𝐗𝐈𝐗. 𝐃𝐮𝐛𝐛𝐢
𝐇𝐞𝐫𝐜𝐮𝐥𝐞
Oh, hush, my dear, it's been a difficult year
And terrors don't prey on
Innocent victims
Trust me, darling, trust me darling
It's been a loveless year
I'm a man of three fears
Integrity, faith and
Crocodile tears
Trust me, darling, trust me, darling
So look me in the eyes
Tell me what you see
Perfect paradise
Tearing at the seams
I wish I could escape
I don't wanna fake it
Wish I could erase it
Make your heart believe
But I'm a bad liar, bad liar
Now you know
Se n'era andato da poco da casa di Atlas. I suoi amici erano strani, sebbene fossero proprio il genere di persone di cui solo Atlas poteva circondarsi.
Una volta a casa, aveva iniziato a cambiarsi velocemente. Aveva lanciato un'occhiata all'orologio a parete nel salotto e si era reso conto di essere quasi in ritardo. Odiava essere così disordinato e distratto, ma non riusciva a fare altrimenti. La sua vita era un perenne caos: non faceva altro che trasferirsi da paese in paese per seguire la sua ex moglie e non tenere Heaven lontano dalla madre, ma era difficile.
Prese la propria giacca e corse fuori dal palazzo, chiamando di fretta un taxi.
Si aspettava tante cose dalla sera precedente, non di certo accompagnare Atlas a casa, dopo che era ubriaco e aveva fatto qualche strana allusione sessuale.
Poi aveva iniziato a sfogarsi, a urlare il suo dolore, sempre a modo suo, ed era stato straziante.
Chiamò il taxi e salì, dando l'indirizzo della scuola dove era sua figlia. Avrebbe finito tra circa una mezz'ora e voleva essere lì puntuale, non si sarebbe mai perdonato se fosse rimasta ad aspettarlo, anche se per qualche minuto.
Guardò fuori al finestrino, ripensando ad Atlas. Sbuffò piano, giocherellando col proprio cellulare, indeciso se scrivergli o meno. Forse era meglio lasciargli i suoi spazi, assieme a quegli amici, che sicuramente avrebbero saputo come aiutarlo.
Voleva ostinatamente non pensarci, perché lo aiutava a lenire il senso di colpa. E detestava non aver saputo portare a termine un incarico senza farsi coinvolgere emotivamente. Non credeva, quando gli avevano parlato di lui, che l'avrebbe trovato davvero affascinante, nelle sue stranezze. Lo avevano avvisato del suo carisma, per così dire, eppure non pensava di potersi far coinvolgere. Aveva sepolto da tempo certi sentimenti, aveva lasciato che morissero nella parte più profonda del proprio cuore. Si era dedicato solo a sua figlia e alla sua famiglia. Per anni non aveva fatto altro che cercare di star dietro a suo padre, ai suoi debiti e alla malattia di sua madre. Gli avevano permesso di costruirsi una carriera, senza mai farlo preoccupare di nulla, eppure, adesso, che sprofondavano nella miseria e nei debiti, non poteva permettersi di lasciarli andare.
Ogni qualvolta i sensi di colpa lo assalivano, continuava a convincersi che non avrebbe potuto fare altrimenti e che sarebbe stato tutto più semplice se non avesse iniziato a provare sentimenti nei suoi confronti. Era confuso, adesso non era tutto più semplice, come quando aveva accettato l'affare. Si passò una mano in volto, costringendosi a tornare alla realtà. Pagò il tassista e uscì dalla cabina, guardandosi intorno.
Entrò nel cortile della scuola, poggiandosi contro una quercia e attese qualche istante. Alcuni genitori parlavano tra loro, altre donne gli lanciavano sguardi e lo salutavano, dopo averlo riconosciuto.
Sorrise, quando sentì la campanella suonare con veemenza, e fissò l'orda di bambini che correvano fuori, alcuni diretti verso i bus, altri verso i propri genitori.
I suoi occhi individuarono immediatamente, nella folla, lo sguardo della sua bambina.
