𝟖 - 𝐈𝐥 𝐩𝐫𝐨𝐟𝐞𝐬𝐬𝐨𝐫𝐞.

Scorpius si sentì pizzicare dai raggi del sole. Si rigirò nel letto, tirandosi la coperta sopra la testa, ma la luce era implacabile. Alla fine, tentò di rifugiarsi sotto il cuscino, ma le pulsazioni alle tempie lo tormentavano, irradiandosi fino agli occhi. Sarebbe stata una giornata difficile, pensò, proprio mentre sentiva le tende spalancarsi bruscamente.

Odiava svegliarsi con la luce del sole, ma sapeva bene che Albus fosse mattiniero. Ogni mattina, alle sette in punto, apriva le tende con un gesto deciso, come a dichiarare che era ora di alzarsi.

«Muoviti, biondino.»
Albus era appoggiato alla scrivania, un fumetto aperto tra le mani. La sua camicia era ancora sbottonata, e la cravatta pendeva storta, a metà del collo. Ogni tanto alzava lo sguardo per controllare l'amico, che sembrava ancora mezzo addormentato. Dopo qualche minuto, spazientito dai soliti ritardi, Al alzò la voce.

«Porca miseria, Al! Ti ho sentito!»
Scorpius sbuffò, si strofinò gli occhi e si sollevò lentamente. Anche lui era a petto nudo, ma ciò che attirò l'attenzione di Albus furono i pantaloni del pigiama, slacciati e abbassati fin troppo in basso. Scorpius era riservato per natura e mai avrebbe dormito in quelle condizioni. Al lo osservava con occhi attenti, intuendo che qualcosa doveva essere successo durante la notte.

«Ci siamo divertiti ieri sera, eh?» chiese con un sorriso malizioso.

Scorpius si lasciò ricadere sul letto, incrociando le braccia dietro la testa. «Niente di eclatante, Severino.» Il tono scherzoso fece alzare gli angoli delle labbra di Al, ma un tarlo iniziava a insinuarsi nella sua mente.

Anche Albus era stato abbastanza brillo da non ricordare chiaramente la serata precedente. Scavò nei pochi ricordi che aveva, rievocando vagamente di aver accompagnato Scorpius in stanza. Pensava ci fosse anche una ragazza con loro, ma i dettagli erano confusi. Non sarebbe stato strano: spesso, dopo una festa, si ritrovavano a ospitare qualche studentessa troppo ubriaca per avventurarsi nei corridoi a tarda notte.

Osservando Scorpius mentre si dirigeva verso il bagno, Al sentì un brivido percorrergli la schiena. Le sopracciglia si inarcarono, e gli occhi si spalancarono in un'espressione di confusione. Un senso di ansia crescente si impossessò di lui, tanto che il fumetto gli scivolò di mano, atterrando con un tonfo sordo.

L'acqua cominciò a scorrere nel bagno, coprendo il silenzio che si era creato nella stanza. Al rimase immobile, fissando un punto indefinito sul letto dell'amico, perso nei suoi pensieri. C'era qualcosa di sbagliato, e il groviglio di emozioni che sentiva dentro di sé lo disorientava.

Quando Scorpius riemerse dal bagno, con un asciugamano che gli copriva appena i fianchi, lo chiamò ridendo. «Al? Ci sei? Terra chiama Severino!»

Albus emise un suono indefinito, quasi un grugnito. I suoi occhi, però, rimasero incollati all'amico. Scorpius inclinò la testa, incuriosito. «Tutto bene, Al?»

In risposta, Albus si avvicinò lentamente, annusando l'aria intorno a Scorpius. Scorpius lo guardò con un misto di incredulità e divertimento. «Che diavolo stai facendo?»

Al continuò imperterrito, annusando il collo, i capelli, le braccia, persino il petto e la schiena dell'amico. Niente. Il solito profumo di Scorpius, fresco e familiare, era lì. Ma Al era sicuro di aver percepito, poco prima, una fragranza di fiori d'arancio che ora sembrava svanita.

Scorpius lo guardava perplesso. «Sei ancora ubriaco, vero?»

«Forse...» borbottò Albus, ritirandosi con un sorriso incerto. «Scusa, sto solo... delirando, credo.» Si diresse verso lo specchio per sistemarsi la camicia, ma non riuscì a scacciare quella sensazione strana. Qualcosa non tornava, e la risposta, lo sapeva, era da qualche parte, nascosta nei ricordi sfocati della notte precedente.

Scorpius continuava a fissare Albus, inclinando leggermente la testa, dubbioso e in cerca di una spiegazione per quel comportamento strano. Poi, come se si fosse dato una risposta da solo, si ricordò che Al fosse semplicemente l'amico più eccentrico che avesse mai avuto.

«Sei pronto per la nuova materia?» chiese Albus, con un sorriso mezzo distratto mentre si sistemava i bottoni della manica. Lo specchio davanti a lui rifletteva la sua espressione vivace.

