𝐗𝐗𝐕𝐈. 𝐑𝐞𝐜𝐮𝐩𝐞𝐫𝐨
Eracle, nato da Alcmena regina di Tebe e da Zeus, è il più forte degli eroi. Per essere accolto nell'Olimpo deve compiere dodici grandi imprese, "le fatiche di Eracle", che Euristeo, re di Micene, gli indica di volta in volta. Questa è la dodicesima.
Al di là dei limiti del mondo c'era un giardino incantato, dove cresceva un melo dai frutti d'oro, dono di nozze per Era, la regina degli dei.
il giardino era quello delle Esperidi, le bellissime figlie di Atlante e di Espero, la stella della sera, e a guardia dei preziosi frutti era posto un drago dalle cento teste, Ladone.
"Voglio quei pomi!", ordinò il re di Micene, convinto che questa volta Eracle non ce l'avrebbe fatta. Bisogna sapere, infatti, che Euristeo fremeva di rabbia ogni volta che Eracle rientrava vittorioso dalle sue imprese.
L'eroe per prima cosa dovette informarsi sulla strada da prendere, conosciuta solamente da Nereo, un dio marino. Ma quello dapprima cercò di eludere le domande, poi si finse scandalizzato : "Come, tu, nato da una donna mortale, vuoi entrare nel sacro giardino delle Esperidi? Non è possibile". Infine assunse svariate forme per spaventarlo. Diventò in rapida successione un drago, un leone, poi un serpente, e tentò pure con una grande vampata di fuoco. Eracle, reduce da undici immani fatiche, una più dura dell'altra, non era il tipo da scoraggiarsi tanto facilmente. Sollevò di peso Nereo che, convinto dalla sua aria minacciosa, gli indicò la strada, aggiungendo un consiglio "Ammesso, che tu riesca a liberarti di quel drago, non raccogliere i pomi fatati con le tue mani, o te ne pentirai". Eracle riprese il cammino fino a incontrare, là dove tramonta il sole, Atlante, un gigante condannato a reggere sulle possenti spalle la volta del cielo, per essersi ribellato a Zeus.
Eracle pensò di mandare lui a cogliere i frutti sacri, sia perché essendo altissimo, avrebbe scavalcato facilmente il recinto, sia perché era il padre delle Esperidi, custodi del giardino.
"Non posso aiutarti", rispose Atlante.
"Devo reggere il peso del cielo, guai se lo lasciassi andare! E poi c'è quel terribile drago, Ladone, che non mi lascerebbe passare".
Eracle sistemò subito il drago, uccidendolo con una freccia, poi promise ad Atlante di prendere sulle proprie spalle la volta del cielo, mentre lui prendeva i pomi...
Ben contento di liberarsi dell'enorme peso, Atlante gli posò il cielo sulle spalle e poco dopo tornò con tre pomi d'oro. "lascia che li porti io a Euristeo", disse. Ma l'eroe capì che il gigante non sarebbe più tornato, lasciandolo lì per sempre.
Finse di accettare, dicendo ; "Riprenditi il cielo solo per un attimo, mentre mi metto sulle spalle un cuscino....non sono forte come te e mi occorre, per reggere il peso più agevolmente..."
Atlante cadde nel tranello. Quando si fu ripreso il cielo, Eracle afferrò i tre pomi e fuggì di corsa.
«Buongiorno fiorellino, vuoi del caffè?»
Atlas aveva dimenticato quanto potesse essere vendicativo Isak. Per anni, quando lavoravano insieme, l'aveva chiamato così, adesso aveva trovato l'occasione giusta per ricambiargli il favore. «Sta' zitto, Isak.» Si accucciò nelle coperte. Era stanco, doveva ammetterlo. Erano successe troppe cose fino a quel momento. Fino a qualche ora prima aveva cercato di spararsi un colpo in testa, poi i suoi amici l'avevano fermato.
Insieme ad Hercule.
Era confuso. Non era mai stato una persona incline al perdono, eppure gli aveva salvato la vita, dopo averlo consegnato al suo aguzzino. Non voleva pensarci, si sarebbe nascosto per un po' nel proprio rancore, rotolandosi nelle coperte calde e ignorando i dolori sparsi per tutta la schiena. Ancora gli bruciava.
