𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝟏𝟏: 𝐇𝐀𝐕𝐄 𝐘𝐎𝐔 𝐄𝐕𝐄𝐑 𝐖𝐎𝐊𝐄 𝐔𝐏 𝐅𝐑𝐎𝐌 𝐀 𝐁𝐀𝐃 𝐃𝐑𝐄𝐀𝐌?




















𝘓𝘶𝘥𝘸𝘪𝘨 𝘷𝘢𝘯 𝘉𝘦𝘦𝘵𝘩𝘰𝘷𝘦𝘯:
𝘚𝘰𝘯𝘢𝘵𝘦 𝘕𝘰. 14 -"𝘔𝘰𝘰𝘯𝘭𝘪𝘨𝘩𝘵" 3𝘳𝘥 𝘔𝘰𝘷𝘦𝘮𝘦𝘯𝘵











Judite Dixon e Nora Smith avevano vissuto la stessa e intricata vita: una realtà mondana, con l'autista privato che le accompagnavano a scuola ogni mattina, dall'asilo al liceo, e le Louis Vuitton regalate per tappare i loro piagnistei, nutrite dai pochi — e discutibili — valori tramandati dalle loro famiglie.

Un altro valore che le accumunava come un chiodo premuto nel cervello era la caccia, o meglio, la lotta per la supremazia tra le gerarchie. Una gerarchia aveva una sola punta di diamante e per persone come i figli dai cucchiai d'argento, surclassare l'altro, era uno stile di vita incisivo, affinché tra numerosi titani soltanto uno potesse detenere la corona.

Essere la nemesi di Judite Dixon o di Nora Smith era alienabile e sofferente, entrambe fingevano di sopportarsi davanti alle facoltose famiglie o agli stupidi gala di beneficienza per guadagnare potenze e ricchezze in società. Ma i legami tra la danza non potevano esistere, era insopportabile convivere di competizione tra due amiche che si volevano bene — o tra altre relazioni sociali legate da un affetto —, figuriamoci tra due acerrime nemiche: l'unico scopo al quale miravano era il completo annientamento artistico dell'altra.

Perciò Judite, fin da quando iniziò a ballare in accademia tra gli otto e i nove anni, si sentì messa a paragone con la figlia degli Smith, il connubio perfetto tra eleganza, bravura e perfezione. Quindi secondo la propria madre doveva cacciare fuori il carattere e mettere i piedi in testa a tutti quanti, mirando fin da subito a essere una regina. Mentre a Nora le insegnarono come essere irraggiungibile, dando il meglio in sala da ballo e guardando con indifferenza le altre compagne di corso, senza la minima importanza — con cordialità, ovviamente. Contemporaneamente, perché Beverly non era assolutamente una stolta, istruì Nora a non sottovalutare mai il nemico.

Nora Smith ignorava gli attacchi o le provocazioni di Judite con un regale sguardo indifferente, simile a un cigno, eppure la teneva d'occhio perché sapeva quanto potesse essere agguerrita: Judite era infinitamente egoista e pericolosa. Era, letale, affascinante e incredibilmente stronza, trattava Nora come una vera rivale perché secondo lei aveva le facoltose caratteristiche per essere la sua antagonista.

Ma una come Ray Morgan... Al solo pensiero Judite sorrise sprezzante, piena di saturo sarcasmo perché mai avrebbe immaginato che la vacca del Wisconsin venisse coperta dalle regali ali di un etoile come Park Jimin. Inammissibile. Impossibile. Oltraggioso.

Altri aggettivi non qualificabili che trattenne sulla punta della lingua per una povera stracciona con le scarpette di seconda mano che, Dio non voglia sentirlo ancora, non aveva nemmeno la più pallida idea di chi fosse Victoria Smith.

«L'ho sentita nominare» si limitò a rispondere Ray, in un oltremare di dubbi. Quella risposta fece interdire ancora di più la bionda, si lisciò la gamba del pantalone per scaricare l'adrenalina. «Sentita solo nominare?» ripeté quasi sconvolta.

Ray esitò avvolta nel disagio; conosceva la maggior parte degli esponenti della danza classica, in accademia si studiava la storia dal primo balletto ufficiale della storia — Le Ballet Comique de la Reine, con coreografia di Baldassarino di Belgioioso, espressamente voluto dalla regina di Francia, Caterina de Medici — del 1581, e tuttora era informata sulle nuove proposte, perciò sapeva il fatto suo; conosceva Victoria Smith per il nome, il successo e qualche foto sparsa sugli articoli del Times, lo stretto necessario per catalogarla come un cigno elegante e corvino della NYC Ballet.

Ma Ray aveva altre persone da ammirare e, senza togliere nulla all'indiscutibile eleganza di Victoria Smith, la giovane del 95' non le era rimasta impressa come Melissa Hemilton o Nicoletta Manni. O come tantissime altre ballerine che aveva stampato nella sua camera a Blackwell.

«Ho interesse per altre ballerine»

Judite emise una risata finta, quasi come un colpo di tosse cavato fuori con le pinze: «Tu non hai la più pallida idea dell'importanza che tutti stanno spendendo nella creazione di Carmen» le narici si allargarono per quanto parlò veloce, «Di come noi, vere ballerine con del talento, stiamo cercando di coprire le toppe che ha portato quest'opera maledetta. E tu non ne sai niente!? Stai qui a fantasticare indossando i vestiti di un fantasma»

«Judite» Ray la guardò negli occhi, completamente confusa, «le conversazioni criptiche non mi competono»

«Niente qui ti compete, se vogliamo dirla tutta!» disse tagliente. La castana poté solamente guardarla, raccogliendo tutto l'ingiustificato odio che provava per lei e che le buttava addosso da ottobre. «Come vuoi. Ma io non sto indossando i vestiti di nessun fantasma e non vedo perché debba essere accomunata con la prima ballerina della NYC Ballet-»

Judite esplose, sentì la compostezza dissolversi con un attacco di rabbia. «Perché lei é stata la prima Carmen!» spinse il collo in avanti, Ray arrivò a pensare che la testa le si staccasse come un cavatappi.

