre sembrata. E ho dato per scontato i tuoi sentimenti, la possibilità che anche tu fossi distrutta da qualcosa che a sedici anni noi conoscevamo per la prima volta.

— Tu — inizio poi, — tu cambieresti qualcosa di quelle estati?

Harry sembra pensarci, mi guarda intensamente. — Sì, — risponde. — Qualcosa lo cambierei.

— Cosa?

Si avvicina ancora, i nostri piedi si toccano e le sue mani alla fine si muovono, arrivando fino al mio volto. Lo racchiude e continua a guardarmi, io continuo a non capire, a non comprenderlo e ad aspettare una sua risposta, con il cuore che batte nel mio petto nello stesso modo in cui batteva quando lo rividi l'estate successiva a quella in cui l'avevo conosciuto. Poi è anche il suo volto ad avvicinarsi, a cercarmi, a chiedermi qualcosa che non ha neanche bisogno di essere domandata, perché la risposta è la stessa da otto anni. Si avvicina ancora e i nostri nasi si sfiorano; succede tutto lentamente e le sue mani sono ancora sul mio volto, le mie sono sulle sue braccia e intorno al suo polso, fino a quando le sue labbra trovano le mie. Si trovano e si ritrovano, in un bacio che aspettavo dalla prima volta, dall'inizio di tutto, dalle parole sussurrate al mare davanti a noi a quelle urlate, a quelle non dette; alle carezze non date, alle speranze mai vane. Non riesco a quantificare quanto duri, perché a me sembra ogni secondo, ogni attimo e ogni movimento sembra infinto e troppo breve allo stesso tempo.

— Buon compleanno, Harry. — Gli sussurro con una mano ancora dietro il suo collo. Lui mi sorride consapevole, quel sorriso dolce e malinconico.

— Te ne sei sempre ricordata. — Dice, accarezzandomi il volto e prendendo alcune ciocche dei miei capelli tra le dita. Me ne sono sempre ricordata.

Poi ci abbracciamo, ci abbracciamo stretti e ci teniamo come se fossimo l'una l'ancora di salvezza dell'altro. Ci abbracciamo come non abbiamo mai fatto e come abbiamo sempre fatto: con tutto ciò che abbiamo, con le consapevolezze e con gli anni trascorsi con una piccola parte di noi che ha sempre continuato ad aspettare l'altro. Ci abbracciamo come se fosse davvero l'ultima volta.

Ci allontaniamo piano, con la nostra bolla trasparente, più spessa che mai e pronta a frantumarsi completamente intorno a noi. E so che entrambi non ci sentiremo in colpa, che se anche Kendra sapesse ogni cosa forse potrebbe capire; che forse potrebbe comprendere che doveva accadere. Che una nostalgia così intensa per qualcosa di mai posseduto andava ricompensata.

Nessuno dei due dice qualcosa, perché non ce n'è bisogno. Ci siamo detti ogni cosa, e va bene così. Ci guardiamo, impariamo a studiarci ancora una volta per poter ricostruire un ricordo da custodire per sempre, ma questa volta sarà senza rimpianti. 

Mi sono chiesta così tante volte, per così tanto tempo cosa avrei provato e cosa ci saremmo detti il giorno che ci fossimo ritrovati, così, per caso o per destino. Mi sono chiesta quali sarebbero state le parole giuste, se gli anni trascorsi avrebbero influito e cambiato quelli che eravamo. Me lo sono chiesta ma non ho mai pensato alla possibilità di lasciar andare tutto, di lasciar andare me stessa e di vivermi il momento nel modo in cui si sarebbe poi presentato fino al momento in cui non è successo.

— Potresti venire al matrimonio, se ne avrai voglia. Puoi portare qualcuno con te.— Propone, con la voce incerta e come se non ci avesse pensato troppo prima di dirlo ad alta voce.

Io annuisco. — Ti farò arrivare l'invito con l'indirizzo e la data della cerimonia.

— Va bene.— Dico con un sorriso, anche se entrambi sappiamo che non succederà. Non andrò al suo matrimonio, non lo guarderò sposarsi con una donna che in molti momenti della mia vita ho sognato potessi essere io. Non andrò al suo matrimonio per cominciare qualcosa che potrebbe rovinare la vita di entrambi, se possiamo avere ciò che abbiamo da custodire, e se possiamo farcelo bastare. Perché per quanto lo voglia, per quanto io possa volere lui, non sono così e non lo sono mai stata.

Mi saluta sussurrando il mio nome per l'ultima volta, come se mi stesse guardando per la prima.

— Ciao, Harry. — Faccio lo stesso, vedendo davanti a me lo stesso ragazzo di sedici anni che riesce a farmi battere il cuore soltanto guardandomi. Poi però mi volto, lo faccio per prima perché anche dopo oggi, anche dopo le nostre parole, io continuo a dover essere più coraggiosa di lui per riuscire a salvaguardare entrambi.

Ed entrambi sapevamo che questo è stato soltanto un addio, un punto per una fine che in fondo, cercavamo per poter andare a capo e ricominciare senza guardarci indietro. Perché in un futuro, tra altri otto, dieci, vent'anni, potremmo ancora ritrovarci, e potremmo poi urlare in faccia alla vita quanto eravamo belli, e di aspettare ancora, di aspettare sempre, perché potremmo ritornare, ma quel giorno non è oggi.

La vita senza avvisare poi ci piovve addosso
Diglielo in faccia a voce alta di ricordare
Quanto eravamo belli e di aspettare
Perché potremmo ritornare

F i n e

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