𝐃𝐞𝐜𝐢𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐥𝐚𝐦𝐩𝐚𝐧𝐭𝐞| 𝟜

Capitolo quarto

«A volte è necessario decidere
tra una cosa a cui si è abituati
e un'altra che ci piacerebbe conoscere»

- Paulo Coelho

📍Cherry Street, Londra
- 23 Maggio 2005

Naike era stremata. Il petto si muoveva cadenzato e con i polpastrelli, sfiorava le sue labbra arrossate e leggermente gonfie. Sbuffò, sfilando la sua parrucca bionda con veemenza.

Era così giovane che, una piccola parte di lei se ne vergognava amaramente di essere quello che effettivamente sentiva di dover essere. Scaltra, caparbia ed intraprendente. Nessuno poteva confinarle limiti, nessuno poteva lontanamente permettersi di dirle cosa poteva o non poteva fare.

Forse, in cuore suo, temeva di una plausibile reazione da parte del padre una volta venuto a sapere -che la sua giovane e bellissima figlia- facesse un lavoro tutt'altro che immacolato. Ma lei era così, libera di essere e di potersi esprimere.

Inspirò quel fumo acre, mentre stringeva tra le sue labbra provate, una sigaretta.

Quella notte si era concessa all'elegante e rispettabile sindaco della sua piccola cittadina. Egli era un uomo sposato con tre figli a carico; ma dopotutto esigeva di più. Era solito dilettarsi per locali, alla costante ricerca di giovani donne che del sesso ne facevano una professione. Le pagava in cambio del loro silenzio ed ella -la piccola e delicata Naike- non era altro, che una di loro.

Inspirò, massaggiandosi il collo irrigidito. Le gambe magre, incrociate al petto. Il capo posato all'indietro, sul famoso muretto che tanto le era amico durante quelle notti brave.
La chioma setosa, leggermente arruffata. Essa era stata troppo tempo compressa al di sotto della fastidiosa parrucca bionda, che le procurava un esagerato prurito.

La camicia bianca, rubata all'interno dell'armadio del padre, indossata con fare sbarazzino. I lembi del tessuto legati tra di loro, con un piccolo fiocco.

Socchiuse le palpebre, virando lo sguardo al di là del mare, dove da lì a poco il sole sarebbe comparso con esigenza. Ella amava l'alba e amava poterla osservare in totale silenzio, in totale solitudine.

Ella aveva subito ogni tipo di abuso: fisico e mentale. Viveva di segreti, di pianti nascosti e notte sbarazzine. Era così difficile, mostrarsi sempre pronta e consenziente. Marcus, un uomo grosso e severo nonchè il suo capo, era solito ridurle la paga se osava mostrarsi impertinente con i suoi clienti.

Inspirò, scacciando un grido frustrato. Le mani di quell'uomo intorno al suo collo, mentre con veemenza la possedeva voracemente. Quelle sudici labbra che promettevano amore incondizionato alla propria moglie e poi -erano perse a baciare corpi di ragazze giovani e sconosciute, come lei- la disgustavano al tal punto da sentirsi costretta a chiudere gli occhi e tapparsi la bocca con la mano libera, reprimendo un coniato di nausea.

Il cielo era parzialmente oscurato, fatto eccezione però, dei delicati raggi solari che le illuminarono lo scorcio del viso paffuto e provato. Vide dei piccoli lividi lungo le sue braccia; difatti aveva il corpo tutto indolenzito.

Ridacchiò con fare sarcastico; ella era troppo orgogliosa per ammettere di essere arrivata a provare disgusto per la sua persona. Era ancora così giovane, libera di potersi esprimere e decidere di prendere in mano la sua vita per farne qualcosa di nettamente migliore. Era bella ed accattivante, dal temperamento sbarazzino e dilettato.

Guardò in alto, inspirando la leggera brezza che richiamava l'estate oramai alle porte. Pensava ai suoi genitori, a come poteva essere diversa la sua esistenza, con loro al suo fianco.

