𝐗𝐕𝐈𝐈. 𝐅𝐚𝐥𝐥𝐢𝐧'





I'm always ready for a war again (a war again)
Go down that road again (that road again)
It's all the same (it's all the same)
I'm always ready to take a life again
You know I'll ride again
It's all the same (ooh, ooh, ooh)
Tell me who's gon' save me from myself
When this life is all I know
Tell me who's gon' save me from this hell
Without you, I'm all alone
Who gon' pray for me? (Who gon' pray for me?)
Take my pain for me? (Take my pain for me?)
Save my soul for me? (Save my soul for me?)
'Cause I'm alone, you see (I'm alone, you see)
If I'm gon' die for you (if I'm gon' die for you )
If I'm gon' kill for you (if I'm gon' kill for you)
Then I'll spill this blood for you, hey
I fight the world, I fight you, I fight myself
I fight God, just tell me how many burdens left
I fight pain and hurricanes, today I wept
I'm tryna fight back tears, flood on my doorsteps
Life a livin' hell, puddles of blood in the streets
Shooters on top of the building, government aid ain't relief
Earthquake, the body drop, the ground breaks
The poor run with smoke lungs and Scarface
Who need a hero? (Hero)
You need a hero, look in the mirror, there go your hero
Who on the front lines at ground zero? (Hero)
My heart don't skip a beat, even when hard times bumps the needle
Mass destruction and mass corruption
The souls are sufferin' men
Clutchin' on deaf ears again, rapture is comin'
It's all prophecy and if I gotta be sacrificed for the greater good
Then that's what it gotta be








Il silenzio di quel piccolo privé era graffiato solo dai gemiti gutturali, sospiri mal trattenuti e ansimanti. L'aria pesante era sopraffatta dal suono della pelle che sbatteva. Atlas gli teneva la mano contro la nuca, per non farlo voltare e osservava la schiena inarcata di quell'uomo semi sconosciuto.
La luce rossa a neon, soffusa, illuminava a stento i loro corpi e gli andava benissimo così, non avrebbe mostrato le sue cicatrici a nessuno, motivo per il quale non si era liberato della camicia.
In lontananza, se si concentrava, si poteva sentire la musica del locale, che creava un leggero sottofondo. Gettò per un attimo, alla fine soltanto, la testa all'indietro.

Si rivestì velocemente. Non gli andava di scambiare delle inutili chiacchiere di circostanza. Entrambi sapevano bene perché erano lì. Tirò su la zip dei pantaloni, mentre osservava di sbieco l'altro rimettersi in piedi. Le mani erano ancora strette attorno ai braccioli del divano. Il corpo era scosso ancora da qualche fremito di piacere. Si voltò a guardarlo, ma Atlas indosso la solita maschera di indifferenza.

L'altro si portò una mano tra i capelli biondi, lunghi. «Ehm, magari possiamo andare a bere qualcosa domani sera, no?»

Atlas indossò il giaccone e infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, alla ricerca di un pacchetto di sigarette. «No. Ho da fare.»

«Beh magari un altro giorno-»

Atlas roteò gli occhi al cielo e si portò una sigaretta alle labbra. Frequentava quello stupido locale quando aveva bisogno di spegnere le emozioni, quelle poche che gli restavano. «Non credo, John.»

L'uomo aggrottò la fronte confuso. «Ma mi chiamo Jason-»

