Due Vite

Lady Jessica è furente «Non avresti dovuto invadere la privacy di tuo padre!» tuona a suo figlio, non appena questi varca la soglia dei suoi appartamenti. «Ti sei comportato come una bestia priva di senno. L'autocontrollo di anni di insegnamenti polverizzato dalla tua collera. Che ti è saltato in mente di aggredire il generale Dameron?»

Paul freme, trattiene a stento le lacrime che sente salire in un groppo che morde la bocca dello stomaco opprime il petto fino ad annebbiare la razionalità che il figlio di una Bene Gesserit deve tenere. «Così a te sta bene, madre... essere una delle tante

«Paul, tu non sei lucido. Non hai esperienza in queste situazioni. Tuo padre ha avuto una vita, prima di me. Io questo lo rispetto, devi farlo anche tu». Jessica esorta suo figlio.

Ma come fai a mentire a te stessa? Io lo so che quel sentimento non s'è mai placato. Ora che conosco la verità, so che lui pensa ancora al passato. Non lo ha mai dimenticato!
Paul non può esternare i suoi pensieri, tuttavia sa che sua madre può sentirlo.

Devi lasciare che la vita faccia il suo corso, Paul. Non puoi impedirlo.
Jessica rivolge un'occhiata austera a suo figlio, nel silenzio inframmezzato solo dal sibilo dei venti di Arrakis che si abbattono impetuosi sulle dune al crepuscolo che allunga le sue ombre sanguigne. In lontananza, una grossa nube in movimento sulle creste sabbiose segna il passaggio dei temuti Shai Hulud, i gelosi vermi delle sabbie, i guardiani della Spezia che turbina nell'aria, trasportata nella scia di granelli dorati.

Lasciate le stanze di Jessica e suo padre, Paul si dirige a grandi falcate presso la propria, evitando di incrociare la servitù o peggio qualcuno dei collaboratori di Leto. Un terzo grado di Duncan, in merito alla sua visita alla base della Resistenza, non lo reggerebbe. È atterrato su una delle piattaforme di sbarco secondarie proprio per eludere la sorveglianza di palazzo. Tuttavia, giunto quasi sull'uscio, l'ultima persona al mondo che vorrebbe è quella che trova ad aspettarlo.

«Padre perdona, sono molto stanco. Ti riferirò domani» Paul, a testa bassa, alza un braccio perché suo padre lo lasci passare senza sbarrargli l'ingresso in camera. Avanza con irruenza e Leto si sposta leggermente per lasciarlo entrare ma lo segue all'interno, prontamente. Inutile il tentativo di Paul di chiuderlo fuori.
«Padre, ho detto domani, per favore. Sono sfinito». Paul seguita a dare le spalle al gentitore nel mentre slaccia la giacca e la lancia sul letto in malo modo e via via le dita flessuose allentano i bottoni della camicia sul colletto e sui polsini con fare convulso.

«Non sei stanco, sei arrabbiato. Ne deduco che la visita nella galassia di Leia Organa non ti abbia portato risultati. Volevo solo chiederti questo. Non intendo tediarti ulteriormente.»

È di lui che vuoi sapere. Lo so. Paul macina rabbia. Vorrebbe urlare in faccia a suo padre - l'adorato genitore, modello di virtù, confidente, mentore, amico, la persona che più ammira e rispetta al mondo - che è solo un maledetto bugiardo ipocrita. Lo ha sempre creduto innamorato di sua madre, invece ha mentito, per anni. «Sono troppo stanco, ti prego. Domani riporterò tutto al consiglio.»

Un'ombra densa cala tra padre e figlio, per la prima volta. Non serve appartenere ai Jedi o alle Bene Gesserit per prenderne coscienza. Paul è distante e Leto ha ragione di temere che il suo incontro con Dameron non sia stato idilliaco.

«Domani mattina riporterò ogni cosa al consiglio, come ho detto. Comunque ci aiuteranno» asserisce asciutto Paul. Il tuo generale sta per tornare da te.

La mano già sulla porta della maniglia di camera di suo figlio, pronto a ritirarsi per non forzare il ragazzo, Leto è pervaso da un tremito di sorpresa a quell'affermazione. «Quando?» gli fugge dalle labbra in un sospiro incontrollato.

«Domani all'alba lo Squadrone Nero sarà su Arrakis. Bisogna far preparare delle tute distillanti da Liet Kynes.»

