𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 1: 𝐓𝐇𝐄 𝐁𝐄𝐆𝐈𝐍𝐍𝐈𝐍𝐆
𝐖𝐀𝐑𝐍𝐈𝐍𝐆:
Questo é il secondo Warning che scrivo ma per questo, a differenza del primo, mi sono sentita in dovere di farlo per un motivo ben preciso. La danza classica é un'arte bellissima ma al contempo complessa: dietro a ogni salto aggraziato di una ballerina ci sono infiniti anni di agonismo e professionalità.
In particolare modo in questa storia verrà trattata la vita dei ballerini già consapevoli del proprio destino e del percorso che hanno intrapreso, ovvero: anni di scuola, diete rigide, competizioni tossiche e provini falliti.
Ho sentito il bisogno di documentarmi e risaltare ogni più piccola sfumatura di quel che non si dice ad alta voce, un po' per paura di perdere tutto quello che un ballerino ha costruito col tempo.
Essendo io l'autrice dovrò OBBLIGATORIAMENTE affrontare queste tematiche con imparzialità, quindi risalterò anche la piena crudezza di questo mondo e sarò costretta a usare parole forti, introdurre tematiche difficili: disturbi alimentari, ossessioni, complessi di inferiorità, bodyshaming, sesso, droghe e dovrò raccontare di abusi fisici e mentali.
Quindi IMPARZIALITÀ, non sono pro a niente di tutto questo lato oscuro e tossico che, ahimè, purtroppo esiste e non se ne parla abbastanza.
Sento di essermi spiegata abbastanza perciò chiedo a voi di leggere sì con empatia, ma specialmente con coscienza e consapevolezza.
Grazie e buona lettura.
𝘍𝘳𝘺𝘥𝘦𝘳𝘺𝘬 𝘊𝘩𝘰𝘱𝘪𝘯:
𝘕𝘰𝘵𝘵𝘶𝘳𝘯𝘰 𝘰𝘱. 9 𝘯. 2.
Sembrava quasi ridicolo il modo in cui la calura autunnale di meta ottobre scivolava grossolanamente giù tra le strade della grande mela, con fin troppa leggerezza; lo era altrettanto la penombra dei grattacieli color brace sul Damrosch Park, verde e rigoglioso alla sua destra, mentre inavvertitamente lei cercava di stabilirsi in quel mondo futuristico nei suoi appena cinquanta chili con due valige ricolme di collant e body in entrambe le mani.
Eppure, per quanto grande e vasta sembrasse New York, aveva conosciuto parchi mille volte più grossi di Central Park e accusato temperature ancora più strane dell'autunno newyorkese; era terrorizzata da quel mondo nonostante avesse visto lame più taglienti di un trasferimento di compagnia.
Ray Morgan riuscì indenne a superare le chilometriche strisce pedonali e sballottamenti di spalle dagli uomini con la loro ventiquattr'ore, stretta addosso come un'appendice corporea. Una protuberanza sproporzionata con cui spingere gratuitamente fuori strada le altre persone, con una precedenza acquisita da non so chi, giusto perché indossavano cappotti da migliaia di dollari. Ma lei non si era fatta mille miglia dal Wisconsin, spartite in venti ore di pullman, per farsi atterrare dal capitalismo newyorkese, dannazione! L'avevano ficcata in quel trabiccolo di dodici metri per ricominciare e dimenticarsi dell'odore di terra di Blackwell, contea di Forest.
Per questo ora se ne stava lì davanti alla porta, un luogo ben lontano dall'essere spartano, del suo nuovo dormitorio. Quindi qualcosa la turbava.
Sì, si era fatta più di venti ore filate seduta accanto a un tizio con l'aria da serial killer e che puzzava di pipì di gatto, aveva bevuto un succo scaduto al distributore automatico di una stazione di servizio a Harrisburg e camminato, in fine, in mezzo al traffico di Manhattan con due valige grosse come lei e il cellulare scarico, ma aveva comunque paura del destino.
E dentro di lei, mentre scagionava pensieri per niente positivi, sentiva che per quanti scogli avrebbe trovato nel suo cammino, prima di quel momento,
in realtà sarebbero stati sassolini in confronto all'ABT: ovvero la compagnia di ballo dell'American Ballet Theatre, una delle migliori al mondo e lei ci era entrata come un sassolino dentro a una scarpa.
Fragile nel suo temperamento maldestro e fin troppo puro per una ragazza cresciuta nelle campagne di Blackwell; era riuscita a superare l'ultima stagione nella sua prima compagnia per disperazione eppure, tra la folla, qualcuno aveva visto qualcosa in lei, nel suo minuscolo e brevissimo assolo durante il suo spettacolo dove occhi, cuore e piedi, gridavano di essere salvati da quell'incubo.
«Continuo a dire che questa é una pazzia» con un lecca lecca alla ciliegia appiccicato all'interno nella guancia esordì il suo pensiero, «Loro sono pazzi, ma forse lo sono più io che mi sono fatta convincere a venire qui» sua sorella maggiore l'aveva cacciata di casa a calci in culo dopo aver letto l'esito positivo dell'ABT e visto, poco dopo, l'orribile ombra di esitazione dentro agli occhi di Ray.
