𝙐𝙉𝙊
ᴛᴡɪsᴛᴇᴅ – ᴍɪssɪᴏ
1:35 ───ㅇ───── 3:41
«everybody in the world
knows I'm a little twisted»
𝕮𝗔𝗣𝗜𝗧𝗢𝗟𝗢 𝖀𝗡𝗢
Jeongguk se ne stava in piedi davanti alla finestra dell'imponente dimora, fissando fuori attraverso il vetro e osservando in qualche modo anche il proprio riflesso, che lo fissava di rimando. Il dolce serpeggiare dell'acqua distorceva la sua immagine, ma nonostante ciò la sua figura minacciosa e lo sguardo penetrante erano ancora riconoscibili. In mano teneva un drink che non aveva neppure assaggiato, un forte whisky che gli era stato regalato tempo fa. Era stata una notte fin troppo tranquilla. Sentiva un ticchettio nell'aria, gli si insinuava sotto la pelle come un brutto presagio. Aveva appena iniziato a piovere, ma stava per scoppiare un temporale.
«Capo?» chiese esitante una voce alle sue spalle.
Jeongguk gettò un'occhiata gelida attraverso il vetro, senza neppure voltarsi. «Che c'è?»
Jimin si leccò le labbra e poi prese un bel respiro. Si sentiva sempre ansioso di fronte al suo superiore. Dopotutto, era stato designato a lavorare al suo fianco da poco. Il maggiore sembrava irradiare un'aura di dominio e potere, una tempesta silenziosa pronta a esplodere da un momento all'altro. Jimin abbassò il capo e lo sguardo, non volendo mancare di rispetto a Jeongguk in alcun modo.
«Abbiamo un problema all'avamposto di Hanseong.» Jimin maledisse internamente Hoseok per avergli affidato l'incarico di informare il Capo.
Jeongguk sentì la mascella irrigidirsi. Voltò indietro la testa in direzione dell'altro uomo, ma senza guardarlo davvero. I suoi precedenti sospetti cominciarono a riaffiorare e sentì montare dentro di lui un sentimento che gli parve molto simile alla rabbia.
«E?»
Jimin esitò prima di rispondere, consapevole della lunga nottata che li aspettava.
«Io e Yoongi abbiamo controllato i registri bancari e la contabilità come avevi richiesto e sembrava tutto in ordine. Tuttavia, abbiamo notato un problema tecnico nel sistema, ci sono registri scambiati e account manomessi. Qualcuno ha deliberatamente prelevato una percentuale di denaro dai nostri conti, circa 500 milioni di won.»
Jimin non ricevette risposta, ma gettando una rapida occhiata davanti a sé vide le nocche di Jeongguk sbiancare attorno al bicchiere che teneva in mano. In realtà, 500 milioni di won non erano davvero nulla in confronto al patrimonio della mafia, ma del resto Jimin sapeva che a Jeongguk non importava un bel niente dei soldi rubati. Ciò che contava era l'insulto; qualcuno pensava di poter fregare Jeongguk, pensava di essere in qualche modo più astuto di lui. Jimin aspettò in silenzio che la tempesta avesse inizio.
«Scommetto che non devo nemmeno chiederti chi sia stato.» Per la prima volta dall'inizio del loro confronto, Jeongguk si voltò completamente e guardò Jimin. «Kim Jeong Gyu... Dopo cinque anni ha ceduto. Che peccato.» Jeongguk era stanco di quell'uomo già da un po' di tempo ormai. Le sue azioni e la sua condotta erano state ambigue e scoraggianti negli ultimi due mesi, e apparentemente aveva avuto dei problemi personali che lo tenevano impegnato anche da casa. A Jeongguk era bastato chiedere a Jimin e Yoongi di tenerlo d'occhio. E a quanto pareva, i suoi sospetti erano stati fondati.
A volte Jimin si chiedeva se sotto sotto Jeongguk ci trovasse gusto nel vedere le sue pedine disobbedirgli e ribellarsi a lui, soltanto per poterle fare a pezzi subito dopo. In momenti come quello, in cui Jeongguk aveva quel bagliore letale negli occhi (e forse anche... eccitazione) e la sua immagine stoica mostrava finalmente le proprie crepe traboccanti di veleno, Jimin si ritrovava a pensare che fosse davvero così.
