𝐗𝐗𝐈𝐈. 𝐈𝐧 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐢𝐞𝐫𝐨

𝐈𝐬𝐚𝐤 𝐏𝐨𝐯






«Sono passati due giorni e non abbiamo sue notizie. Dobbiamo andare a cercarlo.» Isak era nervoso. Conosceva bene Atlas, sapeva che fosse un appassionato di sparizioni improvvise e vagabondaggio. Spesso era capitato di non vederlo anche per settimane intere. Poi ritornava come se nulla fosse successo, con qualche macchia di sangue di troppo.
Di solito evitavano di chiedergli dove fosse andato, non volevano i dettagli di una carneficina.
Eppure, Atlas era come un fratello per lui e quell'assenza improvvisa, dopo un appuntamento e non un pluriomicidio, non lo rassicurava affatto.

Ida, dall'altro lato del tavolo del salotto di Atlas, leggeva tranquillamente i fascicoli sulla storia e infanzia del loro amico. Diventava sempre più disgustata e nauseata. Allontanò la sigaretta dalle labbra. «Rilassati. Sembra quasi che tu non conosca Atlas.» Sospirò piano. «Insomma è uscito con quel dottore, si saranno divertiti un po'. Forse qualche giorno in più ed è rimasto da lui a dormire...»

Isak storse il naso. Conosceva bene Atlas e non l'avrebbe mai fatto. Avevano vissuto tutti insieme, anche suo fratello Bendik era con loro, e c'era voluta un'eternità a convincerlo a restare con tutti loro la notte. Spesso anche se erano le quattro del mattino, li salutava e andava in albergo. Odiava condividere i propri spazi, detestava cercare di essere coinvolto. Non era stato facile riuscire ad essere suoi amici, c'era voluto molto lavoro e qualche pallottola di troppo. «Ti ricordo che Atlas non dorme mai a casa di chi porta a letto.» Si sedette di fronte alla donna, che sperava diventasse sua cognata un giorno, se solo suo fratello si fosse dato una mossa.

Ida sbuffò scocciata. Alzò lo sguardo dal giornale e bevve un sorso di the. «Hai ragione, ma con nessuno ha mai avuto un appuntamento.» Scandì bene quelle parole. «Per quanto si ostinasse a non ammetterlo, era in tensione e ci teneva. Non credo sia come tutte le altre volte e in tutta onestà ne sono felice. Ne aveva bisogno.»

Isak scosse il capo. «Mi ha anche detto, però, che se fosse scomparso più di quarantotto ore, avrei dovuto iniziare a fare qualcosa, Ida. Col fatto che il suo aguzzino sia tornato in circolazione, non credo che possiamo permetterci tanta tranquillità.»

La donna sembrò ridestarsi appena e si morse l'interno guancia. «Vero, ma ti ricordi di quando scomparve per una settimana ed eravamo in apprensione? Atlas è come un gatto, appare quando gli fa comodo e scompare quando si rompe il cazzo di tenerci intorno.» Inclinò il capo e gli posò una mano sulla sua stretta a pugno.

Isak sorrise. Si passò una mano per la barba rossiccia. «Bendik ed io non riuscivamo a dormire...»

Ida annuì. «Poi tornò tutto sporco di sangue, ma con la colazione per tutti. È Atlas, però se ti fa sentire più tranquillo, possiamo andare in commissariato e chiedere a quel suo amico poliziotto se ha notizie. Oppure cercare quel medico lì e vedere cosa ci dice.»
Isak non se lo fece ripetere più di una volta. Si tirò in piedi con uno scatto, nemmeno fosse azionato come un giocattolo a molla, e afferrò il proprio cappotto, lasciato a poltrire sul divano. Fece per portare una mano alla pistola, ma sentì la donna alle sue spalle tossicchiare. «Dio mio, Isak. Ora capisco perché Bendik deve sempre starvi dietro come due bambini. Ti pare il caso di entrare in un commissariato armato?!»

Alzò le mani, in segno di resa. Odiava le missioni tranquille, quelle in cui bisognava raccogliere indizi e attendere il momento migliore. Era più un esperto dei piani di attacco, non così tanto studiati. Motivo per il quale, in Atlas aveva trovato la spalla giusta. Approvava qualsiasi idea abbastanza folle, che includesse violenza ingiustificata. Poi c'era suo fratello Bendik, che da bravo baby sitter, doveva sempre frenarli. Probabilmente se non ci fosse stato lui, avrebbero dovuto tirarli fuori da galera un giorno sì e l'altro pure. «Va bene, ma muoviti e andiamo. Ho le palle girate.»