Ci teneva troppo a lei e al suo sogno per permetterle di perdere questa occasione per colpa della paura: capitava solamente una volta nella vita.
Gonfiò il petto e allungò il passo entrando nel dormitorio in cerca di un punto informazioni o una sorta di segreteria per il ritiro della chiave della stanza in comune, dettaglio che la tormentava da giorni. Non era abituata ad avere gente in torno a lei, non era più abituata alle amicizie da sleepover club da quando aveva dieci anni e, alla fine dei conti, nascere nel Wisconsin non ti abituava a niente se non a come proteggersi da un tornado F5. Perciò si sarebbe ritrovata a condividere una stanza con altre due persone con la sua capacità comunicativa di un tasso. Fantastico.
Ritirata la chiave e irrigiditasi sul posto per il broncio severo della responsabile con cui l'accompagnò per tutto il tragitto — anche per tutte le tre lunge e infinite rampe di scale —, cercò comunque di digerire quante più informazioni possibili.
«Questo dormitorio pullula principalmente di studenti che frequentano ancora l'accademia. Molti sono bambini mentre altri quasi dei ventenni»
Ray sussultò basita: «Quindi chi viene ammesso all'accademia dell'ABT ha la strada spianata per un posto in compagnia?»
La responsabile sospirò pesantemente, «Non proprio. O almeno non tutti, dopotutto in pochi hanno il vero talento per riuscirci» gracchiò, «Comunque, il loro spazio si espande dal primo al terzo piano mentre la mensa principale é disposta all'interno dell'ABT. Qui ne abbiamo sempre una a disposizione, non é come l'altra ma é confortevole e si trova al primo piano; viene usata principalmente per la colazione e la cena» spiegò come un nastro registratore e priva di empatia nei confronti della giovane: chissà quante volte dovrà ripetere le stesse cose, si interrogò Ray.
«Oh... non pensavo che fosse così grande questo posto, dagli annunci sembrava un normale dormitorio» ammise con un leggero stupore sulle gote e la signora, davanti a lei, la guardò con sufficienza ma senza smettere di camminare.
«Signorina, si trova nella compagnia di ballo più prestigiosa del Paese, molti dei ragazzi che vengono formati in accademia non balleranno mai sul palco del New York State Theater e non si aspettava che questo posto fosse così grande?» la derise, «Spero che la sua sia solo ingenuità e non arroganza, non ha la benché minima idea della fortuna che ha nel trovarsi qui. Avete proprio una bella faccia tosta voi del Wisconsin» okay, forse la megera sembrava essere leggermente intollerante e razzista.
Ray accusò la severe parole della responsabile come una serie di pugnalate all'addome: era un suo difetto dare fiato alla bocca senza prima interrogarsi tra gli archi della regione frontale della corteccia cerebrale, la sua aura di pura innocenza veniva spesso e malvolentieri scambiata con una sarcastica arroganza.
«Assolutamente no! Non volevo offenderla, sono solo sbalordita da tutto questo. É lodevole dare spazio e un'opportunità del genere a chi, come me, viene da lontano» si giustificò, alludendo che a quest'ora poteva ritrovarsi tranquillamente sotto a un ponte se non fosse stato per il programma dei dormitori disponibili anche per i membri della compagnia.
Un appartamento a New York, in quel momento e con uno stipendio misero, era fuori discussione; non poteva permettersi di fare una cazzata del genere senza un posto fisso in compagnia.
La signora Lewis, quella megera, si era fatta ormai un'idea completamente sbagliata su di lei: forse il bastoncino del lecca lecca premuto sulle labbra, il trucco da bambolina sugli occhi e i capelli stretti in due chignon, non mostravano il solito effetto composto e risoluto che avevano le nuove matricole.
Dio, effettivamente con quella salopette di jeans lunga fino ai piedi e la maglietta bianca sotto le bretelle, corta e leggermente lenta, non sembrava una rinomata ballerina prossima a un debutto al Lincoln Center.
«Mmh, lo spero per lei» la guardò attenta mentre svoltò verso il suo corridoio, «Il coprifuoco vige solamente per gli studenti dell'accademia e per i minorenni. Gli apprendisti della compagnia sono liberi di entrare e uscire a proprio piacimento, anche a vicissitudine dei lunghi allenamenti che si prolungheranno a tarda notte in vista degli spettacoli. Domande?» fece una pausa mentre Ray continuava a guardare curiosa le numerose persone che correvano su e giù per i corridoi. La responsabile le lanciò un'occhiata incerta: «É sicura di avere almeno diciotto anni?»
Ray ruotò gli occhi all'ingiù e tirò fuori il bastoncino del lecca lecca ormai finito: «Mmh? Corrono sempre così? Voglio dire, tutti i giorni?» rimbalzò la domanda con una sua e la vecchia sospirò sconsolata. «Sì. Sempre» sintetizzò seccata, «Comunque questa é la chiave, non la perda» sollevò la mano per dargliela ma, all'ultimo, la vecchia la tirò indietro facendola rimanere con un pugno di mosche in mano.
«Ma—»
«E un'altra cosa» socchiuse gli occhi osservandola bene, «Il dormitorio è diviso anche tra maschi e femmine. Di conseguenza é proibito soggiornare, dormire e fornicare tra di voi, mi sono spiegata? É chiaro!?» le guance di Ray divennero immediatamente viola e balbettò in difficoltà.