«Jeong Gyu è sotto custodia di Hoseok adesso. Ti sta aspettando» disse Jimin, sapendo che Jeongguk preferisse occuparsi personalmente dei traditori.
«No... non ancora. Bisogna prima dargli una lezione, così impara a non rubare ciò che non gli appartiene di diritto.»
Cazzo, Jeongguk voleva fare a pezzi Jeong Gyu. Non voleva soltanto ucciderlo, ma voleva vedere il suo cuore in frantumi, voleva portargli via tutto.
Jimin deglutì quando vide il pericoloso sorriso stampato sulla sua faccia.
«So che suo fratello minore è in città.»
E questa era l'unica parte del suo lavoro che Jimin disprezzava. Coinvolgere persone innocenti per punire qualcun altro. Mise da parte tutto il suo sdegno. «Kim Taehyung. Professore di letteratura alla Seoul National University. Ventidue anni.» Jimin capì di aver appena annunciato la morte di quell'uomo, conoscendo i precedenti di Jeongguk in fatto di punizioni.
Jeongguk gli rivolse un sorriso smielato. «Vai a fargli visita stasera. Lo voglio qui prima di mezzanotte.»
Tornò a guardare il suo riflesso. Era stata una giornata piuttosto monotona, ma questo avrebbe sicuramente movimentato un po' le cose. Era curioso di scoprire come Jeong Gyu avrebbe reagito alla vista di suo fratello. Lo avrebbe implorato di risparmiarlo, supplicandolo e piangendo in ginocchio mentre tagliava la gola del suo fratellino, o non avrebbe neppure fiatato mentre suo fratello implorava pietà? I modi in cui si sarebbe potuta concludere quella giornata erano infiniti. Percepì un'ondata di adrenalina fluirgli nelle vene, consapevole che anche quella notte avrebbe giocato nel ruolo di Dio. Kim Taehyung. Gli piaceva quel nome. Suonava bene. Adesso quel nome gli apparteneva.
Jeongguk voleva vederlo strillare. Voleva vederlo regredire allo stadio infantile, mentre gli faceva scorrere la punta della lama sulle labbra, scuoiandole lentamente da cima a fondo. Voleva vedere il sangue colargli sul mento, vedere suo fratello maggiore inorridire e sudare freddo. E allora, soltanto allora, si sarebbe occupato di Jeong Gyu. Nessuno poteva derubarlo, tantomeno i topi di fogna come Jeong Gyu. Non c'era posto per quelli come lui accanto a Jeongguk. L'unico posto che meritava era sotto la suola delle sue scarpe, per baciargli i piedi e implorare pietà. Quella sarebbe stata l'ultima notte per i fratelli Kim, e Jeongguk voleva che fosse speciale.
Jimin prese il silenzio di Jeongguk come un invito ad andarsene. Si alzò in piedi con cautela e si inchinò davanti al suo capo in segno di rispetto, prima di lasciare la stanza.
Quando finalmente raggiunse la porta, sgattaiolò fuori e la richiuse alle sue spalle.
Jimin dovette fare diversi respiri profondi per calmarsi dopo quel confronto col suo Capo.
«Come l'ha presa?» chiese una voce al suo fianco.
Jimin voltò il capo e vide Hoseok appoggiato spalle al muro, con aria disinvolta e apparentemente compiaciuta.
«Meglio di quanto pensassi» rispose Jimin, passandosi una mano fra i capelli. Lanciò un'occhiataccia a Hoseok. «Ma comunque non ho gradito che tu abbia mandato me a portargli la buona notizia.»
Hoseok rise e si scostò dal muro, dando una pacca sulla spalla di Jimin. «Devi abituarti, sai? Consideralo come un allenamento!»
«Certo» mugugnò Jimin, scacciando via la mano di Hoseok.
Jimin lavorava nel team personale di Jeongguk (non sapeva bene come definirlo, ma era composto da membri di alto rango e persone fidate di Jeongguk, a cui era consentito lavorare sotto di lui, ma mai insieme a lui) da appena un anno. Anche se ovviamente Jeongguk si fidava di lui e Jimin gli sarebbe rimasto fedele fino alla morte, non riusciva a fare a meno di provare una certa intimidazione al cospetto dell'uomo.