Atlas aprì la porta del privé. La musica arrivò subito più forte alle sue orecchie, sorrise. «Appunto.» Uscì dalla stanza e si riversò all'interno del locale. Diverse persone ballavano, tenendo bicchieri super alcolici in mano. Si guardò un po' intorno e uscì fuori.
Prese un forte respiro.
Era nervoso, non poteva nasconderlo.
Il giorno successivo Isak lo avrebbe raggiunto. Ormai si trattava di poche ore. Doveva aspettare.
La sua frenesia era sempre più forte. Era alle stelle.
Aveva così tanta rabbia da scaricare, che aveva pensato di spegnere per un po' il cervello, aveva bisogno di staccare dai pensieri che rimbombavano nella sua mente con violenza. Aveva avuto il bisogno di ammutolire quelle voci, quel desiderio di sangue e si era lasciato andare ad un altro tipo di piacere, che fosse uno sconosciuto poco gli importava, anzi. Era tutto più semplice quando c'erano i sentimenti di mezzo.
Con la sigaretta ancora appesa tra le labbra, sfilò il cellulare e l'accendino dalla tasca.
Accese la sigaretta e iniziò a leggere i messaggi. Martin ed Hercule lo aspettavano al solito bar per una birra e, guardando l'orario, si rese conto che non fosse poi così tardi per raggiungerli.

Tutta quella storia, quella serie di eventi, avevano iniziato a disturbarlo. Non riusciva più a controllare la sia ansia, viveva di attacchi di panico e rabbia. Ormai i palmi delle sue mani erano scorticati a sangue, per tutte le volte che aveva affondato le unghie.
Doveva solo calmarsi. Sapeva che non era facile, ma non poteva mostrarsi così turbato a Martin, avrebbe potuto sospettare qualcosa. Inoltre dopo una scopata doveva stare più tranquillo, eppure continuava a sentire un po' di tensione accrescere.
Forse avrebbe dovuto uccidere qualcuno, sarebbe stato molto più liberatorio.

Inspirò il fumo e nascose le mani nelle tasche dei pantaloni. Si incamminò per le strade di Edimburgo, fino al solito pub. Aveva appena finito di piovere. L'aria era impregnata del profumo della pioggia. Fissò qualche volta il suo riflesso distorto nelle pozzanghere. Aveva la sensazione quasi di essere totalmente sporco, marcio e che la sua storia stesse prendendo la direzione verso la dannazione eterna. L'atmosfera era quasi nera, in quella notte e città gotica, e si sentiva come parte di essa. Tirò la porta del locale. Il tintinnio annunciò il suo arrivo. Si guardò un po' intorno e individuò ad un tavolo, vicino alle enormi finestre, Hercule e Martin, assieme anche a Tanya e qualche altro collega, di cui non ricordava i nomi, non che ne fosse interessato.
Sorridevano tra loro, bevendo.
I suoi occhi incrociarono subito lo sguardo chiaro di Hercule. Il medico gli sorrise appena e Atlas sentì l'esigenza di scappare via. La gola era secca, gli occhi un po' arrossati.
Si avvicinò al loro tavolo, posando la giacca sulla sedia libera, accanto ad Hercule, e si accomodò. «Scusate, non avevo visto il messaggio.»

«Come va amico?» Martin gli sorrise felice. Atlas fece un mezzo sorriso. «Sembri affannato.»

«Tutto bene. Ho corso sotto la pioggia per non bagnarmi troppo.» Alzò la mano per attirare l'attenzione di un cameriere. Tanya e l'altra donna posarono lo sguardo prima su di lui e poi su Hercule. Tornarono infine a parlottare tra loro, coinvolgendo Martin e un altro collega. Atlas ordinò una birra. Si voltò a guardare Hercule, che lo fissava con attenzione, lo stava studiando. «Vuoi una birra anche tu?»
Il medico annuì e Atlas ne ordinò due. «Hai finito di fissarmi o dopo vuoi vivisezionarmi?»

Hercule storse il naso e fece un sorriso storto, una scarica di fastidio si prolungò lungo tutto il suo corpo. «Hai uno strano odore.»

Atlas scrollò tranquillamente le spalle. Posò sul tavolo il pacchetto di sigarette, mettendolo in ordine perfettamente rispetto al centro tavola. Iniziava a credere davvero di essere psicopatico. «È il mio profumo.»