Ray sbatté le palpebre accigliata: «É impossibile...» sussurrò mentre ripensava ai brevi articoli del 2018 riportati dai tabloid, con la volontà di sollecitare scandali artistici contro un colosso come l'ABT. Ovviamente nessun tabloid riuscì a cavare una mezza verità, o la principale causa scatenante, che portò la compagnia di ballo newyorkese a chiudere drasticamente i battenti in quella stagione. Si seppe solo che Park Jimin cambiò compagnia in Europa per un'emergenza.

«Quell'anno nessuno fu nominata come Carmen, i provini non vennero fatti in tempo»

«Questo é quello che la gente comune come te ha creduto. Ma i provini erano già stati avviati, iniziati e conclusi» raccontò, «tutti avevano un ruolo. Così come Victoria Smith. Ai comuni mortali raccontarono che l'ABT non raggiunse il numero delle prevendite sufficienti per continuare il progetto» Ma il racconto non quadrava, Ray si toccò il collo mentre rimuginava «Le prevendite vengono spartite in più mesi, i veri finanziamenti del progetto vengono dagli sponsor e se non mi confondo... tra il 2014 e il 2019 il cachet della compagnia era uno dei più alti. Prima della pandemia»

Judite si leccò le labbra inferiori dandole un'occhiata irritante «Allora non sei così stupida come vuoi far sembrare»

«Quindi...?» Ray ignorò quel "graziato" insulto.

«Quindi hanno buttato una penosa scusa che solo chi é nel giro o fanatico come te — la guardò dall'alto al basso — ci può arrivare»

«Ma se i provini erano stati già conclusi e i finanziamenti non furono il vero problema, perché lo spettacolo venne annullato?» la conversazione sembrò farsi più interessante e, all'improvviso, le facce rigide di Park Jimin, Igor Kuznetsov, la signora Collins, di Katherine Walls e di tutti i veterani, che ballavano in quel posto da più di cinque anni, le tornarono in mente come un mistero, insistente come un tortuoso prurito.

Loro erano gli unici che sapevano la verità.

Judite assottigliò lo sguardo, ben consapevole di camminare sopra un pericoloso campo minato. Nemmeno lei sapeva tutto, anzi, a parer suo aveva con sé solo delle briciole di verità e quando tutto ciò successe lei era ancora in Accademia. Eppure qualcosa sapeva, conosceva oscuri segreti a differenza di molti altri lì dentro.

Spazientita si morse le labbra «Dicono tante cose, ma nessuno parla. Come se non volessero far riemergere quella dannata stagione, fatto sta che la riproposta di Carmen ha scatenato il caos e tutti lo stanno notando»

Ray appiattì la schiena appoggiandosi contro il muro: «Cosa... Cosa dicono?»

«Verità e falsità. Come sempre. Ognuno crede a quello che gli fa più comodo. Ma lo spettacolo é stato annullato perché Park Jimin...» Ray sentì il cuore battere troppo velocemente appena sentì il suo nome, «lasciò l'ABT di punto in bianco per trasferirsi in Europa»

Ma questa non era una novità, il mistero restava il motivo di tale scelta.

Le gambe color latte della castana tremarono appena, le ginocchia fecero una leggera piega verso l'esterno, incurvandosi all'avanti. Ma strinse i denti e si resse in piedi. «Pausa per motivi personali, deduco» rispose secca, per chiudere immediatamente il discorso.

Judite però non fu della stessa opinione: «Scappi da una compagnia per poi entrarne in un'altra in Europa?» ragionò ad alta voce per canzonarla, «se prendi una pausa molli tutto ma lui non l'ha fatto, quindi... di personale ci può essere solo qualche scandalo»

Ray scosse la testa non intenzionata, assolutamente, a crederle: «Stupide supposizioni»

«Chiamale come vuoi Wisconsin! Il fottuto punto é che poi Victoria é andata via. Ha dovuto lasciare l'ABT, trovando immediatamente posto nella compagnia concorrente e ora é la prima ballerina della compagnia che rischia di mangiarci in testa!»

Ray schiuse le labbra con la testa completamente assente: «Questo non spiega le tue teorie complottiste sulla riproposta di Carmen. Nessuno sarà il fantasma di niente Judite! Qualsiasi ballerina che ricoprirà quel ruolo lo farà indipendentemente dalla tragedia di cinque anni fa, col solo talento e sacrificio» esordì determinata e convita, «Noi non siamo Victoria e riguardo a Jimin... lui, beh, avrà avuto i suoi motivi per andarsene. É tornato e ora é qui per salvare la compagnia»

La bionda incrociò le braccia per alzare il mento e fissarla attentamente. «Il finto buonismo non ti farà avere il meglio dal mondo. Qui nessuno é realmente buono»

Ennesima frecciata che fece atrofizzare lo stomaco di Ray. «Nemmeno... nemmeno queste assurde voci piene di empietà faranno avere la meglio»

Judite strinse la mascella e conficcò le unghie nel soffice cardigan nero che ricopriva le braccia scheletriche: «Tu ti permetti di dissentire, parlare e di scavalcarmi come se lì conoscessi» finse di ridere, «beh, mi dispiace Wisconsin, ma scendi dalle nuvole perché il camper di Barbie con il kit "vere-amicizie" non esiste all'ABT. Hai passato un paio di lezioni con Park Jimin e già hai il fegato per dire la tua?»

«Forse... sono una delle poche, qui dentro, che ha provato a conoscerlo meglio» rispose con coraggio ma Judite aveva ancora qualcosa da dire, era talmente adirata dentro di sé che non sarebbe stata appagata, in quel momento, finché non avrebbe visto fiumi di lacrime scendere dai nauseanti occhi di Ray Morgan.