«Cristallino» sussurrò, «Ma non c'è bisogno—»
«C'è bisogno eccome, una vecchia come me ne ha viste di tutti i colori. E per quanto ormai abbiate lasciato le terre dell'adolescenza già da qualche anno siete ancora pieni di ormoni e libido. Certe cose fatele a casa vostra» ma prima che Ray riuscisse a ribattere, senza sentirsi male, la porta davanti a loro si aprì, mostrando una ragazza coperta da un lungo accappatoio di seta color madre perla.
«Signora Lewis, buongiorno!» la salutò cordiale con un'occhiata divertita, ma educata. La vecchia spinse uno sguardo annoiato verso la ragazza e borbottò: «Sono le cinque del pomeriggio, direi più buonasera, non crede?»
«Certo, ha ragione come sempre» esordì pienamente sarcastica e finì col guardare la povera Ray, imbandita di zaini e valigie intorno a lei, «Mi faccia indovinare: é la nostra nuova coinquilina? Stai aspettando da molto?» si rivolse infine a Ray.
«Sì é lei» la indicò. La ragazza con l'accappatoio le scoccò un sorriso candido che fece sciogliere il cuore di Ray, «Sì... sono io. Sono arrivata da poco in realtà»
«O mio Dio, sei così carina» mormorò scioccata e intenerita allo stesso tempo. Ray boccheggiò completamente rossa in faccia.
Nora tornò a guardare la vecchia signora: «Signora Lewis spero che non l'abbia spaventata con le solite storie sui dormitori divisi e le orgie nelle camere come fa con ogni matricola»
«Smith! In nome del Signore, non dica queste cose!» la zittì brutalmente, «Ci sono dei bambini!»
«Bambini? Dove?» finse di guardarsi intorno, «Io vedo solamente un corridoio pieno di donne adulte pronte e piene di libido in questo piano» sorrise e riuscì a trascinare in fretta e furia Ray dentro alla stanza per un braccio, insieme alla sua muraglia di valigie. Mentre dall'altra parte della porta, livida di rabbia, la signora Lewis lanciò maledizioni a non finire.
«E per fortuna che in questo piano non ci sono veramente i bambocci, sennò la vecchia avrebbe creato grossi traumi» una voce, più arrochita di quella delicata della ragazza in seta, spuntò dall'angolo della stanza. L'altra rise dandole ragione: «Ogni giorno che passa diventa sempre più acida»
«É sempre così?» Ray si morsicò il labbro inferiore imbarazzata, «Parlo della signora Lewis»
«Chiamala pure vecchia con un bastone in culo»
«Rachel!» la riprese scherzosamente l'altra.
«Che c'è!? É vero!» si lamentò, «In realtà qui dentro lo sono tutti» borbottò alzando gli occhi al cielo.
«Okay ma non spaventiamola, é appena arrivata» consigliò vedendola non molto a suo agio e si avvicinò per stringerle la mano: «Il mio nome é Nora Smith mentre lei é Rachel» indicò la sua compagna di stanza che, nel frattempo, aveva abbandonato le cuffie sul letto per andarle in contro.
«Rachel Hall! Il piacere é tutto mio, come ti chiami?» Strinse le mani a entrambe con dolcezza e stampò un sorriso timido: «Ray Morgan»
«Wow Ray Morgan, ti sei portata l'arsenale della marina in quelle valigie? Da dove vieni?» diede un'occhiata alle scatole plastificate grosse come il suo letto.
«Blackwell, é una cittadina del Wisconsin e... sì, credo di aver esagerato un po'» mormorò ridacchiando mentre Nora, in tutta la sua compostezza, le prese uno zaino dalla spalla per aiutarla. «Tranquilla, la prima volta che sono venuta qui mi ero portata tre valigie solo di scarpe e abito a New York»
«Dio tu sì che sei imbarazzante, anche io sono di New York ma non mi sono portata tre valigie di sole scarpe» la schernì Rachel, mostrando le sue evidenti fossette sulla sua meravigliosa pelle color caffellatte.
«La prima volta?» domandò stranita Ray, «Non sei una matricola?» si rivolse a Nora.
«Oh no, questo è il mio secondo anno ormai che faccio parte della compagnia di ballo mentre Rachel é qui da un mese, ma ci conosciamo da anni e conosce questo posto gia da un po'» le spiegò con un sorriso ma, inspiegabilmente, quel legame già esistente e quel mondo gigantesco iniziarono a metterla in crisi. Sperava di trovare persone come lei: un po' sole e spaventate da New York, mentre invece quella sola e impaurita sembrava essere solamente lei.
«É... fantastico» provò a non farsi prendere dall'ansia e afferrò i manici delle valige, «Dove... Dove mi metto?» domandò intercettando i letti occupati.
Per essere un plesso di numerosi appartamenti il loro era grande e confortevole: Rachel era tornata a sedersi sul letto singolo accanto al muro ad angolo, circondata da cuscini e fogli sparpagliati sulle coperte. Un'enorme finestra filtrava una quantità abbondante di luce per illuminare tranquillamente l'intera stanza e poi, nel lato opposto, vi era un letto a castello dall'aria abbastanza rigida. Toni lilla e delicati erano sparsi sui muri con saggezza e, con maggiore attenzione, si poteva intravedere una porta bianca che conduceva a un bagno personale.