Hercule scosse il capo. Era quasi arrabbiato, non aveva il solito dolce e fastidioso sorriso stampato sul volto. «Conosco il tuo profumo.»

Atlas deglutì appena. Non c'era senso di colpa, non ne provava. Non sentiva nulla, ma forse avrebbe dovuto farlo. Eppure non c'era nulla tra loro, nulla di cui doversi giustificare. «Forse non lo conosci bene, allora, dottorino.»

«Ne te fous pas de moi, Atlas.» (non mi prendere per il culo, Atlas) Si passò una mano tra i capelli, sistemandosi meglio sulla propria sedia. «Non hai nulla da cui nasconderti, non fare l'idiota.»

Atlas aggrottò la fronte e strinse le mani, ancora, forte. Incastrò di nuovo le unghie nelle mani. Ignorò il cameriere che portò loro le birre. Sentiva di starsi allontanando dal resto del mondo. «Magari la prossima volta sarai tu il fortunato, dottorino. Non essere geloso.» Gli ammiccò.

Hercule avvicinò la bottiglia di birra alle labbra. Sorrise appena, sembrava che la tempesta si stesse rischiarendo. Non pensava fosse così semplice. «Non sono geloso. So che con me non ti comporteresti allo stesso modo.»

Martin si alzò in piedi. «Offro io il prossimo giro!»

Atlas si avvicinò appena ad Hercule, rendendosi conto della mossa sbagliata, perché il suo profumo alla vaniglia gli inondò la mente. «E cosa te ne dà l'assoluta certezza, doc?»

L'altro scrollò le spalle e si allungò verso il suo orecchio. «Perché con me entri in panico.»  Gli sussurrò. Sorrise soddisfatto, allontanandosi poi.
Ignoravano gli altri, che parlavano tra loro, come se non esistessero, non c'era nient'altro su cui Atlas riuscisse a concentrarsi. Sentì il sangue affluire, probabilmente allontanandosi dal cervello.
Purtroppo non riusciva a staccare gli occhi da dosso ad Hercule. Non sapeva se la birra gli fosse andata già alla testa, se avesse bevuto troppo in quel locale o se stesse impazzendo. Mandò giù l'ennesimo sorso. Slacciò un bottone della camicia, alla ricerca di un po' d'aria.
Si passò una mano tra i capelli e si alzò, raggiungendo Martin al bancone per aiutarlo a portare tutti i drink a tavola.

Il suo amico lo guardò divertito con la coda dell'occhio. Aspettavano che il barista si muovesse a preparare il tutto da dietro al bancone e si appoggiò a questo, tenendo un sorrisetto smorfioso a increspargli le labbra, illuminandogli il volto. «Mi sono perso qualcosa in queste settimane?»

Atlas teneva lo sguardo fisso ancora su Hercule al tavolo.  La camicia azzurra metteva in risalto i suoi occhi chiari. Fece un sospiro frustrato e tamburellò con le dita sul bancone. «Non ti seguo.»

«Volete una stanza? Ora ti è più chiaro?!» Martin ridacchiò, non appena Atlas si voltò a guardarlo così male che, se avesse potuto, lo avrebbe incenerito sul posto.
Menomale che non aveva una pistola con sé.

«Ma sei idiota?» Prese alcuni drink e fece per avviarsi in avanti. Non voleva sentire altre idiozie. Aveva la soluzione ad ogni problema ed era tra le sue mani: l'alcol, ancora una volta.
Ritornarono al tavolo, iniziò a perdere il conto dei bicchieri che mandò giù, sotto lo sguardo un po' apprensivo di Hercule.
Il medico gli prese il braccio, allontanandogli l'ennesimo drink. Atlas sbuffò, indossando un broncio da bambino e gli strappò un sorriso.

«Che ne dici di smetterla e andare a casa?»