Non più una parola echeggia tra le mura della camera di Paul. Il cigolio della porta che si richiude alle spalle del ragazzo gli fa tirare un sospiro di sollievo. Almeno fino al giorno seguente.

Leto percorre i corridoi che dalla camera di Paul portano alla sua. Il passo è lento, quasi si trascina sul lucido porfido nero che specchia l'immagine sfocata del duca padre.

Domani, quell'unica parola di Paul martella nelle orecchie di Leto come un mantra.

Domani. Dopo quasi vent'anni.
Domani, per azzerare le distanze.
Domani, come allora, in mezzo a una guerra dov'è tutto sbagliato.

In un lampo, un cumulo di cenere guizza da sotto le macerie del tempo.

Domani. Domani ha il tuo nome, che non pronuncio più da anni.
Il nome che soffocavo tra i tuoi capelli, scosso dai tremori di un piacere peccaminoso.
Il nome che ho annegato tra le lacrime amare del rimpianto feroce di te, chiuso nei silenzi dell'anima.
Domani, io non sono pronto.
Domani, io l'ho chiesto fino a che gli occhi mi si sono consumati nelle orbite per il dolore di averti perso.
E poi ho chiesto ancora domani, per scordarmi di noi.
Domani, per uno sbaglio.
Domani, per vivere.
Domani, per non morire.

Leto si prende il capo tra le mani, una discende sul petto ansante che si ingrossa e si contrae in respiri pesanti.

Domani è una vita intera.
Domani non sono pronto.

L'aria su Arrakis è densa, arida. Ho la gola riarsa più che su Ajan Kloss, che a confronto mi sembra un'oasi. Forse non è a causa della secchezza dei venti desertici.

Molti sono i pensieri che si affastellano nella mente di Poe Dameron. Lui e lo Squadrone Nero sono giunti sui loro X-Wing, alle prime luci dell'alba, insieme a due cannoniere e una corazzata in soccorso ai Fremen e a Casa Atréides.

Appena sbarcati, si fa loro incontro Liet Kynes, la dottoressa incaricata di portare le speciali tute distillanti in dotazione per gli ospiti. Dopo le presentazioni di rito, Kynes invita i rinforzi a dirigersi verso palazzo reale per incontrare il consiglio e pianificare al più presto un contrattacco.

Il cuore sbatte furiosamente contro la cassa toracica, a ogni passo che il generale della Resistenza avanza verso la Camera del Consiglio. Resta appiccicato alle suole degli stivali impolverati che calcano pesantemente il suolo battuto prima, l'elegante porfido appena dopo. La sua immagine si riflette nelle pregiate lastre nere. A capo chino, chiuso in un silenzio ermetico, avverte il muscolo cardiaco scivolare fino al pavimento, nel momento in cui la porta viene aperta e lui e i suoi uomini introdotti alla presenza dei consiglieri. Non trova il coraggio di staccare lo sguardo dal suolo, le ginocchia sembrano gelatina, spera che il pavimento lo ingoi. Grazie agli dèi è Finn a prendere la parola. Dev'essersi accorto che lui non è capace di articolare suono. Le voci dei presenti arrivano a Poe ovattate. Si limita ad annuire con la testa in segno di saluto. Come in un sogno è tutto surreale ma quando sente nominare Leto sa che gli occhi dovrà sollevarli e rendere omaggio al reggente di Arrakis, non potrà eludere l'inevitabile.

E gli occhi di Leto sono due paludi vischiose, indecifrabili che lo trascinano sul fondo in un inestricabile groviglio di sensazioni. Si sente gelare e soffocare al contempo. Mugugna monosillabi, la lingua gli si incolla al palato, disconnessa dalla ragione.

Paul ha appena finito di riferire ai presenti il responso della sua ambasciata su Ajan Kloss. Non c'è stato preavviso; mentre Paul e Hawat riportavano della loro visita, gli alleati già sbarcavano su Arrakis.

«Non c'è tempo. Gli Harkonnen ci sono addosso» esala Paul amaro - e non esclusivamente per la situazione molto tesa a cui i continui attacchi nemici sottopongono il pianeta.

«Sono d'accordo con Paul. Generale Dameron, se volete seguirmi, insieme alla vostra squadra, vi mostro gli alloggi.»

«Non è necessario, Duncan! A questo penserà la servitù» si mostra scostante Paul, superando il capannello di uomini di suo padre e quelli di Dameron senza congedarsi, né accennare un saluto ai nuovi arrivati.

