𝐈𝐗. 𝐒𝐭𝐨 𝐛𝐞𝐧𝐞.

It's just another night
Just another fight for my life
It's alright, because everything dies
Nobody know why
Wetin I go do?
Wetin you go do when you feeling like you're falling
And you can't find nothing to hold on to?
Memories ahh-ooh
Carry me go
Carry me go, oh na, yeah
Sick and tired of it all, take me far away
Mr. DJ, gbemi trabaye
Now I no fit trust anybody
Na hin mek I no fit shout
My body don dey tire, eh
E make me madder, eh
My head don scatter, eh
My Holy Father, eh
My body don dey tire, eh
E make me madder, eh
When my whole world is set on fire
Don't leave me alone




«Atlas, cosa stai guardando?» Hercule provò a scuoterlo dai suoi pensieri.

Atlas teneva lo sguardo fisso su Lindsay. Non indossava quasi mai gli occhiali da sole, avrebbero rovinato i suoi bellissimi occhi, così come diceva lei. Era di sicuro un quoziente intellettivo sotto la media, ma non al punto tale da indossare occhiali da sole in una giornata uggiosa e all'interno di un locale. «Devo andare a parlare con la mia assistente.» Posò sul tavolo i soldi del proprio pasto e si allontanò da Hercule, che rimase confuso ad osservarlo. Martin era di ritorno dal bagno, lo vide accomodarsi e domandare al medico cosa diavolo stesse facendo.

Atlas non era bravo coi sentimentalismi, né aveva mai avuto particolare tatto. Prese una sedia e la trascinò -rumorosamente e sotto gli occhi infastiditi di molti presenti- e si accomodò di fronte a Lindsay. La ragazza sussultò non appena lo vide davanti a sé. Atlas inclinò appena il capo, con un sorriso quasi antipatico si rivolse alla propria segretaria. «Oh. Ti ho spaventata, forse?» Prese un pezzo di pane e mangiucchiò.

Lindsay scosse il capo. «Come mai sei qui?» Allungò il collo verso le sue spalle e notò al tavolo più lontano Hercule e Martin, a chiacchierare. «Non mi dire che hai lasciato il tuo possibile sposo al tavolo senza di te per venire qui?»

Atlas mosse l'indice in risposta negativa, emettendo un suono fastidioso, che fece aggrottare la fronte anche alla ragazza. «Oh no, no. Non ci provare.» La osservò con attenzione. Dai movimenti del suo corpo sembrava nervosa e tesa. «Perché indossi gli occhiali da sole? Li detesti, di solito.»

«Nulla, mi piacevano.» Lindsay abbassò lo sguardo sul proprio pasto e sbuffò piano. Rigirò la forchetta nel piatto, quasi con gesti annoiati.
Atlas fu più veloce. Si allungò verso di lei e le sfilò gli occhiali. Lindsay provò a coprirsi l'occhio ma era troppo tardi. Notò un livido violaceo e deformato a gonfiarle lo sguardo dolce e chiaro. Sentì come una morsa nello stomaco e strinse così forte i pugni da far impallidire le nocche.

«È stato lui? Dimmi la cazzo di verità.»

Lindsay scosse decisa il capo. Gli strappò gli occhiali dalle mani e li indossò nuovamente. Sbuffò poi e intrecciò le braccia al petto. «No. Per questo non volevo dirtelo, ti saresti arrabbiato. E diventi violento quando succedono queste cose.»

«Lindsay, se ti ha messo le mani addosso, io gliele taglio.» Atlas avrebbe dovuto tenere a freno la lingua, ma di certo mozzargli le mani sarebbe stato soltanto un gesto diplomatico.

«Ti dico di no...» Non sembrava certa, ma non poteva agire se non avesse avuto prove o parole evidenti. Era l'unica regola che si era dato. Altrimenti avrebbe rischiato di uccidere chiunque, anche gli tagliava per errore la strada. Era l'unico modo per tenere a bada l'istinto predatore che era in lui. «Ero all'università ieri e ho aperto male il mio armadietto, dandomelo in volto. Sapevo avresti reagito così, per questo volevo prendermi la giornata libera oggi.»

Atlas sospirò sconfitto. Non gli bastava. Sentiva la voglia di prendere a pugni chiunque. «E credevi che in un solo giorno quel coso si sarebbe tolto?»

«Almeno mi credi?»