Non ricordava molto, ma probabilmente gli rispose qualcosa di molto simile a: «Solo se mi ci accompagni tu.»
Soprattutto perché, dopo un tempo che non avrebbe saputo definire, erano entrambi nel suo appartamento. Atlas si reggeva ad Hercule, che brancolava nel buio alla ricerca dell'interruttore della luce. Lo sentì imprecare, quando rischiarono di inciampare entrambi.
Finalmente lo trovò ed esultò quasi. «Oh! E luce fu.» Sospirò finalmente.

Atlas era scocciato. Iniziò a liberarsi delle scarpe, lanciandole per la stanza. Da quando tutti i suoi problemi erano tornati a galla, si aggrappava alla violenza, al sesso e all'alcol per spegnere i pensieri. Hercule aggrottò la fronte, un po' in imbarazzo e richiuse la porta alle spalle.

«Non mi sentivo in colpa comunque, sai non so cosa sia il senso di colpa.» Atlas scrollò tranquillamente le spalle, barcollava per la stanza. «A volte mi chiedo come sarebbe essere normale.» Pronunciò quelle parole con così tanto disprezzo, che Hercule si immobilizzò appena. «Ho scopato con uno sconosciuto, ma è solo ordinaria amministrazione, oltre alle risse. Quelle mi piacciono più del sesso, sai?»

Hercule ridacchiò e scosse il capo. «Hai gusti particolari, allora.»

Atlas storse il naso. «Eri geloso, dottore? Perché potrei farti divertire, non ci sono problemi.» Iniziò a girare nervosamente per la stanza. Si voltò a guardarlo. «Sai cosa ci vorrebbe ora?»

«Credo di non poter immaginare una tua risposta-»

«Delle ciambelle.»

Hercule aggrottò la fronte confuso. «Ciambelle?»

Atlas annuì convinto, mentre camminava in tondo per l'appartamento. Hercule lo seguiva col terrore che potesse barcollare a terra. «Perché hanno un buco nel petto, come me... e poi sono buone. Non ti fidare mai di chi non ama le ciambelle»

«Credo-credo che me lo appunterò...» Hercule riusciva a stento a trattenere un sorriso. «Perché non ti siedi sul divano? Stai facendo la maratona, a questo punto ti portavo a passeggiare.»

Atlas scosse la mano scocciato. «...che poi avendo un buco nel petto, è come se non avessero un cuore, no? Ecco, io dico sempre che bisogna accoltellare il cuore del problema-»

«Stiamo ancora parlando di ciambelle?»

«Non lo so, insomma era chiedere tanto una colazione a letto per un compleanno anziché torture di giorno e sera?» Atlas si incamminò verso la cucina. Hercule lo seguiva e si sentiva oppresso. «Mi manca l'aria e forse devo pisciare.»
Iniziò ad armeggiare con i bottoni del pantalone ed Hercule si irrigidì.

«Che diavolo fai?»

«Posso spogliarmi in casa mia, cazzo?» Atlas sbuffò annoiato. Si liberò della camicia scura, lanciandola sul divano. Il petto era ricoperto di lividi e qualche vecchia cicatrice. Hercule le fissò, si morse l'interno guancia. «Ho caldo. Dovrei costruire una piscina sul pianerottolo superiore, vista città. Anche se poi i vicini romperebbero il cazzo come sempre. Dovrebbero ringraziarmi per essere così diplomatico da non urlare loro contro ogni giorno sul pianerottolo...» Socchiuse gli occhi e sbottonò finalmente i pantaloni.

«No. No. Fermo.» Hercule sembrava disperato quasi e la sua voce si incrinò, abbassandosi poi di qualche tono. Gli prese le mani e poi gli fece cenno di abbottonare la camicia. «Vai a metterti un pigiama.»

Atlas storse il naso. «Il pigiama è per l'ospedale.»