Questo significa che non dovrò fare avanti e indietro mezza nuda in corridoio.
«Scusami! Ho invaso il tuo letto con il materiale di danza, ora te lo libero subito» Rachel prese ogni foglio dal letto singolo e lo buttò in quello basso a castello. «Il singolo può andarti bene? Nora sta in quello sopra e io sotto»
Ray annuì contenta e sospirò già più tranquilla: «Era quello che desideravo, é perfetto» sentì la tensione sciogliersi mano a mano che disfava la valigia nel suo piccolo armadio.
«Scusami se te lo chiedo ma quanti anni hai esattamente?» domandò a brucia pelo Rachel, mostrandosi già spigliata e con un carattere molto più vivido del suo. Ray si girò, abbassando lo sguardo, con un paio di calze nelle mani e ridacchiò imbarazzata, senza staccare dal pavimento:«Ne ho ventidue»
«Cosa!?» spalancò la bocca mentre Nora la guardava affascinata, «Sembri... Sembri...»
«Una bambina? Lo so, me lo dicono spesso» si lamentò con un piccolo broncio sulle labbra ma Rachel si affrettò a scuotere la testa. «Assolutamente no! Non prenderla come un'offesa, sembri solo più giovane, hai un aspetto così dolce e... non lo so! La tua pelle! É così luminosa cazzo! Com'è possibile? Qual é il tuo segreto!?»
La mora con i codini scoppiò a ridere e non si sentì per niente offesa dai commenti sul suo aspetto: era abituata ai ragazzi che facevano esternazioni volgari per la sua faccia troppo ovale e scambiandola per una bambolina idiota. Sapeva riconoscere un complimento sincero da uno fasullo e Rachel sembrava seriamente sbalordita.
«Non lo so. Credo che sia per le origini di mia madre in realtà, lei è coreana mentre mio padre é americano e io sono sbucata fuori con questa faccia» si indicò il volto piccolo e delicato, «É fastidioso»
«Scherzi spero. É un dono avere quel viso» disse Nora con sincerità anche se Ray, dal suo canto, avrebbe tanto voluto dirle lo stesso.
A differenza sua Nora superava di gran lunga il metro e settanta con una facilità scioccate; era così aggraziata quando si muoveva o parlava da mettere in dubbio le sue qualità classiche; goffa com'era si chiedeva che cosa ci facesse lì. Sembrava una principessa dai lunghi capelli color ebano, lisci a spaghetto, gli occhi scuri, pelle pallida e con linee dal collo in giù chilometriche.
E Rachel, nonostante fosse più bassa, aveva un fisico minuto e spigoloso, gli incisivi appena sporgenti e tante lentiggini sulle guance. Un suo sorriso sghembo e sbiancante risaltato dalla pelle color cioccolato.
Lei invece, secondo le sue fissazioni, sembrava seriamente uscita da un giornaletto manga con vestiti del reparto quattordici anni di Forever 21, domandandosi se non avesse davvero sbagliato lavoro nella vita.
«Sud o Nord Corea?» domandò Rachel, Nora si spiaccicò una mano sulla fronte e mormorò uno «scusala» dopo aver visto la faccia sbigottita di Ray. Però non riuscì a non mascherare una risata divertita.
«Idiota, secondo te? Nemmeno ci puoi uscire dal Nord Corea!»
«Ho solamente chiesto! Non era così scontata come domanda, giusto?» si rivolse a Ray ma lei, arrossita, tentennò: «Beh, in realtà...» masticò lentamente.
«Okay okay! Ho capito, alzo le mani» e le alzò davvero, «Mi tiro fuori, mi andrò a studiare geografia» le arrivò un cuscino dritto in faccia.
«Forse é meglio!»
Beh, tutto sommato non sembrava così male la vita qui, no?
Sbagliato. La vita nel newyorkese era partita decisamente col piede sbagliato e questa volta non si parlava di posizioni errate o en dehors come zampe di gallina, bensì centrava la sua sbadataggine nell' azionare la prima sveglia mattutina della sua dannatissima carriera come ballerina. Perché non solo era arrivata agli sgoccioli all'ABT ma aveva avuto anche il coraggio di svegliarsi in ritardo.
Nora si era svegliata alle sei di mattina per stirarsi le punte in mezzo al pavimento, mentre Rachel aveva spento la prima sveglia alle sette per dedicarsi a una lunga e tortuosa cura del viso e pedicure. Eh sì, entrambe avevano cercato di svegliare Ray più volte e alla quarta credevano di averla avuta vinta — visto che aveva sbagliato e biasciato qualcosa sul cuscino — ma era una cazzata, si era rimessa a dormire mentre loro si infilavano body e calzamaglia sulle cosce.
Quando Rachel uscì dal bagno scoprì con orrore che mancavano appena venti minuti alle otto e Ray era ancora in pigiama a dormire sotto le coperte. Nora, avendo già capito l'andazzo, si fiondò in mensa per prendere tre caffè macchiati da portare via e qualche barretta proteiche con pochi zuccheri mentre Rachel, imprecando, lanciò la nuova arrivata dentro al bagno e sistemò il borsone prima di andarsene.