"No, certo che no."
Decise di optare per una risposta calma, anche perché Paul avrebbe avuto gli incubi per quella notte. Già voleva interrogarlo su come conoscesse davvero le due gemelle o se non fosse stato tutto un piano di Perez. Poi gli avrebbe dato due cazzotti per avvisarlo. 
Guardò Lindsay e sbuffò. «Ti concedo il beneficio del dubbio.»

Lindsay gli sorrise grata e tornò a mangiare. Pochi istanti dopo, Martin ed Hercule gli si avvicinarono. Martin gli posò una mano sulla spalla. «Noi torniamo a lavoro, ci vediamo questa sera?»
Atlas alzò lo sguardo sui due uomini. Hercule gli sorrideva. Salutò anche Lindsay ed ebbe la sensazione che la ragazza stesse quasi arrossendo. Scosse il capo.

«Non lo so, credo che passerò la serata.»

Martin si rattristò. Non riusciva a capire da dove prendesse tutte quelle energie. «Va bene, se cambi idea avvisaci. A domani.»

Entrambi uscirono e Atlas seguì le loro figure per qualche istante. Osservò il profilo del medico, tranquillo. Chiacchierava spensierato e sorrideva sempre a tutti. A volte lo detestava. Inclinò leggermente il capo, mentre -quasi involontariamente- un sorriso iniziò a increspargli le labbra.
Pochi secondi dopo, Lindsay lo colpì con un cazzotto sul braccio. Si voltò di scatto a guardarla e si portò una mano sul punto dolente. «Ahi.» Le riservò un'occhiataccia. «Mi dici che cazzo di problemi gravi ti affliggono? Così magari uno ti giustifica anche, dice "eh dai cazzò è stupida, nulla si può fare."»

«Sembri un pervertito. Gli stavi guardando il culo.» Lindsay non riuscì a trattenere una risatina.

Atlas deglutì e la guardò male. Era strano essere colti in flagrante. «Non è vero. Aveva un bel giaccone.»

«Oh sì, il giaccone. Sei un amante della moda, lo dimenticavo. Di che colore era?»

«Blu?»

«Gli stavi guardando il culo.»

Atlas roteò gli occhi al cielo e guardò il pasto ancora intatto nel piatto di Lindsay. Aveva soltanto spostato con la forchetta la pasta qua e là. «Mangia.»

«Ti prego, dovevi vederti. Hai anche sorriso e non penso di averti mai visto sorridere.»

«Ti diverti molto, eh? In mia difesa è un bel culo, se fossi in te sarei gelosa.»

«Non ci provare, non riuscirai a distrarmi e a farmi ingelosire.» Lindsay ridacchiò, tornando a mangiare e Atlas sospirò frustrato. Guardò fuori alle vetrate verso la strada. Pioveva e in lontananza poteva percepire anche il rombo dei tuoni. Si chiese se anche per quella sera avrebbe piovuto e un po' ci sperava, giusto per rendere più tetra la sua missione e riuscire a spaventare -a morte- il piccolo Paul, nella speranza che gli desse le informazioni desiderate e imparasse a tenere le proprie mani a posto. Tornò ad osservare Lindsay e non poté far a meno di pensare che fosse particolarmente triste e giù di tono quel giorno. Non sapeva come fare, Atlas non era empatico e, fosse stato per lui, le avrebbe anche fatto anche le congratulazioni per essere così giù d'umore.

༄༄༄

Al calar della notte Edimburgo era tranquilla. La Luna Piena era in cielo e, assieme alle stelle, era l'unica testimone delle sue efferatezze.
Atlas aveva trascorso tutto il pomeriggio ad individuare l'appartamento in cui viveva Paul, l'innocente ragazzino che lo aveva mandato direttamente nella fauci della morte e nel piano organizzato sicuramente da Fernando Perez. Non poteva smettere di pensarci, era diventato un tarlo fisso.
Saltava da un tetto all'altro, con agilità, senza farsi notare eccessivamente. Era straordinario come di notte riuscisse a sentirsi se stesso. Ignorava le fitte al fianco, sperando che i troppi sforzi non aprissero per l'ennesima volta quella ferita. Si calò giù dal tetto, raggiungendo il balcone del terzo piano del palazzo, dove viveva quel ragazzino, che a quanto pare non era così puro come gli aveva fatto credere.
Certo, aveva ucciso sicuramente due donne malefiche grazie a lui, eppure continuava a chiedersi fin dove fosse la verità e dove iniziasse la menzogna. A volte il filo che le separava era così sottile da poter essere tagliato con tranquillità anche a mani nude.
Riuscì a scassinare la finestra e si infilò nell'appartamento. Alcuni libri di giurisprudenza erano sparsi lungo il tavolo della cucina. Aveva finito di studiare tardi a giudicare dal disordine e dai piatti non ancora lavati.
Si mosse silenziosamente nella stanza, perlustrandola. Raggiunse il corridoio, restando vicino alle pareti e arrivò nella camera da letto.
Dormiva beato.
Atlas inclinò appena il capo. Il volto era nascosto dalla maschera da Mr Knight. Si sistemò meglio i guanti e lo afferrò con violenza per il colletto del pigiama, costringendolo a svegliarsi.