Sentì il rumore dei tacchi avvicinarsi. A volte non riusciva a spiegarsi come Ida potesse sopportare i trampoli anche in casa. Si era spalmato nel letto a pancia in giù, tenendo il capo affondato nel cuscino. La sentì sedersi al suo fianco. Gli accarezzò i capelli ricci. Normalmente le avrebbe urlato contro di lasciarlo stare, avrebbero discusso e litigato come loro solito. Eppure, era sua amica e glielo lasciò fare. Era come se fossero consapevoli di potersi attaccare solo fra loro, nessun altro avrebbe dovuto toccarli. «Come ti senti?»
Scosse il capo. «Alla grande. Mi sono sentito un po' come Giovanna d'Arco. Mi sembra che un tir mi sia passato addosso più volte.» Sbuffò stanco. «Ma, ehi, sto alla grande.» Prese fiato. «Mai stato meglio.»
Ida sospirò sconfitta. La vide alzare lo sguardo in direzione di Isak. Si chiese se anche Hercule fosse lì o se ne fosse tornato a casa con la coda fra le gambe. Un po' aveva timore di voltarsi e non trovarlo in camera. Preferì restarsene nascosto in quel modo.«Che dici di andare a fare un bel bagno rilassante? Ho visto che hai una vasca, l'hai mai usata?»
«Per sgrassare il sangue dai vestiti.»
Isak ridacchiò. «Tipico. Dai alzati e va' a lavarti. Poi io e Ida andremo a prendere qualcosa per la cena, va bene?»
Atlas sbuffò scocciato e in modo piuttosto rumoroso. «Di lasciarmi dormire non se ne parla, eh?» Alzò appena il capo in direzione dell'amica.
Ida si morse l'interno guancia. «Atlas, hai dormito per un giorno intero...»
Sgranò gli occhi. Ricordava di come l'avessero convinto a posare la pistola, trascinato via da lì a forza e portato in auto. Aveva poggiato il capo sulla spalla di Hercule e aveva sentito un ago affondare nella pelle. Aveva capito l'avessero sedato, per farlo calmare. Pochi istanti dopo si era addormentato, ma non aveva idea di aver trascorso un giorno intero addormentato. Sebbene pareva che il suo corpo ne avesse bisogno, si sentiva ancora più a pezzi di prima. «Cazzo, un giorno?» Fece per mettersi immediatamente seduto, ma la schiena non sembrava essere d'accordo. Sentì le scottature riprendere a bruciare come delle fiamme e si irrigidì. Un rantolo di dolore si liberò dalle labbra appena schiuse. D'istinto serrò gli occhi, come a voler ignorare il dolore e mandarlo giù.
Ida gli accarezzò il braccio. «Ehi, che succede?»
Scosse il capo e riaprì gli occhi. «Ho qualche muscolo, stirato, sicuramente.» Si guardò intorno nella stanza e aggrottò la fronte, non appena incrociò lo sguardo di Hercule. Il medico era poggiato contro la parete. Era stato in silenzio tutto il tempo e lo osservava, cercando di scorgere qualsiasi dettaglio. «Che cazzo ci fai qui?»
Isak guardò entrambi con un cipiglio preoccupato e, d'istinto, portò un braccio davanti al medico, spingendolo all'indietro.
«Te l'avevo detto che era meglio farlo tornare a casa.» Redarguì Ida. «Atlas, nemmeno a me sta simpatico per quello che ha fatto, ma ci è stato d'aiuto, lo sai anche tu.»
Atlas ignorava chiunque in quel momento. Aveva la sensazione che esistessero solo loro due e dovevano chiarire, soli. Probabilmente avrebbe perso il controllo, ma non riusciva a sopportare l'idea di essersi fidati di un verme. Nonostante il dolore lancinante in ogni cellula del corpo, fu più veloce di Ida. Aprì il cassetto accanto al proprio letto e sfilò una pistola, puntandogliela contro.
In pochi attimi si passò da una serena tranquillità al panico.