«Vogliate scusarlo, il ragazzo dev'essere stanco dal viaggio di ieri» Duncan Idaho cerca di giustificare l'ostilità di Paul. I suoi occhi cercano quelli di Leto. Duncan sa bene che un simile comportamento non è da Paul ma il Duca Rosso ha lo sguardo lontano.

Ha evitato quello di Poe, di proposito, se non nella frazione di secondo in cui sono stati obbligati a salutarsi. Continua a camminare in testa al gruppo di uomini che guida gli alleati della Resistenza attraverso la sontuosa residenza.

Poe lo osserva di spalle, il portamento eretto, fiero. Le spalle larghe, il suo incedere sicuro. Non c'è più il ragazzo gracile che stringeva a sé tremante. Mentre percorrono i corridoi assolati, Duncan illustra loro i decori delle sale che attraversano. Gli mostra, dalle terrazze digradanti, le dune ma Poe riesce a guardare solo Leto. Il profilo regolare della mascella incastonato in una barba folta e curata lo rende simile a un re degli dèi. La divisa modellata sul corpo possente, impunturata di fregi e mostrine, delinea un sembiante dalla magnificenza regale. Parla poco, la sua voce si è fatta profonda. I lunghi capelli hanno lasciato posto a un taglio più consono alla sua età, ma sono ricci come li ricorda, e striati appena d'argento.

Al momento del pranzo lo Squadrone Nero viene introdotto alla presenza di Lady Jessica e delle ancelle. Di solito a lei non piace desinare al tavolo del salone principale perché il ritratto di Paulus Atreides, che troneggia alla parete frontale, le mette ansia. Quella mattina fa eccezione per i suoi ospiti. Nell'incrociare gli sguardi per presentarsi, Lady Jessica e Poe avvertono un fremito attraversarli entrambi. Non dicono niente, si guardano, è sufficiente. Una premonizione scorre tra loro, una connessione. Anche Paul li osserva. Ha avvertito lo stesso turbamento. Leto è silenzioso, tiene gli occhi bassi e non è da lui. Il silenzio che inframmezza il frugale momento di convivio è spesso come una coltre cinerea.

È notte ormai. Tutti si sono ritirati nelle loro camere. L'inquietudine cresce a dismisura nel petto di Leto che si rigira nervosamente tra le lenzuola. Jessica avverte il suo malessere strisciare attraverso le lenzuola e insinuarsi fino alle ossa. Si stringe a lui d'istinto, lo cinge alle spalle, posandogli la mano al centro del petto, dove il battito in tumulto, del suo uomo, galoppa impazzito. Gli deposita baci delicati sulla nuca e lo stringe più forte per calmarlo. Leto sovrappone il palmo a quello esile della donna e vi intreccia le proprie dita, serra gli occhi e il suo petto si innalza in un respiro più ampio. Poi si volta e la guarda. «Ti amo, Jessica» sussurra con voce rotta.

Gli accarezza il volto lei, lo bacia sulle labbra con dolcezza, lo guarda. Sa che è sincero e sa anche quanto può far male fare i conti un passato irrisolto che torna all'improvviso a fendere ferite antiche.

Jessica sa che Leto l'ama. Sa anche che non ha potuto scegliere, quand'era ragazzo. Se avesse potuto le cose sarebbero state diverse. Sa che, da adulto, ha scelto lei.

«Avrei dovuto sposarti, Jessica.»

«Non pensarci ora» lo bacia sulla fronte, «abbiamo tutto quello che ci serve. Non preoccuparti di nulla». La donna serba molte cose nel suo cuore ma si fida di Leto. L'amore è libertà.

Leto abbandona il talamo e, uscito dalla camera, si aggira per i corridoi fino a giungere a una delle terrazze. Essa guarda verso la camera del generale dove la luce è ancora accesa.

Poe, con i gomiti sulle ginocchia, si tiene la testa tra le mani. Si arrovella il cervello in mille elucubrazioni fino a che non sente bussare alla porta della sua stanza. Prestando attenzione, socchiude appena l'uscio e si ritrova sbalordito alla presenza del più temuto fantasma del suo passato.

Non dice niente, lo osserva con piglio imperscrutabile. Non un soffio di fiato lascia le sue labbra. Poe si sposta, lasciandogli libero il passaggio. Leto avanza fino alla terrazza, restando di spalle mentre il generale ne ha seguito in silenzio ogni passo.

