✧ Ash and sunrise ✧
"Mancate solo voi, non vi lascerò morire."
Ma nemmeno questo riuscì a fermare le copiose lacrime della donna dal volto contorto e sofferente.
Ogni trave dell'appartamento, ogni singolo centimetro di stoffa all'interno di esso, sta ardendo per via di un incendio apparentemente inarrestabile.
L'aria è densa di pulviscolo grigio e cenere nera, ogni cosa perde forma e tangibilità sotto le biforcute lingue di fuoco: anche il corpo della madre implorante.
La sua pelle, probabilmente rosea e morbida, ora si smembra riducendosi ad un masticato e sanguinio boccone risputato da quel insaziabile rogo.
I suoi capelli, forse lunghi o forse corti, ora sono solo cenere: come tutto in quel palazzo.
La pelle di Midoriya brucia, ustiona in più punti, le lenzuola candide sembrano rimanere attaccate ad essa tirandola con strattoni violenti.
Si agita nel suo letto sfatto con gli occhi serrati e gli arti contratti, inarca la schiena mugolando in preda a sofferenze immaginarie.
La sua memoria, ogni notte dopo il fatidico cinque settembre dell'anno scorso, gli fa rivivere incubi vividi ed atroci costringendolo a risentire voci urlanti, imploranti, facendo sì che il suo corpo provi sensazioni, vecchie ed estinte, in maniera talmente tangibile da far paura.
"Salva mio figlio, salva il mio bambino!"
Grida la donna a pieni polmoni prima che l'incendio si chiuda su di lei, divampando con violenza ancora maggiore.
Le sue urla di disperato strazio sono lancinanti, acute e dolorose come lo strappo di una stoffa.
Izuku resta immobilizzato per qualche attimo, incapace di muoversi, poiché il disgusto e l'angoscia hanno il preso possesso del suo cervello.
L'odore dolciastro della carne bruciata gli solletica il naso, imprimendosi nella sua testa, gli morde la bocca dello stomaco facendogli salire acida bile lungo la trachea.
Izuku si piega in due portandosi una mano alla bocca per non rigettare,
respira affannosamente e sbarra gli occhi, che piangono lacrime testimoni del suo fallimento.
Scuote un poco la testa nel tentativo di riprendere il controllo della situazione, si dà dello stupido e si ripete che deve svolgere il proprio lavoro, deve salvare il figlio di quella donna.
La maglietta di cotone che indossa è strappata e bruciata in più punti; il suo volto è sporco di fuliggine, che crea un impasto appiccicoso con il sudore che gli imperla la fronte; sente le proprie dita spaccarsi e bruciare come se gli stessero mettendo del sale su una ferita infetta ed aperta.
Grandi porzioni di stoffa nera si sono appiccicate alla carne ustionata e viva della schiena, ogni volta che si muove sente le vesciche rompersi perché strappate via da i suoi indumenti.
Non indossa nemmeno il costume da eroe, difatti lui non dovrebbe trovarsi lì: questo è il suo giorno libero, o meglio, lo è stato fino alle 15:40 quando ha ricevuto una chiamata dalla propria agenzia.
Il suo intervento è stato richiesto con così tanta urgenza che non ha fatto in tempo nemmeno a cambiarsi.
Non sa bene i dettagli della situazione, l'incendio sembra essere d'origine dolosa ma ancora non hanno avuto conferme, l'unica cosa certa è che ha appena perso uno dei trenta condomini tra le fiamme.
Izuku zoppica a fatica nell'appartamento incendiato, per quanto non gli importi d'ustionarsi e per quanto l'adrenalina non gli faccia provare dolore, non riesce ad essere più celere nel raggiungere la piccola stanza che affaccia sulla piazza.
Vorrebbe correre ma le fiamme si alzano, troneggiano sulla sua figura, imponendongli un percorso lungo e particolarmente tortuoso costellato di travi che cedono e bruciature.
Dopo immani fatiche sente dei flebili mugolii in mezzo al crepitare selvaggio ed assordante del fuoco, il quale divora ogni cosa intorno a lui con voracità esagerata.
Li segue sino ad arrivare in una stanza dal soffitto di legno con all'interno un bambino dall'espressione terrorizzata: il suo volto, nero di cenere, è rigato da copiose lacrime.