Naike dopotutto, ancora non riusciva ad andare avanti. Non voleva smettere di pensare a sua madre, nonostante la ricordasse poco. Ma i suoi occhi ed il tono soave della sua voce, erano rimasti impressi nei meandri celati del suo cuore. Ma come poteva amare la vita se essa, era stata strappata via alla donna più importante per ogni bambino? Come poteva tentare di rispettarla se -in un leggero battito di ciglia- percepiva di essere inadeguata e continuamente fuori posto?

Naike Bennet era la giovane fanciulla rimasta per troppo tempo intrappolata tra le mura di un meraviglioso castello e le sue turbe, rappresentavano il drago affamato di bramosia e sogni persi. Ma quel dannato animale era sempre lì -presente- per distruggere ogni spiraglio di speranza disegnato all'interno del suo corpo.

Ma Naike non voleva saperne del principe. Lei aveva smesso di crederci oramai, molte lune fa': il semplice disgusto provato nel vedere quella massa di sudici e goliardici uomini di potere, tradire le proprie mogli con giovani ragazze come lei, che per vivere vendevano il proprio corpo.

Ma allora perché non cessare quell'orrore sempre nascosto dietro l'angolo, pronto a recarle dolore?

«Perché delle volte, è più facile sbagliare ed odiarsi che fare la cosa giusta al momento giusto» si era data risposta, scostando una ciocca di capelli bruna, dietro al suo orecchio. Ma lei era così e questa era la sua verità. Era l'unico modo a cui si aggrappava per andare avanti. Perchè era più semplice bearsi dell'amore di un ragazzo come Nolan, pronto a fare di tutto per rimanerle accanto. Perché procurargli dolore, lo rendeva somigliante maggiormente a lei. Perché le lusinghe di quei bastardi manipolatori, un po' le gioavano l'animo.

Lei non credeva che ci potesse essere qualcuno, davvero in grado di capire la sua anima ed il suo carattere tormentato. Perché lei non desiderava l'amore dei film -quello smielato e strappa lacrime- bensí, era alla disperata ricerca di un uomo bizzarro, matto quanto lei e capace di trasmettergli sicurezza anche quando tutto fosse andato in malora.

Seconda Parte

Il signor Wonka era decisamente fuori posto. Erano notti ormai che accusava difficoltà, nel riprendere sonno. Percepiva l'animo divenire mano a mano più pesante e le occhiaie, lasciare grossi solchi violacei.

Era mattino presto, fin troppo presto.
Mise un paio di occhiali perché odiava quando il suo aspetto non era impeccabile. Si vedeva stanco, pallido e smorto. La sua luce -quella esigente e magnetica- era come sparita, in quel barlume di totale oblio.

Con il volto chino, sgattaiolava tra i minuziosi e stretti vicoli della sua Cherry Street. Era caldo e per questo motivo, aveva abbandonato il suo cappotto insieme ai suoi guanti in lattice. Tenendo con sé però, il suo capello a cilindro. Di quello, non poteva mai farne a meno.

Quella di uscire era stata una decisione lampante. Oramai era divenuto complicato rimanere rinchiuso nella sua bolla privata, solamente con sé stesso ed i suoi umpa lumpa. Era come se gli mancasse l'aria e sentisse il continuo bisogno di evadere.

Inesperto nella vita ma un genio nelle sue creazioni. Avido e cinico ma al contempo, un uomo dall'anima buona e lungimirante.

«Ehy tu!» esordí una voce, in lontananza. Il viso del cioccolatiere scattò alla sua sinistra, socchiudendo le palpebre. Non immaginava fosse rivolto proprio a lui, quel richiamo. «Si proprio tu!» insistette quella voce squillante, leggermente ironica. «Non mi riconosci?»

