𝐍𝐨𝐧 𝐬𝐜𝐚𝐩𝐩𝐚𝐫𝐞 𝐝𝐚 𝐦𝐞| 𝟟

Capitolo settimo

Tu che continui a scappare.
Ci pensi mai ad una stanza,
un letto, due corpi, e nessuna distanza?

- Fabrizio Caramagna

Quel lento rumorio fastidioso della pioggia battere sul vetro della finestra, la destava. Si rigirava nel letto, accarezzando quella morbida seta a cui non era per nulla abituata.

«Dannazione!» imprecò, sbuffando.

Ma vi era qualcosa di più dolente, di un rifiuto? Le sue mani che, invece di prenderla e farla sua, l'avevano respinta con la piena consapevolezza di quel gesto. Non aveva mai visto qualcuno così tanto spaventato e schifato nel toccarla prima di quel giorno.
Non comprendeva come quello che era appena successo, fosse veramente potuto accadere. La destabilizzava a tal punto da desiderare di scappare dall'unico uomo che tutto aveva fatto, tranne che recarle del male. Del resto ella era una calamita per gli schifosi, i sudicioni, di uomini senza un briciolo di amor verso il genere femminile. Ella trovava rifugio e pace in quelle mani lerce che la toccavano, e quelle labbra languide che la baciavano e nel loro essere ignobili come la sua anima.

Wonka era troppo per bene. Era un uomo similare a pochi, con i gusti di quelli di una volta. Dall'animo gentile e la voglia di sfiorare una donna come se fosse un fiore delicato, una gemma preziosa. D'altro canto sembrava anche molto solo, come se una fanciulla non facesse parte dei suoi piani in quel momento.
Come se ella fosse una distrazione per il suo genio. Come se ella fosse un demone da cui scappare e finire tra le sue grinfie, avrebbe significato poi, precipitare nell'oblio in cui ogni uomo è solito cadere dopo averne assaggiato il nettare.

Ma allora perché era stato così gentile con quella piccola mocciosa? Perché l'aveva curata e salvata da ogni male a cui ella era solita cacciarsi?
Il suo tocco così delicato e premuroso. La sua voce così diversa dal suo personaggio, bensí calda e rassicurante. E la sua bellezza disarmante nascosta dietro quel cilindro imbarazzante sul capo.

Naike doveva scappare da quel posto. Doveva scappare da lui. Doveva ascoltare per una volta quello che gli era stato detto.

«Se questa sera ti sentirai meglio,
potrai tornare a casa!»

E con quanta ferocia e determinazione le aveva urlato quelle parole dopo averla respinta quella mattina. E lei doveva ascoltarlo, doveva andarsene. Rimanere in quel posto, in quella stanza un secondo di più- sarebbe significato impelagarsi in qualcosa di cui non aveva la minima idea. Non conosceva quelle gesta, quei modi e quella dolcezza. E non voleva farlo, perché è risaputo che i demoni venuti al mondo come ella, una volta che hanno un minimo contatto con ciò che di bello ti regala la vita, poi se ne innamorano.

«Che cazzo-» si mise eretta col busto, mentre cercava qualcosa nella borsa disperatamente. «Ma dove è finito?» le mani sulle tempie, mentre si guardava intorno attonita.

Era così disperata che non voleva rimanere in quel posto un minuto di più. Era consapevole che il telefono fosse spento e scarico al medesimo tempo, ma non ricordava se lo avesse perso quella notte o fosse nascosto da qualche parte in quella stanza.

[...]

Si tamponava il mento, la mandibola e le labbra scarlatte con veemenza. Quella ragazza così piccola, mocciosa e capricciosa cosa aveva tentato di fare? E poi perché? Voleva baciarlo? Non credeva di rientrare nei suoi canoni estetici, tuttavia sentiva ancora la sua presenza in quella stanza.

Era attonito e confuso. Le tempie pulsavano e stava grondando di sudore; non era abituato a quel contatto, all' imperterrita sensazione di avere una presunta presenza vicino a sé.
Il suo corpo non sembrava però, poi così dispiaciuto. Del resto era un uomo sulla trentina, caparbio e giovane, doveva pur aspettarselo che le attenzioni di una giovane mocciosa fossero state di suo gradimento.

Si passava le mani sul volto. Era agitato e tremava. Una parte di lui temeva di essere stato troppo rude, l'altra troppo cedevole. E poi desiderava davvero che ella se ne andasse?

«Diamine- ovvio che no!» sbraitò, intento a fermarla. Doveva correre nella stanza che le aveva lasciato, per scusarsi. Tutto voleva, eccetto che ella se ne andasse per strada in cerca di ulteriori guai. Era stato così dolce da parte sua, rimanere e tentare quel minimo di fidarsi che lui con i suoi soliti modi cinici. Ancora una volta aveva rovinato tutto.

Corse per le scale, prendendo poi l'ascensore.
«Naike aspetta-» protese una mano in avanti, una volta fatta irruzione nella stanza. La vide di schiena semi nuda. Si stava cambiando e voltandosi, lo fulminò con lo sguardo.