È grottesca la figura angelica del disperato pargolo in mezzo a muri ardenti e brucianti, vivi per quanto rabbiosi.
Tra le esili braccia stringe un mal ridotto pupazzo di pezza, un bottone sul suo faccino è saltato ed in parte è stato bruciato.
Nel vedere l'eroe un barlume di speranza rischiara l'espressione cupa del bambino, la sua fronte si distende e la bocca si spalanca:
"Deku! Portami via da qui!"
La sua infantile e sciocca preghiera risuona nelle orecchie dell'eroe, il quale gli sorride appena prima di darsi lo slancio per raggiungerlo.
È una frazione di secondo: Midoriya allunga la propria mano così come fa il ragazzino e nel momento in cui le loro dita si stanno per toccare l'incendio affonda, per l'ennesima volta, le sue zanne su una trave del soffitto facendola crollare tra loro due.
Così si conclude il primo fallimento di Deku.
Quando la squadra di soccorso riuscì ad estiguere il rogo tutti si complimentarono con l'eroe.
Gli dissero che l'aver fatto evacuare un intero condominio, con un incendio di quella portata, facendo morire solo due persone era a dir poco sorprendente.
Izuku li ringraziò con grandi sorrisi, rilasciò interviste e fece autografi.
Ma in cuor suo si stava chiedendo perchè se era stato così bravo allora, appena tornato a casa, era scoppiato a piangere tra le braccia di Todoroki in preda alla più forte desolazione?
La porta della sua camera da letto è socchiusa, da essa filtra la debole luce color ocra del salotto, dove Todoroki sta cenando dopo uno stancante turno di ronda a tarda notte.
I due hanno cominciato a vivere insieme solo da un anno, per via della difficoltà nel rendere pubblica la relazione tra i due eroi: ma questa è un'altra storia.
Sulle pareti verde salvia della stanza si proiettano ombre astratte e scure, spire di fumo che gli accecano lo sguardo e gli fanno lacrimare gli occhi.
La sedia dall'alto schienale e dalla seduta ingombra di vestiti mal piegati assume, grazie alla penombra della notte, una figura antropomorfa non troppo dissimile da una donna implorante.
Il tintinnio delle posate nel lavandino dell'angolo cottura sono l'unico suono in quel desolante silenzio ricolmo di rimpianti.
La finestra, accanto all'armadio dalle chiare ante scorrevoli, ha le imposte spalancate ed i fogli sulla scrivania si alzano un poco per via della corrente, gli angoli di essi si librano nell'aria con un movimento secco ed improvviso totalmente contrastante con la loro delicata discesa, accompagnata da un sottile fruscio di carta leggera.
E mentre sul basso comodino la sveglia, dai luminosi numeri indaco, segna le tre di notte, la schiena nuda del giovane sembra essere coperta da piaghe aperte e tinte di un rosso ramato.
Midoriya ha l'impressione che sul suo volto cadano pezzi di brace ardente e fumante, spalanca la bocca in cerca di aria boccheggiando violentemente con il fiato corto, producendo suoni gutturali.
Ogni volta che inspira, cenere grigia scende per la sua gola scorticandola, arrivando nei suoi polmoni facendolo tossire senza sosta.
Izuku inarca la schiena in una posa innaturale, scomoda e contorta, mentre si porta le dita sul volto iniziando a tirarne la pelle.
Affonda le unghie nella morbida carne delle guance graffiandola, sente il sangue renderla viscosa ed il dolore, per pochi secondi, sovrasta le urla delle proprie allucinazioni.
Ma questo non basta, diventa sempre più aggressivo, violento, gioisce nel percepire la carne restare sotto le sue unghie: più il dolore che prova è lancinante, più la sofferenza lo strazia e più espia il suo peccato.
Singhiozza copiosamente, con i denti serrati e la gola dolente, apre i suoi occhi smeraldini puntandoli verso il soffitto candido prima di chiamare gemente il nome del compagno:
-Todoroki, Todoroki aiutami: qui è tutto in fiamme, sto bruciando di nuovo.-
Ma come si può udire il suo misero sospiro in mezzo al crepitio del legno che si consuma nell'incendio?