«Ma che novità.» Ida prese il cappotto e lo indossò. Isak chiuse casa, con un doppione di chiavi, che Atlas gli aveva affidato, dopo avergli fatto giurare di non perderlo mai e tenerlo sempre in ordine. «Prima che tu faccia qualche sparata del cazzo inutile, parlerò io coi poliziotti. Tu limitati a startene in silenzio e soprattutto calmo, va bene?»

Isak scrollò le spalle. Sapeva di non essere affatto un tipo paziente, non se ne faceva una gran colpa. «Mh, ma se non ricaviamo nulla, io lo spezzo a quel dottore del cazzo, sappilo. Gli taglio hn dito alla volta-»

«Sì, abbiamo capito. Sicuro che tu non abbia gli stessi problemi del tuo migliore amico, vero?»

Isak annuì. «Io lo sento il senso di colpa. Secondo te perché nelle missioni facevamo quasi sempre uccidere solo ad Atlas? Lui non prova nulla, è più facile così.»

«Idioti.»

Ida sbuffò scocciata e nascose le mani nelle tasche del cappotto. Si incamminarono fino al dipartimento di Scotland Yard. Per le strade, ormai, c'era poca gente. L'aria era abbastanza fredda, ma nulla a cui non fosse abituato. Era cresciuto in un paesino sperduto della provincia di Oslo. Suo padre l'aveva allenato per anni sotto la neve, abituandolo alle intemperie fin da quando era piccolo. Suo fratello era stato l'unico a prendersi cura di lui. Il freddo faceva parte della sua vita, penetrava nelle sue ossa e alimentava, paradossalmente, il suo sangue. Non si immaginava in un posto caldo, a sorseggiare un drink sotto il sole rovente. Non faceva parte di lui.
Una volta arrivati, seguì Ida fino all'interno del commissariato. Una segretaria, all'ingresso, chiese loro come potesse aiutarli.
Ida sorrise gentilmente. Aveva ancora indosso un filo di trucco e un rossetto a illuminarle il volto e le labbra. «Vorremmo parlare con detective Martin Greyson.»

La donna scribacchiò al computer, chiedendo i loro dati. Con tranquillità si identificarono. Eyre, sua moglie, era sempre stata un'ottima hacker, la donna dietro al computer che guidava le loro missioni. Forse la sua intelligenza era stata la prima cosa che aveva amato di lei. Era riuscita a cancellare e a nascondere in ogni profondo del web, tutti i loro dati, dando e affibbiando loro così tanti nomi falsi, che a volte Isak riusciva anche a dimenticare il propio vero nome. La segretaria, dopo aver fatto scoppiare una gomma di chewing-gum -tra l'altro masticata fastidiosamente-, alzò lo sguardo dal proprio pc.«Al momento il detective è impegnato.»

Isak si sporse in avanti. «Forse, se gli dicesse che è per Atlas Spector, si libererebbe. Ci provi.» Finse un sorriso gentile, ma aveva soltanto voglia di strapparle la lingua, così magari avrebbe smesso di masticare così rumorosamente quella stra maledetta chewing-gum.

La donna abbassò nuovamente lo sguardo sul pc, battendo le dita sulla tastiera, in maniera altrettanto fastidiosa, e Ida  ne approfittò per scoccargli un'occhiataccia. «Ti avevo detto di chiudere il becco.» gli sibilò a bassa voce. Isak le sorrise antipatico e soddisfatto, quando la segretaria si alzò e disse loro di seguirla. Impettito, si avviò dietro la donna, mentre Ida sembrava sul punto di avere una crisi di nervi, per non essere mai presa in considerazione da lui. Sapeva, però, di doversene stare in silenzio, altrimenti avrebbe rischiato davvero di rispondere in maniera alterata ai poliziotti. Da quel momento in poi le avrebbe lasciato il campo libero.
Si muovevano per i corridoi della stazione di polizia. Isak individuò delle scale che portavano a un seminterrato, leggendo sulla porta: "obitorio". Pensò di dover trovare un modo per intrufolarsi all'interno.

La segreteria, una donna sulla trentina, con i capelli biondi tirati in alto da uno chignon, bussò alla porta e attese. Pochi istanti dopo sentì la voce del poliziotto, permettere loro l'ingresso. Aprì la porta. «I signori sono qui per Spector, vi lascio soli.» Si richiuse la porta alle spalle e restarono a guardarsi per alcuni secondi.

Il detective Greyson si alzò dalla propria sedia. Sorrise con gentilezza. Isak lo trovò strano, sembrava un uomo fin troppo buono per un lavoro simile. «Posso esservi di aiuto? Spero non abbiate avuto problemi col mio amico in qualche bar. Spesso è su di giri.»