«Cazzo. Cazzo. Cazzo» era un continuo cazzo dal momento in cui aveva sbattuto il piede fuori dal dormitorio con i capelli stretti in due adorabili chignon ai lati della testa come Pucca e l'aspetto di una che, effettivamente, si era svegliata quindici minuti prima della lezione.
Per colpa del vento qualche ciocca sfuggì dalla morsa stretta delle forcine ma fu troppo occupata a pensare allo stomaco vuoto per accorgersi e sistemarsi. Mancavano due minuti alle otto e davanti a lei, per arrivare alla sua classe, c'era solo una rampa a dividerla dalla meta.
Arrivò all'ultimo gradino quasi saltando, afferrò la sbarra della scala con un rimbalzo che la portò a sbilanciarsi troppo in avanti facendola scontrare con un uomo duro come il marmo.
«Ma che diavolo!?» lui abbassò il viso verso il basso per vedere la mina che si era appena fiondata sul suo corpo come un fottuto missile balistico, ma la causa del problema si era già defilata verso la direzione opposta. La vide stringersi il braccio con la mano perché la botta le era costata un probabile ematoma sulla pelle.
Ray lanciò una rapida occhiata alle spalle, giusto per elaborare con lo sguardo l'uomo con il quale si era scontrata e assicurarsi che fosse almeno vivo. La stava fulminando con lo sguardo e lei mormorò in sua discolpa, ormai lontana e a un passo dalla classe, un: «Scusami ma sono in ritardo!» e chiuse la porta, lasciandolo laggiù come un allocco.
«Ray!» sussurrò strillando Rachel vicino alla sbarra mentre tutte le altre ballerine, impegnate in flessioni o a irrobustirsi la punta delle scarpe con bende varie e cuciture a mano, rilasciarono risatine di derisione nel vederla in quello stato.
Si percepiva già nell'aria il pesante odore di pece per scarpe e di competizione.
Alzò gli occhi da terra e, mentre si levò i pantaloni larghi della tuta verso il basso, mise a fuoco il resto della sala. C'erano un paio di figure in mezzo alla sala, una donna e un pianista davanti allo specchio impegnati a discutere sulle proposte saggistiche con espressioni livide in facce: fortunatamente per lei erano troppo occupati per rimproverarla del ritardo.
«Vieni qui, cazzo!» Rachel l'afferrò per un braccio e le tolse quella ridicola sciarpa giallo canarino dal collo, «Sei una miracolata! Non si sono nemmeno accorti che sei arrivata adesso!» le disse con le narici larghe dalla collera, «Sai cos'hai rischiato?»
«Lo so! Mi dispiace» sbuffò mettendosi le mani sulla faccia, «Non so cosa mi sia preso stamattina, forse è stato il viaggio a rendermi così stanca... Sono pure a stomaco vuoto» si massaggiò l'addome piatto.
Rachel indicò con la testa Nora, posizionata alla prima sbarra per allungarsi i muscoli delle gambe e della schiena poco più avanti, «Ci ha già pensato lei a prenderti la colazione, appena finiamo la prima lezione farai una pausa—» ma non finì di parlare perché alle otto in punto, nella stanza, si elevarono gemiti di sospiri e ghigni eccitati per tutto il perimetro.
La porta si aprì e la donna di mezza età, nel centro della stanza, con la schiena rigida e un sorriso di ammaliata contentezza a dipingere il suo volto, si avvicinò immediatamente al nuovo arrivato; il suo sguardo trasudava puro orgoglio ogni volta che lo fissava.
L'uomo appena entrato si mostrò in una educazione composta e risoluta dalla quale ergeva un'espressione impassibile nei confronti del nuovo contesto. La giacca di pelle scura copriva il busto per una buona porzione ma dal restante, grazie a una misera ricostruzione artistica, si poteva intravedere una fisicità atletica al di fuori della norma.
Le cosce spesse tiravano il tessuto dei pantaloni a ogni passo nonostante fosse largo e scuro, di un nero che rendeva la visibilità della luce quasi nulla. Infine il viso sembrava dipinto con l'ambra, quel volto illuminato dal neon tossico della sala era pronto a radere al suolo l'ombra dei suoi capelli tirati ai lati, tranne per qualche ciuffo lasciato apposta sulla fronte alta. Era un viso esotico, di una nazionalità anni luci lontana da quella americana e il paio di occhi a sirena, limitati in un monolide talmente scuro e penetrante da dichiararsi un abisso, confermavano l'impronta di chi era in realtà.
Il naso a bottone, le labbra carnose e la mascella scavata nella pietra che fungeva da condotto addicente ai tendini del collo chilometrico, erano altri dettagli che si amalgamavano in un'asimmetrica perfezione di bellezza.
Il pianista per poco non si ribaltò sui suoi stessi piedi: «Non ci credo, Park Jimin! Quanto tempo!Quando la signora Collins mi aveva detto che alla fine avresti accettato il ruolo non pensavo che dicesse sul serio» andò ad abbracciarlo e l'uomo, nominato come Park Jimin, gli concesse appena un po' del suo contatto fisico prima di scrollarselo di dosso e drizzarsi composto.
Non appena lo vide Ray inghiottì un fiotto di saliva grosso quanto una pallina da ping-pong.