Perché Midoriya è sicuro che tutto bruci, la sua pelle presenta ustioni ed il suo corpo percepisce l'incendio.
Il rogo non si è mai estinto per lui, ogni notte il suo corpo diventa cenere davanti agli occhi della donna dal volto sciolto e del bambino piangente.
Ogni volta che il sole cala lui viene visto bruciare da una giuria severa, desiderosa di vendetta e sazia di cenere:
-Shoto non respiro, qui è tutto in fiamme!
Aiutami, aiutami!-
Ed allora grida per sovrastare i mobili che bruciano e le vittime che si carbonizzano.
La porta della stanza sbatte contro il muro con un forte rumore, seguito subito dall'acuto schiocco dell'interruttore dell'abat jour.
Todoroki corre verso Midoriya prendendolo per le spalle, scuotendole con delicatezza nel tentativo di farlo riprendere.
L'altro lo vede ma non lo sta osservando, i suoi occhi spalancati sono vitrei e privi di vita, lucidi e focalizzati su un'immagine troppo distante per lui:
-Midoriya non gridare, va tutto bene è solo un sogno, un bruttissimo sogno.
Non è reale, qui nulla va a fuoco, senti?
La mia mano è fredda.-
Todoroki passa la propria mano destra sullo zigomo accaldato ed arrossato dell'altro, attivando il suo quirk ed andando così a formare un sottile strato di brina che copre appena le lentiggini di Izuku:
-Qui fa freddo Midoriya, non c'è nessun incendio, anzi la temperatura è così bassa che ti stai congelando.-
Midoriya allunga una mano sulla sua intrecciando le loro dita debolmente:
-Portami via da qui, non voglio bruciare ancora.-
La sua è una preghiera colma di sofferenza, rassegnazione, che Todoroki non può non accogliere:
-Dove vuoi andare?-
Shoto parla piano accarezzandogli la guancia con il pollice, passa lo sguardo sul volto dell'altro riprendendo fiato quando vede i suoi occhi riprendere contatto con la realtà.
Nella penombra della stanza si bea delle sue rosee labbra socchiuse, della piega sulla fronte che il pensare gli provoca, della sua mano sfreggiata che si stringe alla propria affidandocisi totalmente:
-Ti ricordi quando siamo andati alla festa di compleanno di Kaminari l'anno scorso, quella fuori città ?
Tu eri troppo sbronzo per guidare ed io avevo troppo sonno, ci siamo fermati in un autogrill.-
-Quello che faceva un latte e menta delizioso?-
-Sì, proprio quello, te ne ho parlato per settimane.-
Non servono altre parola per far muovere Todoroki, il quale leva la mano dal volto dell'altro, allontanandosi da lui, per prendere le chiavi della macchina.
Viaggiano in silenzio per numerosi chilometri, la strada nera e liscia è deserta.
La loro auto nera sfreccia sotto le stelle sull'autostrada vuota nel silenzio di quella notte dalla luna piena.
Sul cofano dell'autovettura si riflette il cielo come in uno specchio d'acqua, formando un'illusione piacevole da guardare.
Izuki tiene una mano fuori dal finestrino facendola ondeggiare pigramente, osserva con gli occhi socchiusi come le dita, lasciate penzolare liberamente, vengano mosse prepotentemente dal vento.
Sulle spalle porta una coperta grigia con cui si è avvolto il corpo rannichiato, difatti è seduto sul sedile anteriore con le ginocchia al petto e la testa posata su di esse.
Todoroki, di tanto in tanto, volge lo sguardo verso l'altro per controllare che non ricada in preda ai suoi deliri, ma l'unica cosa che vede è il minuto, stanco, corpo del suo ragazzo rannicchiato sull'angusto sedile in pelle nera.
Stringe le mani sul volante e sospira appena, facendo girare l'altro verso di lui con i suoi smeraldini occhi arrossati per la mancanza di sonno.
Gli duole dirlo ma questo fa parte della loro routine.
Sono state tante le notti in cui Izuku ha dato di matto dopo la storia dell'incendio.
Certe volte urla, altre si agita nel sonno, alcune volte deambula per casa scusandosi a mezza voce con le mani tra i capelli e poi certe notti, le peggiori, cade in preda ad allucinazioni vivide che lo tormentano fisicamente e mentalmente.
