𝐗𝐈𝐕. 𝐀𝐜𝐜𝐨𝐫𝐝𝐨
You've been my muse for a long time
You get me through every dark night
I'm always gone, out on the go
I'm on the run and you're home alone
I'm too consumed with my own life
Are we too young for this?
Feels like I can't move
Sharing my heart
It's tearing me apart
But I know I'd miss you, baby, if I left right now
Doing what I can, tryna be a man
And every time I kiss you, baby
I can hear the sound of breaking down
I've been confused as of late (yeah)
Watching my youth slip away (yeah)
You're like the sun, you wake me up
But you drain me out if I get too much
I might need you or I'll break
Era un risveglio strano.
Anche perché c'era uno strano vociare in sottofondo e di certo non credeva che Hercule fosse temporaneamente impazzito e avesse invitato qualcuno a guardarlo dormire -oltre al fatto che sarebbe stato terribilmente inquietante-.
Si mise seduto, tirandosi su di scatto, e dovette aspettare qualche momento prima che la sua vista smettesse di essere annebbiata.
Hercule era seduto sulla poltrona, a fissare intensamente il televisore.
Ben presto anche il suo udito, così come ogni suo senso, ritornò in ordine e si ridestò.
«Paul Ethan Keyles è stato rivenuto questa mattina nel suo appartamento. Il corpo, quasi completamente tumefatto, era dilaniato da colpi violenti...» Il giornalista, ormai del tutto calvo, raccontava la storia del suo delitto.
Atlas si irrigidì appena. Nessuno dei suoi omicidi aveva mai attirato così tanto l'attenzione mediatica. Socchiuse gli occhi, cercando di restare impassibile.
Dopotutto lo meritava, e forse anche qualcosa in più. Avrebbe dovuto occuparsi del cadavere, ma voleva che si trovasse quella volta. Non aveva lasciato nessuna sua traccia, per cui si sentiva anche piuttosto tranquillo. «...La polizia sta già indagando, in attesa di un'autopsia, i suoi familiari chiedono risposte e non si arrenderanno. Ricordiamo che Keyles era stato adottato da uno degli imprenditori più conosciuti nel Regno Unito. Seguono aggiornamenti, nel rispetto del lutto della famiglia.»
Hercule prese il cellulare dalla tasca e sbiancò. «Cazzo, cazzo, cazzo-» Iniziò ad imprecare nervosamente.
Atlas inarcò un sopracciglio, confuso e il medico si voltò ad osservarlo. «Devo andare a lavoro, devo muovermi. Ho perso dieci chiamate di Martin questa mattina. Avevo staccato la suoneria. Mi dispiace non poterti preparare la colazione, ma mi farò perdonare.»
Atlas si tirò tranquillamente in piedi e si sistemò i capelli ancora arruffati dal sonno. Inclinò appena il capo, osservando come Hercule si muoveva nervoso per tutta la stanza, racimolando i propri oggetti e alla ricerca spasmodica della giacca. «Credo che tu, dottorino, abbia bisogno di una lista seria di priorità nella vita. Non è importante la colazione al momento...»
Hercule annuì e afferrò finalmente la propria giacca. Aprì la porta e Atlas uscì con lui, attendendo mentre dava almeno un'infinità di mandate di chiave per chiuderla in sicurezza.
Come se potesse fermare qualsiasi malintenzionato.
«Mi dispiace, mi sarebbe piaciuto poter essere più, ehm, d'aiuto per Lindsay...» Si grattò il capo, confuso. «Non era la ragazza di Paul?»
Atlas fece un cenno d'assenso col capo. «Erano andati in vacanza insieme. Ieri sono passato al suo appartamento e non c'era più. Poi qualcuno del palazzo mi ha detto che era morta in un incidente durante la vacanza, appunto.» Ed era più o meno la verità. L'anziana padrona di casa gli aveva permesso di entrare nel suo appartamento. Atlas con attenzione si era guardato attorno e aveva trovato il biglietto a lui riservato.
Il fatto che Paul si fosse tranquillamente liberato del suo corpo, sicuramente con l'aiuto di Perez -se non anche di suo padre, un uomo così legato al nome e ai soldi-, aveva fatto svanire ogni semplice dubbio. Non aveva familiari che avrebbero pianto la sua anima e all'università era solo una su un milione, una semplice ragazza, la cui assenza non sarebbe stata notata quasi da nessuno.
Lindsay aveva soltanto lui e non era riuscito comunque a difenderla.
Per questo aveva applicato la propria giustizia.