«Allora, il Capo vuole che diamo un assaggio al bastardo prima che inizi lui?» Il tono di Hoseok divenne improvvisamente cupo e colse di sorpresa Jimin. Si aspettavano entrambi una nottata incasinata e sanguinosa.
«Più o meno. Vuole che gli portiamo qualcosa entro mezzanotte.» Jimin iniziò a camminare lungo il corridoio, desiderando di uscire dall'attico di Jeongguk il prima possibile. Hoseok lo seguì a ruota.
«Vuole che gli portiamo qualcosa?»
«Suo fratello, Kim Taehyung. Vuole mettere in piedi tutto il teatrino stanotte. "Diamogli una bella lezione!" eccetera eccetera.»
Hoseok sollevò un sopracciglio. «Dobbiamo darci una mossa, allora.» Tirò fuori il telefono dalla tasca. «Mando un messaggio a Yoongi e gli dico di raggiungerci al cancello principale.»
Anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, Jimin provava pietà per quel povero Taehyung. Era giovane, molto giovane. In base alle ricerche di Jimin, doveva essere estremamente intelligente (dopotutto, era un professore universitario a soli ventidue anni) e sembrava avere una bella vita. Jimin non era certo che fosse a conoscenza dei cattivi rapporti fra suo fratello maggiore e il Geom-eun Dogsa, ma dopo quella notte avrebbe capito tutto. E sarebbe stata anche la sua ultima notte al mondo.
Jimin sfregò le dita tra loro, un'abitudine nervosa. Il suo era un mestiere pericoloso. Era estremamente leale e non avrebbe mai disobbedito a Jeongguk o a Namjoon, ma non poté fare a meno di chiedersi quanto tempo ci sarebbe voluto prima che Jeongguk si rivoltasse anche contro di lui. Doveva rigare dritto, e il più a lungo possibile.
Kim Taehyung era di buon umore. Il semestre primaverile era appena terminato, dando inizio a un'estate piena di opportunità, e anche se aveva ancora tanto lavoro da fare e diversi saggi da scrivere, aveva deciso di non pensarci per il momento e di godersi quel po' di libertà. Si era tolto un bel peso dalle spalle, correggendo in anticipo tutti gli esami, le tesine e gli scritti.
Diede un'occhiata fuori la porta principale dell'aula magna, osservando il cielo notturno e ascoltando il dolce ticchettio della pioggia. Taehyung considerava una fortuna essersi portato dietro l'ombrello quella mattina, dato che aveva con sé alcuni documenti importanti. Lo aprì in tutta fretta, prima di uscire.
Anche se aveva portato con sé l'ombrello, non aveva pensato a indossare degli abiti più caldi, per cui l'aria umida della sera lo fece rabbrividire un po'.
Camminò a passo svelto sul marciapiede, non volendo stare troppo a lungo sotto la pioggia e al buio. Da piccolo, suo fratello gli aveva detto di stare sempre attento quando era da solo.
«Sei piccolo, Taehyung. Fragile. So che a modo tuo sei forte e molto intelligente, ma devi capire che là fuori non è tutto rose e fiori. Le persone non sono buone come te. Ci sono persone là fuori che cercheranno di approfittarsi di te e della tua gentilezza... lo sai. Seoul è pericolosa e tu devi rimanere al sicuro. Almeno tu devi rimanere al sicuro. Promettimelo, Taehyung.»
Suo fratello si era mostrato esitante e anche parecchio preoccupato, quando Taehyung gli aveva detto di aver trovato un lavoro e che si sarebbe trasferito a Seoul. All'inizio, Taehyung si era sentito offeso, odiava quando la gente lo sottovalutava o gli diceva di stare attento. Poi, si convinse che fosse normale per un fratello maggiore preoccuparsi per lui, dal momento che Seoul era una città gigantesca.
Con un sospiro, Taehyung scacciò via quei pensieri e proseguì. Il suo appartamento era vicino all'università, quindi non era un grosso problema per lui spostarsi a piedi.
Quando finalmente arrivò davanti al proprio condominio, chiuse il suo ombrello rosso e scrollò via l'acqua. Era piuttosto tardi, non c'era nessuno nell'androne del palazzo. Mentre saliva le scale fino al suo piano, tirò fuori il cellulare e controllò se qualcuno lo avesse contattato. Socchiuse gli occhi confuso, fermandosi a fissare lo schermo.