Gli dispiace per l'altro ogni volta che lo vede contorcersi, che lo vede urlare in preda a dolori fantasma, si prenderebbe lui le sue sofferenze pur di liberarlo da questo flagello.
Però è stanco, stanco di non dormire per calmarlo, stanco di scappare da dei ricordi che non gli appartengono solo perché l'altro non riesce a sostenerli.
È semplicemente stanco di vederlo soffrire.
Desidera riavere indietro il suo vecchio Izuku: vuole rivederlo sorridere, in quel modo adorabile che gli arrossa le gote; vuole vederlo dormire sereno ed abbracciato al suo petto; vuole vederlo ridere con le lacrime agli occhi; lo vuole sentire su di lui come è sempre stato e come dovrebbe ancora essere.
Quando arrivano nel piccolo autogrill dal pavimento opaco ed il bancone sporco il barista li guarda annoiato.
L'uomo burbero dalla barba mal curata, i capelli brizzolati e la canottiera bianca,
mastica del tabacco dolciastro mentre silenziosamente giudica la tuta da eroe di Shoto, il quale non ha avuto nemmeno il tempo di spogliarsi, ed il pigiama infantile di Midoriya.
Aspetta che si siedano al tavolo prima d'avvicinarsi a loro per chiedergli cosa desiderano: un caffè caldo e latte e menta.
L'autogrill è piccolo e fatto da grandi vetri imbrattati da graffiti colorati, all'esterno una piazzola in cemento funge da parcheggio, intorno ad esso non c'è niente se non dorati campi di grano che oscillano nella notte.
Un insegna sfarfallante segnala la presenza del punto di ristoro dal nome stupidamente altisonante per un tugurio di così bassa levatura, difatti all'interno il Perlaceum è al limite dell'accettabile.
Sugli espositori vi sono vecchie riviste di gossip dalle pagine ingiallite, con le copertine variopinte su cui sopra sono stampate immagini di cantanti mediocri, che nonostante siano di due anni fa ancora vengono vendute per quattrocento yen; il pavimento rivestito di linoleum si è staccato in alcuni punti creando delle grandi bolle d'aria, per via dell'umidità del posto o di qualche probabile vecchio guasto alle tubature; il muro bianco è sporco e presenta numerose righe e macchie grigie simili ad impronte di scarpe.
Il basso bancone di marmo è pieno di bustine di zucchero e piattini mai spostati, la cassa su di esso è aperta e sarebbe possibile rubare l'incasso del giorno senza alcuna fatica: ma tanto non c'era nessuno che potesse derubarli, ne tanto meno qualcosa da prendere.
Tutto lì odora di stantio e vecchio, ma non in maniera spiacevole, la sensazione è un po' come quando ritrovi un vecchio giocattolo con cui eri solito divertirti alle elementari.
Quel posto trasuda malinconia ed esitazione, ogni cosa sembra statica e ferma a qualche anno fa, a quando tante cose non erano successe ed i problemi erano più stupidi.
Forse Todoroki capisce perché l'altro sia voluto venire qui.
Midoriya si sistema meglio la coperta sulle spalle mentre si siede a gambe incrociate sulla logora poltroncina rossa, a dividerli solo un misero tavolino rettangolare di alluminio opaco:
-Grazie Shoto, come farei senza di te?-
Pronuncia con lo sguardo basso portando una mano nello spazio tra di loro attendendo, senza dirlo davvero, che Todoroki gliela stringa.
E Shoto lo asseconda:
-Non faresti.
Non faresti.-
Si ripete abbassando il tono della voce la seconda volta, parlando a se stesso più che all'altro:
-Midoriya è la terza volta, in una sola settimana, che ti prende una crisi.
Dovremmo chiamare la dottoressa Hina e prendere un appuntamento.-
Todoroki passa il pollice sul dorso, pallido e cosparso di lentiggini, della mano di Midoriya, con lentezza scorre il polpastrello spaccato su una vena più sporgente e bluastra delle altre.
Con l'altra mano si tiene il volto, posando la guancia sinistra sul proprio pugno:
-Non parlerò con uno psicologo, non ne ho bisogno.