Hercule non parlava, lo guardava solo con un cipiglio serio, non preoccupato o spaventato. Ida gli posò una mano sul braccio. «Atlas, abbassa quella pistola. Non è il momento e sei troppo provato per ragionare a mente lucida.»
«Andatevene.»
Isak scosse il capo. «Oh no, no. Scordatelo. Non ti farò fare qualcosa di cui potresti pentirti per tutta la vita. Non vuoi farlo, Atlas. Posa quella cazzo di pistola. Non adesso, non ora. Se vorrai mai farlo, più in là, quando questa questione si sarà chiusa.»
Atlas lo guardò con odio, sebbene fosse il suo migliore amico. Non poteva provare senso di colpa, anche se avesse ucciso qualcuno a cui teneva. Non sentiva nulla, aveva spento da tempo quelle emozioni e non le avrebbe recuperate. E, in fondo, non ne sentiva nemmeno la mancanza. Adesso era imprevedibile, non voleva punti deboli e i sentimenti avrebbero rappresentato un grande ostacolo. Rinsaldò la presa sulla pistola e guardò Hercule negli occhi. «Ti avevo avvisato di iniziare a scappare il più lontano possibile.»
Hercule sospirò piano e si passò una mano tra i capelli. Si scostò da dietro ad Isak, che gigante com'era, si era frapposto tra loro due. Gli si avvicinò, fino a toccare la canna della pistola col petto. Inclinò il capo. Atlas sentì Ida fare un gridolino isterico. «Sei pazzo anche tu per caso?! Me ne bastava uno.»
Atlas si voltò a guardarla. «Io non sono pazzo, Ida. Cazzo quante volte devo ripeterti che sono sociopatico? Che altro vuoi come prova?!»
Isak si portò le mani alle tempie. «Hercule, allontanati e vattene. Qua ci pensiamo noi. Non fate un solo cazzo di passo o vi giuro che vi ammazzo tutti!»
Ida fece un piccolo applauso. «Complimenti, tu sì che sai gestire situazioni di questo genere.»
«Non sono mio fratello, mi dispiace.»
Atlas premette la canna contro il petto di Hercule. Il medico abbassò lo sguardo sull'arma e posò una mano sopra di essa. «Potete uscire. Dobbiamo parlare da soli.»
Isak e Ida si lanciarono un'occhiata preoccupata. «Sono serio, lasciatemi qui.»
Ida sfilò la propria pistola dalla fondina. «Non se ne parla.» La puntò contro Atlas. «Abbassa l'arma. Non possiamo permetterci un altro cadavere da eliminare.»
Atlas teneva fisso lo sguardo su Hercule, che senza distogliere l'attenzione da lui, si rivolse ancora una volta a Ida e ad Isak, con una voce calma e rilassata. Quella situazione gli dava ancor di più sui nervi. «Ho detto che potete andare, starò bene.»
Atlas lanciò una veloce occhiata a Isak. Gli ammiccò, approfittando di Hercule e Ida che discutevano. Isak si mosse a disagio sul posto, brontolando qualcosa in norvegese e prese Ida per un braccio, costringendola a uscire dalla stanza. Richiuse la porta alle loro spalle. Riportò la propria attenzione su Hercule. «Allora, data la tua propensione ad auto sabotarti, hai qualche ultima parola da dirmi?»
Il medico sorrise appena. «Non ti chiederò di risparmiarmi, Atlas, né userei mia figlia come scusa. Ha una madre che l'ama abbastanza per entrambi.» Atlas inarcò un sopracciglio. Hercule posò la mano sulla pistola, spingendola a premere contro il petto. «Non sapevo fosse Perez e, quando ho accettato, non credevo di poter iniziare a sentire qualcosa nei tuoi confronti. Ho portato avanti quella farsa, anche se quello che ho fatto con te non aveva nulla di finto, per poter aiutare mio padre e i suoi debiti.» Soppesò ancora le parole. «Non sono stato davvero io, ero accecato dalla voglia di essere utile. Non mi perdonerò quello che ti ho fatto, soprattutto per averti consegnato a quel pazzo.» La voce gli si incrinò appena. «Perciò sono tranquillo. Se tu mi uccidessi, ti capirei e ne avresti tutte le ragioni, sul serio. Non credo che aiutare i tuoi amici basti, sappiamo entrambi ci sarebbero riusciti anche senza di me. Piuttosto, se mi uccidessi capirei, appunto.» Poi allontanò appena la pistola dal proprio petto. «Se, invece, decidessi di risparmiarmi, continuerei a credere di non averlo meritato e mi impegnerei ogni giorno per meritare davvero il tuo perdono.»