Tae, devi richiamarmi. Adesso.
Taehyung guardò il cellulare. Cosa? Scuotendo la testa, cliccò sul secondo messaggio.
Taehyung, so che sei impegnato e che non guardi il cellulare quando sei a lavoro, ma per l'amor di Dio rispondi a questo cazzo di telefono!
Il terrore iniziò a fluirgli nelle vene. Taehyung sentì la faccia avvampare. Cosa stava succedendo, cosa diavolo c'era che non andava?
«Oh, mio Dio...» mormorò, cliccando sul terzo e ultimo messaggio vocale. La voce di suo fratello era disperata, quasi supplicante.
Taehyung, devi lasciare Seoul immediatamente. Cristo, devi prendere la tua roba e scappare, ora! Mi dispiace tanto, cazzo. È tutta colpa mia. Scappa Tae–
Il messaggio fu interrotto bruscamente da un rumore statico e poi un segnale acustico. Taehyung respirava a fatica, era completamente nel panico e oltremodo preoccupato. Gli tremavano le mani, mentre rimetteva in borsa il cellulare.
«Cazzo» sussurrò, iniziando a correre su per le scale e salendone tre alla volta. Non sapeva che cosa stesse succedendo, né cosa fare. Suo fratello aveva fatto qualcosa? Avrebbe dovuto seguire le sue parole e scappare, o restare e andare a cercarlo? Da cosa doveva fuggire?
Quando raggiunse il suo pianerottolo, corse lungo il corridoio fino alla porta di casa sua, tirando fuori le chiavi. Correva così tanto che poco non superò il suo appartamento, ma riuscì a piantare i piedi per terra appena in tempo.
«Merda... Andiamo...» sussurrò mentre armeggiava con il mazzo di chiavi. Gli tremavano le dita e impiegò più tempo del necessario a inserire la chiave nella serratura. Quando finalmente ci riuscì, spalancò la porta e si precipitò all'interno. Taehyung si immobilizzò, guardando in fondo al corridoio. Una luce proveniva dal soggiorno, anche se poteva vederla solo riflessa sulle pareti dell'ingresso. Rimase in silenzio. Si assicurava sempre di non aver lasciato qualche luce accesa prima di uscire di casa per non sprecare energia. Non era solo.
Taehyung deglutì, cercando di controllare i propri respiri, che in quel momento erano più che affannosi. Non sapeva cosa fare. Chiunque ci fosse lì dentro, lo aveva sicuramente sentito entrare. Se fosse scappato via, lo avrebbero seguito. Taehyung non aveva la macchina e non sapeva chi avrebbe potuto chiamare per farsi venire a prendere in così breve tempo. Accantonò l'idea di scappare. Doveva entrare e affrontarli in qualche modo. E se avevano delle pistole? Quanti erano?
Stringendo forte i pugni, Taehyung prese un profondo respiro. Coraggio. Doveva essere coraggioso e restare calmo, se voleva stare al sicuro quella notte. Lentamente, infilò una mano nella borsa e rovistò al suo interno finché non trovò il coltellino che portava sempre con sé. Non era un attaccabrighe e non aveva mai colpito qualcuno vita sua. In realtà, quel coltellino gli serviva per aprire gli imballaggi o per situazioni di emergenza. Nonostante ciò, lo tirò fuori e iniziò ad avanzare lentamente lungo il corridoio.
Cosa doveva aspettarsi di trovare in soggiorno? Suo fratello, forse? Le persone da cui sarebbe dovuto scappare? L'avrebbe scoperto presto, pensò, mentre svoltava l'angolo.
Là, seduti sul suo divano arancione, c'erano due uomini. Erano entrambi vestiti di nero e indossavano delle mascherine che coprivano la bocca e gran parte del naso. Quello più vicino a Taehyung aveva i capelli neri ed era il più basso tra i due. L'altro aveva i capelli rosso scuro e lo sguardo sorridente. Anche se non si erano mossi, puzzavano di guai, e di pericolo. Taehyung rabbrividì. Alzò il coltello e lo puntò contro di loro.
«Chi diavolo siete e cosa ci fate nel mio appartamento?» La sua voce venne fuori più stabile del previsto e Taehyung si complimentò mentalmente con se stesso per non aver perso colpi, malgrado il puro terrore che stava provando.