Scorpius incontrò il suo sguardo, ma il sorriso che ricambiò era più triste, quasi stanco. La risposta alla domanda era chiara, anche se non la pronunciò ad alta voce. No, non era pronto. E forse non lo sarebbe mai stato.

«Dai, che sarà mai. Parti anche avvantaggiato.» Albus cercava di rincuorarlo, con la consueta leggerezza.

«E chi lo dice?»

«Vuoi dirmi che non ti ha mai fatto fare pratica prima di oggi?»

Scorpius sospirò, guardando altrove. «Mai.»

Quelle parole gli rimasero in mente per tutta la colazione. Non era una questione di capacità: era il concetto stesso della materia che lo terrorizzava. Quella pratica magica, che ad altri poteva sembrare affascinante, lo faceva rabbrividire. Sperava con tutto sé stesso che fosse relegata di nuovo alla magia oscura, vietata e dimenticata. La sola idea che qualcuno potesse rovistare tra i suoi pensieri più intimi gli dava il voltastomaco. Era sbagliato, profondamente sbagliato.

Chi mai vorrebbe che la propria mente fosse violata? Nessuno. Ma lui ci aveva fatto i conti fin da bambino.

Mentre addentava una mela, i suoi occhi vagarono per la Sala Grande. Cercava con insistenza la sconosciuta che, secondo i suoi frammenti di memoria, aveva condiviso con lui la notte. Si chiese perché fosse sparita prima dell'alba, e iniziò a setacciare ogni viso femminile con attenzione.

Nessuna sembrava evitarlo o apparire imbarazzata. Gli sguardi che lo raggiungevano erano i soliti: curiosi, ammirati, affamati. Le ragazze lo fissavano senza vergogna, ma Scorpius sapeva che, se davvero avesse condiviso qualcosa di speciale con una di loro, l'avrebbe percepito. Una connessione vera avrebbe lasciato tracce: disagio, incertezza, o persino paura di affrontarlo. Ma non trovò nulla di tutto questo.

Stava ancora riflettendo quando la voce di Albus lo riportò bruscamente alla realtà. «Diamine, Scorpius! È tardi!»

Scorpius si accorse di aver sgranato la mela fino al torsolo. Con un cenno disorientato, si alzò. «Andiamo?»

Albus fu il primo a mettersi in piedi. «Sì, e cerca di muoverti. Non voglio farmi odiare dal nuovo professore.»

Scorpius esitò, tirando fuori un pacchetto di sigarette. «Tu vai. Ho bisogno di rilassarmi prima.»

Al sollevò appena un angolo della bocca, formando un sorriso che sembrava dire "ti capisco". Con due pacche sulla spalla, salutò l'amico. «Buona fortuna.»

Scorpius si portò la sigaretta alle labbra, prese la sua sacca e uscì dalla sala, ma non prima di dare un ultimo sguardo al gruppo di studentesse ancora presenti. Nessuna lo colpì. Nessuna appariva fuori posto. Annoiato e deluso, lasciò che i pensieri lo consumassero di nuovo.

Camminò per i corridoi vuoti con la sigaretta ancora spenta tra le labbra, diretto verso una finestra dove sapeva che avrebbe potuto accenderla senza essere disturbato. Una volta arrivato, si appoggiò al freddo muro di pietra e cercò nella tasca l'accendino.

Dopo aver acceso la sigaretta, aspirò profondamente. Il primo tiro era sempre quello che gli regalava un attimo di tregua, ma quel giorno neppure il fumo sembrava bastare. Fuori dalla finestra, il castello era illuminato da un sole pallido, mentre leggere gocce di pioggia rigavano i vetri.

Sospirò seccato, e prima di filare a quella maledetta nuova lezione prese a camminare verso i bagni. Odiava sentirsi le mani puzzare di fumo.
Camminò fino al primo bagno maschile che trovò disponibile, i suoi erano gli unici passi che echeggiavano nei corridoi e questo non era un buon segno. Il ritardo era già ormai assicurato, ma non lo preoccupò poi così tanto.

Fece per entrare nel bagno e lavarsi le mani, poi, con un atteggiamento strafottente, si avviò verso l'aula a passo lento.

Arrivato al piano dell'Astronomia, una strana inquietudine gli strinse lo stomaco. Notò che la nuova aula si trovava proprio nei paraggi di quella materia, e la cosa non gli sembrò affatto una coincidenza. Era come se quella posizione strategica fosse stata scelta apposta per torturarlo, trasformando persino la sua lezione preferita in un'ulteriore fonte di ansia.

Un altro pensiero si aggiunse alla sua già pesante malinconia.
Con passo esitante, si avvicinò alla tabella degli orari appesa al muro. Scorrendo i nomi delle case assegnate alla lezione, si imbatté in un dettaglio che gli gelò il sangue: i Grifondoro avrebbero condiviso l'ora con lui. E questo significava una sola cosa.

Quella persona.

Cosa poteva esserci di peggio? Frequentare la lezione del nuovo professore con chi lo aveva distrutto dentro, mentre tutti gli occhi della classe sarebbero stati puntati su di lui. No, niente poteva essere peggiore di questo.