Richiude la porta alle loro spalle e deglutisce rovi di spine. Non sa che dire. Quali parole potrebbero colmare un vuoto di vent'anni?
Cosa allora? Giocare la facile carta del sesso, come faceva da ragazzo? Non sono più dei ragazzi e Leto ha una compagna ora.

«Grazie di essere venuto» è Leto a rompere il silenzio, inaspettatamente per Poe. Avrebbe giurato che sarebbero rimasti lì a darsi le spalle, torturandosi su chi per primo dovesse dire qualcosa di sensato.

Anche stavolta Leto non lo delude. In fondo è stato sempre lui quello razionale, riflette Poe mentre cerca di articolare una risposta. È sempre stato Leto quello che osava, domandava. Quello che gli diceva di non giocare con il suo cuore - ché per lui niente era un gioco, tra loro. Glielo diceva con lo sguardo soltanto. Sì, Leto è sempre stato quello che, dei due, sapeva comunicare le emozioni senza remore, guardandolo negli occhi. E lo fa anche ora.

«Dovere, Duca.»

«Dovere, certo» precisa l'altro in tono sarcastico, seguitando a dare le spalle al generale.

«Avevo le mie battaglie da combattere. Sai che altrimenti sarei venuto in vostro aiuto ogni volta che fosse stato necessario.»

Leto si volta e finalmente si affrontano viso a viso.

Sei cresciuto, damerino, ma la faccia da cazzo ce l'hai ancora, se non di più, non può fare a meno di pensarlo, abbassando il viso per sorridere mentre si tocca il mento.

«La cosa ti diverte, Altezza?»

Gli manca il respiro quando Poe lo chiama così. Infinite immagini di loro due nudi e aggrovigliati scorrono a rallentatore, davanti ai suoi occhi, e nelle tempie gli rimbomba la voce di Poe. L'aveva dimenticata. Aveva dimenticato quanto fosse eccitante sentirsi chiamare Altezza, nei loro momenti intimi.

«Eppure tuo figlio sostiene che rischi la vita ogni secondo che passa, però hai voglia di scherzare, vedo.»

«Che cosa vuoi sentirti dire, Poe Dameron? Non è più di questo che ti devo, dopo che sei sparito per vent'anni!»

Poe stringe i pugni e soffia dalle narici come un animale che carica la preda. Ho avuto scelta? Brutto figlio di... e Leto lo sfida con uno sguardo ancora più tagliente. Il generale della Resistenza fa appello al poco buon senso che possiede per non venire alle mani. Gli occhi si fanno acquosi. Vinto, abbassa lo sguardo.

«Vent'anni nei quali ti sei ben consolato» sibila tra i denti.

«Tu invece sei diventato un Jedi, vero? Ti vedo, tutta castità e meditazione e niente legami, come dice il tuo credo.»

Scoppia in una risata nervosa il generale «Io Jedi? Fammi il favore.»

«E allora non venirmi ad accusare, in casa mia, di come vivo» gli intima con l'indice puntato a pochi millimetri dal viso, dopo essersi avvicinato. «Che avrei dovuto fare?» Aspettarti in eterno? Non eravamo possibili. Non lo siamo ora... non lo saremo mai, la voce ridotta a un sussurro, gli occhi del Duca Rosso sono lividi e carichi.

D'istinto, il generale lo abbraccia, lo stringe in maniera convulsa. Com'è diverso il suo corpo. Ora è così robusto, mascolino. È diventato uomo e lo è diventato senza di lui. Non era che un ragazzino alle sue prime esperienze. Fragile, stupendo e innocente e ora è un uomo. Gli afferra il viso tra le mani e inchioda gli occhi nei suoi. Giurerebbe di sentirlo tremare mentre in una carezza lenta le dita del generale della Resistenza tracciano ogni linea del suo viso. Sprofonda il viso sulla sua spalla. Inala il suo profumo attraverso la stoffa leggera della camicia. Poi cerca l'incavo del suo collo e vi appoggia la fronte. Respira e si ferma, aspetta un cenno da Leto.