La ragazza scese dal muretto, tentando di nascondere la famigerata parrucca bionda, all'interno della sua borsa. Dilettata e leggermente incuriosita, raggiunse quell'uomo bizzarro. «Sono la ragazza che hai salvato dai guai seri, un giorno non molto lontano!» spiegò, con fare eloquente.

Wonka inspirò, abbozzando un sorriso sghembo. Oramai non vi erano più dubbi: era lei, quella bambina ladruncola ed insolente. Era lei, solo più donna e tenace. Ella era cresciuta divenendo ancor più bella e raggiante.

«Oh accidenti!» prese parola successivamente, intonando un'ottava più alta del solito. «Oh si, ricordo-» non voleva darle troppo spago. Nonostante conoscesse benissimo quella minuta mocciosa, preferì rimanere vago e smemorato. «Sei la ladra di dolci dalla lingua lunga e sprezzante!»

La ragazza inspirò, non ribattendo in alcun modo. Quell'uomo era strano, distante e laconico ma al contempo, magnetico ed infantile. Un po' fuori dal mondo, come se per tutto quel tempo lui fosse vissuto sulla luna.

Willy di rimando, vedendo l'altra rimanere in silenzio si protese in avanti sfilando i suoi occhiali tondi e buffi. In completo imbarazzo, si morse il labbro inferiore, virando lo sguardo altrove. Fece qualche passo tentando di osservare quella giovane che aveva dinnanzi. Quest'ultima tentò invano di nascondere la sua borsa dietro le gambe snelle, ma era consapevole che l'altro era un attento osservatore. «Ho dormito da una mia amica e abbiamo alzato un po' il gomito-» rispose, alla domanda inespressa del cioccolatiere.

Era sfacciata ed insolente quindi, diede presto le spalle a quell'uomo bizzarro. «E perché non torni a casa?» le domandò, dopo svariati secondi.

«Ma chi sei mio padre?» sprezzante ed odiosa, rise. «Sei proprio strano-» ma l'altro, era davvero un bell'uomo ed ella poté notare quel lineamenti armoniosi e perfetti. Il naso era dritto e la bocca, piccola ma al contempo carnosa e succosa. Gli occhi di un colore intenso che, a causa della scarsa luce che vi era, sembravano indefiniti.

Naike gli girò intorno, ancheggiando. «E come mai, un uomo come te, è fuori dalla sua dimora e per giunta tutto solo?» aggiunse, sfiorando il suo volto scavato ed attonito, con le mani. Ella conosceva bene il suo mestiere e credeva che l'altro, fosse uno dei tanti alla ricerca di un momento di passione con una ragazzina acerba e dal corpo invitante.

Ma non immaginava che, Wonka fosse totalmente diverso dal resto. Ingenuo e benevolo, fece un passo indietro, scuotendo il capo. Prese presto le distanze, virando lo sguardo smarrito in quello confuso e ceruleo della mocciosa.

«Non riuscivo a dormire-» rispose, con vena ironica. Superò la figura snella dell'altra, rifiutando totalmente le sue presunte avance. «E tu ragazzina, sei molto stizzente. Ho voluto solo interessarmi-»

«Beh, nessuno ti ha chiesto di farlo!» lo interruppe, incrociando le braccia al petto. Era raro che qualcuno rifiutasse le sue adulazioni. Ci rimase leggermente male e sedendosi sul muretto, agitò le mani in aria. «E non chiamarmi ragazzina!» sbuffò laconica.

Il cioccolatiere roteò gli occhi al cielo, leggermente confuso. Il suo istinto era quello di voltarsi per poi andarsene. Insomma cosa stava facendo? Era un uomo adulto, con del lavoro da sbrigare ed invece era rimasto immobile a fissare quella giovane imbronciata.

Quel suo carattere sfuggente e provocatorio, suscitava in lui, un leggero velo di curiosità. Ella si accesse una sigaretta e con la coda dell'occhio osservò l'altro, prendere posto al suo fianco. Dalla tasca dei suoi pantaloni, afferrò una manciata di caramelle gommose. «Vuoi?»