Mi basterà prendere quelle pasticche di melatonina che mi aveva prescritto il medico all'ospedale.
Non è poi così grave, ho solo bisogno di un po' di tempo ma poi passerà tut-
-Izuku.-
Il tono del ragazzo più alto si fa gelido, non è solito chiamarlo con il suo nome a differenza dell'altro.
Midoriya alza repentinamente lo sguardo fissando Shoto in volto, con i suoi grandi occhi espressivi tremando un poco, come un cerbiatto spaurito.
Teme il discorso di Todoroki perché sa che sarà tremendamente diretto e serafico, come se stesso osservando tutto dall'esterno afferrando ogni concetto alla perfezione:
-Sono passati oramai otto mesi e tu continui a vagare per casa, a gridare in piena notte e a dire di esserti ustionato quando in realtà non hai nulla.
Mangi poco e niente, non sorridi più, non vuoi uscire nei nostri giorni liberi, hai smesso di camminare per casa con la tua insensata giovialità.
Pensi davvero che io sia così stupido da non vedere?
Guardarti seduto sul divano in stato catatonico sapendo di essere impotente, di non poter fare nulla se non lo spettatore, è peggiore di qualsiasi ustione, di qualsiasi lutto.
Quanto tempo dobbiamo andare avanti ancora così?
Mesi? anni?
Quanto potrai durare prima di spezzarti sotto il peso dei tuoi stessi dispiaceri e dolori?
Smettila di dirmi che va tutto bene, perché stai mentendo solo a te stesso.-
Izuku resta in silenzio, gli occhi puntati su un lembo di spazio indefinito tra il porta fazzoletti della Pepsi ed il posacenere in vetro, trattiene il respiro mentre affonda i candidi incisivi nel proprio labbro inferiore.
Non è pronto a questo, non è pronto alle rapide e pungenti parole dell'altro, ne tanto meno alla sua collera crescente.
La può percepire nella sua intonazione di voce, la quale oscilla lievemente come se diventasse un ringhio articolato, la vede dalla mano, precedentemente sul suo volto, che ora stringe il bordo del tavolo.
Inoltre sente il suo palmo, che tiene nel proprio, scaldarsi come succede sempre a Shoto quando s'innervosisce, quando è teso.
Un po' lo fa sorridere il fatto che lui non sia ancora in grado di gestire quella parte della sua unicità, gli riporta alla mente i bei momenti passati al liceo, anni prima di tutto questo:
-Non sei solo Deku, l'eroe, il simbolo della pace, sei prima di tutto Izuku Midoriya.
Vuoi capire che non hai sempre bisogno di spingerti oltre i tuoi limiti?
Sembra che tu non sia capace di concepire che non devi niente a nessuno, tu quasi non vuoi accettare di avere un problema perché i veri eroi non hanno problemi.
Anzi, leviamoci il "quasi".
Ti stai solo facendo del male in questo modo, perché non vuoi stare meglio?
Cosa credi, che così facendo ti punirai al punto da considerarti degno del tuo titolo?
Ho forse detto la cosa giusta?
Sì che l'ho fatto.
Pensi che soffrendo ed arrendendoti a questo supplizio tu possa considerarti perdonato da...da chi Izuku?
Dal mondo, da te stesso?
O forse da quella donna morta?-
Todoroki affonda il coltello nella piaga, non gli importa di quanto stia facendo male all'altro, anzi, desidera che il dolore sia inteso e forte.
Lo vuole veder piangere e spezzarsi sotto le sue parole, desidera che si pieghi in due per la sofferenza che il suo discorso gli sta recando: perché dopo anni ha capito che con Midoriya non c'è altro modo.
Il riccio non riesce a capire con le maniere buone, le parole gentili e le carezze non piegano la sua volontà, ma le lacrime e la sofferenza, invece, gli schiariscono le idee e lo fanno ragionare in maniera più consapevole.
Shoto sembrerà senza cuore, ma l'unico modo di far prendere consapevolezza al suo amato è quello di sbattergli in faccia la cruda verità dei fatti:
-Ti prego non parlare di lei, smettila, basta.
Per favore non ce la faccio.-
-Nessuno di noi due ce la fa.