Atlas lo osservò e roteò gli occhi al cielo. «Cristo, perché devi essere così "giusto"?» Mimò le virgolette alte con un gesto della mano. «Sarebbe bastato anche che facessi gli occhi a cane bastonato, idiota.» Buttò la pistola sul letto. «Era scarica. Volevo solo divertirmi con un'espressione di terrore, ma mi hai tolto anche questo.»
Hercule si rilassò appena. Abbassò le spalle. Era confuso. «Quindi? Non riesco a capirti adesso.»
Atlas gli batté un dito sul petto, nello stesso punto dove aveva premuto la pistola. «Quindi non ti avrei ucciso, solo perché mi hai aiutato. Ma mi piace l'idea che tu sia ancora in debito con me.» Si sedette sul letto, lasciandosi andare a un'espressione stanca. La schiena gli bruciava.
«Espece d'idiot.» (Stupido idiota)
«Guarda che ti capisco, dottore.» Gettò appena il capo all'indietro ed Hercule, dopo avergli sorriso, fece entrare Isak e Ida in camera.
«Mi avete fatto prendere un infarto.»
Isak ridacchiò. «Vedi Ida, Atlas mi ha ammiccato. Ho capito fosse scarica. Era un gioco con cui torturavamo le vittime. Non capivano mai chi sarebbe stato a sparare.» Scrollò le spalle. «Adesso andiamo a fare una bella spesa, tu perché non vai a lavarti?»
«Mh.» Atlas storse il naso. «Se mi prendete vestiti puliti senza farmi muovere troppo, ve ne sarei grato.»
Hercule sembrava avesse bisogno d'aria. «Io vado a riempire la vasca e a preparare il bagno.» Si allontanò, subito, dopo essersi passato per un paio di volte le mani in volto, come ad accertarsi di essere ancora vivo.
Dopo essersi preparato, entrò in bagno. Isak e Ida sarebbero andati via dopo poco. Hercule si spostò lateralmente, avvicinandosi all'uscita per lasciarlo solo. «Ho preparato tutto... senti, immagino non siano stiramenti alla schiena e ho ricordo delle tue ustioni. Ho con me alcuni medicinali e unguenti. Vuoi che me ne occupi?» Prese ancora fiato, come se stesse parlando senz'aria. «Anche perché mentre dormivi sedato ho pulito le ferite... non volevo facessero infezione o cose così-» Deglutì.
Atlas non aveva voglia di parlarne né di arrabbiarsi per essere stato così esposto. Era solo stanco. «Dopo vediamo, mh? Voglio solo rilassarmi un attimo, se riesco.»
Hercule annuì e abbassò il capo. Si allontanò, lasciandolo solo. Atlas lo guardò e si spogliò poi una volta solo, immergendosi nell'acqua calda e socchiuse gli occhi. Era strano spiegare quel tepore, quella sensazione rilassante, forse non ne provava da tempo. Gli faceva male qualsiasi parte del corpo. La schiena aveva iniziato a bruciargli un po', prima che il dolore si alleviasse appena. Perse il contatto con la realtà, poggiandosi col capo contro il bordo e sospirò piano. Non si rese conto di aver ripreso a dormire, fino a quando non sentì bussare nervosamente dall'altro lato della porta.
«ATLAS? Sei vivo?» Hercule pareva preoccupato. Non riuscì a snocciolare bene le parole, ma biascicò una risposta.«Oh bene, mi stavo preoccupando. Dai esci da lì ora, stai spugnando. Gli altri sono usciti.»