«Che cazzo fai Wonka? Girati!» si spinse con le spalle alla fredda parete, coprendosi il seno prosperoso con le braccia. «Nessuno ti ha insegnato a bussare?»

«Cristo!» bestemmiò l'altro, mordendosi il labbro. Biascicò delle scuse prima di richiudere la porta con egli all'esterno. Respirava sommesso perché così tanta bellezza era da tempo che non aveva il piacere di vederla. E poi non voleva essere un uomo qualunque, bramoso di sesso e carne. Era diverso e quel genere di cose non erano nelle sue corde.

«Insomma-» ella spalancò la porta, in completa collera. «Rifiutarmi questa mattina per poi cacciarmi di casa, non è stato abbastanza? Ci hai ripensato, eh?» gli puntò un dito contro al petto, gesticolando. «Volevi vedermi nuda, sudicio di un cioccolatiere?»

«Cosa?»non poteva crederci, ella aveva pensato male ogni cosa nonostante egli non aveva mai avuto quelle medesime intenzioni. Non aveva assecondato le sue attenzioni perché ella, non poteva concedersi ad un uomo più grande che non conosce. «Senti mocciosa non è come pensi, anzi-»

«Mocciosa io?» lo spinse dal petto. «Risparmia il fiato, non mi interessano le tue inutili giustificazioni. Ti ringrazio di aver pensato a me, ma hai ragione-» sospiró, scostando una ciocca di capelli corvini dal viso. «È meglio che me ne ritorno a casa!»

«Non devi per forza, se non vuoi-»
«Voglio! E voglio andare adesso..»
«Ma-»

Ella scosse il capo. Sbuffò spingendo il suo corpo in avanti, perdendo l'equilibrio. Wonka la prese dalle spalle. «Sta' attenta ragazzina-»

Seconda Parte

📍Cherry Street, Londra
- 16 giugno 2005

«Lasciati andare, avanti-» e con le mani gli massaggiava le spalle, le scapole ed il fondo schiena. Era così felice in quel momento.
«Avanti cocciuto di un cioccolatiere dei miei stivali»
«Mocciosa-»
«Cosa?» Naike sorrise, avvicinando la sua bocca succosa al lobo del suo orecchio. «Lo sai che non sopporto essere chiamata in quel modo-»

07:00 am.

«Cosa?» si guardava attorno, rigirandosi nel letto ripetute volte. Non poteva crederci, aveva sognato quella minuta ragazza. «Accidenti Wonka-» disse tra sé e sé, sfregando le mani sul volto bandito di sudore. «Che sta succedendo?»

Tuttavia non comprendeva il motivo di quei sogni, di quella presenza e di quella ragazza. Oramai erano passate settimane da quel giorno e di ella non ne aveva sentito più parlare. Aveva evitato anche di uscire per dedicarsi a pieno al suo lavoro e al suo genio, dunque non capiva la motivazione della sua immagine ben scolpita nella sua mente.

D'altro canto però, quella per la fanciulla era una giornata non troppo sudicia. Era soleggiato, l'estate era giunta e aveva voglia di fuggire da quella triste e grigia cittadina.

«Dove vuoi andare tesoro?» le cinse le spalle Loren, con fare eccitato. «Fuga tra donne?» e la spinse sul letto, prendendole il volto tra le mani.
Un rapporto aperto, eccentrico e spinto. Si erano trovate qualche anno prima e non erano più riuscite a lasciarsi. Ma per Naike, quella ragazza era la sua fonte di protezione, di cura- il suo posto preferito.

Si rotolarono tra le coperte. «Vorrei tanto amore ma non posso-»

«Non puoi? E perché? Non dirmi che è perché devi stare con Nolan» la scuretta roteò gli occhi al cielo, sbuffando.
La mora rise. «Devo sbrigare delle cose per il lavoro-» e stampandole un bacio sulla sua bocca carnosa, si affiancò a lei. Entrambe supine, con il volto in direzione del soffitto.
«Lavoro, Na?»

Ella annuì.
«Sicuro che sia solo lavoro, o la faccenda ha un altro nome che non vuoi dirmi?» rise, perché conosceva bene la moretta e sapeva che non poteva sfuggirle mai nulla.

«Uuuh- quante domande! Si, però prometto che domani stiamo insieme» e le prese le guance tra le mani, guardandola negli occhi.
«Lo prometti Bennet?»
«Hai la mia parola Wheeler!»

[...]

Sorrideva nonostante nulla la rendeva davvero entusiasta o felice. Ma sorrideva perché indossava quella medesima maschera che le obbligava di essere felice in ogni circostanza. Quell'uomo molto più grande di lei, non era un maiale come gli altri nonostante fosse seduto al suo fianco per una precisa richiesta velata.