Il ragazzo tirò quasi un urlo, ma Atlas fu più veloce, portandogli una mano alla bocca. «Ssh. Non è il caso di svegliare tutto il palazzo. Tu fa' il bravo e non ti succederà nulla.»
Gli occhi di Paul si riempirono quasi di lacrime. Avrebbe dovuto provare pietà, senso di colpa. Invece non sentiva assolutamente nulla. Sapeva solo di poter giocare con le sue paure, sfruttandole a suo favore. «Allora, se ti libero la bocca, urlerai? Perché se hai intenzione di farlo, allora ti darò io un buon motivo per gridare.» Gli sibilò all'orecchio quelle parole.

Il ragazzo scosse il capo, terrorizzato e Atlas liberò la sua bocca. Paul prese fiato e lo seguì fino in salotto. Si guardava attorno sperando di poter scappare, ma Atlas non gliel'avrebbe permesso, piuttosto gli avrebbe sparato nelle gambe. Lo fece sedere sul divano, spingendolo con ben poca delicatezza e si sedette di fronte a lui, poggiandosi sul tavolino. «Allora, Paul, noi ci siamo incontrati già. Ho risolto il tuo problemino. Adesso non vorrai che diventiamo nemici, vero?»

«I-io no...» biascicò a bassa voce, come se stesse trascinando un peso dietro di sé.

«Non ho capito bene.»

Paul si schiarì la voce, tossicchiando leggermente. «No.»

Atlas annuì. Adorava vedere il loro terrore nello sguardo, lo facevano sentire forte. Era lui a tenere il controllo della situazione, finalmente. «Eri sincero su come conoscevi quelle due donne?»

«Certo che sì.»

Atlas storse il naso. Perché dovevano mentire? Si alzò e gli legò le mani dietro la schiena. Il ragazzo non oppose resistenza, forse consapevole che se l'avesse fatto avrebbe solo peggiorato la situazione. Gli assestò un pugno in pieno volto. Sorrise soddisfatto quando vide il naso sporcarsi di sangue. Paul si lasciò sfuggire un rantolo di dolore e tossì, accovacciandosi su se stesso. Atlas lo prese per i capelli, costringendolo ad alzare lo sguardo su di lui. «Non mi mentire.»

«Lo giuro! Sono state il mio incubo fin da bambino.» Tirò su col naso dolorante. Gli occhi erano gonfi di lacrime.

«Chi ti ha detto dove trovarle?!»

«Mi ha lasciato un biglietto anonimo. Mi ha anche scritto che avrei trovato pace per la mia anima se avessi saputo dov'erano... Così ho pensato di rivolgermi a te. Tu solo avresti potuto liberarmi da quell'incubo, cazzo.» Iniziò a singhiozzare.

Atlas lo guardò con indifferenza, sebbene le sue espressioni fossero nascoste dalla maschera. «Conosci Fernando Perez?»

«Non so chi diavolo sia!»
Atlas lo colpì con un gancio destro allo stomaco. Paul si ripiegò su se stesso. Iniziò a tossire forte e il suo sangue gli macchiò le scarpe, nuove. Ancora. Forse doveva iniziare a sfruttare vecchie scarpe usate, anziché trascorrere le nottate a sgrassarle dal sangue delle sue vittime. Paul alzò appena lo sguardo, gli occhi erano inumiditi dal dolore. «Non sto mentendo, lo giuro.»

Atlas ridacchiò. Gli si avvicinò all'orecchio. «Oh questo lo so. Ti sto solo dando un avvertimento. Fa ancora male alla mia assistente e ti giuro che il prossimo a finire sotto terra sarai tu.»

«È stato un incidente! I-io non volevo. Ero ubriaco e noi eravamo tornati da una serata e-e tutti la guardavano.» Mormorò.

