𝐗𝐗𝐕𝐈𝐈𝐈. 𝐄𝐟𝐟𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐥𝐥𝐚𝐭𝐞𝐫𝐚𝐥𝐞
I don't wanna talk right now
I just wanna watch TV
I'll stay in the pool and drown
So I don't have to watch you leave
I put on Survivor just to watch somebody suffer
Maybe I should get some sleep
Sinking in the sofa while they all betray each other
What's the point of anything?
All of my friends are missing again
That's what happens when you fall in love
You don't have the time, you leave them all behind
You tell yourself it's fine, you're just in love
Don't know where you are right now
Did you see me on TV?
I'll try not to starve myself
Just because you're mad at me
And I'll be in denial for at least a little while
What about the plans we made?
The internet's gone wild watching movie stars on trial
While they're overturning Roe v. Wade
Now all of my friends are missing again
'Cause that's what happens when you fall in love
You don't have the time, you leave them all behind
And you tell yourself it's fine, you're just in love
And I don't get along with anyone
Maybe I'm the problem
Aveva lasciato Hercule a riposare. Dopo aver raccattato i propri vestiti, si era chiuso nel bagno per una doccia veloce. Voleva fare tutto prima del suo risveglio, anche perché non aveva intenzione di correre gli stessi rischi del giorno precedente: se li avessero attaccati e avessero fatto del male ad Hercule, non sarebbe mai riuscito a perdonarselo. Anche perché era abbastanza idiota da volersi mettere in mezzo e mettersi in pericolo.
Sbuffò piano, lasciando che l'acqua rilassasse i muscoli.
Quando uscì dalla doccia, iniziò a rivestirsi, evitando accuratamente di specchiarsi: non riusciva ancora a sopportare il peso delle nuove ustioni. Avevano aperto nuove cicatrici, nuovi orrori sul passato, che non riusciva più ad esplorare e ad affrontare.
Allo stesso tempo non aveva il coraggio di fissare il proprio riflesso allo specchio: ormai non faceva che intravedere il volto di Perez al suo posto. Stava cercando di nascondere in ogni modo quel dolore, la sola idea di somigliargli gli dava la nausea. Si massaggiò nervosamente la barba, ancora poco folta. Non ne era mai stato un grande appassionato, ma sentiva fosse necessaria per vedersi diverso. I ricordi del suo passato tornavano sempre ad affogarlo ogni notte, a volte sembravano aleggiare nella stanza come vecchi fantasmi, fantasmi della casa abbandonata della sua mente.
Una volta pronto, uscì dal bagno e si passò una mano tra i capelli. Fissò Hercule ancora nascosto tra le coperte. Riusciva a trasmettergli tranquillità anche senza parlare o guardarlo. Percorse il suo profilo e sospirò frustrato. Non credeva di meritare quei piccoli scorci di vita normale. Ricordava bene come marcisse ogni cosa che toccava. Riusciva ad inquinare anche gli animi migliori, quelli più gentili. Aveva ancora la sensazione di avere il suo profumo incastrato nella pelle, sentiva di non meritarlo, come se su di lui potesse sfumare all'improvviso. Non meritava Hercule, né la sua bontà. Lo sapeva bene. Continuava a ripeterselo, come un mantra, un'antica filastrocca da fissare ben in mente.
Non aveva idea di cosa stesse facendo delle loro vite, ma era certo che lasciando che Hercule restasse al suo fianco, sarebbe riuscito a rovinargli l'esistenza.
Prese il cappotto, insieme alle armi. Si aggiustò meglio i capelli allo specchio, evitando di incrociare il suo stesso sguardo.
Prima di uscire, strappò un foglio di carta da una piccola agenda e iniziò a scriverci sopra.
Atlas ricordava anche come lo punissero quando scriveva con la sinistra, perché mancino. L'unico aspetto positivo era che adesso riusciva ad usare entrambe le mani con la stessa autonomia.
Si aggrappava di prepotenza a qualcosa che potesse avere dei risultati positivi, per allontanare la mente dai ricordi.
Buongiorno dottore,
non so come si scriva una dannata lettera, se ti interessa saperlo. Però hanno ancora il loro fascino, effettivamente. Chiaramente sto perdendo il senso del discorso e sto sviando la tua attenzione per farti perdere ulteriore tempo.
Preferisco fare tutto questo da solo, non vorrei dover cercare di proteggerti, perché non credo tu sia capace di difenderti abbastanza bene dalle pallottole, io ci sono abituato invece.
Non dare di matto, conservati per quando tornerò, sarà più divertente.
Ci vediamo al mio ritorno.
Se proprio ti annoi, ci sono le parole crociate o alla televisione danno alcuni programmi demenziali che potrebbero tenere distratta la tua mente.