«Tu... saresti una delle poche, qui dentro, a conoscerlo meglio?» la derise con lo sguardo e si avvicinò di proposito solamente per fare una sceneggiata. Ray si drizzò in guardia: «Dico solo che-»

Arrivò vicino al suo orecchio, travolse il padiglione acustico della castana con il suo gracchiare, simile a quello dei corvi, per buttarla a un passo dalla pazzia zittendola. «Chiudi questa bocca del cazzo, Wisconsin» sussurrò gelida, uccidendola con la coda dell'occhio, «Siete amici, giusto? Quindi il tuo nuovo amico ti avrà raccontato che... ebbe una tresca con Nora Smith» scorse il viso di Ray impallidire e il suo petto alzarsi affannato.

«Sicuramente avrà raccontato gran parte dei suoi segreti a una che ha varcato questa compagnia da appena un mese» continuò sarcastica, burlandosi di lei con una cantilena terrificante, «e di come gli Smith insabbiarono tutto questo scandalo per non sporcarsi l'immagine, perché il primo ballerino si scopava la sorellina della futura prima ballerina»

Aspetta... quindi Nora e Victoria... — A Ray mancò il respiro. I pezzi sembravano incastrarsi anche fin troppo bene.

«Non lo sapevi vero?» le punzecchiò una guancia con l'indice e Ray si scostò con l'ansia aggrovigliata alla gola. «La tua perfetta amichetta Nora non ti ha detto che é la sorella di Victoria? E del perché tra lei e Jimin ora non scorre buon sangue? Ovviamente no, perché si vergogna così tanto di aver quasi rovinato l'immagine dell'ABT» e sussurrò poi, «di Victoria e di Park Jimin»

Smettila.

«Non... non ti credo»

«Pensi che qui vogliono davvero esserti amica?» le afferrò brutalmente il mento con le unghie, «sei solo dello stupido muschio aggrappato alle pareti, invisibile agli occhi di tutti. E ignara di ogni cosa»

Smettila.

«Non é vero» bisbigliò con gli occhi vitrei e acquosi. Ma Judite era sopra a un piedistallo alto più di venti metri per sentirla cinguettare come un uccellino ferito.

«E pensi di essere diventata amica di Park Jimin solamente perché ha deciso di aiutarti con il suo pass de duex? Grossa e patetica illusa» strinse la presa sul mento, «non sai nulla di lui, né di Nora. Quindi non ti permettere di mischiarti con noi, di provare a essere Carmen, di darmi stupidi consigli morali e di presumere di poter vestire i panni di Victoria Smith quando in ballo c'è l'intero destino dell'ABT!»

Smettila!

Ray la spinse all'indietro e si staccò da lei con il petto pieno di macigni, incapaci di farla respirare. La guardò con gli occhi rotti dalle lacrime, persa in un mare di incertezze, menzogne e verità.

Judite si pulì la mano sul pantalone, ancora una volta, consapevole di aver vinto. «Non ti innamorare di lui» camminò adocchiandola, «o rischiererai di essergli in mezzo ai piedi e fare un volo di sola andata per il Wisconsin»

«Smettila!» gridò finalmente Ray. Si mise le mani tra i capelli e la guardò sconvolta. «Sei una persona orribile!» urlò, ma appena lo disse Judite rise spalancando la bocca con menefreghismo.

«Ti ho spezzato il cuore, non é vero?»

Ray afferrò il suo borsone e senza risponderle andò via, scappando dalla sala e dalla compagnia. Giustificandosi malata in modo da rifugiarsi nel dormitorio e isolarsi dal mondo, come orribile tappezzeria invisibile.

O, dolorosamente, come l'aveva appena paragonata Judite Dixon, del muschio nella parete.


















Ray quella notte tornò a sognare incubi. Erano passati mesi che non le capitava di chiudere le palpebre e agitarsi al punto da svegliarsi fradicia e con le lacrime a grondargli sotto gli occhi. Sussurrava il nome di sua sorella per avere un briciolo di conforto e, tremante, guardò dall'altro lato del muro il letto a castello semivuoto. C'era Rachel lì con lei, ma come suo solito, si era addormentata con le cuffie attaccate alle orecchie e quindi, per sua fortuna, nessuno la sentì piangere.

Guardò il letto di Nora con un groppo alla gola, era vuoto e imbottito, come se non fosse mai stato abitato e, ripensandoci, erano giorni che dormiva dai suoi.

Perché quella storia l'aveva sconvolta a tal punto da risvegliare i tormenti dentro il suo inconscio?

Forse perché... aveva bisogno di certezze e di relazioni senza oscuri segreti: sapere che forse tra Nora e Jimin c'era stata una storia che aveva creato così tanto scandalo, da mandare all'aria uno spettacolo, l'agitava. Provò a chiudere gli occhi, ma le rivenne in mente le acide parole della costumista — Jamie Hills, nel suo primo giorno in compagnia — a proposito delle relazioni inesistenti tra Jimin e le ballerine.

"Jimin non esce con le ballerine"

"Dico bene, Smith?"

Un pizzicore le fece grattare furiosamente il collo e gran parte delle clavicole. Poi comparvero le misteriose frasi di Nora.

"Non pensate a lui se non volete che vi spezzi il cuore: Park Jimin non spreca il suo tempo con le ballerine ed é uno stupido codice morale che si é autoimposto, perciò basta chiedermelo ragazze. Non so altro"

Quel ricordo provocò un battito in più della norma, il respiro aumentò ancora mentre si rigirava nel letto alla ricerca del sonno. Quindi era per questo? Il famoso etoile non frequentava ballerine per evitare di cadere negli sbagli del passato?

Le sembrava la ragione più plausibile al momento.