Atlas sapeva benissimo che il più grande molestatore era stato molestato. Credeva di poter essere un esempio lampante, ma lui stesso aveva imparato a incanalare quella violenza innata nei confronti di chi un po' di dolore lo meritava. Gli tirò ancora una volta i capelli. «Non te lo ripeterò ancora. Tu fa' male ancora a Lindsay e io ti taglio le palle, te le imbalsamo e te le impacchetto per Natale.»
Gli liberò le mani ancora legate dietro la schiena e se ne andò, così com'era arrivato, nel silenzio notturno. Uscì dal balcone e si riversò per le strade.

Una volta a casa si spogliò dai panni di Mr Knight e andò in libreria. Non aveva sonno, non riusciva a chiudere occhio. Ripensava al fatto che Perez lo avesse manipolato per far sì che arrivasse a quelle due donne, così da scoprire che era tornato in circolazione e non era mai morto. Quella vecchia serratura della libreria era insopportabile, si proponeva sempre di cambiarla, ma se ne dimenticava solo. Dopo diversi tentativi e tantissime bestemmie e imprecazioni, riuscì ad entrare.
Si avviò nel suo ufficio e diede un altro po' da mangiare a Gaston, anche se iniziava a credere che fosse un po' in sovrappeso. «Sei un pesce porco, lo sai?» Batté appena contro il vetro dell'acquario.
Iniziò ad innaffiare un po' le sue piccole piante, che erano le uniche a ricordargli che quell'ufficio fosse abitato anche da esseri viventi -oltre a Gaston-.
Atlas si distese poi sul divano del proprio ufficio e fece uno sbuffo sommesso. Incrociò le braccia dietro al capo e fissò il soffitto. Si tolse le scarpe facendole volare nella stanza e ripensò al fatto che stesse per cadere appositamente nell'ennesima trappola di Perez. Rabbrividì al solo pensiero, finché la stanchezza non si impossessò dei suoi muscoli.

«Dici che è vivo?» la voce di Lindsay lo fece svegliare di soprassalto.
Quando aprì gli occhi fu abbastanza confuso di trovarsi davanti i volti di Hercule e Lindsay. Entrambi lo osservavano dall'alto, con un cipiglio preoccupato.
«Oh mio dio, sei vivo!» Lindsay urlò appena, dalla felicità e Atlas si portò le mani alle orecchie, non dopo averle riservato un'occhiataccia carica di fastidio. Detestava quando la sua voce raggiungeva gli ultrasuoni.
Lindsay posò una mano sulla spalla di Hercule, che le sorrise poi gentile. Era curioso di sapere se fosse mai stato triste.
«Vado ad avvisare Martin che non deve chiamare nessuna ambulanza.»

«Quanto siete melodrammatici.» Atlas si tirò in piedi e il torcicollo lo investì con violenza.

«Buongiorno, ti ho portato la colazione.» Hercule gli posò un sacco di carta. Poteva sentire l'odore delle brioches calde. Atlas inarcò un sopracciglio, confuso. «Beh, di solito non fai mai tardi la mattina al bar. Così io e Martin ti abbiamo preso la colazione e abbiamo pensato di venire qui in biblioteca sperando che fosse tutto okay. Martin era molto preoccupato, dice che sei un maniaco della perfezione e non saresti mai stato in ritardo.»

«Mmh.» Atlas sbuffò scocciato e si allungò a prendere la colazione. Iniziò a mangiare una brioches.

«Così Lindsay ci ha aperto e ha detto che credeva stessi dormendo. Poi ha pensato che potessi essere anche morto svenuto sul divano ed eccoci qui.» Hercule sorrise allegro, allargando le braccia.

«Mio dio, ma cosa mangi la mattina, pane e allegria?» Sbuffò scocciato. «O forse ti droghi per sopportare il fatto che i morti non ti parlano. O meglio ancora, non ti sei mai accorto che non possono risponderti per quanto sei logorroico.»

Hercule non si scompose, lasciandosi scappare una risatina. «Voglio credere che la tua arguta simpatia sia dovuta solo al torcicollo. Vuoi un massaggio?»

Atlas arretrò, quasi spalmandosi con la schiena contro il divano. Deglutì appena. «Con quelle mani con cui tocchi i morti? Anche no.»

«Forse era meglio se restavi un altro po' svenuto.» Hercule scrollò le spalle.

Martin fece il suo ingresso in ufficio e corse verso di lui. Gli si inginocchiò di fronte e iniziò a scrutarlo per assicurarsi che stesse bene. «Sei svenuto stanotte?»

Atlas scosse il capo. «Per amor del cazzo, sto bene! Ho solo fatto tardi per dar da mangiare a Gaston. Rilassati, mammina.»