No. Cazzo no, non era assolutamente possibile che quello fosse il tizio con cui si era scontrata prima. Magari era un sosia, oppure avevano la stessa giacca di pelle, ma quando Park Jimin lanciò un primo sguardo alla classe Ray ebbe i brividi per tutta schiena.
Quello era Park Jimin, l'occhiata glaciale e oscura era diventato il suo letale marchio di fabbrica, uno sguardo che abbracciava il corpo perfetto e statuario di uno degli etoiles più famosi al mondo. Una pietra miliare della Corea, esibitosi in posti come la Scala di Milano, Parigi, Russia e contemporaneamente primo ballerino della ABT o almeno lo era stato fino a cinque anni fa, quando improvvisamente si era rifugiato all'Opéra National di Parigi senza dare spiegazioni a nessuno.
Cioè, spiegazioni ai comuni mortali.
Ray pensò di svenire lì, in mezzo alla sala e sbattere la testa in modo da entrare in un coma profondo fino a quando Park Jimin non si fosse dimenticato di lei. Poi rise tra sé, impazzita: non poteva averla riconosciuta cosi facilmente, si era spogliata dei vestiti e aveva avuto all'incirca una manciata di secondi per guardarla, magari si stava solamente fasciando la testa per niente.
«Infatti è stata una decisione presa all'ultimo minuto» gli spiegò brevemente, «La signora Collins mi ha spiegato quanto la compagnia aveva veramente bisogno di nuove entrate e aria di cambiamenti per la nuova stagione»
Una delle ballerine alzò una mano e la donna le diede il permesso di parlare: «Sì, Danielle?»
«Signora Collins, questo significa che balleremo con Park Jimin? É tornato a far parte della compagnia?» domandò lanciando un'occhiata interessante al primo ballerino, iterazione che però quest'ultimo si fece scivolare addosso come pioggia sul vetro.
La signora Collins — una delle maître con più esperienza lì dentro — annuì lentamente: «Jimin é tornato per aiutarci ma non si limiterà ad accompagnarci in questo viaggio, bensì terrà dei corsi durante le mie lezioni per voi giovani tirocinanti» con sfacciato orgoglio gorgoglìo «e anche per chi ancora é in compagnia da solo un paio di anni» al termine di quelle parole la maggior parte delle ragazze si squagliarono in uno stato di eccitazione fin troppo udibile per le orecchie di Jimin. Ancora ignare di quanto fosse esigente e perfezionista nelle sue lezioni.
«Bene, Jimin vuoi dire qualcosa?» mise le mani avanti per farlo passare e lui, con lentezza, fece un piccolo inchino col capo per ringraziarla.
«Grazie signora Collins» si schiarì la voce e fece in modo di aprire il petto per inalare un grosso respiro: «Per chi di voi ancora non mi conoscesse mi chiamo Park Jimin e sono tornato come primo ballerino dell'ABT per rivoluzionare un po' la stagione» allungò elegantemente entrambe le braccia per indicare il gruppo, «Chi di voi é nuovo o é in compagnia da meno di qualche mese?» domandò meccanico, aspettandosi almeno tre quarti delle mani alzate in aria.
Di fatti così fu e represse una smorfia nel notare quante tra di loro fossero ancora inesperte per quel mondo. Ray nel frattempo aveva alzato di poco la mano senza reclamare attenzione e sospirò di sollievo quando vide il suo sguardo evitarla.
«Come mi aspettavo, sarò franco e poco delicato nel dirvi che il tempo é poco e che voi, molto probabilmente, non siete ancora pronte per affrontare un pubblico di questo calibro...» guardò dritto negli occhi a ogni ballerina nelle prime file, alla ricerca del più piccolo difetto nel loro vestiario, «sarò una specie di insegnante a volte, aiuterò chi ne ha più bisogno e darò consigli sulla tecnica» fece una pausa e lanciò una penetrante occhiata a seguire, «Ciò non toglie che balleremo insieme e sarò un vostro compagno ma, allo stesso tempo, quando ci sarà questo corso vi pregherei di usare nei miei confronti un titolo formale. Non ho altro da aggiungere, battete la fiacca con me e il prossimo volo per il ritorno a casa sarà il vostro. Il posto all'ABT va sudato, sono stato chiaro?»
«Sì signor Park!» dissero in coro tutte quante mentre Rachel, al fianco di Ray, sospirò con gli occhi a cuore. «Dio quanto é sexy...» guardò attentamente il corpo di Jimin venir liberato dalla borsa e la giacca per dirigersi verso la sedia, dando in quel modo la perfetta visuale del suo magnifico culo scolpito e coperto, per la loro sfortuna, da un paio di pantaloni d'allenamento scuri.