Non c'era morale che condividesse, se non la propria.
Ed era tranquillamente facile per lui mentire come se l'omicidio della sera precedente non fosse opera sua.
Hercule si portò le mani in volto, stanco. «Che tragedia, Cristo.» Sospirò stanco.
Si salutarono fuori al palazzo e il medico iniziò a correre dietro un taxi per raggiungere l'obitorio.
Atlas cercò smaniosamente nelle tasche dei propri pantaloni un pacchetto di sigarette. Ne prese una e l'accese, lasciando che il fumo invadesse i propri polmoni. Come un paradosso, gli pareva di star iniziando a respirare.
Si incamminò silenziosamente fino alla propria libreria e si rinchiuse all'interno. Si avvicinò all'acquario nel proprio ufficio e fece un sorrisetto a Gaston, dandogli poi da mangiare.
Una volta seduto sul divano, iniziò ad ascoltare le notizie del giorno, attraverso un piccolo televisore che aveva con sé nel suo ufficio.
Incrociò le braccia al petto.
Tutti i canali non facevano che parlare di quel caso. Era diventato quasi nazionale e si accusava Scotland Yard di essere a un bivio.
Nessuno aveva visto nulla, nessuno aveva notato qualcuno introdursi nel suo appartamento. Avevano fatto solo caso alla serratura della porta sul balcone forzata.
Molti, inoltre, credevano potesse essere proprio Mr Knight, ma tanti altri, invece, prendevano solo le sue difese, affermando con convinzione che il loro vigilante si abbatteva solo sulle anime crudeli.
Se solo avessero saputo quanto quel principio si applicasse perfettamente anche a Paul Keyles.
La polizia, però, d'altro canto, non era convinta del tutto fosse un suo omicidio.
Si poggiò contro il divano e socchiuse gli occhi. Era abbastanza stanco e aveva ricevuto un avviso: un incontro con la polizia per quella sera. Era stato contattato su una mail alla quale non corrispondevano dati reali; tutto paradossalmente andava a perdersi nel vuoto.
Forse si erano davvero decisi di andare a parlare con lui e non poteva far a meno di pensare che sarebbe stato il primo incontro senza la sua assistente.
Sentì ancora una volta la rabbia ribollire nelle sue vene.
Non voleva assolutamente attirare troppo la loro attenzione. Non poteva rischiare che ricordassero qualche dettaglio. Così affittò per una sera un nuovo appartamento, utilizzando come al solito un altro nome. La maggior parte delle volte copiava una delle tante identità dei suoi amici norvegesi. Pagava in anticipo così da assicurarsi la fiducia dell'affittuario e gli chiedeva di lasciare le chiavi in un posto tranquillo, dove poi sarebbe andato a recuperarle.
Dopo aver fatto qualche contrattazione con affittuari che sparavano prezzi assurdi per una notte, convinti che dovesse portarci chissà quale amante, era riuscito a trovarne uno.
Non avrebbe avuto Lindsay a disposizione, quindi non poteva muoversi nel solito appartamento, né avvisarla di iniziare a infettare l'aria con quel gas soporifero.
Sapeva abbastanza bene che avessero bisogno solo del suo aiuto, per curare un altro caso, prima che diventasse nazionale, ma aveva la sensazione che ne avrebbero approfittato per interrogarlo sull'omicidio del giovane Keyles.
Atlas era stato un soldato, si era preparato per anni a saper affrontare quei momenti e a conoscere bene a quali domande rispondere e a quali astenersi.
Nel pomeriggio raggiunse quell'appartamento. Prese le chiavi sistemate sotto un vaso di rose, accanto alla porta ed entrò.
Era abbastanza fatiscente ma adatto un po' al proprio personaggio.
Iniziò a sistemare un po' l'ambiente per l'incontro. Spostò il tavolo del salotto al centro e due sedie di fronte alla propria, così come quando un medico accoglieva i propri pazienti.
Era abbastanza certo che si sarebbero presentati Martin, che curava da sempre i suoi casi, e Tanya, che non era altro che il capitano della stazione di polizia.
Forse avrebbero portato con loro anche qualche detective, non sapeva che altro aspettarsi.
Si accomodò sul divano e sentì il cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni.
H: "Qui è un macello, una confusione esagerata... Però pensavo che sabato potremmo andare a mangiare qualcosa fuori, così posso farmi perdonare per il risveglio traumatico di questa mattina."