Atlas sbuffò e si asciugò, avvolse un asciugamano attorno alla vita e uscì dal bagno. Aveva dimenticato i vestiti in camera e si mosse veloce. Le goccioline d'acqua cadevano dalla punta dei suoi capelli fino a terra e storse il naso. Mentre cercava le proprie cose in camera, alzò lo sguardo verso lo specchio, individuando Hercule alle sue spalle, poggiato contro la parete. Lo sguardo era piantato sulla sua schiena. Seguì i movimenti dei suoi occhi, che percorrevano tutte le ustioni, alcune di queste ancora arrossate. Lo vide deglutire, abbassò lo sguardo. Atlas non era un esperto del senso di colpa, non potendone provare, eppure ebbe la sensazione che fosse quell'ombra ad aver annebbiato lo sguardo del dottore. Si girò verso di lui e incrociò le braccia al petto. Inclinò il capo, facendo un sorrisetto tirato. «Sento gli ingranaggi del tuo cervello da qui. Non è niente a cui non sia abituato.»
Hercule scosse il capo. Gli si avvicinò, diminuendo la distanza. Atlas si rese conto che se avesse fatto un solo passo indietro, si sarebbe spalmato contro il muro. In un certo senso si sentiva all'angolo. Era teso. «Questo non vuol dire che non sia colpa mia, però.» Hercule storse il naso. Fissò ancora per un po' le sue cicatrici attraverso lo specchio.
Atlas lo guardò, percorse il contorno dei suoi occhi e il profilo del naso, ancora un po' storto e ingrossato dopo la testata dei giorni precedenti e, paradossalmente, lo trovava ancora più eccitante del solito. «Ne cherche pas de résponses à mes cicatrices.» (Non cercare risposte dalle mie cicatrici.)
Hercule sorrise appena. Aveva la sensazione che il suo profumo alla vaniglia gli fosse addosso. Fissò le pupille del medico mentre si dilatavano. «Non cerco risposte nelle tue cicatrici, Atlas, non l'ho mai fatto.» Si morse l'interno guancia. «J'ai vu des paysages dans tes cicatrices.» (Ho visto paesaggi nelle tue cicatrici)
Atlas lasciò che quelle parole si perdessero nel silenzio di qualche secondo, mentre la sua mente provava a metabolizzarle. Sentiva la stessa sensazione di un colpo allo stomaco ben assestato. Fu veloce. Lo afferrò per il colletto della camicia e lo fece arretrare finché Hercule non colpì il muro, al lato opposto della camera, con le spalle. Fece scontrare, poi, le loro labbra con esigenza. Hercule, prima stordito, si rilassò pochi istanti dopo, schiudendo appena le labbra e permettendo a entrambi di assaporarsi. I loro profumi erano uniti in un solo aroma. Aveva la sensazione che il nero petrolio dei suoi occhi si stesse miscelando a quello azzurro dell'altro, inquinandolo. Entrambi cercavano di annullare ancor di più le distanze tra loro, avvicinandosi sempre di più, fino a combaciare. I respiri erano affannati e pesanti. Non persero ulteriore tempo a osservarsi o a prendersi pause. Le labbra erano unite da qualche istante in un bacio che tolse il fiato ad entrambi. Hercule portò le mani contro le sue guance arrossate, si staccò un breve istante per riprendere fiato e sorrise. Passò a baciargli il collo, in un'umida scia, che gli fece gettare il capo all'indietro d'istinto. Strinse poi l'orlo del suo asciugamano in una morsa. Atlas socchiuse gli occhi. Diede un calcio alla porta, costringendola a chiudersi. Hercule sussultò per un momento, sgranando gli occhi e Atlas decise di riprendere in mano la situazione. Spinse Hercule contro il letto, facendolo sedere sul materasso e tornò a fiondarsi sulle sue labbra. Hercule invertì le posizioni, stordendolo e si tirò in piedi.
Si avvicinò alla porta e girò la chiave. «Come credevi di chiuderla solo con un calcio, genio?»
༄༄༄
Dopo un tempo che avrebbe definito forse come il migliore della sua vita, anche se non l'avrebbe mai detto ad alta voce per il timore che potesse sfuggirgli via, prese a fissare il soffitto. Se ne stava rinchiuso nel proprio solito silenzio, cercando di metabolizzare tutto, tenendo le braccia incrociate dietro al capo.