"Non fatevi ingannare dalla luce che sprigiona quando balla» disse severa Nora, rivolgendosi a entrambe, «perché in realtà non ha emozioni. É un grosso guscio vuoto al quale non importa recidere la carriera di un ballerino col suo fare saccente e non si fa scrupoli a urlarti, con tranquillità, quanto tu faccia schifo. Anche senza farti parlare. Jimin vive solo per se stesso da quando—» si interruppe."

«Da quando?...» Ray inconsciamente bisbigliò, schiudendo le labbra secche, ripercorrendo tutti i suoi ricordi inerenti alla storia. «Da quando...» ripeté quasi con ossessione, stanca di pensare e rivivere stupidi flashback che nemmeno la riguardavano.

«Da quando ha quasi rovinato la carriera di sua sorella maggiore e l'intera stagione artistica?» domandò guardando il vuoto.

Oggi hai ballato bene e sei più Carmen di quanto credi, forse sei l'unica lì dentro a essere in grado di interpretarla. E poi l'hai detto tu stessa: Carmen esiste davvero»"

Incominciò a respirare affannosamente mentre il fischio della gomma sull'asfalto mise a fuoco una Kawasaki accanto a lei. Quel ricordo... Un fiume di parole, sarcastiche, fredde ma anche utili, le piombarono addosso sputate da un casco nero. Frasi che le fecero dimenticare la disagiante discussione avvenuta con Oliver Fisher. Il suo braccio che provò ad afferrare quello di Ray per cercare di fermarla e il suo urlo trattenuto, perché lei odiava il contatto fisico. E odiava gli uomini insistenti.

E poi...

Un sorriso. Il candore di una sola fila di denti, capace di sciogliere anche i ghiacciai, nacque in mezzo a Winter Village e non solo.

Mi duole ammetterlo Morgan, ma ci sai fare» fece un mezzo sorriso, sghembo e insolito, «e sei stata l'unica cosa bella in questo schifo di posto. Perciò, forza, scendi da quei cosi. Andiamocene via»"

Quella dolcezza... A quel punto aprí gli occhi, molla di sudore, lanciò le coperte ai piedi del letto e rannicchiò le ginocchia al petto. Appoggiò la fronte sopra di esse e si abbracciò per darsi forza.

Erano "stupidi" flashback che nemmeno la riguardavano... ma chi voleva prendere in giro.

Si era affezionata. Si stava tuttora affezionando a quel posto, alla danza — per la seconda volta — e persino a Park Jimin. E quel disagio che sentiva si era originato per le sue aspettative infrante, a causa di uno stupido sentimento nato per essersi affezionata fin troppo a un muro di cemento e parquet, a coinquiline che nemmeno la calcolavano e... a uno stupido, insensibile, costipato e freddo etoile sud coreano. Cosa diavolo pensava!? Che nessuno di loro potesse avere dei segreti?

Oh no, questa faceva ancora più ridere: pensava davvero di riuscire a farsi degli amici all'ABT?

Risentì le parole di Judite rimbombare come tuoni estivi, atroci e aguzze come grosse pietre infuocate, collose di lava, pronte a scivolarle sulla pelle fino a corroderla; era una ballerina di seconda mano del Wisconsin — ormai sapeva che tutti la vedevano così — chi credeva di essere per fare la morale, esordendo stupide frasi pacifiste, in un posto del genere? A figli di nazionalisti che non vedevano mai oltre il proprio naso.

Si rimise a letto, senza nemmeno sforzarsi di chiudere gli occhi mentre il sonno le pizzicava i bulbi come sabbia rocciosa sotto le palpebre. Era un incubo persino nella realtà, la notte si era alternata con il giorno. Da che una volta amava il mondo a occhi chiusi trovando conforto nell'oscurità... ora col buio trovava le ombre, le incertezze, le insicurezze e le paure. Elementi che dapprima scorgeva solamente alla luce del sole. Respirò grata quando la sveglia di Rachel suonò presto, con l'alba già avviata e gli sbadigli dell'intero dormitorio a riecheggiare.

Rachel si alzò e senza enfasi disse: «Forza Ray svegliati» ormai era abituata a svegliarla dal profondo coma che la inglobava ogni notte, ma quella mattina la frase terminò con un piccolo shock. Ray era già sveglia, guardava il soffitto e aveva gli occhi ricoperti da piccoli capillari rossi.

«Ray...»

«Sto male Rachel» si tirò le coperte su fino al naso, «forse un po' di febbre. Mi prendo un permesso»

La riccia la guardò preoccupata: «Hai bisogno di qualcosa? Aspirina? Un tè caldo? Il termometro per la febbre? Forse ce l'ho nell'armadietto del bagno-»

Ray si girò dandole le spalle, «Ho solo bisogno di riposarmi. Questa notte non ho dormito, forse é lo stress» inventò così su due piedi. Non poteva dirle che oltre a non voler presentarsi per non essere al top della forza fisica, vi era anche l'idea di rivedere Nora, Jimin o Judite... a metterle ansia.

«Sei sicura?» domandò apprensiva.
«Sì, tu piuttosto dovresti sbrigarti o farai tardi»
«In realtà posso fare con calma, mi sveglio prima la mattina per darti una mano» dichiarò con un sorriso furbo.

Ray la guardò confusa: «Darmi una mano?» l'altra ragazza annuì mentre ficcava le mani dentro i cassetti per la biancheria pulita. «Non l'avevi capito? Io ci metto poco a prepararmi quindi mi posso svegliare tranquillamente dopo le sette. Mettevo la sveglia alle sei perché impiegavo all'incirca mezz'ora per farti alzare dal letto» la riprese con un'occhiata divertita.

Quel piccolo gesto, che Rachel trovava semplice e quasi insignificante per una del suo calibro, per Ray valeva più di una vincita della lotteria. Nessuno prima di ora, a parte la sua famiglia, si era preso la briga di aiutarla con un gesto così... candido.