Si appoggiò al muro di pietra, lo sguardo vuoto fisso sugli orari. Sentì il peso del sesto anno gravare su di sé più del previsto. Guardò l'orologio: le otto e quindici. Era in ritardo di un quarto d'ora. Ormai si era giocato l'entrata discreta.

Irritato e sopraffatto, lasciò che il pugno gli partisse quasi senza pensarci, colpendo la superficie fredda della lavagna accanto a lui. L'impatto fu secco, deciso, e una scossa attraversò le sue nocche, lasciandole arrossate. Paradossalmente, quel dolore lo rilassò. Era una distrazione, una forma di sfogo, ma non poteva indugiare oltre. Doveva entrare.

Stava per farlo, quando un rumore improvviso di passi accelerati lo distrasse.

Non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi che una figura lo travolse, sbattendolo contro la parete. Finirono entrambi a terra, lei sopra di lui.

Gli occhi di Scorpius si spalancarono.
I loro visi erano così vicini che riuscì a cogliere ogni dettaglio del suo volto. Qualcosa in lei gli risultava familiare, ma non riusciva a capire cosa.

Lei, con il respiro affannato e un'espressione imbarazzata, si alzò in fretta, stringendo a sé una pila di libri. «Oddio, scusa! Scusa, scusa!» balbettò agitata.

Scorpius si mise in piedi, pulendosi la giacca e osservandola con maggiore attenzione. I suoi occhi si fermarono su un dettaglio particolare: la ragazza indossava un paio di occhiali da sole. Strano.

Lei continuò a parlare, cercando di giustificarsi. «Sono Lily Potter. Mi è stata assegnata questa lezione come supplenza. Ho cercato l'aula, ma mi sono persa. Tu sai se è qui?»

Scorpius la fissò in silenzio per qualche istante. Il suo viso, i tratti così familiari, il nome... Eppure era come se qualcosa non tornasse. Alla fine, dopo un breve momento di esitazione, annuì. «Sì, è questa. Seguimi.»

Lei sembrava sollevata, ma anche impaziente.
«Ehm... grazie. Andiamo?» fece, accennando con il capo verso la porta.

Scorpius si riscosse e fece per avvicinarsi alla soglia, ma si accorse di star indugiando troppo. I suoi pensieri vagavano altrove. Sentiva il peso degli occhi di lei su di sé, come un muto incoraggiamento a sbrigarsi. Finalmente, dopo un respiro profondo, bussò.

Una voce grave e autoritaria si udì dall'interno. «Entrate.»

La porta si spalancò con un semplice schiocco di dita, rivelando l'aula e tutti gli sguardi puntati su di loro.

Albus rimase impietrito.
Seduto accanto ai Serpeverde, il ragazzo sgranò gli occhi nel vedere sua sorella minore entrare accanto a Scorpius. Il suo respiro si fermò per un istante, come se il tempo avesse smesso di scorrere.

Gli altri studenti, invece, guardarono Scorpius con una mista di incredulità e divertimento. Nessuno si aspettava che il figlio del nuovo professore potesse permettersi un ritardo così sfacciato.

Lily, visibilmente nervosa, provò a spezzare il silenzio. «Ehm... buongiorno, professor Malfoy. Io sono Lily Potter e—»

«So già tutto, Potter.» La voce di Draco era tagliente come una lama. I suoi occhi freddi la studiarono per un istante, mentre lei cercava disperatamente uno sguardo di conforto da suo fratello, senza trovarlo.

Draco proseguì senza mezzi termini. «Accomodatevi. E, Potter, levati quegli occhiali da sole. Questa è un'aula, non una sfilata di moda.»

Lily obbedì immediatamente, mentre un'ondata di risate si diffuse tra gli studenti. Il volto di lei arrossì, ma riuscì a mantenere la compostezza, prendendo posto nel primo banco libero.

Scorpius, invece, era rimasto immobile.
Suo padre lo fulminò con lo sguardo, puntando un dito accusatorio verso di lui. «E tu? Pensi di passare tutta la lezione sulla porta? Muoviti.»

Scorpius abbassò lo sguardo, sentendo il peso dell'umiliazione su di sé. Si trascinò verso un posto vuoto accanto ad Albus, che non aveva ancora ripreso del tutto il controllo delle proprie emozioni.

Draco continuò. «Non tollererò ritardi, né favoritismi. Non m'importa chi siete o da quale famiglia venite. E questo vale anche per te, Scorpius. Il fatto che tu sia mio figlio non ti risparmierà una singola punizione.»

Le risate si trasformarono in un silenzio carico di tensione.
«Detto questo,» concluse Draco, fissando l'intera classe, «chiunque provi a comportarsi come un idiota durante le mie lezioni, sarà il primo a pentirsene. Legilimanzia non è un gioco. Tutto chiaro?»

La classe annuì in silenzio, mentre Scorpius si affondava sempre di più sul banco, sentendo che il suo incubo era appena cominciato.

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