Prometto di procurarti qualche cadavere per quando torneremo in città.
Adesso concludo perché non so che cazzo scrivere.
Nel caso non aspettarmi sveglio.
-Atlas, anche perché chi cazzo dovrebbe essere?
Atlas sbuffò piano e uscì dalla camera. Indossò un cappello, coprendosi un po' lo sguardo. Si incamminò a piedi fino alla Chiesa. L'aria era fredda, pungente. Sembrava congelasse le ossa e l'animo. Forse percepiva ancora di più quel gelo, perché aveva permesso a un po' di calore di riscaldare la sua vita. Eppure, non poteva far a meno di domandarsi se avrebbe mandato tutto all'aria. A volte aveva la sensazione di star arrancando come un vecchio stanco degli anni trascorsi. Tutto avrebbe preso fuoco con lui, come nella stessa esplosione in cui era morto suo padre. Era cresciuto con la sicurezza che nulla gli era dovuto, né l'amore, né la famiglia, né degli amici.
Ed era d'accordo, in fondo. Non sarebbe cambiato, la violenza e la rabbia facevano parte di lui, erano la sua grande arte.
Pittore delle stragi e del sangue.
Senza non sarebbe stato se stesso, ne aveva bisogno, se ne nutriva, come un cacciatore affamato o un vampiro assetato di sangue.
Ancora una volta i suoi pensieri lo affogavano, gli toglievano l'aria e gli facevano male. Sentì le campane in lontananza e rabbrividì. Non si era reso conto del tempo trascorso a camminare. Si ritrovava davanti a quella Chiesa che aveva rappresentato per anni un luogo di torture e preghiere dolorose e piagnucolanti.
Prese un forte respiro. Teneva le mani all'interno delle tasche del cappotto. Seguiva i pilastri, le finestrelle di mosaici che illuminavano l'interno di tantissimi colori, quasi come un arcobaleno.
Almeno era arrivato per la conclusione della Messa. Attese che tutti i credenti uscissero.
Aveva intenzione di intrufolarsi all'interno, legare il prete a una sedia, chiuso in uno sgabuzzino. Poi avrebbe iniziato a perlustrare ovunque, alla ricerca di tracce o indizi che potessero portarlo a Perez.
Indossò degli occhiali da sole -e si sentì quasi un idiota quanto quella povera anima di Lidnsay- e alzò la sciarpa fin sopra al naso. Nel caso il prete non fosse coinvolto in quegli affari -sebbene ne dubitasse-, avrebbe potuto riconoscerlo e denunciarlo alla polizia.
Si maledì per non aver portato con sé il costume, ma era troppo appariscente in pieno giorno.
Fece il giro attorno alla struttura e forzò la piccola porta di legno, che permetteva l'accesso dal retro. Rabbrividì guardando alle proprie spalle. Il cimitero di quel posto gli aveva sempre messo una particolare tristezza addosso. Non era mai andato a trovare sua madre. Nemmeno una volta si era seduto vicino alla sua lapide. Si era sempre incolpato della sua morte e non poteva sopportare il peso di sapersi vivo, mentre la persona più buona e amorevole, che avesse mai amato, era sotto terra.
Spinse con una spallata la porta, un po' incastrata e si guardò attorno.
«Chi va là?»
Sentì la voce del parroco, rauca e spaventata. Si poggiò dietro una porta, attendendo che la aprisse. Non appena lo vide varcare l'ingresso di quella piccola sala, lo assalì alle spalle. Gli portò alla bocca un fazzoletto intriso di un'essenza soporifera -da lui stessa prodotta-, soffocandolo, per fargli perdere i sensi. Era anziano, non abbastanza forte per ribellarsi alla sua ferocia. Si muoveva come un pesce fuor d'acqua e Atlas lo maledì.
Perché dovevano rendere sempre le cose così complicate? Sentì il suo corpo essere percorso da un fremito e perse i sensi. Lo lasciò accasciarsi a terra. Prese alcuni lacci di plastica, che portava sempre con sé e lo legò a un pilastro.
«Amen.» Bofonchiò soddisfatto. Abbandonò quella piccola sala, fino a portarsi nella stanza del prete stesso. Si guardò intorno. Osservò gli scaffali disordinati, pieni zeppi di libri.
Accarezzò la scrivania di legno, ancora impolverata. Ricordava bene quando si sedeva lì, in attesa che Perez prendesse tutti gli attrezzi necessari.