Era più accorto e cordiale. Le parlava e si interessava nonostante di tanto in tanto le premeva con il palmo, nel suo interno coscia. Ma quella era la finalità del suo mestiere e lei doveva solamente recitare, per poi scappare ed essere dimenticata nell'oblio di ogni mente maligna e balorda. Di ogni sporco signorotto che abusava di lei per poi gettarla in ogni dove, come un oggetto usato.

«Sei così giovane e bella» le disse di punto in bianco, sorridendo. «Perché fai tutto questo?» ma di conversare non ne aveva voglia, sopratutto dare spiegazioni ad un padre e marito di una famiglia qualsiasi, che nel mentre si divertiva con giovani scolarette come lei.
«Mi paghi per scopare, no per parlare-» tagliò corto ella, sbuffando.

Naike si fece strada tra la folla, con la sua solita parrucca bionda e gli occhiali da sole. Non sopportava stare troppo in mezzo alla calca e temeva di essere riconosciuta. L'uomo le prese un calice di vino bianco e nel mentre che stava sul telefono, ella si assentò per qualche secondo.
Rimuginava sul da farsi.

Perché fai tutto questo?

In effetti, perché realmente lo faceva? Per non chiedere soldi al suo padre adottivo? Per essere indipendente o per sentirsi più grande di quello che effettivamente era?

Ma prima che potesse darsi anche solo una risposta a tutti quei quesiti, una mano la prese per il gomito attirandola a sé. Temeva fosse quell'uomo pronto a consumare quel rapporto sudicio, ma rimase attonita. «Mocciosa perché questa parrucca?» domandò Willy, sorridendo mesto. Dopotutto la parte più velata e contraddittoria della sua persona, era contenta di poterla rivedere.

«Wo-Wonka?»

«Si, sono io. Perché tremi? Ehy-» le accarezzò una guancia, inspirando. «Sono io, insomma-»
«Si-»balbettó l'altra, virando lo sguardo altrove. «Scusami ma non posso fermarmi a parlare. D-devo scappare-»

E fu così che fece, lasciando ancora una volta quel ragazzo silenzioso e confuso. Ella era corsa via prendendo sotto braccio un altro uomo, dalla folta chioma brizzolata. Il volto scavato e ben vestito. Un signore molto curato che però sembrava molto più grande della giovane età della fanciulla. Difatti, non sembrava essere per nulla il suo ragazzo.
E poi perché indossava sempre quella bizzarra parrucca bionda, nascondendo così la sua meravigliosa chioma bruna? Perché sembrava volesse camuffarsi, non essere lei agli occhi altrui?

Era così combattuto e stanco di vederla in sogno e preoccuparsi, che fece una scelta per nulla saggia e completamente distaccata dal suo modo di essere. La seguì, perché voleva capire fin dove si sarebbe spinta con quell'uomo.
Ma quando la vide sparire dietro le porte di un hotel, fu ancora più sospettoso e stranito. Era preoccupato, a tal punto da mangiarsi le unghie delle mani con i suoi meravigliosi denti bianchi.

«Devo fare qualcosa-» pensava e blaterava. «Ma cosa-» ma non fece in tempo che una mano gli sfiorò una spalla. «Naike?»

«Willy ma cosa stai facendo? Mi stai seguendo per caso?» sbraitò ella, senza più indosso la sua parrucca ma con in medesimi vestiti.
«Ma cosa ci fai qui? Io ti ho vista entrare-»
«Ho visto che mi stavi seguendo, allora ho congedato quell'uomo e sono uscita»

«Ah..»
«Allora? Mi rispondi?» insistette ella, incrociando le braccia al petto. «Mi stavi seguendo?»

L'uomo scosse il capo, schioccando la lingua al palato. «Ma che bazzecole vai dicendo ragazzina! Semmai tu cosa ci facevi con quell'uomo-» si strinse nelle spalle. «Oh andiamo, non può essere il tuo ragazzo-»

«E perché no?»
«Perché è molto più grande di te!»
«Beh cosa ti importa? Non sei mio padre e poi posso avere gusti differenti da altre mocciose!» aggiunse, marcando l'ultima parola con disgusto.

«Gusti disgustosi-»
«Insomma Wonka, cosa vuoi?»

«Voglio t-» si trattenne perché nella discussione aveva perso anche quel delicato barlume di lucidità che gli era rimasta. «..il tuo bene. Voglio il tuo bene-» la prese per le spalle, guardandola negli occhi. «E finire tra le lenzuola di uomini più grandi e di potere, non penso sia saggio e-» sbuffò, perché era visibilmente preoccupato.

«Non serve che ti preoccupi per me. Hai tanti di quei problemi, non devi badare a me..»
«Non ho detto questo» si sfiorò la punta del naso con la punta delle dita. «..semplicemente non scappare da me-»

𖥸𖥸

Continua-

[Scritto il: 18/05/2022]

Angolo Autrice:

Dopo quasi un anno, eccomi.
Grazie di chi non dispera e nonostante tutto (attese lunghissime) c'è sempre, in silenzio e non.
Fatemi sapere qua sotto nei commenti.
Vi amo.

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