Hercule si portò le mani in volto.«Mettiti qualsiasi cosa, cazzo.» Sbuffò piano. «Intanto ti preparo una camomilla.» Poi fece per andare in cucina, ma Atlas scosse il capo e diede un calcio a una sedia, facendolo sussultare quasi. Era nervoso.
Non avrebbe ricordato quasi nulla il giorno dopo, se non poco e niente.
«Mia madre è morta a causa mia.» Sentiva l'aria mancargli. Hercule deglutì in silenzio, fissò il suo petto per un istante, perdendosi nei dettagli della pelle. Scosse poi il capo e indossò uno sguardo comprensivo.

«Sono sicuro che è stato un incidente, non sei cattivo.»

Atlas sentì qualcosa scattargli dentro. Arretrò.

"Sei stato un bambino cattivo."
"Sei un cattivo bambino"
"Sai cosa si fa ai bambini cattivi?"

Atlas sgranò gli occhi. «N-no. No. No, no. No. No.» Balbettava quasi. La gola era secca. Si portò le mani ai capelli. Indietreggiò fino alla propria stanza. Iniziò a cercare una felpa calda e la indossò. Le mani gli tremavano. Hercule lo seguì in silenzio, provando a rispettare i suoi spazi. Sembrava spaesato e preoccupato. «No!» Urlò alla fine, così forte da sentire un taglio alla gola, nel petto. L'urlo squarciò il silenzio della stanza e iniziò a tremare.
Hercule gli si avvicinò piano. Gli prese il capo e lo tirò a sé, abbracciandolo per qualche istante, forse attendendo che si calmasse.

«Va tutto bene... va tutto bene. Respira.»
Atlas teneva la testa contro il suo petto e aveva la voglia di rompere qualcosa. Strinse forte la camicia di Hercule, serrò i denti al punto da sentire il mal di testa pulsare contro le tempie. Mollò la presa e si lasciò cadere sul letto. Socchiuse gli occhi stanco.
«Ti preparo una camomilla e poi dormi, va bene?»

Atlas annuì, restandosene a fissare intensamente il vuoto.
Attese per qualche istante, che forse gli parve infinito.
Hercule lo raggiunse poco dopo, con una tazza fumante tra le mani. Si sedette accanto a lui, sul letto.
Gliela porse e Atlas la afferrò. Era silenzioso e forse era giusto così dopo quella patetica scenata. Iniziò a bere e lasciò che il calore si impossessasse del suo corpo. Era stanco, avrebbe voluto fare una doccia per liberarsi da tutto, ma voleva riposare. «Grazie.» mormorò poi, a bassa voce, come fosse una confessione inaccettabile e si distese sul letto. Fissò il soffitto per qualche istante.
Hercule si stese accanto a lui, tenendo le braccia incrociate al petto. Si posizionò poi su un fianco. Posò il capo contro la mano chiusa a pugno e lo osservò per qualche minuto, o un lasso di tempo indefinito.

«Perché non riposi un po'?»
Atlas lo osservò di sbieco. Vide il suo sguardo quasi triste, sembrava divorato da sensi di colpa o forse era la sia semplice impressione, falsata da tanto alcol e dolore mai rilasciato e urlato. Annuì appena. «Tranquillo, tanto non me ne vado.»

Il mattino seguente a svegliarlo fu la flebile luce del sole, filtrata attraverso le tende della finestra. Atlas aprì gli occhi, svogliato e di colpo fu assalito da un mal di testa lancinante, l'ennesimo. Storse il naso.
Si voltò a guardare al suo fianco e vide Hercule. Dormiva tranquillo, con ancora indosso i vestiti della sera precedente. Aveva pochi e vaghi ricordi. Era abbastanza sicuro di aver improvvisato uno spogliarello, concludendo con una crisi isterica, degna di un sedicenne in preda a una crisi ormonale. Si mise seduto e si portò le mani in volto. A svegliare il medico fu il suo sbuffetto frustrato, simile più al rumore assordante di una pentola in pressione, sul punto di esplodere.