Rachel smise di ridere non appena vide il volto rosso e sconvolto di Ray, persino gli occhi divennero lucidi al punto che la castana dovette pulirsi gli con il dorso della mano.

«Tutto... Tutto bene Ray? Ho detto qualcosa di sbagliato?»

Ma Ray negò con la testa. «É la febbre. Sta... Sta salendo» dopodiché Rachel la guardò teneramente, «Allora stai al caldo e riprenditi. Avviserò i professori che non ci sei» afferrò i vestiti per dirigersi in bagno e cambiarsi ma Ray, all'ultimo e con voce fragile, la fermò.

«Rachel... Grazie» la guardò con gli occhi grati: ne aveva bisogno. Rachel schiuse le labbra: «Per cosa?»

Con le farfalle ad accarezzarle le ombre sussurrò:

«Per tutto»

E per comportati da amica.

















«Muoviti un'altra volta e ti ficco lo spillo nei polpacci» la sua lontana amica di vecchia data, Jamie Hills, si fece immediatamente sentire recuperando ogni singolo momento perduto con le sue torture cinesi. Girava con almeno cinque ditali nella borsa e presto ne avrebbe tirato uno in fronte a Park Jimin se lo risentiva sbuffare per la quarta volta nell'arco di dieci minuti.

«Non é colpa mia se ci metti cent'anni a prendere le misure e altri duecento per rifinire i dettagli con quei— Ah! Cristo Santo, Jamie!» chiuse gli occhi mentre il fianco andava a fuoco, deflorato da uno spillone da sarta con una fottuta pallina arancione sopra. «Fottiti, bastarda di merda!»

«Prima trovami una donna che mi fotta, possibilmente non con evidenti sintomi di omofobia interiorizzata o che non abbia genitori che mi vogliono portare in centri per deviati mentali» la bionda tagliò un lungo nastro di seta che partiva dalla spalla fino al fianco di Jimin. Il ballerino alzò gli occhi al cielo: «Per una sola scopata sei fin troppo esigente»

«É diverso, vorrei ubriacarmi e scopare. Non ubriacarmi, consolare i drammi famigliari della tipa che vorrei farmi e infine non scopare. Forse se bevessi fino ad andare in coma etilico verrei a letto anche con te, però devo immaginarti senza il gallo tra le gambe» ribatté fin troppo sarcastica per essere solamente mezzogiorno, «non so se mi sono spiegata»

«Fin troppo» la fulminò mentre rivide lo spillo con la testa arancione, «levamelo dalla faccia»

«Non rompere le palle e fammi lavorare, tra te e Igor mi avete prosciugato le pillole di sopportazione sociali. Vado avanti di caffè e...»

«Caffè e spilli» la interruppe prima di sentire l'ago sfiorargli la pelle nuda ancora una volta. Lo giurava, Jimin voleva bene a Jamie quando non si comportava da lesbica psicopatica con il mood di una che era appena stata mollata, un'altra volta, da malesseri donne con il cervello comprato al discount. Quando si comportava da persona normale era anche divertente, cosa che non era assolutamente in questo momento.

«Ti piace il brivido? O hai qualche principio autolesionista?» lo provocò, satura di cervicale e con un mal di testa capace di battere il cinque alla sciatica che gridava pietà da quando si era seduta sullo sgabello. Il ballerino la fulminò ancora: «No ma se vuoi vuoi posso lesionare gli altri o te»

«Okay basta» rilassò le braccia lungo i fianchi, «é ora di pranzo e mi stai sul cazzo, fammi mangiare o giuro che distruggo il vestito per questa fottuta esibizione»

Jimin si afflosciò sulla sedia: «Mi faresti un favore. Almeno avrei una scusante per non partecipare alla presentazione di benvenuto» quel micro spettacolo che l'ABT e altre società varie accodate avevano organizzato come teatrino di benvenuto lo stava facendo impazzire, ma il suo orgoglio e i vent'anni di studente sud coreano diligente gli ricordarono di stare dritto e composto sulla schiena.

«É solo un ballo accattivante» sospirò la bionda mentre addentava il suo panino farcito al formaggio, «hai fatto cose ben più che imbarazzanti. Tipo lo shooting di ieri con i boxer e jeans di Calvin Klein»

A quel commento Jimin corrucciò le sopracciglia. «Perché quello dovrebbe essere stato imbarazzante?»

«Andiamo Jimin. Non scherzare, quando di mezzo ci sono i brand intimi ti oliano anche sotto alle dita dei piedi. Sì certo, eri sexy ed é una cosa indiscutibile, ma al solo pensiero di essere oliata come un'acciuga e lanciata dentro un jeans stretto mi fa venire l'isteria. Che cazzo di fastidio! Uh!» alzò le spalle immaginandosi il contatto della pelle nuda oliata con il jeans su di lei, «Non farmici pensare dannazione»

Lui la guardò con uno sguardo perso: «Tu... Tu hai dei seri problemi, cazzo»

«E tu sembravi un fottuto bastoncino di pesce bruciato al sole con quel cazzo di olio»

«Jamie, perché non finisci il tuo merdoso panino così ci sbrighiamo a finire le rifiniture? Ah no, scusami volevo dire, "seduta di ago puntura" cazzo» finse di correggersi, «se mi vengono gli ematomi giuro che ti uccido»

«Non é colpa mia se ho dimenticato le lenti a casa!» si giustificò, omettendo chiaramente di soffrire di presbiopia.

Jimin sbarrò gli occhi: «Tu hai dimenticato che cosa!?»

Jamie buttò la carta del panino e tornò a essere operativa, «Forza. Stringi questo fantastico culo e sopporta qualche altro minuto» trascinò lo sgabello vicino a lui dopo che Jimin si alzò borbottando. «A che ora ti vedi con la cerbiatta sperduta?»