Il duca gli accarezza i capelli con entrambe le mani, mentre i palmi del pilota scorrono sulla sua schiena, assaporando la pelle liscia al di sopra della camicia. Poe prende a baciarlo sul collo, dove le vene pulsano e il suo odore lo stordisce. «Mi sei mancato ogni giorno. Ti cerco in ogni persona» gli soffia nell'orecchio mentre le dita hanno già sbottonato parte della camicia e, libere, si muovono sui pettorali scolpiti. Gode alla sorpresa di quel corpo maturato in tutta la sua virilità, lo ricorda liscio e acerbo mentre ora è ricoperto di una lieve peluria. Si distacca da lui e si spoglia, con lentezza, seducendolo come facevano da ragazzi.

«È sbagliato, Poe. Io non posso. Io amo Jessica.»

«Una notte sola, Leto. Con lei starai per sempre, so che non mi ami, ma ho bisogno di te e se è necessario starò qui a supplicarti» privo di indumenti, si inginocchia davanti al duca. Lo priva della camicia, oramai del tutto slacciata, dopo avergli accarezzato l'addome e il petto con entrambe le mani. Poi gli cala i calzoni e la biancheria. Lo osserva in preda al delirio febbrile del desiderio. La verga del duca svetta liscia tra il vello pubico. Prende a carezzarla con entrambe le mani: la lunghezza prima, la punta rosea e i testicoli poi.

Lo sente gemere di già alle prime carezze, dunque lo trae a sé dai glutei marmorei che non smette di accarezzare, mentre gli dà piacere con la bocca.

Lo sente riempirlo completamente fino alla gola, quasi a soffocarlo. Con impeto lo lecca, lo succhia, lo avvolge con la lingua, detta un ritmo ora lento ora incalzante. Gli carezza i glutei, la schiena, gioca con i capezzoli eretti. Pochi istanti dopo il duca di Caladan viene nella sua bocca mentre gli affonda convulsamente il viso nell'inguine, tirandogli i capelli sulla nuca, implorandolo di non smettere.

E non appena Poe finisce di ripulirsi dal suo seme, Leto si tuffa sulle sue labbra, prendendolo tra le braccia. Inneffabili brividi di piacere di entrambi li fanno sospirare rumorosamente. La lingua del generale si intreccia a quella del duca mentre si stringono e tremano. Poe bacia tutto il viso del suo amante. Lecca il sale delle sue lacrime, lecca le ciglia di seta e poi lo asciuga con le labbra. Gli prende il viso tra le mani; è ancora scosso dai singulti di un pianto irrefrenabile.

«Perché piangi? Altezza... sei così dolce, vuoi che smettiamo? Non voglio farti star male». Poe si allontana, turbato e confuso dalla reazione di Leto, teme si senta in colpa per Jessica e prova rimorso per averlo sedotto ma, vedendolo intristito, lo reclama con prepotenza. Lasciati da parte i sensi di colpa si nutre avidamente della carne del pilota, brama le sue labbra. Sdraiati sul letto lo cavalca in maniera impudente. Le mani danzano dai glutei al sesso eretto che lambisce con le dita, che non si saziano di saggiarne la pelle liscia, soda e tesa. Trae piacere nel guardarlo contorcersi e dal piacere mentre lo tocca con perizia, dilantando il meato uretrale, da cui già fuoriesce il precum che lecca avido, guardandolo negli occhi tutto il tempo. Poi lo avvolge completamente con la bocca per regalargli lo stesso piacere provato da lui prima. Poe esplode letteralmente, pochi istanti dopo. Leto si distacca e lo osserva. È uno spettacolo paradisiaco. I capelli neri ondulati sparsi sul cuscino. La bocca e le guance arrossate. Sul suo petto glabro, che ha sempre amato, carezza con le dita e lambisce con la lingua i capezzoli bruni, induriti di una eccitazione che riemerge prontamente a regalare al generale un secondo irruente orgasmo, che il duca riesce a contenere a malapena nel palmo della mano, perché non imbratti pareti e soffitto oltre al letto, teatro immondo dei loro corpi sudati, avvinghiati dal sesso, che lottano, si divorano, affamati di una passione incontenibile, rimasta sopita per vent'anni e che esplode vulcanica, impetuosa, devastante. E bella come l'amore che provano. Come l'amore che fanno. Poe inverte le posizioni: volta Leto prono sul materasso, gli sistema i cuscini sotto l'addome. Si tuffa tra le sue terga e lo lecca per lubrificarlo. La mano che scivola sotto i guancuali gli afferra il pene, di cui vezzeggia il glande con la punta del pollice. Dopo averlo abituato con un dito, affonda la propria virilità in lui. Lo fa dolcemente fino a che l'asta turgida del pilota si perde tra le natiche bronzee del duca che, sotto di lui soffoca urla sorde per non destare la sorveglianza e implora ancora e ancora il generale che emette, a sua volta, un lungo gemito gutturale. Il palmo di Poe si riempie del seme caldo e denso di Leto mentre lui si svuota dentro il suo amante. Poco dopo, ancora brucianti di desiderio, Leto si rigira schiena sul materasso e volta Poe di spalle, accomodandolo sul suo bacino. Il generale si puntella con i palmi sulle anche del compagno mentre questi lo lubrifica con il copioso seme che ancora gli imperla il grembo. Nel medesimo modo in cui Poe ha fatto con lui prima, lo penetra piano, impugnando la sua asta nuovamente pronta. Danzano sincroni e sincroni vengono. Leto non riesce a contenere lo zampillio del piacere del suo compagno. Appena può, lo rigira su di sé e incuranti del seme sulla pelle, sul viso, tra i capelli, si baciano a perdifiato. Si guardano mentre le bocche si cercano, e appena gli occhi si incrociano, piangono. Si stringono fino a fondersi. Fino a che l'anima non fuoriesce dal corpo e si unisce come fosse anch'essa un'entità fatta di materia.