Atlas lesse almeno tre volte quel messaggio, prima di poter formulare un pensiero sensato. Non era bravo in quell'ambito e sapeva bene di far davvero schifo coi sentimenti, figurarsi in un'uscita in due.
"In realtà, dottorino, il vero problema non è stato tanto il dover uscire subito da casa, ma il televisore acceso proprio dove dormivo."
"Questo era davvero poco carino."
H: "Quindi è un modo per dire che accetti le mie umili scuse?"
Atlas sorrise appena. La sua gamba iniziò ad agitarsi su e giù, un solito tic nervoso.
"Potrebbe essere."
Posò il cellulare nella tasca dei pantaloni e socchiuse gli occhi. Doveva iniziare a prepararsi per l'incontro di quella serata, fissato circa alle otto, evidentemente non avevano voglia di perdere poi così tanto tempo. Atlas detestava quegli orari, c'era troppa gente in giro. Proprio per quel motivo aveva deciso di restare in quell'appartamento, portando con sé già il costume di scena, così avrebbe dovuto solo cambiarsi e nascondere i propri vestiti, tenendoli accanto a sé. Era l'unico modo per sentirsi tranquillo.
Per sicurezza, aveva portato anche i suoi veri gioielli: un paio di pistole, qualche fazzoletto avvelenato e un pugnale. Giusto per essere cauti e non troppo prevenuti.
Attese, finché non sentì il citofono. Si sistemò la maschera in volto e aprì la porta. Come aveva previsto, si presentarono Martin e Tanya insieme. Li squadrò da capo a piedi. Erano pronti ad entrare, ma li bloccò sulla porta. «Posate ogni arma.» Forzò la voce, anche un po' ovattata dalla maschera.
I due si scambiarono un'occhiata complice e posarono due pistole all'ingresso. Atlas non era stupido, non si fidava affatto dei due, ma si accontentò, sapeva che avevano troppo bisogno del suo aiuto per tirarsi indietro o rischiare di mandare tutto all'aria. Li fece accomodare e si sedette di fronte a loro, il tavolo era l'unico oggetto a separarli.
Martin era in tensione, lo capiva da come agitava la gamba e per tutte le volte che si era grattato dietro alla nuca. Forse moriva dalla voglia di catturarlo, quella rappresentava la sua occasione più grande. Eppure sapeva bene di dover star fermo. Tanya gli riservò un'occhiata abbastanza severa, poi tossicchiò, prendendo parola. «Siamo qui a chiederle una collaborazione.»
«E io cosa ci guadagno?» Atlas amava provocare, probabilmente era la sua specialità.
Martin si mosse a disagio sulla sedia, quando Tanya lo guardò nervosa, incoraggiandolo a parlare con un gesto del capo. «Smetteremo di starle alle calcagna...» Atlas avrebbe voluto ridere, non potevano smettere di indagare sugli omicidi, sebben coinvolgessero personaggi poco raccomandabili. «Per un po'...»
Scrollò le spalle. In quel momento era anche Mr Knight, non solo Atlas. «Non me ne faccio assolutamente nulla. Non mi pare di aver mai avuto problemi con le vostre indagini o la caccia all'uomo. Fino a prova contraria siete voi da me, non siamo in carcere perché mi avete preso in flagrante.»
Tanya si innervosì. La vide socchiudere gli occhi in un moto di stizza, provando a recuperare la calma. «Bene, allora facciamo che troveremo un modo per non accusarla della morte di Paul Keyles, cosa ne dice?»
«Dico che non sono stato io.» Atlas si sporse appena, guardandoli con attenzione. «Tuti i miei omicidi sono stati richiesti, ho avuto dei mandanti che mi hanno anche ben pagato. Rispetto la loro privacy e tutte le vittime non erano cittadini di cui esserne orgogliosi. Oltre ogni ragionevole dubbio, Paul Keyles non aveva fatto nulla di male, ergo non avevo motivi per ucciderlo.»
Tanya sorrise. «Aveva accuse di altre studentesse, nel suo vecchio college, di aver abusato di loro. Questo basta, forse, a volerlo uccidere?»
Atlas si sistemò meglio sulla propria sedia, le fece cenno di continuare a parlare, come se avesse catturato la sua attenzione. «Magari questa volta non è opera sua, ma per noi sarebbe facile incolparla di ogni cosa, non crede? Invece, se ci aiuterà a risolvere questo caso, lasceremo immacolato il suo curriculum da un'anima innocente.» Mimò quelle ultime parole, fingendo delle virgolette alte con dei gesti delle mani.
«Qual è il caso?»