I due rimasero in silenzio all'inizio, ma poi quello dai capelli rossi parlò. «Amici di tuo fratello.» Il tono era sarcastico e Taehyung iniziò a capire la gravità della situazione. Si accigliò.
«Che cosa gli avete fatto?» chiese Taehyung, forse incoraggiato dalla sua stessa rabbia. Suo fratello aveva sempre vegliato su di lui, sin da bambino, proteggendolo dai ragazzi più grandi che lo prendevano in giro o gli facevano del male, e accertandosi sempre che stesse bene. Adesso toccava a Taehyung proteggerlo. «Ditemelo!» Sollevò in fretta il coltello e lo puntò dritto verso gli uomini davanti a sé, con le mani e le labbra che tremavano.
«Non preoccuparti, te lo diremo» disse l'altro uomo sul divano. «Quando ti svegli.»
Taehyung inclinò la testa confuso. «Quando mi sveglio?»
Una figura alle sue spalle gli premette un panno sulla faccia. Taehyung emise un guaito strozzato, cercando di divincolarsi dalla presa dell'altro. In preda al panico, mollò un calcio dietro di sé e il suo piede atterrò su quello che immaginava fosse lo stinco dell'uomo. Poi, un braccio si strinse attorno alla sua gola, e Taehyung non riuscì più a respirare. La paura lo assalì, provò a reagire. Era consapevole che in quel momento avrebbe potuto usare il suo coltellino, ma non trovò il coraggio di ferire un'altra persona, neppure in quella circostanza. Inoltre, dubitava che i due uomini sul divano gli avrebbero permesso di farla franca e rimanere illeso. Iniziò a rendersi conto che forse non aveva via di scampo.
Il suo corpo era schiacciato contro quello dell'uomo alle sue spalle, non respirava e la sua vista era annebbiata. Mentre annaspava per l'aria con il panno premuto contro la faccia, iniziò a sentirsi debole e assonnato. «Fer...mi...» boccheggiò, mentre i due uomini si avvicinavano a lui.
L'uomo alle sue spalle premette la faccia contro il collo di Taehyung. «Smettila di opporti e non ti farò del male.» La sua voce era poco più che un sussurro.
Taehyung, però, non poteva più rispondere. La vista si fece nera e il pavimento si sgretolò sotto i suoi piedi. Mentre scivolava nel sonno, si chiese cosa ne sarebbe stato di lui. Se quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe chiuso gli occhi. Quando le droghe entrarono in circolo, non riuscì più a domandarsi niente.
Taehyung perse i sensi e Jimin sospirò, togliendogli il panno dalla faccia. Con aria assente, guardò il coltellino che teneva in mano cadere a terra. Quel ragazzo aveva avuto la possibilità di difendersi, ma non lo aveva fatto. Osservò Taehyung, il suo viso giovane e i lineamenti gentili. Sembrava un ragazzino. Non un uomo. Non dimostrava i suoi ventidue anni, quando era privo di conoscenza. In quello stato appariva estremamente vulnerabile, e bellissimo, quasi angelico. Jimin distolse lo sguardo prima che potesse iniziare a provare compassione per lui.
Yoongi si tolse la mascherina e si avvicinò. «Non ha protestato molto, vero?»
Hoseok fece lo stesso. «Grazie a dio. Se fossi rimasto seduto per un altro secondo su quell'orrendo divano arancione, sarei crepato.» Alzò lo sguardo verso Jimin e vide la sua espressione combattuta. «Che hai?»
Jimin scosse la testa. «Niente. Diamoci una mossa e portiamolo dal Capo.»
notes
fictional world >>>>>> real world
oggi più che mai 💔
volevo scrivere un sacco di cose in queste note, ma dirò solo: mi siete mancati, mi è mancata la mia via di fuga preferita, soprattutto ora che sono in quarantena 😭
che dirvi di questa nuova traduzione? sono un piccolo clown 🤡 è di sicuro molto diversa da qualsiasi cosa abbia mai tradotto, but I literally binge-read it in one sitting 🙃
è una mafia au, and a really good one if you ask me !! spero che vi faccia piacere leggerla. è anche piuttosto famosa come ff quindi forse l'avete già letta in inglese (?) non lo so. comunque, spero come sempre di aver fatto un buon lavoro e che la traduzione sia ok!
love you, stay safe
Maddie
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