«A me fa paura» borbottò Ray in risposta, apprezzando ovviamente quel ben di Dio in raso ma quel tono glaciale l'aveva condotta a pregare in qualcosa che nemmeno credeva. «Credevo che avesse lasciato l'ABT da qualche anno ormai»
Una ragazza al suo fianco, bionda e alta poco più di lei, le si avvicinò di qualche centimetro. «Oh ma devi avere paura di lui, ragazza in ritardo» si presentò con un sorriso derisorio e leggermente malizioso sotto il naso all'insù, «É stato il migliore, tuttora lo é. E quando sei il migliore pretendi solo la perfezione dagli altri»
«Wow non credi di star esagerando?» la rimise al posto Rachel, storcendo il naso dopo il nomignolo affibbiato a Ray. La bionda la scoccò un'occhiata di sfida: «Affatto» ribatté, «Ho avuto modo di parlare con alcuni membri della compagnia che hanno lavorato con lui e, fidati di me, se non sei preparata al meglio sarà l'inferno»
«Tsk! Ne parli come se fossi qui da secoli»
«Da secoli no, ma lavoro qui da quasi due anni e so il fatto mio. Però capisco che voi due non siate così spaventate da lui, dopotutto passerete il tempo come corpo di ballo mentre noi faremo gli assoli e diventeremo finalmente delle soliste. Al massimo, ultima arrivata mi reggerai il bouquet» si fermò guardando Ray in silenzio, «carini quei così sulla testa, scelta molto coraggiosa» alluse ai due chignon sfatti con i ciuffi della lunga frangia che scappavano dalle forcine.
Ray si toccò istintivamente la testa mentre sentiva il cuore arrivarle in gola, al suo fianco Rachel si trattenne dal tirarle un pugno sul naso rifatto della bionda.
Questa ghignò e se ne andò, si mise nella sbarra centrale davanti a Jimin e soppresse un sorriso quando lui le passò vicino per guardarle l'aspetto, passando poi in avanti senza correggerle nulla.
«Ma che stronza» sibilò Rachel, «Non starla a sentire, non reggerai nessun cazzo di bouquet e non faremo solo il corpo di ballo»
«Lo spero tanto ma qualcosa dentro di me mi dice che sta per arrivare un mare di guai» le disse Ray tremante alla vista di Jimin che si fissava al centro per spiegare la posizione da assumere.
«Tu dici?» domandò Rachel con un brivido di paura.
«Forza signorine, alla sbarra» sbatté le mani un paio di volte mentre la signora Collins lasciava la stanza momentaneamente, «Inizieremo da un rafforzamento base: i plié. Prima posizione, demi-plié e stendere, demi-plié e stendere, gran plié e tornare, port de bras in avanti» allungò il busto e il braccio con una pressione millimetrica verso il basso e senza alcuna fatica, «e port de bras indieto» si sollevò, «Faremo la stessa cosa in seconda, quarta e quinta posizione. Poi ci solleviamo e mezza punta e l'equilibrio in quinta. Mi avete capito?» per uno come lui era così facile da farlo a occhi chiusi, senza alzare i talloni o spingere le punte troppo avanti.
Ma si aspettava lo stesso anche da delle ballerine di quel calibro; l'era delle audizioni e delle accademie era terminata dall'esatto momento in cui si prendeva il volo senza sentire il peso della gravità addosso, perciò aspettò che tutte quante si misero in posizione a destra e sinistra per unire i talloni con le punte rivolte verso il fuori. Stette attento al tempo, diede un cenno di capo al pianista e la musica finalmente partì.
Beccò il primo paio di ballerine con le ginocchia non allineate perfettamente ai piedi ed erano errori che gli facevano venire il mal di testa. «É un gran plié, i talloni vanno sollevati il minimo, questo cosa ti sembra? A me non sembra affatto il minimo» disse a una ballerina e questa sbiancò. «Scusami... Io-»
Jimin la fulminò col suo sguardo privo di anima e le disse: «Non voglio scuse. Non scusarti, fallo bene o non farlo affatto»
Oh Cristo.
Rachel sbarrò gli occhi dietro a Ray, a un metro di distanza e giurò di aver sentito quest'ultima sussultare dopo l'ultima frase. Era anche peggio di come l'aveva definito quell'oca bionda di prima, era pretenzioso, giudizioso, stacanovista, impaziente e...
«A cosa stai pensando?»
La domanda arrivò dritta al suo orecchio sinistro; non poté che girare il collo verso quel tono freddo. Guardò le labbra del suo nuovo insegnante, pensando infelicemente a quanto fosse stata fortunata, prima di allora, ad aver potuto seguire i successi di Jimin solo dalla tv via cavo e sui media.
Park Jimin era una meraviglia per gli occhi quando ballava, ma dal punto di vista umano poteva donare le stesse sensazioni di un sacchetto di plastica stretto intorno alla faccia. E ora toccava a lei portare il peso della plastica attaccata al collo, con i sintomi dell'asfissia già in corso.
«Come?» domandò in un sussurro balbettante e quell'atteggiamento fece alzare le spalle di Jimin per altri cinque centimetri più del normale.
«A cosa stavi pensando per tenere le anche alte fino alle orecchie? Stai buttando tutto il peso sui talloni, e non usi nel modo corretto la gamba di sostegno. Per questo sei sbilanciata» parlò come una macchinetta mentre Ray ancora cercava disperatamente di riprendersi dallo shock iniziale. Quando la voce di Jimin si spazientì di un tono tornò in sé e cercò di catturare i dettagli perfetti della sequenza.
Lasciò le braccia morbide mentre sul volto comparirono le prime tracce di nefasto nervosismo. Sentiva su di sé gli occhi di tutti quanti ma quelli che pensavano di più erano gli occhi di Park Jimin e lei era incapace ricambiare lo sguardo; timorosa che la riconoscesse o peggio, leggesse dentro di lei tutti i suoi più grandi difetti.