«Ti amo. Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo... Leto... Altezza... io ti amo da sempre. Non ti ho mai dimenticato. Sei un uomo ora, e sei ancora più bello e ti desidero fino a morirne. Voglio morire di te» morde i delicati capezzoli di cioccolata che si induriscono ai suoi assalti. Morde la corona del glande che schizza gocce di precum alabastrino sul suo viso bronzeo e che Leto lecca via con baci languidi.

«Ti amo anch'io, generale. Unico amore della mia vita, se solo avessi potuto scegliere» glielo soffia sulle labbra in un bacio che sa di disperazione. Si aggrappa alle spalle possenti dell'uomo che ama e lo ricopre di baci su ogni centimetro di pelle. «Non posso ritrovarti e perderti ancora. Il mio cuore non può più sopportare di saperti tra altre braccia. Perché è così ingiusto il nostro destino?» piange. Piange Leto mentre lo copre di baci.

Piange anche Poe mentre si inarca di piacere sotto di lui e muore di un dolore che si rinnova e gli trapassa corpo, anima e spirito da vent'anni. «Amore mio, è a te che penso e penserò sempre, fino all'ultimo respiro. In tutti quelli che mi avranno è solo te che cercherò. Solo te che ho sempre cercato negli occhi, nelle mani mentre mi mancavi» gli carezza il profilo dal naso al labbro «sei un uomo. Sai fare l'amore, non devo insegnarti più nulla, mi lasci senza respiro a un solo sguardo ma era così anche quando i tuoi occhi erano innocenti. Ti amo da sempre, Altezza.»

«Io questo l'ho saputo da sempre. L'ho saputo da sempre, mia adorata faccia da cazzo. Scopami, scopami fino a consumarci, fino all'alba. Abbiamo ancora tutta la notte, solo questa notte.»

«Non stanno bene queste sconcerie a un uomo nobile come te» lo irride, mordendogli il labbro inferiore.

«Fai l'amore con me, allora. Lo preferisci? Fallo, perché finiremo all'inferno, ma prima di allora, voglio amarti, ora che finalmente so dirlo e non ho più paura.»

Angolo Autrice:

Poe e Leto si ritrovano faccia a faccia dopo quasi vent'anni.
Ve lo aspettavate così questo incontro?
Paul non riesce ad accettare il passato di suo padre, soprattutto perché avverte chiaramente non essere tale.
Un'ombra cala nel rapporto forte che lega padre e figlio.
Essa si estende anche sul rapporto con Jessica, che è consapevole dei sentimenti mai sopiti di Leto.
È giusto? Non lo è? A voi il verdetto nei commenti.
Avreste gestito diversamente il loro ritrovarsi?
Ci tengo a sapere il vostro parere.

E se ve lo state chiedendo, la risposta è sì. Il titolo è ispirato proprio alla canzone di Marco Mengoni, vincitrice del Festival della Canzone Italiana. Nel mese in cui celebriamo il rispetto per l'amore in tutte le sue forme, ci sta come la panna sulle fragole!

A presto,

Nives ❤️.

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