Avrebbe saputo riconoscerla ovunque, anche il suo profumo in mezzo a così tanta gente da confonderlo. Heaven era la sua anima e lo sarebbe sempre stata.
Si abbassò sulle ginocchia, allargando le braccia. In pochi attimi sua figlia gli fu addosso e la prese in braccio, alzandosi poi.
«Papii, come stai?» Heaven giocherellò con una ciocca dei suoi capelli, aggrappandosi a lui.
Hercule le sorrise, dandole un bacio sulla guancia. «Io sto bene, tesoro. Com'è andata oggi?» La fece scendere e le prese la mano. Le sfilò lo zainetto e se lo mise in spalla. Insieme si incamminarono verso il suo appartamento. Heaven saltellava allegra, raccontandogli la sua meravigliosa giornata. Era sempre così felice e avrebbe fatto di tutto per non spegnere quel sorriso smagliante che le incorniciava il volto scuro, illuminandolo ancora di più.
«Tutto bene. Ho capito le addizioni, la matematica non è malissimo. Mi ci vedi a fare il medico come te, papi? Però dev'essere impegnativo...» Iniziò a canticchiare a bassa voce. «Cosa mangiamo oggi? Qualcosa di buono? Questa sera ho un compleanno da una mia amica, mi ci accompagni?»
Hercule a volte dimenticava l'enorme quantità di informazioni che sua figlia era capace di sparargli addosso in pochi istanti. «Ho preparato un hamburger per pranzo e stasera ti accompagno io. Nel frattempo vado a salutare Martin, va bene?»
Heaven annuì felice. Saltellò allegra verso il loro palazzo, aspettando che la raggiungesse per aprire la porta. «Sei lento, papi.» ridacchiò.
Hercule le sorrise e aprì la porta, pochi istanti dopo erano a casa. La aiutò a liberarsi delle scarpe. Posò lo zainetto sul divano e la osservò mentre correva nel corridoio per raggiungere il bagno e andarsi a cambiare.
Era orgoglioso di poche cose della sua vita e Heaven era in cima a quella lista. Era il suo orgoglio più grande e non avrebbe saputo descrivere l'amore che provava quando la vedeva. Gli scoppiava semplicemente il cuore e per lei avrebbe dato via la sua vita. Si passò una mano tra i capelli e iniziò a cucinare la carne. Pochi istanti dopo, Heaven lo raggiunse. Si alzò sulle punte dei piedi per osservare i suoi movimenti. Le sorrise. «Ti va di iniziare ad apparecchiare per darmi una mano, che dici?»
«Uh certo.» Heaven prese la tovaglia, sistemandola sul piccolo tavolo circolare della cucina. Quando erano soli, Hercule non occupava il salotto, preferiva restare in uno spazio più piccolo, più intimo. Heaven, poi, sistemò tutto il necessario e lo aspettò pazientemente. Accese il televisore per compagnia, fissava estasiata i cartoni animati. «Posso mettere il Re Leone? Ti preego.»
Hercule sorrise involontariamente. Si voltò a guardarla. «Certo, ma non conosci tutte le battute a memoria?»
Heaven annuì energicamente con un gesto del capo. «Sì, ma è bellissimo.»
Hercule le sorrise allegro e le mise l'hambuger in tavola, con alcuni spinaci. Heaven non apparve contenta della scelta delle verdure. Arricciò il naso, in un'espressione così dolce ma altrettanto buffa.
«Lo so, ma questa sera hai una festa. Mangerai lì tutte le schifezze. Non esagerare che poi ti lamenti dei mal di pancia.»
Heaven infilzò la carne con la forchetta e iniziò a mangiare. «Non è folpa mmia, sce cucinano fempe cofe buoniffime-»
«Non parlare quando mangi.» Hercule ridacchiò.
La sera, ormai, aveva accompagnato Heaven al compleanno di una sua amica e poi aveva raggiunto Martin e Shayla in un bar poco distante da lì. Atlas non aveva risposto a nessuno dei loro messaggi. Spesso tendeva a escluderli tutti dalla sua vita ed Hercule un po' capiva quella necessità, soprattutto dopo che si era mostrato particolarmente vulnerabile. Si sentiva un po' nervoso, doveva ammetterlo.