Hercule mugugnò qualcosa di indecifrabile. Si stropicciò gli occhi con la manica della camicia. «Mh... buongiorno anche a te...»

«Bonjour, docteur.» Atlas lo osservò di sbieco. Si tirò in piedi e andò al bagno, chiudendosi dentro. Fece una doccia fredda veloce, come a voler cancellare tutti i suoi errori, sebbene fosse inutile.
Socchiuse gli occhi.

Qualche minuto dopo uscì, asciugandosi alla meglio i capelli ricci e raggiunse Hercule in cucina. In silenzio si accomodò di fronte a lui, bevendo un the caldo, dopo averci versatosi del latte. «Qualsiasi cosa abbia detto o fatto ieri, suppongo di doverti delle scuse.»

Hercule sorrise tranquillo e si pulì gli angoli della bocca. «Tranquillo, però credo tu mi abbia promesso una gran serata per farmi divertire, credo fosse una specie di proposta esplicita.» scrollò le spalle. «Mi hai esposto anche una teoria interessante sulle ciambelle, ma non l'ho afferrata molto. Mi darai delle ripetizioni magari.»

Atlas iniziò a strozzarsi col caffè. Lo guardò male. «Ero chiaramente ubriaco.»

«Mh, va bene...» Non sembrava convinto. «Da quanto tempo stai bevendo così tanto?»

Atlas si sentì toccato sul vivo. Era sempre più nervoso e sfogava ancor di più nell'alcol e tanto altro, forse per non sentire ciò che gli gravava addosso come la spada di Damocle. Scrollò le spalle. «Non da molto, non c'è nulla di cui preoccuparsi.»

Hercule fece per parlare, ma il campanello della porta suonò ed entrambi furono attratto da quella interruzione. Il medico si tirò in piedi e, come se fosse casa sua, andò ad aprire la porta, forse in un gesto involontario. Atlas glielo lasciò fare, fissando i suoi movimenti. Forse quella familiarità iniziava a non dispiacergli, così come la sua pressante presenza. Prese un'aspirina e la mandò giù.

Riconobbe la voce di Ida. «E tu chi sei? La scopata della sera prima?»

Hercule avvampò fino alla orecchie. Atlas roteò gli occhi al cielo e si tirò in piedi, raggiungendo la porta. «È un mio amico, brutta stronza.» Atlas fissò Ida. La donna, come sempre avvenente e affascinante, teneva i capelli scuri alzati in uno chignon elegante. I suoi occhi apparentemente dolci come quelli di un cerbiatto, ma letali come uno sparo, si posarono prima su di lui e poi su Hercule. Sorrise divertita. «Oh, ancora nulla? Che ti succede, Spector, stiamo perdendo colpi?»

«Il mio migliore amico non perde mai colpi, vero?» Isak Dahl, il suo vero migliore amico da anni, che lo conosceva in ogni dettaglio e c'era sempre stato per lui,li raggiunse sul pianerottolo. I suoi capelli rossicci e la barba fecero il primo ingresso, oltre all'enorme stazza. Si liberò di quegli inutili occhiali da sole e sorrise divertito. «Allora, bello, siamo pronti a divertirci? Che fai non ci presenti?» Isak strinse con forza la mano di Hercule, intontito da quei due arrivi così rumorosi.

Atlas sospirò e li fece entrare, assieme alle loro valigie e osservò Hercule di sbieco. «Sono due miei amici di vecchia data... sono venuti a trovarmi per un po'.»

Il medico annuì e sorrise appena. «Sembrano simpatici...» Si grattò la nuca in imbarazzo.


Angolino
Credo faccia abbastanza schifo.
Sono uscita per tre righi dalla mia zona di comfort, solo per darvi un'idea completa di Atlas, perché alcuni sociopatici presentano anche quest'aspetto: hanno fugaci avventure e quindi volevo concludere con una visione completa.
Fa schifo, lo so, voglio morire dentro.
Alla prossima

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