«Con chi?» la guardò da sopra la spalla.

«La ballerina delle lezioni clandestine»

«Ah!» ora capì, «Morgan, parli di lei. E comunque non sono lezioni clandestine» alzò gli occhi al cielo.

«Sì che lo sono. Quindi si chiama Morgan» commentò Jamie stando attenta a non bucarlo un'altra volta, ci stava mettendo tutta la buona volontà o avrebbe rischiato ti toccare qualche nervo con conseguenze di mal rovesci come spasmi muscolari.

Il ballerino piegò leggermente il collo un po' in avanti e scosse la testa: «No... Morgan é il cognome. Ray é il nome» quando dovette pronunciare il nome la voce tremò impercettibilmente, non era abituato a chiamarla così.

Jamie lo guardò di sbieco mentre premeva la lingua all'angolo della bocca come sintomo di concentrazione: «E perché la chiami per cognome?»

Jimin rialzò il collo e tornò dritto: «Abitudine. Mi aiuta a creare un muro di rispetto per le relazioni professionali e diligenza. In parole povere: anche se siamo coetanei devono rispettare la mia posizione da etoile»

«Relazioni e diligenza?» ripeté sospirando, «siamo nel fottuto Giappone? Chiamala semplicemente col suo nome e sbattitene Jimin. La gente non penserà male se la chiamerai così» cercò di tranquillizzarlo.

«Ho già deciso. É una mia regola lo sai e non ho voglia di discuterne ora» continuò caparbio e Jamie guardò la sua schiena con l'immensa voglia di unire i suoi nei con gli aghi.

«Hai per caso paura?» lo interrogò, «che succeda un'altra v—» ma Jamie si fermò perché il cellulare di Jimin si svegliò con un tintinnio.

«É il mio. Forse sono i coreografi del ballo di benvenuto» Il ballerino allungò le mani per afferrarlo dalla tasca dei jeans, appoggiati sulla sedia, e lo sbloccò. Si accigliò immediatamente.

«Problemi in paradiso?»

Senza staccare gli occhi dal cellulare, Jimin strinse le labbra: «No... é Morgan. Mi ha scritto ora che non verrà all'ABT per un po' perché sta... male!?» rilesse meglio il messaggio, «cosa... cosa vuol dire questa faccina?» mostrò la chat a Jamie.

"Ciao, non so se hai salvato il mio numero ma sono Ray, volevo avvisarti che sono malata e che oggi non verrò."

"Forse nemmeno domani."

"💀💀"

"Scusami per il disturbo."

«Come dovrei interpretarla? Che tipo sta morendo? Come cazzo scrivono adesso?» domandò a raffica mentre Jamie lo guardava all'allibita. «Prima di tutto smettila di parlare come se avessi novant'anni cazzo, sei nato nel 95' e non in mezzo alla guerra di Corea. Seconda cosa: davvero non sai cosa vuol dire quei teschi?»

«Non parlo come un nonno però cazzo, questi slang mi mettono confusione»

«Sta "morendo" dalla frustrazione, Jimin, si sarà cringiata e l'avrà usata per sdrammatizzare. Sa che sei un dito in culo e non voleva disturbarti. Cazzo fatti una cultura» sospirò pesantemente come se avesse davanti a sé un vecchio che guidava ai trenta chilometri orari su una strada di novanta.

Una cultura? Per la sua scarsissima soglia di pazienza Jimin lasciò perdere tutti i commenti e insulti che Jamie gli aveva lanciato in una sola frase, senza nemmeno più considerarla dopo aver classificato il significato centennials di un teschio come una cultura.

Guardò ancora la chat: «Quindi non verrà...»

«Se sta male mi sembra ovvio, Jimin» le sembrava lecito ma Jimin fece una smorfia poco delicata: «No, non va bene» si mise una mano sulla fronte, «tra poco ci sono le audizioni e non può mancare»

«Beh fattene una ragione. Sta male, significa che lavorerai da solo e magari mostrati un po' più sensibile verso di lei» lo rimproverò. Il ballerino la guardò come se fosse un alieno: «Sensibile?»

Jamie trattenne un grido: «Le basi della civiltà, Cristo Santo! Chiedile per correttezza ed educazione come sta. Poi le auguri una felice guarigione e fine!» disse esasperata.

«Per che diavolo dovrei farlo? Guarirà indipendentemente dal mio finto e cortese interessamento» spiegò con tono stizzito, «non proveremo nemmeno oggi! Quindi non sono in vena di essere sensibile ed empatico»

«Figurati. Quando mai sei stato empatico qui dentro» sbuffa allucinata, «se vuoi ti faccio un disegnino Jimin, almeno capisci come essere meno stronzo»

A quel punto Jimin strinse la bocca, la lingua pungolò la guancia per l'immenso fastidio che provò dopo quella frase. Non era così stronzo, credeva che fosse normale per lui sentire del fastidio quando, a una meno di una settimana e mezzo dalle audizioni, la sua unica opportunità per risaltare come un perfetto Don José andava a farsi fottere.

«Jimin stammi a sentire» cercò di moderare i toni, «ti ricordi quanto sei stato male durante quel piccolo infortunio?» lui semplicemente annuì, non capendo dove volesse andare a parare. Ricordava bene la sua brutta caduta, fu uno dei periodi più bui della sua carriera.

«Il medico ti disse di stare a riposo tre settimane perché sennò avresti peggiorato la situazione. Ma la maître dell'Opera di Parigi ti ha obbligato a imbottirti di farmaci per sopportare il dolore e continuare le prove in modo da non rallentare il lavoro» si mise davanti a lui e trovò il suo sguardo molto più insicuro, «per colpa dell'insensibilità di quella stronza hai rischiato una seria dipendenza dai farmaci»

«Jamie...»