Martin sorrise, forse improvvisamente illuminato di aver attirato la sua attenzione. Eppure si aspettava, fin dal primo momento, che gli avrebbe riservato degli sguardi carichi di odio, invece sembrava esserne affascinato, quasi incuriosito dal suo personaggio. Come se la smania di volerlo catturare e tenere dietro le sbarre, fosse svanita all'improvviso, spazzata via da una violenta folata di vento. Iniziò a cercare nella propria borsa a tracolla, come se avesse così tante cose da mostrargli da avere l'imbarazzo della scelta. Sfilò poi una serie di fascicoli. «Sono delle copie dei nostri originali, nel caso dovessero servirle.» Chiarì poi. Atlas trovava particolarmente fastidioso il lei, avrebbero potuto anche interagire in maniera più colloquiale. Martin, poi, sfilò una chiavetta usb e un pc portatile. «Le mostreremo il video dell'interrogatorio, più che altro incontro, con i bambini, che sono le vere vittime di questa storia, così per farle capire la gravità di tutto questo.»
Atlas annuì. Allentò appena la cravatta, alla ricerca d'aria perché quella maschera già stava iniziando a gravare sulle sue vie respiratorie. Sapeva bene cosa stessero subendo quei ragazzini, era stato il primo a vivere quelle violenze. Conosceva un po' il caso, i suoi amici gliene avevano parlato e gli stavano chiedendo un aiuto per catturare -nella loro convinzione- un imitatore di Perez o di un altro pazzo maniaco. Atlas, invece, sapeva benissimo che Perez fosse tornato appositamente per lui, l'aveva visto. Stava cercando di "curare" tutti i bambini come lui, anche se afflitti da semplice dislessia o disturbi del comportamento, per liberarli dal male.
Esattamente come credeva di aver fatto con lui.
Martin lo riportò alla realtà. «Abbiamo portato il nostro portatile perché sicuramente non si sarebbe fidato a inserire la chiavetta nel suo pc, avrebbe pensato che volevamo fregarla.»
Atlas annuì. «Avrei pensato che voleste fottermi, già.» Era meglio essere maggiormente chiari.
Martin cercò di non farsi sfuggire un sorriso. Lo conosceva come uno degli uomini più allegri e solari. Era strano vederlo in quei panni così seri. Avviò poi il pc e la registrazione, dopo aver inserito la chiavetta.
Atlas osservò lo schermo.
Tanya, insieme a Martin, Hercule e alcuni medici erano seduti vicino alla bambina, accompagnata dai suoi genitori.
Gli occhi erano tristi, svuotati di qualsiasi purezze e allegria tipici di un bambino. Fissava appena il vuoto con disincantato distacco.
Atlas ricordava bene quella sensazione di doversi allontanare ed estraniare dal mondo, per fingere che quei dolori non esistessero.
La dottoressa si rivolgeva con dolcezza. «Allora, Nina, ti va di parlarci? Come stai, tesoro?»
La bimba tirò su col naso e tremò. «B-bene.»
I bambini mentivano quando si sentivano in pericolo. Era il loro modo naturale di auto preservarsi. Atlas avrebbe negato sempre di star male, perché le punizioni sarebbero state ancor più violente.
«Le ferite? Ti fanno ancora un po' male?»
«A volte bruciano un po'...» La bambina giocherellò poi con le sue trecce, allontanandosi dai loro discorsi. Vide un lampo di tristezza dardeggiare nei suoi occhi.
Atlas aveva l'esigenza di vomitare.
«Ti va di parlarci di cos'è successo?»
La bambina guardò sua madre e le prese la mano, facendosi forza.
Atlas avrebbe tanto voluto che sua madre Josephine fosse lì con lui in quei momenti. Probabilmente, però, se non fosse morta a causa sua, nulla di tutto quello sarebbe mai successo nella sua vita. Forse sarebbe andato tutto diversamente, probabilmente suo padre non sarebbe impazzito, non gli avrebbe fatto così tanto del male.
Eppure con l'immaginazione di potevano creare scenari così lontani e idilliaci, che poi tornare alla realtà era peggio di un pugno ben assestato nello stomaco. La bimba prese un grosso respiro. La frangetta sembrò alzarsi come con un soffio di vento, dopo quello sbuffo leggero. «L-lui diceva che mi avrebbe curata, perché ero una bambina cattiva.»