«Ti prego, di' qualcosa, sei più inquietante del solito.» Hercule si posizionò su un fianco, prendendo ad osservarlo.
Atlas si girò verso di lui e sorrise appena. «Sto pensando che dovrei tinteggiare il soffitto.»
Il medico storse il naso. Tamburellò con le dita sulla sua spalla, in una scarica nervosa. «Molto rassicurante.»
«Che ore sono?»
Hercule si allungò a prendere il cellulare dalla tasca dei pantaloni, a terra. «Mh, le diciotto.»
Atlas annuì. Sentiva lo sguardo di Hercule addosso. La verità era che non sapeva assolutamente cosa fare in quel frangente. Non era mai arrivato a quel momento. Di solito scappava via subito dopo e, soprattutto, non portava mai nessuno a casa. Era più facile andarsene e far finta di nulla. E non aveva voglia di far finta di nulla, ma non aveva idea di cosa dire o fare. Una volta Bendik, il fratello di Isak, gli aveva detto che essere sinceri era sempre la migliore soluzione. Atlas era sempre stato bravo a fingere, soprattutto a mentire gli altri e a se stesso, in quel campo era un campione. «Sei il primo.»
Hercule scoppiò a ridere. «Non fare l'idiota, mi ricordo ancora il profumo orrendo con cui ti presentasti quella sera, fingendo fosse tuo.»
Atlas sorrise e scosse il capo. Intrecciò le braccia al petto e lo guardò di sbieco. «Sorvolando sulla tua gelosia, dottore, ma non mi riferivo a quello che credi tu.»
Hercule lo osservò con curiosità. Si mise sul fianco, poggiando la testa contro la mano chiusa a pugno. Adesso aveva la sua attenzione. «E allora a cosa?»
«Non so cosa dire perché non ho mai portato nessuno qui.»
Hercule lo osservò, indossando uno strano sorrisetto insopportabile. «Smettila o ti do un'altra testata. Magari riesco a sistemarti definitivamente quel naso orrendo.»
«Oh non fare il bugiardo. Lo so bene che perderesti il controllo come poco fa se fossi sporco di sangue.»
Atlas si corrucciò. «Colpito e affondato.» Hercule gli si avvicinò ancora. Gli diede un bacio sul collo e Atlas rabbrividì. Posò le mani sui suoi fianchi, tirandolo a sé, ma sentì la porta di casa aprirsi.
«Siamo noi, non uscire sparando.» Isak lo tranquillizzò.
Atlas d'istinto aveva portato la mano a una pistola, carica, nel cassetto. Hercule sorrise tranquillo e gli batté la mano sul petto. Si tirò in piedi e si rivestì velocemente. Uscì poi dalla camera e si aggiustò i capelli, tirandoli all'indietro.
Atlas si lasciò andare a un brontolio infastidito e si mise seduto. Fissò l'asciugamano a terra e sorrise appena. Prese dei vestiti puliti e li raggiunse tutti in salotto. Si affacciò verso le buste della spesa e sbuffò annoiato. Aprì il frigorifero e prese una bottiglia di birra. Si voltò a guardare Hercule, facendogli cenno se ne volesse una e l'uomo scosse il capo. Richiuse allora il frigorifero e stappò la birra.
Ida corrugò la fronte, lasciando scorrere lo sguardo su entrambi. «Non credi sia presto per la birra, considerando che sei a stomaco vuoto?»
«Perché, c'è un orario per bere la birra? Io la berrei anche a colazione.» Atlas scrollò le spalle e si sedette sul divano. Hercule se ne stava in piedi, con le mani nelle tasche dei pantaloni. Decise di aiutare Isak e Ida con la spesa.
«Infatti sono d'accordo.» Isak si intromise. Prese anche lui una birra e si avvicinò ad Atlas, facendo scontrare il vetro. Il tintinnio interruppe il silenzio del salotto. Gli si avvicinò lentamente e parlò a bassa voce. «Allora, ne vale per una scommessa tra me e Ida. Hai quagliato qualcosa o devo perdere cento sterline?»