Ricordò di una botola, sotto la scrivania. Si spostò di scatto e prese a fissarla. «Mi sa che il dottore questa sera mi dovrà un massaggio alla schiena.» Iniziò a spingere quella pesante scrivania di quercia. Era sempre stato un corpo ben allenato il suo, fin dai tempi in cui era un semplice soldato. Da quando era diventato sicario, e doveva avere diverse abilità, si era allenato ancor più duramente. Nonostante tutto, però, avrebbe gradito un aiutino per spostare quella cosa così pesante. Sbuffò scocciato, mentre si muoveva di qualche centimetro. «Prima o poi mi verrà un'ernia.» Si asciugò il sudore sulla fronte con la manica del maglione.
Sentì un cigolio provenire dalla sala, dove aveva legato il prete come un salame. D'istinto portò una mano in una tasca interna del cappotto, sfilando la propria amata pistola. Aggrottò la fronte, impugnandola con decisione. Si acquattò dietro la scrivania, come a ripararsi e attese un istante.
Vide entrare Shayla, con un'arma alzata.
Si paralizzò.
Cosa c'entrava lei in tutta quella storia?
Si affacciò ancora un po'.
La donna lo individuò e sparò. Riuscì a ripararsi giusto in tempo. «Dai Spector, esci da lì. Non ti facevo così codardo, pur essendo un libraio.»
Si pentì amaramente di non averle mai detto di avere lo stesso nome di un chihuahua. Si alzò e sparò, abbassandosi subito dopo. Lo sparo si infranse in una vetrina, contenente diversi crocifissi. «Mancata.»
«Il prossimo non lo sbaglio, stai tranquilla.»
«Shayla! Ferma!» Sentì la voce di Hercule irrompere.
Non aveva pensato a quanto fosse idiota e che probabilmente l'avrebbe seguito. Forse doveva chiuderlo a chiave in stanza, segregarlo.
«Dottore va' via. Ci penso io a questa psicopatica, col nome di un cane.» Doveva dirlo, era più forte di lui. Aveva aspettato troppo tempo in silenzio.
«Posate le armi!» Hercule batté un piede a terra. Si avvicinò a Shayla. Atlas era di poco affacciato. Aggrottò la fronte. Lo vide mentre le prendeva la mano, costringendola ad abbassare il braccio e la pistola.
«Cosa cazzo mi sono perso qui?»
«Shayla è la mamma di Heaven e la mia ex moglie. All'inizio doveva lei tenerti d'occhio, poi son cambiate le carte in tavola.»
Atlas imprecò. Bestemmiò nervosamente in spagnolo e uscì allo scoperto. Teneva la pistola ancora puntata verso la donna. Shayla si innervosì e puntò di nuovo su di lui. Aveva fegato, questo doveva ammetterlo.
«Eh no, bellezza! Abbassa la pistola o ti sparo nel cranio.» Isak comparve alle loro spalle, con Ida al suo fianco. «Sul serio, ancora non mi hanno lasciato nessuno da far male e stai decisamente scalando le classifiche.»
«Ora al mio tre abbasseremo tutti le armi», Ida prese a parlare. Il suo sguardo era serio. A volte sembrava Bendik. Atlas sorrise ripensando all'amico, se fosse stato lì probabilmente avrebbe avuto un esaurimento nervoso, nell'invano tentativo di tenere tutti buoni. «Uno-» Li guardava tesa. Atlas serrò la mandibola. «Due-» Sfidò con lo sguardo Sheyla. Poi incrociò quello implorante di Hercule. Col cazzo che avrebbero scopato quella sera, c'era un'ennesima storia di cui non era ancora al corrente. Storse il naso. Sapeva di essere anche incoerente. «Tre.»
Tutti abbassarono le armi, Isak fu l'ultimo. Gli si avvicinò e gli diede una pacca sulla spalla. «Stai bene?»
Atlas annuì, lo osservò con attenzione. Isak sembrava preoccupato, aveva quel solito cipiglio pensieroso, la fronte aggrottata in un'espressione tesa, come quando c'era bisogno di prendere decisioni importanti. «Come avete fatto a sapere fossi qui?»
Hercule tossicchiò in imbarazzo, si grattò la nuca. Atlas si sentiva un completo idiota a trovarlo carino anche in quel momento. Se fossero stati soli probabilmente la situazione avrebbe preso una piega diversa. Tornò a concentrarsi, dopo aver scosso il capo. «Ieri li ho avvisati per messaggio, non mi andava nom fossimo coperti... E poi sapevo saresti venuto qui oggi.»
«Abbiamo preso la camera di fronte alla vostra.» Isak gli ammiccò complice. «Felice non sia quella accanto, suppongo le pareti siano sottili-»
Atlas sparò al soffitto, guardandolo male. Tutti sussultarono a quella reazione. Sorrise soddisfatto, incrociando i loro sguardi terrorizzati. «E che cazzo-» Isak si portò una mano all'orecchio, «datti una calmata.»
«Ora possiamo far parlare la signora chihuahua?» Atlas parlò nervoso, latrò quasi quelle parole, guardando infastidito tutti loro.