Martin storse il naso. «Va bene, ma non farmi spaventare mai più così. Io vado, attacco il turno tra poco.» Salutò poi Lindsay e liberò l'ufficio, che mai come quella volta era pieno di persone.
Lindsay, dietro ad Hercule, gli faceva dei gesti come a volergli dire di parlare. Iniziò a indietreggiare fino a lasciarli soli in stanza.
Hercule sorrise e si guardò attorno. Si abbassò verso l'acquario, avvicinandosi a Gaston e prese ad osservarlo.

Atlas diede un altro morso alla brioches. «Tu, dottor allegria non devi andare a lavoro? I morti aspettano, staranno scalpitando.»

Hercule sorrise. Vide il suo riflesso sul vetro. «Sei sempre così spigoloso o lo fai solo quando mi guardi il culo?»

Atlas iniziò a tossire nervosamente, rischiando di affogarsi con la brioche. «Ma che cazzo dici?»

Hercule si girò a guardarlo e sorrise soddisfatto. Scrollò appena le spalle. «Adesso non lo stavi facendo, il che è strano data la tua scarsa abilità nei rapporti sociali, ma ieri ti ho visto. Sai le vetrine dei negozi funzionano come specchi.»

Atlas bevve un bicchiere d'acqua e si tirò tranquillamente in piedi. «Non sarei così sicuro di me stesso. Pensavo di voler comprare lo stesso giaccone.»

«Ottimo, allora so anche che regalo farti per Natale.» Hercule arretrò. «Adesso puoi vendermi un libro o devo aspettare che la principessa finisca la sua colazione?»

Atlas gli puntò un dito conto. «Potrei uccidere per molto meno.» Si avviò fuori dall'ufficio, muovendosi per gli scaffali. Chiamò Lindsay e le disse di dargli una mano.
Sbuffò scocciato e si portò dietro al bancone. «Che genere cerchi?»

Hercule si grattò la nuca imbarazzato. «Vorrei regalare a mia figlia Harry Potter. Dopo aver letto Percy Jackson credo che questo le possa piacere... per il suo compleanno.»

Atlas annuì. Deviò con attenzione lo sguardo di Lindsay che lo guardava come se fosse arrivato il principe azzurro in sella a un destriero bianco. Lo accompagnò negli scaffali di letteratura per ragazzi e gli porse il primo. Aveva dimenticato quasi il fatto che Hercule fosse stato sposato e avesse una bambina. Anche se non l'aveva mai vista e ci teneva a non incontrarla mai. Già con Leyla, sua nipote acquisita (solo perché la figlia del suo migliore amico), di appena due anni, era una grande frana.
«Tieni.» Gli posò il libro contro il petto e lo superò, dirigendosi verso la cassa. Hercule lo osservò divertito, seguendolo poi per pagare.

«Sai tra un po' sarà il mio compleanno. Di solito non festeggio molto, ma organizzo una cena da me. Sicuramente verranno Martin e Tanya, se ti va di passare sei il benvenuto.»

Atlas lo osservò e storse il naso. «Odio le feste.»

«J'aimerais vraiment que vous m'accompagniez au poste.» (mi farebbe davvero piacere se venissi.)

Atlas sentì le viscere contorcersi. Era strano poter parlare solo tra loro, senza che nessuno capisse cosa stessero dicendo.

«Et pourquoi pas?» (e perché mai?)

Hercule scrollò semplicemente le spalle. Lo osservò con calma da capo a piedi. Gli sorrise tranquillo, mentre gli occhi chiari sembravano rilassati e attenti sulla sua figura. Non rispose, cambiò semplicemente argomento.
«Non sei costretto a farmi un regalo.»

«Vedremo.»

Hercule pagò. Salutò con dolcezza Lindsay e gli sorrise un'ultima volta prima di uscire. Atlas sbuffò e si poggiò contro il bancone e osservò la sua figura allontanarsi. Lindsay lo riportò alla realtà. «Paul è in ospedale. Ha il setto nasale deviato... sei stato tu?»

Atlas alzò la mani in segno di pace. «Sono stato un soldato, è vero, sono violento, sì, ma non a tal punto.»









Angolino
Lo dico? Lo dico.
Mi diverte scrivere col pov di Atlas, è diverso, strano, senza filtri.
Se tra di voi ci fosse qualche vecchio lettore di TME, vi direi che non è altro che un'evoluzione di Barty, un po' più violento forse.
Lo amo e sono felice che piaccia anche a voi, mi fate sentire meno psicopatica.
Alla prossima ❤️‍🩹

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