«No. Jimin ascoltami» gli afferrò le spalle, «ci sono voluti mesi per farti smettere, questo é un mondo tossico sotto tanti punti di vista. Perciò dico... la salute mentale e quella fisica vanno assolutamente rispettate. Qui ci sono maître attenti e che hanno un po' più di riguardo verso coloro che sono indisposti, quindi perché tu non dovresti dare il tuo sostegno alla tua collega? É difficile stare in questo settore quando si sta male, avete paura di essere immediatamente sostituiti. Quindi... pensa che forse Ray potrebbe stare molto male. Abbi più tatto e...» lo scosse un po', «fai quello che avresti voluto che gli altri facessero per te»

Che cosa avresti fatto?»

«Stringerti la mano, io avrei voluto che qualcuno lo facesse per me. Io, per te, avrei fatto altrettanto»"

Jimin chiuse gli occhi mentre i ricordi nel diner di Winter Village tornarono immediatamente a fare luce sulla verità di Jamie. Aveva ragione, lui in primis aveva sofferto per la mancanza di tatto quando avveniva un infortunio o una febbre improvvisa, era umiliante assistere alla freddezza e alla pretesa di continuare comunque lo spettacolo anche con un problema grave.

Se Ray non riusciva a venire all'ABT, saltando persino gli allenamenti privati con lui in cui ci metteva anima, forza e corpo, forse... stava male davvero.

«Hai... ragione» ammise sospirando, «appena esco da qui le scrivo se sta bene»

Jamie sorrise vittoriosa e allungò una mano dentro la borsa per cercare un altro ditale. «Sono contenta che ti sei rinsavito. Abbiamo quasi finito e poi— Oh!» si fermò con la mano dentro alla sua Valentino, ovviamente regalata, schiudendo le labbra.

Jimin la vide così e alzò un sopracciglio: «Che c'è? Cos'hai trovato»

Jamie fece una risata nervosa, consapevole che Jimin l'avrebbe ammazzata dopo tutti i becchi con gli spilli che gli aveva causato a causa della sua presbiopia.

«Ma guarda un po', ecco dov'erano i miei occhiali di riserva»




















«Prego mi dica pure»

«Sì... Ehm, vorrei una deep chocolate cake con la panna e un frappé alla ciliegia»

«In totale sono otto dollari e cinquanta, mangia qui o porta via?»

«Porto via, grazie»

Jimin appoggiò il gomito al bancone, semi agonizzante per tutti gli spilli presi e aspettò che il suo ordine fosse pronto, sperava tra l'altro di aver azzeccato gli stessi gusti e intrugli zuccherosi che Ray Morgan aveva consumato durante la loro chiacchierata di coscienza/conoscenza al diner di Winter Village. Si strofinò le mani sospirando mentre guardava gli interni della caffetteria più vicina che gli era capitato tra l'ABT e il dormitorio: lo stava per fare davvero?

«Ecco a lei. Buona giornata» un ragazzo con una maglia azzurra, dello stesso logo della caffetteria, gli passò l'ordine stando attendo a non rovesciare il frappé alla ciliegia. Jimin rimise il portafoglio nelle tasche del giubbotto e lo ringraziò: «Grazie...» poi l'occhio gli cadde un secondo sul bancone, vicino alla cassa del locale, esitando. «Senti, scusami...»

Il ragazzo si girò e lo vide ancora lì: «Ho dimenticato qualcosa qualcosa?» domandò guardando il ballerino, Jimin scosse immediatamente la testa. «No, c'è tutto. Volevo chiederti se potevi prestarmi quello» indicò l'oggetto, «te lo ridò subito»

Il ragazzo abbassò gli occhi verso il punto indicato e annuì tranquillamente: «Certo. Quando hai finito puoi lasciarlo qui»

«Perfetto, grazie» sospirò afferrando tra le mani il pennarello e pensando a cosa scriverci.

"Buona guarigione?" Assolutamente banale.

"Guarisci presto?" Dannazione, così asettico.

Sospirò e guardò l'ora. Era nel pieno del pomeriggio e avrebbe dovuto sbrigarsi sennò non sarebbe riuscito ad allenarsi con Igor. Scrisse la prima cosa che gli venne in mente sulla busta marrone e lasciò il pennarello sulla cassa con un mezzo sorriso soddisfatto. Uscì immediatamente e col casco già in testa si mise in moto per raggiungere il dormitorio.

Jimin non si ricordava più di preciso quale fosse l'entrata, erano passati anni e il palazzo sembrava essere stato ristrutturato — grazie a Dio, perché all'epoca cadeva a pezzi. Si fermò dall'altra parte della strada e si guardò un po' in torno, parcheggiò la moto e fece qualche passo assicurandosi che la busta fosse integra.

«Chi me l'ha fatto fare» parlò da solo prima di guardare a destra e sinistra per attraversare l'immensa strada di fronte al dormitorio. Fece un passo in avanti ma si fermò immediatamente.

Tornò sul marciapiede dopo che un taxi gli suonò per farlo svegliare e levarlo dalla strada. In automatico il suo corpo tornò indietro con due passi ma la mente si assentò completamente quando vide l'entrata del dormitorio, stoica e abbattuta dal grigio del cemento, decorata con una piccola ragazzina incurvata sui gradini. Seduta, con un libro stretto tra le gambe e il volto pallido. Aveva gli occhi stanchi.

Ma non erano tristi o sofferenti come si era immaginato per tutto il tempo. Erano... felici. Stretti fino a sbarrarle la vista per colpa degli zigomi alti, sollevati dalla cristallina risata che fuoriuscì dalla sua bocca.

Ray stava ridendo all'aria aperta. Rideva mentre guardava Oliver Fisher seduto vicino a lei, a meno di un metro sullo stesso gradino, parlottando di qualcosa. Qualcosa di stupido? Qualcosa di serio?

O qualcosa di...