Isak avrebbe voluto dirgli che forse con lui si conteneva anche troppo. Atlas era il re incontrastato delle risse e dei problemi. Gli bastava una battuta al veleno o un commento inappropriato per scatenare il caos. Era riuscito anche a farsi puntare due pistole contro, sia da lui sia da suo fratello, durante il loro primo incontro.
Era aggressivo, fastidioso, pungente. Averci a che fare era una sfida, ma non aveva mai avuto un amico così leale.
Martin Greyson non aveva idea di quanta rabbia repressa Atlas avesse bisogno di scaricare ogni volta che cercava di comportarsi come un cittadino che non fosse un disadattato sociale. Ida si accomodò di fronte a lui e scosse il capo. «No. Siamo suoi amici di vecchia data... siamo solo un po' preoccupati perché è da un giorno e mezzo che non lo sentiamo in alcun modo e aveva promesso di portarci in giro per Edimburgo. Volevamo sapere se aveste sue notizie.»

Greyson aprì appena la bocca, confuso. Poi scosse il capo, preoccupato. «Ehm no, in realtà. Ho provato a chiamarlo ieri sera per un'uscita ma non mi ha risposto. Non ci ho dato peso perché lo fa spesso, poi quando vuole essere trovato è lui stesso a tornare o a farsi sentire.» Ammise. Si grattò il mento.

Isak pensò fosse il momento migliore per svignarsela. «Ehm, mi scusi, il bagno?»

Ida lo guardò perplessa, ma non ebbe modo di parlargli, perché Greyson gli rispose immediatamente. «Oh uhm, in fondo al corridoio a destra.»

Isak uscì. L'aveva individuato, ma svoltando a sinistra e aprendo la porta si arrivava all'obitorio. Seguì le indicazioni e si guardò intorno. Abbassò la maniglia della porta, che portava al piano inferiore, ed entrò. Iniziò a scendere le scale, guardandosi intorno. Le pareti erano chiare, sembrava di star percorrendo uno strano e inquietante tunnel, che portava alla morte. Si richiuse meglio nel proprio cappotto e aggrottò la fronte. Si introdusse all'interno, spingendo la porta in avanti. Non c'era nessuno. Storse il naso. Se anche il medico era latitante, allora c'era qualcosa che non andava davvero. C'erano alcuni lettini in acciaio al centro. Per sua fortuna, nessun corpo era presente in bella vista, anche perché avrebbe rischiato di andare in malora e puzzare. Sbuffò piano e provò a chiamare ancora una volta Atlas sul cellulare.
Per l'ennesima volta, gli rispose la sua segreteria telefonica. Si innervosì parecchio, risalendo le scale per uscire da quel posto lugubre.

"Se state chiamando e non sto rispondendo: o sono morto, o vi sto deliberatamente ignorando oppure ho altri cazzi da fare. Non lasciate un messaggio, tanto non lo ascolterò."

Sorrise quasi istintivamente. Atlas era davvero strano nei modi. Aveva capito col tempo che dimostrava quanto tenesse a qualcuno coi gesti, i lievi contatti, mai con le parole, quelle erano sempre al veleno e taglienti come lame affilate.
Quando uscì, incrociò sul corridoio Ida e Martin Greyson. Il poliziotto aggrottò la fronte lanciandogli una severa occhiataccia. «Avevo detto a destra.»

Isak scrollò appena le spalle. «Avevo capito male, ovviamente. Sono scappato via, mi è venuto l'orrore.» Indossò un'espressione spaventata. Era pur sempre stato un ottimo attore, sapeva sviare chiunque. Gli unici che non cascavano sempre alle sue bugie erano i suoi migliori amici e suo fratello -anche se qualche volta li aveva ingannati-. Eyre, sua moglie, invece, era impossibile da fregare. Riusciva sempre a captare che avesse qualche strana idea in mente. La amava anche per quello.
Si grattò dietro la nuca. «Per fortuna non c'era nessun cadavere in giro o sarei svenuto e avreste dovuto chiamare un medico.» Ridacchiò in un falso imbarazzo.

Ida, accanto a Martin, sembrava soddisfatta di quella piccola farsa, quel teatrino che aveva messo su per avere informazioni sul dottore.
Greyson si rilassò. Era un uomo gentile, si vedeva. «Oh già. Il nostro medico legale oggi non c'è. È malato. Potreste chiedere a lui anche, comunque. Va piuttosto d'accordo con Atlas.» Sorrise sornione e lasciò loro un biglietto da visita.
Ida lo afferrò e si sistemò meglio nella propria pelliccia sintetica.