Atlas corrugò la fronte. «Oh morirei dalla voglia di farti perdere dei soldi.»
«Quindi?»
«Puoi restare col dubbio.» Avvicinò la bottiglia di birra alle labbra, sorridendo compiaciuto.
༄༄༄
Dopo aver cenato tutti insieme, Atlas attese che i suoi amici andassero a dormire, così decise di ritirarsi in camera, si liberò del maglione e indossò una maglia a mezze maniche. Si lasciò cadere sul letto.
Hercule entrò in camera e lo osservò, restandosene in piedi per qualche istante. Fissava un punto indefinito fuori la finestra. Teneva in mano due bicchieri pieni di liquore.
«Cosa contempli, dottore?» Atlas si mise seduto. Inclinò il capo, fissando il bicchiere. «Suppongo che quello sia del whiskey per me-»
Hercule scosse il capo, tornando alla realtà. «Uhm sì. Tieni.» Atlas prese il bicchiere dalle sue mani. «A volte credo sia tutto così strano, non credi?»
Atlas bevve il whiskey, in un solo colpo, mandandolo giù. «Sii più specifico. La mia vita è sempre stata strana per voi persone normali.»
Hercule sorrise e si sedette sul letto, al suo fianco. «Ho sempre trovato ironico e un po' strano i nostri nomi.»
Atlas scrollò le spalle. «Suppongo che la mitologia greca colpisca abbastanza. A quanto ne so mia madre ne andava pazza-»
«La conosci quella storia?»
Atlas fece uno sbuffo sommesso. «Non ti seguo...» Aggrottò la fronte. Sgranò appena gli occhi, interrompendo Hercule, prima che potesse parlare. «O forse intendi dire che Ercole fregò Atlante?»
Hercule annuì divertito. «È una strana coincidenza.»
Atlas storse il naso. «A quanto pare la storia si è ripetuta.»
«Sei ancora arrabbiato?» Sapeva bene che avesse cercato di ritornare sull'argomento, come a volersi accertare che ogni cosa fosse a suo posto e nulla potesse essere ricordato come un errore. Atlas, sebbene non fosse un esperto di comportamenti normali e civili, aveva studiato come le persone si comportavano, per non sentirsi completamente estraneo al mondo.
Atlas scosse il capo. «Suppongo che è quello che si faccia. Nel senso, chi ha avuto una famiglia che lo ha amato farebbe di tutto per proteggerla. Non ti incolpo per questo, avrei preferito non essere preso per il culo, ma suppongo fosse necessario.»
«Non volevo. Atlas non so cosa tu abbia fatto, onestamente, ma me ne sono pentito un istante dopo. Ti sei preso con prepotenza un posto nella mia vita e in verità vorrei che restasse così.» Hercule gli si avvicinò appena, sfiorandogli il braccio com proprio. Atlas percorse il suo profilo. A volte aveva sentito dire che i segreti migliori e le parole più sincere erano sussurrate di notte. Intrecciò il mignolo col suo e restò in silenzio a fissare il cielo stellato. Non era mai stato bravo con le parole, preferiva i gesti, anche quelli che ai più sarebbero apparsi insignificanti. Riuscire a toccare qualcuno davvero senza provare disgusto per se stesso e per l'altro era una sensazione nuova, che lo terrorizzava anche abbastanza. Non aveva voglia di lasciarsi sopraffare dalla paura, almeno per quella sera. Poggiò il capo contro la spalla di Hercule, che gli sorrise appena.
«Non sono quello che vedi tu, dottore. Dovresti smetterla di vedere il buono in me.» Atlas mormorò quelle parole, a voce bassa, vicino alle sue labbra, la punta del naso a sfiorare quella del medico.
Hercule deglutì appena, tenendo lo sguardo fisso su di lui. Era sempre andato oltre le spine che circondavano il suo essere e forse lo detestava un po', per essersi preso la sua fiducia, averlo tradito e poi averlo riconquistato anche più di prima, mettendo tutto a rischio.
«Tu ci vedi un mostro, io un bellissimo disastro.»
Angolino
Dai dopo tante sofferenze mi merito un abbraccio. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e alla prossima.
Non abituatevi troppo all'idillio
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