Tu ti stai spezzando ogni giorno di più convinto che questo, per qualche motivo, ti faccia bene.
Io sono stanco, non posso andare avanti così Izuku.
Sono un uomo egoista, questa è la mia giustificazione, sono avido ed egocentrico, perciò mi ritrovo a pensare a me anche in questa situazione.
Penso a me perché sono io a desiderare, ardentemente, che questa versione di te, costantemente defessa e fiacca, priva di ogni desiderio, sparisca dalla mia memoria.
Voglio che tu possa tornare ed essere te stesso perché ora non sei il ragazzo di cui mi sono innamorato: sei solo la sua pallida imitazione che sta annichilendo ciò che eri.
Ed infine, ti chiedo scusa, ma non sono più disposto disposto a vederti sbancare ogni volta che uso il mio quirk: non posso sopportare l'essere un mostro ai tuoi occhi.-
E finalmente Midoriya piange, si porta le loro mani intrecciate al volto e singhiozza delicatamente.
I suoi indomabili e folti ricci gli coprono il volto, così come i loro palmi, ma Todoroki sa che Izuku sta tenendo gli occhi aperti e le labbra contratte in un ghigno sofferente, che gli fa nascere piccole rughe d'espressione ai lati della bocca.
Le nocche della sua mano si bagnano di lacrime salate e tiepide, le stesse che solcano stancamente le gote lentigginose del compagno:
-Hai ragione, hai ragione su tutto, ma perché me lo dici?
Perché lo hai dovuto pronunciare ad alta voce rendendo tutto più vivido e reale?-
La sua voce si spezza, diventando poco più di un flebile e docile sussurro:
-Tu parli di dimenticare, ma come potrei farlo?
Non sarò mai in grado di scordare quella donna, il suo corpo agonizzante, le sue urla.
Ancora sento la sua preghiera, "salva mio figlio" mi disse: ma io non ne sono stato capace.
E mentre nel naso ho ancora l'odore della sua carne che brucia come posso permettermi di far scorrere il tempo?
Che diritto ho io, che ho lasciato morire una madre con il suo bambino, di poter vivere senza sentirmi gravare sulle spalle il peso della colpa?
Non importa quanto le lancette girino, io non merito di camminare tra gli uomini sentendomi tale, un mostro come me, un inetto incapace ed indegno della vita, non merita che dolore.
E qual'è l'unico modo per poter tornare a vivere, per potermi considerare almeno accettabile, se non quello di soffrire per i miei errori?
Ho ucciso delle persone e per questo vengo punito, è giusto così.
Non sarò solamente Deku, l'eroe, ma quella è una parte di me e se un pezzo fallisce tutto il resto cade sgretolandosi.-
Si acquietano i singulti che lasciano spazio ad un tono desolato e monocorde:
-Non devi dimenticare Izuku, non è questo il punto, perché tu hai ragione quando dici che dalla tua memoria non potrà mai svanire quello che è stato.
Ma non perché si tratta di una punizione o di un dolore necessario, la verità dei fatti è che non puoi, nessun umano potrebbe.
Devi solo conviverci, imparare a non pensarci, ad andare avanti perché non è soffrendo che quella famiglia tornerà in vita.
Ma tu non vuoi sentire ragioni ed io non sono mai stato bravo con le parole.
Non ti chiedo di scordarti tutto passandoci sopra con superficialità, ti chiedo però di farti aiutare ad accettare quello che è stato.-
Midoriya non risponde, semplicemente alza il volto guardandolo con gli occhi lucidi ed il volto pallido, bagnato di umide lacrime.
Todoroki gli passa la mano libera sulle gote per pulirlo un poco dal disastro che ha sul viso, silenziosamente, attendendo forse un cenno, forse una risposta.
Midoriya gli sorride, o per meglio dire, alza stancamente gli angoli della sua bocca per poi posargliela sul dorso della mano.
Non lo bacia, non si muove di un solo centimetro, posa solamente le sue labbra fredde sulla pelle lattea di Todoroki come se questo potesse calmarlo, indicandogli una via giusta da seguire, come se questo potesse bastargli per sempre:
-È da quando abbiamo sedici anni che sei contorto nel dare consigli, lo sai?
