Capitolo 3.

Levi's pov.

Me ne andai in camera.
Fanculo tutto e tutti.
Chiusi a stento la porta dietro di me.
Le mani mi tremarono incessantemente, mi appoggiai alla lastra in legno scontrandoci senza tanta grazia la fronte.

Strinsi così tanto la maniglia, che la mano iniziò a dolermi.
Avrei voluto cancellare tutto e riniziare daccapo, ricominciare, una seconda chance, ma come immaginai non ebbi nulla del genere.

Me ne restai solo in camera a ripensare alle parole dure e fredde che rivolsi al ragazzo dagli occhi verdi.

Era uscito da un coma di tre mesi, sarei dovuto essere comprensivo, ma non ci riuscii.
Come può accusarmi in quel modo?

Come poteva sapere se non era cosciente?

In quel momento mi tornò alla mente il fatto che gli unici che gli furono accanto al suo risveglio erano i genitori.

Un senso di rabbia mi trasalí.
Furono loro a raccontargli tutte quelle cazzate?

Non ne ero sicuro, non potevo, ma se fosse stato così non avrei esitato a prendere con me Eren e portarlo lontano da quella famiglia infame e codarda.

Eren's pov.

Volevo quel ragazzo nonostante tutto quello che successe e mi pentii amaramente d'aver risposto in quella maniera.

Poi, che diamine mi successe quella mattina?
Ero andato per chiarire il tutto ma non feci altro che peggiorare le cose.
L'idea di rimanere solo e senza amici, iniziò ad aleggiarmi in testa.

E se avessi inziato a comportarmi così con tutti?
Se avessi inziato a dare di matto più di quanto non feci già?

Sarei rimasto solo fino alla fine dei miei giorni.
Che merda.

Andai a medicarmi le mani togliendo anche dei residui di coccio dai palmi.
Doloroso sarebbe stato sicuramente l'aggettivo più appropriato.

Per tutto il pomeriggio restai in palestra a fare qualche tiro al canestro.
Solo, era meglio così, non avrei litigato con nessuno e non avrei causato alcun danno.

Perché a distanza di tre mesi tutto mi parve così dannatamente lontano da come era prima?

Non sentii più mia quella vita là dentro.
Era diverso.
La mia spensieratezza scomparve con quella dannata giornata in cui venni picchiato.

Si fece sera.
Dopo aver mangiato qualcosa a forza, mi decisi che sarebbe stato meglio andare a chiarire la situazione.

Camminai nei parchi illuminati dalle fioche luci dei lampioni raggiungendo la sua stanza, la numero 13.

Esitai prima di bussare, non sapevo se fosse la cosa giusta da fare, forse avrei dovuto semplicemente aspettare che si fossero calmate le acque, ma sapevo che qualcosa dentro di me avrebbe continuato a ripetermi che farlo subito sarebbe stata la scelta migliore.
Ora o mai più.
La vocina dentro la mia testa prese il sopravvento.

Alzai la mano, stavo per bussare, ma qualcuno mi sorprese alle spalle.

"Che ci fai qui?"

Mi girai di scatto vedendo il corvino con un'espressione accigliata addosso.

"P-pensavo fossi in camera..."
Abbassai lo sguardo.
In quel momento ripensai alle cose che gli riferii la mattina e me ne vergognai, tanto.

"Mi avevi mandato al diavolo ricordi? Non potevo essere in camera."
Disse ironico e leggermente divertito.

Risi debolmente grattandomi il braccio cercando di apparire il meno nervoso possibile.

"Ecco... era di questo che volevo parlarti."
Aggiunsi quando ormai era calato il silenzio.

Passarono una manciata di secondi.
"Va bene, entra, ne parliamo."

Mi scostai facendo spazio a Levi che aprì la porta seguendolo all'interno.
Rividi il letto, quel letto che mi accolse più di quello che avrebbe dovuto.

Sfiorai con le dita le lenzuola, incantato da quella sensazione così dannatamente familiare.

"Allora... volevi parlarmene no?"
Si sedette su una sedia.

"Oh... sì, ecco..."
Le parole mi morirono in bocca.
Mi sedetti sul letto.

"D'accordo, inizio io allora"
Disse il corvino.

"Mi dispiace per quello che ti ho detto e per come te l'ho detto. Non so chi ti abbia fatto il lavaggio del cervello ma devi sapere che in questi mesi non ho fatto altro che pensare a te, e... al tuo orribile comportamento."
Distolse lo sguardo dal mio, forse era semplicemente imbarazzato, finendo per smorzare il suo messaggio fin troppo sdolcinato per uno come lui.

Restai in silenzio per qualche secondo realizzando che quelli ad avere torto fossero in realtà i miei genitori, da sempre.
Quel ragazzo mi amava più di chiunque altro.