Sheyla gli riservò un'occhiata truce. «Adesso gli sparo.»
Hercule si parò davanti e scosse il capo. Atlas sorrise divertito, anche se ripensandoci era decisamente meglio non averlo portato con sé, si sarebbe preso una pallottola per lui senza rimorso. «Perché sei qui? Sai dov'è Perez?» Il medico aggrottò la fronte.
Shayla sbuffò e roteò gli occhi al cielo. «Non solo per lui. Anche per il signor Keyles, il padre di Paul.» Guardò male Atlas. «È certo sia stato Mr Knight e sappiamo chi è, no?»
Hercule si voltò a guardarlo. «Sei davvero stato tu?»
Sorrise appena. «Sei davvero un adorabile ingenuo se l'idea della mia innocenza ti ha mai sfiorato.» Atlas gli turò una guancia, mentre Hercule gli riservava un'occhiataccia.
«Aveva ucciso e violentato Lindsay. Era il minimo. E lo rifarei. Ancora, ancora e ancora.» Sbuffò scocciato. Corrugò la fronte. Nel silenzio generale in cui erano caduti, sentiva di dover esprimere il proprio pensiero, ormai era da tempo che lo teneva dentro. «Certo che hai un nome strano-»
Tutti lo guardarono male. «Oh non mi pare che il tuo sia così classico... e nemmeno quello di Hercule.»
«Oh, ecco. Ora che ci troviamo potrei sapere perché mi ometti sempre tante cose, dottore?» Atlas assottigliò lo sguardo. «È la tua ex moglie quella che voleva piantarmi una pallottola in testa. Hai avvisato i miei amici alle mie spalle... devo continuare?»
Hercule era confuso. Si portò una mano al capo e sbuffò piano. Odiava quello sguardo da cane bastonato. «È mia amica da molto. Aveva debiti con chi le ha permesso di arrivare in Francia, tra cui Perez, a cui i suoi l'avevano venduta quando era una ragazzina...» Atlas deglutì. Erano tutti loro delle anime devastate. «Così l'ho sposata per farle la cittadinanza e ho adottato sua figlia.» Scrollò le spalle. «Avrei voluto dirtelo prima, ma non c'è stato abbastanza tempo e avevo paura di rovinare quel poco che stava nascendo-» Si grattò la nuca in imbarazzo.
Peccato ci fossero troppi spettatori per fare un commento malizioso e farlo arrossire ancora di più. Fece schioccare il collo. «Questo non risolve i problemi, lei vuole la testa di Atlas.» Isak li interruppe, con rabbia.
«E noi non glielo permetteremo, ovviamente.» Ida gli si avvicinò. Iniziò ad osservare i suoi amici e avrebbe voluto dire che forse non meritava tanta fedeltà da parte loro. Per anni si era sentito un emarginato sociale, un ratto di fogna, e alla fine aveva trovato una famiglia, simile a lui su certi aspetti. Avevano provato a insegnargli il minimo delle norme sociali. Aveva iniziato ad adattarsi alla vita normale per colpa loro.
«Quanti debiti hai?» Hercule sembrava disperato e sull'orlo di una crisi di nervi.
Sheyla deglutì. «Molti... e c'è una cosa che non vi ho ancora detto.»
Hercule impallidì, avvicinandosi ad Atlas. Avrebbe voluto abbracciarlo, fare qualcosa che potesse essere davvero utile, per fargli sentire la sua vicinanza, ma ne era incapace. Si irrigidì soltanto di più, ma non si allontanò, non l'avrebbe mai fatto. «Cosa succede?» Il tono di voce del medico era esitante, tremolante.
«Hanno preso lei...Heaven... Perez l'ha presa insieme a Keyles. Se darò loro Atlas, azzereranno i miei debiti e mi ridaranno nostra figlia.»
Un silenzio tombale calò sulle loro teste. Atlas capì che quel viaggio fosse stato un buco nell'acqua. Non c'era nessuno lì, Perez non era lì e lo tenevano in pugno.
Angolino
Buon anno🎆💕
Ci sentiamo nel fine settimana, ci avviciniamo anche al finale ormai.
Mi dispiace dover salutare i ragazzi, sono stati la mia ancora di salvezza per tanto tempo, ma non temete perché il loro universo è vasto e non ho intenzione di abbandonarli, anche a rischio di dovervi annoiare.
"Purtroppo" Atlas è entrato nella mia vita in un momento particolare e non riesco ad abbandonarlo, a lasciarlo. È parte di me e lo sarà sempre e sento che ha ancora qualcosa da dire.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e alla prossima.
Ps. Non dimenticate una stellina, a volte rappresenta tanto per noi autori.
Pps. Sentitevi sempre liberi di commentare❤️
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