Sembra sempre che tu mi stia facendo del male quando vuoi aiutarmi.-
-Compenso la tua infinita bontà e dolcezza.-
Risponde con semplicità facendo ridacchiare, per un breve istante, il compagno dagli occhi lucidi:
-Più che "Hands crasher", al liceo, avremmo chiamarti "Hearts crasher".-
-Questo si che è un soprannome di merda, così sarei sembrato il classico adolescente Don Giovanni e stereotipato.
E comunque è una vendetta subdola quella di ritirare fuori questa storia del nomignolo.-
Per la prima volta, in quella notte buia e stranamente fredda, Midoriya ride in maniera sincera.
Il suo petto sobbalza, così come le sue spalle che fanno dondolare i lembi della coperta, le sue corde vocali vibrano producendo quel suono acuto che Shoto non sentiva più da mesi e che temeva di essersi scordato.
Anche lui ridacchia un poco, giocando distrattamente con le dita nodose dell'altro, passando il pollice sul tessuto cicatrizzato della sua pelle.
Quando smettono Todoroki si volta verso la finestra alla sua destra dove nota una chiara e tiepida luce in lontananza, oltre gli alberi frondosi e dietro le basse colline.
Timidi raggi nivei ed opachi si diffondono debolmente nell'aria, tagliando il buio pesto del cielo notturno:
-È quasi l'alba.-
Lo dice distrattamente, gli sfugge dalle labbra come un pensiero espresso a voce troppo alta, senza volerlo nemmeno pronunciare.
Izuku segue il suo sguardo con le labbra piegate in un sorriso genuino ed infantile:
-Non l'avevo mai vista.
È bella.-
-Deve ancora sorgere del tutto.-
-È bella proprio per questo.-
Dopo il bisbiglio di Izuki arrivano le loro ordinazioni.
A quanto parte oltre al posto anche il servizio è scadente, quanto li hanno fatti aspettare per un misero ordine?
Mezz'ora? Un'ora?
O forse il burbero proprietario è più gentile di quanto sembri e li ha voluti lasciar finire, facendoli arrivare alla conclusione di una faccenda che nemmeno conosce:
-Ecco il caffè caldo per te e latte e menta per il signor. Deku.-
-Preferisco Midoriya.-
Il riccio, che si era voltato per sorridere al vecchio odoroso di foglie di tabacco, ora guarda il suo amato seduto davanti a sé:
-Sto cercando di smettere di essere sempre Deku, almeno per un po'.-
E Todoroki sorride afferrando un concetto che il loro cameriere, non proprio discreto, ha solo intuito:
-Allora il conto è di seicentoventiquattro yen, come quello di tutti i comuni mortali, signor. Midoriya.-
Così lascia il loro scontrino sul piano del tavolo bofonchiando sotto voce su quanto si sentano Dio sceso in terra gli eroi di oggi, rimpiangendo quelli più umili ed umani di una volta.
La sua evidente, per quanto comica, stizza continua ad aleggiare nell'aria anche dopo che lui se ne è andato, provocando ilarità nel giovane dai capelli verdi che ride leggermente, in preda all'imbarazzo, posando la testa sul tavolo per coprirsi il volto arrossato di vergogna.
Shoto lo osserva, con il cuore palpitante e caldo, unendosi alla sua risata.
Il pomeriggio dello stesso giorno presero un appuntamento con la dottoressa Hina, la psicologa.
Angolo autrice
Boom! Eccomi qua con il solito drammone.
La storia era partita come una semplice scusa per esercitarmi con i dialoghi, quindi doveva essere una cosa rapida e senza trama, ma è finita con l'essere un mattone di 4488 parole.
Sono abbastanza soddisfatta del prodotto, e questo è un bene dato che ultimamente non mi piace più nulla di quello che scrivo, lol.
Ho cercatore di mettere un po' di sentimento nei dialoghi, il quale era lo scopo di questo lavoro prima di degenerare, ma ho fallito.
Comunque, sperò vi sia piaciuto e vi faccio i complimenti se siete arrivati fin qui.
Se questa rottura di palle e stata di vostro gradimento lasciate una stellina.
Ve se ama
Teddyhuman
P.S. Sorvolate su quanto abbia fatto pena nel trattare del trauma e nelle descrizioni.
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