Mi diressi verso di lui appoggiandomi sulle ginocchia ancora doloranti dai cocci.
Posai le mani sulle sue gambe ed inseguito ci affondai il viso, le lacrime presero il sopravvento.

"Scusa..."
Fu l'unica cosa che riuscii a pronunciare.

Sentii una mano rassicurante fra i capelli.
Non mi trattenni, sputai fuori tutte le lacrime bagnando i pantaloni del ragazzo.
Avevo bisogno di sfogarmi, avevo davvero bisogno di qualcuno.

"Shh... Eren."
Tentò di calmarmi.

Mi arrampicai su di lui sedendomi sulle sue gambe, gli avvolsi le braccia al collo mentre lui iniziò a circondarmi il bacino con quelle mani forti e decise.

Inizió a stamparmi dei piccoli baci appena accennati sul collo.

Gli lasciai fare qualsiasi cosa.

Le mani si mossero da sole, come se conoscessero già quel corpo, ed in effetti era proprio così.

Levi's pov.

Finalmente riconobbi il mio ragazzo.
Quel moccioso che non riusciva a starmi distante un momento.

Lo strinsi maggiormente a me mentre le mie labbra contornavano la sua pelle in modo delicato.
Avrei voluto andarci piano, non volevo spaventarlo e dover ricominciare tutto daccapo.

Lo staccai leggermente posando le mie labbra sulle sue.
Dio se mi sono mancate.

Lo vidi un po' rigido, ma man mano che il bacio prese forma, anche lui si alleggerì.

Passò le sue mani sulla mia nuca intrecciando le dita fra i miei capelli, spinse il suo viso contro il mio, le nostre labbra erano ormai intrecciate fra loro.
Potei sentire il suo battito accellerato da quanto eravamo vicini.

In quel momento c'eravamo solo io e lui.
Io e lui soli nel mondo.

Gli avvolsi delicatamente la vita fra le mani, era così minuto che le mie dita circondarono quasi interamente il suo bacino.
Feci scorrere una mano lungo il fianco, in sù, alzandogli la maglia e scoprendogli quindi una parte dell'incavo della V naturale che vantava sul ventre.

Lo sentii gemere sulle mie labbra, avrei voluto tenerlo al sicuro con me per sempre, respirare il suo stesso respiro.

Gli strinsi fra i denti il suo morbido labbro inferiore e solo a quel punto si staccò da quel bacio tanto passionale appoggiando la fronte sulla mia.

Entrambi in quel momento ci scordammo di respirare, come se durante quel bacio la nostra priorità non fosse stata inalare aria, ma assaporare uno le labbra dell'altro, percepire il calore dei nostri corpi, nient'altro.

"Mi sei mancato."
Gli sussurrai con il fiatone cercando di riprendere aria.

Eren's pov.

Mi sentii euforico.
Quel ragazzo era tutto quello che mi mancava realmente.

Le mie mani erano ancora dolcemente appoggiate fra i suoi capelli perfettamente lisci e puliti.

"Anche tu."
Furono le uniche parole che mi vennero in mente.

Da quella distanza potei percepire il profumo di quel ragazzo ormai divenuto uomo.

Quell'inconfondibile aroma di fumo impresso nei vestiti e di una colonia pungente.
Un profumo che mi rese incapace di distogliergli gli occhi di dosso.

Feci scivolare le mie mani lungo tutta la sua figura, passandole sulle sue braccia forti e muscolose cosparse di vene leggermente sporgenti -probabilmente per lo sforzo di tenermi a sè- come fili intrecciati che scorrevano irregolari sul suo corpo.

Scesi ancora raggiungendo le mani, che potevano benissimo avvolgere e sovrastare le mie, più decise e leggermente ruvide.

Le intrecciai con le sue.
Sentii che strinse la presa e mi scappò inconsapevolmente un sorriso e come un deja-vu, sentii la porta aprirsi.
Sapevo benissimo di chi si trattasse.

"Ohi ohi, ho interrotto? Scusate"
Farlan.

Il ragazzo si grattò la nuca stando fermo sul ciglio della porta, una risata echeggiò nella stanza fino a quel momento rimasta in penombra.

"Tu... biondino del cazzo, possibile sia in grado di rovinare qualsiasi momento mi si presenti con Eren?!"

Il ragazzo biondo scoppiò in una risata contagiosa.
"Sì, sì, hai ragione, scusate ragazzi, passo... passo più tardi"
Finì lui afferrando la porta dispiaciuto.
Ci lanciò uno sguardo per poi uscire.

Mi sentii a casa.
La mia vera casa.

Sembrava tutto fosse tornato alla normalità.
Tutto era tornato al suo posto.

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