«Grazie mille per la disponibilità. Ci teniamo aggiornati.» Fece cenno ad Isak di seguirlo. L'uomo annuì e salutò, dando le spalle a Greyson, e uscendo insieme a Ida dal commissariato.

Non appena si riversarono per la strada, iniziò a frugare tra le tasche del proprio cappotto, alla ricerca di un pacchetto di sigarette. Sbuffò piano. Ne accese una e fissò l'aria. «Adesso mi credi? È sospetto che il nostro caro dottore con l'accento francese sia scomparso.»

Ida si accigliò. «Non mi piace questa situazione. Dovremmo andare da lui, ma questa notte. Credo che stia cercando appositamente di non essere disturbato. Mi sembra una bella stronzata la storia della febbre da cavallo.»

Isak annuì. Sentiva la rabbia scorrergli nelle vene. Fumò nervosamente. Insieme a Ida trascorsero la giornata a prepararsi per l'effrazione di quella sera. Odiava aspettare, ma sapeva che la donna avesse ragione. Dovevamo muoversi nel cuore della notte e al momento giusto, lontano da troppi occhi indiscreti e quando sicuramente avrebbero trovato il medico a casa.
A mezzanotte inoltrata, entrambi si sistemarono per uscire. Forse aveva esagerato con il quantitativo di pistole e tirapugni, ma nessuno era piuttosto affidabile.
Si incamminarono per le strade di Edimburgo, fianco a fianco. Avevano trovato l'indirizzo di casa del medico, dopo un po' di ricerche non così tanto legali, e adesso si avviavano verso il palazzo, dove era il suo appartamento.
Isak non poté far a meno di pensare a quante notti aveva trascorso in compagnia di Bendik e Atlas, appostato da qualche parte, in attesa che il loro bersaglio uscisse allo scoperto. Inizialmente erano solo loro tre, contro tutti e tutto. Lavoravano insieme come sicari e non ne sbagliavano una, pur -spesso e volentieri- combinando qualche omicidio di troppo. Col tempo, poi, erano arrivate anche Eyre e Ida. Ancora non poteva credere di aver conosciuto la sua futura moglie grazie al suo migliore amico sociopatico. A quanto pareva era l'unica ragazzina che gli desse a parlare ai tempi del liceo, erano rimasto stranamente amici. Sapeva quanto fosse difficile stare accanto a uno come Atlas, ci voleva una pazienza di ferro e, soprattutto, non ci si poteva permettere di essere permalosi o suscettibili.
Lo aveva visto chiedere scusa solo una volta ed era stato a sua figlia Leyla, dopo che si era rivolto male. Per quanto Atlas detestasse i bambini, riusciva sempre a farsi stare simpatico, e sua figlia aveva trovato in lui un altro zio, un po' strano sicuramente.

«Spero che sia in casa.» Ida lo ridestò dai suoi pensieri, mentre erano davanti al portone del palazzo. Isak prese a maneggiare con la serratura e si introdusse all'interno, dopo un po' di tempo. Era sempre stato Atlas lo scassinatore del gruppo. Gli piacevano i grattacapi.

«Lo spero anch'io. Se gli è successo qualcosa gli sparo nelle gambe.»

«Forse è meglio ti confischi le pistole.» Ida gli posò una mano sul polso. «Se dovesse sapere dove si trova ora, ci converrebbe tenerlo vivo. Soprattutto perché credo sia Atlas a volersi levare la soddisfazione di ucciderlo.»

Isak storse il naso infastidito. Sapeva che avesse ragione. Aprì in silenzio anche la serratura della casa di Hercule e spinse con violenza la porta in avanti. Ida la richiuse. Isak fu più veloce del medico. Il dottore era seduto sul divano, a guardare alcune piantine di chissà quale edificio. Gli portò una mano alla bocca per non farlo gridare. L'uomo sgranò gli occhi e provò a muoversi, agitandosi. «Se fai il bravo, non ti faremo tanto male. Adesso ti farai una bella chiacchierata con tutti noi, senza urlare.» Lo fissò negli occhi. Vide il suo terrore e sbuffò scocciato. «Chiaro?!»

Ida teneva una pistola puntata contro. Hercule annuì, alzando le mani in segno di resa e Isak mollò la presa su di lui, spingendolo e strattonandolo. Voleva fargli male. Era certo fosse successo qualcosa ad Atlas per via di quell'idiota, non dovevano fidarsi. «Allora?» Ida era spazientita. «Dove cazzo è Atlas?»

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