Osservò, da fuori, il locale, le cui luci violacee riuscivano a illuminare anche la strada. Diverse persone erano fuori a fumare e a chiacchierare tra loro. Guardò i messaggi, ricontrollando per l'ennesima volta la char con Atlas, non rispondeva da molto. Non aveva nemmeno visualizzato i suoi messaggi. Gli aveva chiesto se li avrebbe raggiunti, ma ormai era consapevole che quella era una risposta negativa.
Fece scivolare il cellulare nella tasca dei pantaloni ed entrò nel locale.
La musica in sottofondo lo colpì in pieno. Cercò tra la folla i suoi amici e scorse ad un tavolo Martin, seduto assieme a Shayla e a qualche altro collega. Bevevano insieme e non facevano altro che guardarsi.
Hercule roteò appena gli occhi al cielo. Martin era caduto nella tela del ragno, Shayla non era così innocente come voleva far apparire.
Si sistemò la giacca e li raggiunse.
«Oh Hercule! Eccoti, cosa ti prendo?» Martin si tirò in piedi e gli strinse la mano, facendolo poi accomodare.
«Ho ordinato una birra, ho detto al cameriere di portarmela a questo tavolo.» Allentò un poco la cravatta. Si sentiva in tensione, non riusciva a nasconderlo. Quella situazione stava iniziando a stressarlo. La gamba iniziò a muoversi di continuo su e giù.
Quel pomeriggio, mentre Heaven riposava accanto a lui, aveva ricevuto un messaggio e non poteva far a meno di pensarci continuamente.
Anonimo: "Hai una settimana di tempo, dobbiamo accelerare i tempi."
Non gli piaceva tutta quella situazione, lo innervosiva tremendamente. Martin lo fece sussultare, quando di colpo gli diede una pacca sulla spalla. «Tutro bene, amico? Ti vedo teso.»
Hercule sorrise forzatamente. «Oh, sì, sì. Sono solo soprappensiero, scusami.» Si grattò dietro la nuca con imbarazzo. Ringraziò il cameriere, non appena la birra gli venne servita, e iniziò a giocherellare con la bottiglia. Incrociò lo sguardo di Shayla, che lo osservava da sotto le lunghe ciglia, con attenzione. I suoi occhi scuri lo scrutarono e deviò quel contatto visivo.
Martin storse il naso. «Lo so che avresti voluto fosse qui. Ma ti giuro, a volte è difficile stargli dietro. Credo che Atlas sia davvero difficile da gestire...»
La cosa che più lo terrorizzava, era che tutti avevano notato che tra loro ci fosse un qualcosa di non definito, non invisibile agli occhi. Ed Hercule stesso credeva di non meritare davvero la fiducia di Atlas. Aveva compreso da subito di non dover dar peso alle parole e alle sue battute al veleno, erano il suo modo migliore per nascondersi. Atlas parlava a gesti, con piccole attenzioni. Sviava il contatto fisico, ma quando era debole si fidava di lui, lo cercava. E si sentiva un mostro a meritare la sua fiducia, soprattutto per quello che sarebbe successo.
«No, ma che c'entra...» Hercule bevve un sorso di birra. «Sono solo un po' preso dal lavoro, da mia figlia e dagli impegni... ma non c'entra nulla l'assenza di Atlas.» Sospirò stanco.
Martin sorrise divertito e scrollò le spalle. «Va bene, amico. Se lo dici tu...» Si tirò in piedi, per andare a prendere da bere agli altri. Martin e Tanya, da pochi giorni, avevano trovato un accordo con Mr Knight e avrebbero collaborato. Hercule sapeva che, però, Martin avrebbe continuato a indagare su di lui, per catturarlo a conclusione di tutta quella storia. Si alzò anche lui. Aveva bisogno di calmarsi e andare in bagno. Si sarebbe gettato un po' d'acqua ghiacciata in volto e si sarebbe ripreso. Sbuffò piano e iniziò a dirigersi verso il bagno, muovendosi tra la folla del locale, evitando le persone che chiacchieravano o ballavano al centro della sala. Entrò nel bagno e sbuffò stanco.