Le mani di Jimin strinsero senza pensare il bordo della busta con un fastidio mai avvertito prima. Non solo avrebbe voluto attraversare la strada, prendere la faccia da pesce di Oliver Fisher e dipingere l'intera facciata del dormitorio con i suoi connotati; non solo avrebbe voluto sapere il motivo di tante risate e felicità al punto da socchiudere gli occhi in quel modo; non solo avrebbe voluto fare tutto questo senza alcun ripensamento.

Ma avrebbe voluto guardare Ray negli occhi e chiedergli il perché. Un semplice perché... affinché ricevette risposte sulla sua presunta finta malattia, perdendo tempo e ore di allenamento, per flirtare gratuitamente con un collega di quella specie.

E avrebbe voluto sapere perché si sentiva così ferito dentro di sé. Così sconvolto e stupido mentre se ne stava lì sul marciapiede con la merenda a sorpresa per una persona che nemmeno sopportava. Le dava talmente fastidio da girargli lo stomaco e appesantirli il petto. Aumentava la sua sudorazione quando si comportava come una bambina idiota. Il suo cuore accelerava dalla rabbia e questi erano chiari sintomi...

Sbarrò gli occhi. Gridò dentro la sua testa di non dirlo, obbligandolo a dire che erano semplici sintomi di chiaro fastidio e intolleranza.

Ma deglutì, duro con sé stesso. Non avrebbe mai detto la verità a costo di scappare ancora.

Strinse la carta con la voglia di gettarlo per terra, vide un secchio della spazzatura e si avvicinò senza rimorso. Appiattì i denti digrignandoli e allungò il braccio, però poi rilesse la scritta ancora prima di ordinare alla mano di lasciarlo cadere.

Ogni lettura era uno spillo al petto. Sospirò sconfitto mentre ritraeva il braccio senza buttarlo, finché una voce dietro di lui lo spinse a tornare in sé.

«Cosa ci fai qui?»

Jimin non si spaventò. Conosceva bene la sua voce e sapeva che frequentava questo posto. Si girò lentamente. «Sono venuto a lasciare questo» rispose secco e lanciò il sacco a Nora, come se non valesse niente, «mi é stato detto di consegnarlo. Daglielo tu, io odio questa genere di cose» pronunciò freddo mentre la sorpassava senza lasciarla parlare.

Tutti i buoni propositi si erano trasformati in un nuovo ed ennesimo incubo. Jimin rimise il casco e partì senza guardarsi indietro, guadagnandosi un'occhiata indecifrabile da Nora mentre lo vedeva frecciare via con uno sguardo ancora più freddo del solito.

Sembrava ferito... pensò, ma poi scosse la testa abbandonato quella sciocca supposizione e guardò il sacchetto. Vide una scritta e lesse:









"Una deep chocolate cake
per una buona guarigione.

Ti aspetto qui, Morgan,
quando sarai pronta."










𝘓𝘶𝘥𝘸𝘪𝘨 𝘷𝘢𝘯 𝘉𝘦𝘦𝘵𝘩𝘰𝘷𝘦𝘯:
𝘚𝘰𝘯𝘢𝘵𝘦 𝘕𝘰. 14 -"𝘔𝘰𝘰𝘯𝘭𝘪𝘨𝘩𝘵" 3𝘳𝘥 𝘔𝘰𝘷𝘦𝘮𝘦𝘯𝘵






















Hello❤️❤️

Inizio col dirvi che ho lasciato il lavoro e che quindi ho avuto un po' di strippi per assestarmi. Poi mi mancava l'ispirazione e non riuscivo a scrivere :(
però sono tornata come avevo promesso 🫶🏻

Allora, in questo capitolo gli equilibri si sono immediatamente rotti... non che prima fossero degli angioletti tra di loro ma adesso é una catastrofe.

Judite che non solo mette zizzania ma rompe tutte le piccole speranze di Ray sulla sua ricerca della felicità all'interno della compagnia, giocando su questo segreto del passato per manipolarla insistendo sul fatto che nessuno li dentro vuole esserle davvero amico.

E Ray é alla deriva, fino all'ultimo stringe i denti ma Judite fa la stronza rimarcando come Nora abbia taciuto sullo status della sorella, sulla storia di Carmen e sul passato di Jimin. E come se non bastasse collega tutti i vecchi ricordi con queste nuove informazioni e si sente male. Sa che non sono affari suoi... ma capisce che sta così male perché si sta affezionando a Jimin e alla nuova vita li a New York, proprio quando pensava di aver trovato un nuovo equilibrio.

- Abbiamo rivisto Jamie Hills 👀 la nostra costumista e tra di loro non so chi ha più bisogno di uno spritz.

- Il discorso sulla salute e sugli infortuni non é casuale. Anzi, é importante, perché chi lavora col fisico (sportivo ecc) sa che stare male é dilaniante, specialmente per un ballerino quando lo show deve andare comunque avanti. Jimin non é insensibile, semplicemente lui ha vissuto la parte negativa e pensava che fosse normale viverla così. Ma Jamie gli fa capire che stare male o infortunarsi capita e bisogna avere pazienza ed essere empatici. Ho cercato di normalizzare la cosa 🫶🏻

- Dite quello che volete, ma park Jimin che va a prendere il cibo per fare una sorpresa a Ray me lo meritavo. E come ci resta male quando vede Oliver (prossimo capitolo bitches)

Male, malissimo e pure arrabbiato.

E se notate verso la fine subentrano dei sentimenti che lui ha sempre vissuto e visto come un fastidio, ma che in realtà... vogliono dire ben altro 👀🍿🎪

- Jimin all'inizio doveva andarsene e buttare la busta, ma poi ho pensato che in qualche modo... Ray lo dovesse sapere👀 (sono un clown) quindi per aggiungere ancora più benzina é arrivata Nora (guarda un po'!!!!)

- Fatemi sapere cosa ne pensate! 👀
Alla prossima ❤️❤️

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top