Atlas rabbrividì. Strinse così forte i pugni, che se non avesse avuto i guanti, avrebbe incastrato le unghie nei palmi. «Ero troppo iperattiva e diceva che i miei dispetti agli altri bambini andavano puniti, perché il demonio è in me.» Iniziò a singhiozzare. «Dio non mi perdonerà mai, vero? Nessuno potrà salvarmi! La mia anima è all'Inferno.» Iniziò a urlare, a portarsi le mani in volto. La sua voce era straziata dal pianto.
Da quel momento in poi la registrazione si fermava. I due lo riportarono alla realtà. Tanya era scossa, come se rivivere quei momenti fosse ancora più difficile. «Deve trovarlo. Deve aiutarci a trovarlo e consegnarcelo.»
Atlas annuì.
«Possibilmente vivo.»
Quello era un problema. «Questo non posso garantirlo.»
I due si alzarono. Gli lasciarono tutti i documenti e alcuni contatti telefonici, nel caso volesse aggiornarli. Gli strinsero la mano, con la promesse che avrebbero dovuto tenersi in contatto per qualsiasi genere di novità. Atlas li osservò andarsene e richiuse la porta. Aveva bisogno di aria.
Iniziò a cambiarsi nervosamente e sistemò tutto in uno zaino, che aveva portato con sé. Uscì di soppiatto dalla finestra e corse verso casa.
Le sue gambe si muovevano quasi meccanicamente.
Bambino cattivo
Tutto sembrava tornare sempre a lui. Ogni storia tornava al suo passato, al suo dolore.
Non voleva rivivere quei ricordi, non poteva ripercorrere quel vialone sterrato e doloroso. Eppure doveva farlo, forse avrebbe potuto finalmente liberarsi da quelle paure irrazionali. Magari avrebbe potuto provare di nuovo qualcosa.
Atlas voleva sentire dei sentimenti forti, voleva poterlo fare, gli mancava sentirsi umano.
Arrivò fuori al palazzo e si fermò vicino alla posta. Trovò una lettera e rabbrividì.
Le mani presero a tremargli.
Ho visto quello che hai fatto.
Non sono mai riuscito a fermarti.
Forse c'è un motivo davvero biblico per cui esisti e soprattutto sopravvivi.
Non sei solo un bambino cattivo, Jeremiah.
Tu sei il mio piccolo Anticristo.
E non vedo l'ora di tornare a domarti come un tempo.
Con Paul ho già giocato con la tua mente.
È facile, vero?
Aspettami, non siamo poi così lontani e diversi, io e te.
Entrambi vogliamo purificare il mondo, eppure per iniziare bene credo si debba partire da te, ragazzo mio.
Con molto affetto.
Atlas richiuse nervosamente la lettera e la nascose nella tasca dei pantaloni. Si sistemò meglio lo zaino in spalla e iniziò a salire le scale fino al suo appartamento. Le gambe tremavano. La gola era secca.
A stento riusciva a muovere le palpebre e sentiva dei formicolii su tutto il corpo.
Quando arrivò sul proprio pianerottolo, davanti alla porta c'era Hercule.
Gli sorrideva gentile, aspettando stanco e seduto a terra. Lo vide e si tirò rapidamente in piedi. «Martin mi ha detto che vivi qui...» Inclinò il capo. «Atlas? Sei pallido, che ti succede? Da quanto tempo soffri di attacchi di panico?»
Atlas lo spostò nervosamente. Poi vomitò ai suoi piedi, sporcandosi le scarpe. Gli passò le chiavi, tenendo lo sguardo basso, mentre sentiva di star rigettando anche l'anima.
«Cazzo!» Hercule lo aiutò e prese le chiavi, aprì poi il suo appartamento. Atlas memorizzò che aveva il costume con sé e tutto era perfettamente in ordine e nascosto, non aveva nulla di cui preoccuparsi. Avrebbe voluto parlargli ancora, ma vomitò di nuovo e si appoggiò alla parete per reggersi in piedi.
Hercule lo aiutò, tenendogli i capelli all'indietro.
«Che schifo.» Atlas borbottò poi. «Meglio che tu te ne vada.»
«Ho visto di peggio.» Hercule gli sorrise, ancora. «Te lo assicuro. Entriamo in casa, dai.»
Angolino
Come state? Spero tutti bene❤️
Il capitolo è abbastanza "tranquillo", la polizia finalmente ingaggia Atlas e iniziamo a intravedere cosa pensa Perez e quale potrebbe essere il suo piano, che vede in Atlas il fulcro.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che la storia vi tenga compagnia!
Aspetto i vostri commenti (che personalmente amo, grazie davvero per tutto questo sostegno).
Alla prossima ❤️
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top