O le sue ombre.
Ma continuò a tenere le anche ancora troppo alte per gli standard della perfezione e Jimin decise di fermarsi direttamente al suo fianco. Incrociò le braccia al petto e la maglietta venne tirata dai muscoli spessi della schiena e dei bicipiti.
«Vedo che continui a non ascoltarmi» quel tono irritante le arrivò alle orecchie e avvertì il bisogno di fermarsi un secondo per guardarlo. Così fece.
«Io...» pensava di scusarsi ma le tornò in mente la frase agghiacciante che aveva lanciato a una delle sue nuove compagne: non voglio scuse, fallo bene o non farlo affatto.
Dannazione.
«Alta quella testa matricola, non sono qui per tenere una lezione di danza ai principianti ma a ballerine professioniste» la guardò dall'alto al basso e respirò, «Qual è il tuo nome e da che programma di formazione vieni?»
Ray socchiuse gli occhi un paio di volte e si leccò le labbra a disagio, «Mi chiamo Ray Morgan. Vengo dal programma di studi della Wisconsin Ballet Accademy» e non poté che cascare un lampo aguzzo dentro agli occhi del più grande non appena scorse un paio di dettagli alquanto singolari.
Alcune ragazze della classe risero in sottofondo, consce che una come lei lì dentro non sarebbe resistita nemmeno fino allo spettacolo d'inverno perché, a differenza sua, erano quasi tutte delle vecchie studentesse della ABT Studio Company — l'accademia dove andavano i mocciosi del suo dormitorio — ed era il trampolino di lancio per la compagnia professionale dell'American Ballet Theatre. Due terzi di essa erano ex alunni di questa accademia.
«Bene signorina Morgan, ti pregherei non solo di venire a lezione con la divisa al posto giusto» indicò con gli occhi l'etichetta del body al contrario, «ma anche in orario la prossima volta» Ray sbarrò gli occhi e imprecò mentalmente: l'aveva riconosciuta eccome.
Jimin ghignò appena bastardamente dopo il suo stupore e, prima di iniziare a camminare per la classe, diede il colpo di grazia. «E via i capelli dalla faccia, quei cosi sulla testa non li voglio più vedere. Non so com'eri abituata alla Wisconsin Ballet ma qui pretendiamo la perfezione anche nell'aspetto»
«Aspetta sta parlando dei miei...» si ammutolì toccandosi la testa con gli chignon ai lati, «Ma... Ma in accademia e anche nella mia vecchia compagnia me li facevano tenere—» cercò di contestare ma venne tagliata malamente.
«Allora puoi tornartene pure nella tua vecchia compagnia del Wisconsin se ci tieni così tanto» schioccò la lingua al palato e, stanco di starla a sentire e senza alcuna pazienza per sorbirsi i piagnistei di una matricola, tornò a contare il tempo: «Uno e due, bene signorine, chiudete quelle costole e petto in fuori, abbiamo ancora tanta strada da fare per lo spettacolo d'inverno!»
Tornò a battere le mani per contare il tempo e da quel momento in poi in classe scese una severa sinfonia fatta di pesanti richiami e lamenti strozzati.
Quella giornata, secondo Ray, non poteva essere iniziata nel peggiore dei modi.
𝘍𝘳𝘺𝘥𝘦𝘳𝘺𝘬 𝘊𝘩𝘰𝘱𝘪𝘯:
𝘕𝘰𝘵𝘵𝘶𝘳𝘯𝘰 𝘰𝘱. 9 𝘯. 2.
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ᴀɴɢᴏʟɪɴᴏ
Saranno presenti errori di battitura ma verranno corretti domani mattina!
Buon salve e buon compleanno Jimin😭😭😭
Finalmente abbiamo partorito questa iniziativa e ho già qualche capitolo pronto ma gli aggiornamenti verranno solamente una volta a settimana 👀‼️
Per il resto mi sono rimpinzata di Film sulla danza, siti e interviste fino al vomito, persino TikTok é pieno di me🙈
Quindi lascio a voi l'esito: nel primo capitolo abbiamo avuto un'introduzione un po' singolare, la nostra Ray Morgan si é fatta mille ore in autobus per venire all'ABT, una compagnia dove é molto difficile essere assunti, per essere trattata come una pezza e sbattuta al pavimento— No dai, sto scherzando, però l'inizio non é dei più semplici sia per quella testa di cazzo di Park Jimin e per le sue esperienze passate che l'hanno portata a essere così insicura.
É ancora difficile capire che tipo di persona sia Ray in questo capitolo, non nego che ci saranno un po' di misteri e segreti perché sì, mi andava di farlo 💁🏻♀️
Rachel Hall e Nora Smith per il momento ci sembrano delle tipe apposto, non si può dire lo stesso per la stronzetta bionda che spicca agli assoli. Bitch
E Park Jimin? Non so nemmeno cosa dire per quanto é figo, freddo, perfetto artisticamente e Dom, tanto quanto testa di cazzo ma in realtà non é così male come può sembrare. ( più o meno)
Ci vediamo la prossima settimana con il nuovo capitolo di LITTLE RAY.
Fatemi sapere che cosa ne pensate e alla prossima❤️
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