Guardò il suo riflesso nello specchio e storse il naso. Era provato, era chiaro.
Non era una cattiva persona, non lo era mai stato. Aveva fatto delle scelte difficili e si era sempre preoccupato della sua famiglia. Avrebbe fatto di tutto per loro, li avrebbe difesi fino alla fine, perché dopotutto lo avevano amato e reso l'uomo che era. Eppure, non poteva far a meno di chiedersi cosa avrebbe potuto pensare suo padre di lui, se avesse saputo tutto l'inganno che stava costruendo.
Stinse forte i bordi del lavandino. Le nocche delle mani impallidirono. Sarebbe stato tutto più semplice se non si fosse creato quello strano legame con Atlas. Non avrebbe voluto perderlo, ormai sentiva che fosse quella persona che da tempo aspettava. Sapeva, però, che poi tutto sarebbe cambiato.
Si sciacquò il volto con l'acqua fredda e si asciugò. Uscì dal bagno e incontrò Shayla nei corridoi. La donna si fermò sul posto e lo spinse contro la parete. «Perché hai quella faccia da cane bastonato?»
Hercule si liberò dalla sua presa, con un gesto di stizza. «Non ti interessa.»
Lo sguardo della donna si addolcì di colpo. Scosse il capo e provò a prendergli il polso. «Mi dici che ti prende?»
«Nulla, sto solo seguendo le direttive.»
Shayla rise. Roteò gli occhi al cielo. «Stronzate. Potrai mentire a tutti, ma non a me. Ti conosco abbastanza bene da sapere che qualcosa non va.»
«Sono preoccupato per Heaven. Non vorrei che venisse coinvolta.»
«Non è mai stato nei piani. Non lo permetterei mai.»
«Se sono in mezzo a questa storia, è anche colpa tua.»
Shayla aggrottò la fronte. «Heaven, prima di essere la tua, è mia figlia. La mia meravigliosa bambina, non permetterò le torcano nemmeno un capello.» Strinse i pugni. «E mi dispiace, ma non sei stato coinvolto solo per me, anzi. Se il tuo paparino non amasse così tanto giocarsi soldi e casa, forse adesso non saresti qui. Me ne starei occupando solo io.»
Hercule la guardò male. «Non ci saresti mai riuscita ad avvicinarti a lui.»
Shayla lo guardò. «Appunto. Ho anche un altro lavoro adesso. Ti assicuro, Herc, quando questa storia finirà smetteremo tutti e tornerai alla tua vita normale. Te lo prometto.»
«Lo spero.»
Shayla lo abbracciò. Gli accarezzò la guancia. «Mi hai permesso una vita. Ho ancora debiti da risolvere, ma è tutto quasi finito. Hai salvato me e mia figlia, che adesso è anche tua. Vedrai, tutto questo finirà.» Hercule annuì, tirando su col naso, nervoso e teso. Sbuffò piano. «Adesso sai cosa fare.»
«Sì. Va bene. Ora vai.» Hercule agitò la mano. Prese il proprio cellulare e cercò il contatto di Atlas.
"Non ho dimenticato che abbiamo un appuntamento in sospeso. Hai da fare dopodomani sera? Nel caso fossi occupato, liberati."
Attese qualche istante e raggiunse gli altri al bar. Si sedette e tamburellò con le dita sul tavolo. Sentì poi vibrare il cellulare nella tasca e li sfilò.
A: "Tutta questa sicurezza l'hai trovata in una bustina di patatine omaggio?
Che hai in mente, dottorino?"
Angolino
Sorpresa! Shayla è l'ex moglie di Hercule, ve l'aspettavate? Ha anche lui un enorme fardello sulle spalle, gli dispiace non poter aiutare tutti.
Alla prossima 🫡
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