Naike fece spallucce, sorridendo. Ne mise in bocca una, pregustando quel dolce sapore zuccheroso.

«Ti va di dirmi il tuo nome?» domandò ancora una volta Wonka, incrociando le gambe al petto. 

«Naike» e rubò un'altra caramella dalle mani di quest'ultimo. «Invece io ti conosco: sei Willy Wonka-» sorrise, mostrando il cambio repentino di umore. «Qua ti amano tutti. Per Charlie, un mio amico- beh per lui, tu sei il suo idolo!»

«Ah si?»

Ella scosse il capo con tono affermativo. Si chiuse nelle spalle, arruffando la sua chioma ribelle. Wonka, per quanto potesse essere disinteressato dal resto che non fossero i suoi dolci, lasciò cadere l'occhio lungo il collo della ragazza. Esso era pieno di segni rossi e violacei.
Sembrava stanca e leggermente turbata.

Naike si accorse del suo sguardo esigente a tal punto da tentare di nascondere con la mano, la zona del suo corpo che tanto aveva suscitato interesse nell'altro. «La barretta di cioccolato che ho cercato di rubare quel giorno era per lui..» spiegò successivamente, per smorzare il silenzio imbarazzante.

Ma lei era così: libera e selvaggia. Per la maggior parte della sua vita era vissuta per strada, continuamente delusa dalle persone che prima la volevano e poi la abbandonavano. Willy non fece ulteriori domande, ricordava quella bambina con tanto rammarico.
Ed ora era proprio di fronte a lui, ancora una volta. Era più alta, bella ed esigente.

D'altro canto lui, gli diede una tavoletta al triplo gusto Wonka. «Per il tuo amico» disse, con tono di voce attonito.

«Non sei dovuto a-»

«Prendila!» la interruppe, divenendo serio. La sua non era compassione bensí seguiva solamente ciò che la sua testa gli imponeva di fare. «Sono i miei dolci. Fa' solo piacere se questi siano ben apprezzati» aggiunse, sorridendo. Uno di quei sorrisi veri e genuini.

Egli aveva una meravigliosa dentatura ed era quasi impossibile non farci caso. Ogni tal volta che il cioccolatiere apriva la bocca, era come ritornare a vivere. Lui arrossì sentendosi leggermente osservato ed abbassando il capo, virò lo sguardo altrove. Dolce era il modo in cui, quel buffo taglio di capelli gli incorniciava il viso; metteva ancora più in risalto i suoi zigomi scolpiti.

«Peccato che tu abbia scelto di chiudere la fabbrica..» questa volta fu lei, a parlare. «Non ne ho mai vista una ma immagino che la tua, sia pazzesca. Forse a tratti magica e surreale!»

Lo vide sorride e fare spallucce. «Beh dolcezza, su questo non ci piove!» gesticolava con le mani, verso l'ignoto. Ormai il sole era alto ed entrambi, si osservarono a lungo. «E come mai credi sia così...magica?»

«Sembri così strano, particolare e su un mondo tutto tuo. Sembra che tu non appartenga a questo posto ed immagino che, la tua fabbrica ti rispecchi; che sia proprio come te» ed in quel momento fu lei a schiudere la sua meravigliosa bocca carnosa, in un sorriso.

Willy avvampò, inspirando. Quella era la prima volta che qualcuno cogliesse quel qualcosa, nella sua persona stramba. Che fosse strano, era vero. Forse era anche matto, un megalomane, un genio.

Di impeto irrigidì la sua mandibola scolpita.

«Ti andrebbe di visitarla?» azzardò, con veemenza.

𖥸𖥸

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Continua-

[Scritto il: 12/05/2021]

Angolo Autrice:

Dopo un mese eccomi qui.
Finalmente il loro (non) primo ma vero incontro.
Che ne pensate stelline?
Grazie del supporto e come sempre, vi aspetto qua sotto nei commenti.
Vi amo.

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