𝖺𝗅 𝖼𝗁𝗂𝖺𝗋𝗈 𝖽𝗂 𝗅𝗎𝗇𝖺

𝟎𝟑 , al chiaro di luna
season 1 - 𝟪𝟦𝟪 ; xiii 𝒚.𝒐
地獄 ─ 𝒋𝒊𝒈𝒐𝒌𝒖 ©s-starspace

« 地獄 »
𝒋𝒊𝒈𝒐𝒌𝒖

𝐈𝐋 𝐆𝐈𝐎𝐑𝐍𝐎 𝐕𝐎𝐋𝐆𝐄𝐕𝐀 al suo tramonto, il suo Sole iniziava a perdersi nell'orizzonte, così come le forze di Eva a dissiparsi nel crepuscolo.
La candida pelle dalle sfumature rosate, simile alla colorazione di petali di ciliegio, era perlata di sudore, macchiata da un numero non tanto discreto di lividi violacei e ferite occasionali, residui dell'allenamento giornaliero e marchi della dedizione da sfoggiar liberamente, senza vergogna.

« Per oggi basta » decretò Annie, permettendo poco prima della solita ora il riposo. Eva si lasciò semplicemente cadere al suolo, non per teatralità o per stanchezza (sebben i movimenti fiacchi e sgraziati fossero dettati da questa), ma perché non trovava altri appoggi vicini e comodi dove sedersi (l'unica eccezione era per la roccia alla quale poggiava le spalle, troppo seghettata per poter starci comodi). Si sporse per prendere la borraccia d'acqua, nel desiderio di ristorarsi, tuttavia Annie la precedette nei movimenti: sembrava aver ormai imparato le abitudini di Eva.
Si lasciò sedere al suo fianco, volgendo lo sguardo verso gli ultimi istanti del tramonto, porgendo la borraccia alla ragazza di fianco, ignara del sorriso che curvava gentilmente le labbra della corvina. Ricorda che preferisco bere ad ogni momento di riposo, constatò, soprattutto perché so quanto le dia fastidio interrompere la lezione.

Sì dissetò, porgendo ad Annie la medesima borraccia, in una proposta che fu accettata prontamente, poiché la borraccia della biondina giaceva al suolo in un punto più distante, arida. « Grazie » disse la ragazza, portando le iridi chiare a guardare con velata gentilezza la fanciulla di fianco, esprimendo gratitudine tramite la tranquillità del suo volto e dal rilassamento dei suoi muscoli. In uno stanco sospiro, lei si lasciò scivolare più pigramente sulla roccia. « Figurati » rispose semplicemente Eva, seguendo poi il suo esempio, chiudendo gli occhi per potersi concentrare sulla freschezza dell'aria esterna, limpida e pulita, trasportata dal vento, satura dell'ossigeno sprigionato dalle chiome degli alberi che attorniavano quel piccolo spazio.

Di giorno, gli alberi dalle fronde verdi danzavano animati dalla brezza diurna, fresca quanto bastava per regolare la temperatura corporea durante gli allenamenti, separati dal resto degli altri compagni, tenuti rigorosamente segreti agli occhi di Shadis; e quando giungeva l'ora crepuscolare, la brezza serale asciugava il sudore dalla candida pelle, in un tempo di ristoro pari ad un quarto d'ora, che precedeva il ritorno nel campo, scendendo tramite una delle montagne che lo circondavano (impiegando poco tempo: le due ragazze non si rifugiavano in altezze esorbitanti). La scelta di separare gli allenamenti da quelli degli altri cadetti l'aveva consigliata Annie, poiché sarebbe stato meglio un ambiente tranquillo e libero per allenarsi; Eva accettò prontamente, dato che i primi mesi delle sue lezioni, svolte insieme agli altri compagni, si rivelarono via via più estenuanti per il casino che circondava le due e per qualche piccolo e non richiesto intervento o intrufolarsi di qualche cadetto.

Ormai era passato un anno da quando Eva Krause aveva iniziato ad allenarsi con Annie Leonhart, ed i suoi progressi iniziavano a farsi notare.
Certo, non arrivava minimamente al livello della sua maestra, ma stava contemplando l'idea di sfidare Reiner Braun, per poter farsi un'idea (anche se vaga ed imprecisa) del suo livello.

Le era grata.
Grata per aver speso tutto quel tempo con lei per sua richiesta, cosciente della probabilità che Eva avrebbe messo a dura prova la sua pazienza, e non poteva che rivolgersi in modo gentile alla sua maestra.
Spesso scordava che Annie aveva solo quattordici anni, e vedeva quel misero anno di differenza come un enorme divario tra sé stessa e la ragazzina. Eppure erano quasi coetanee, ma la concezione che Eva aveva di Annie era completamente diversa da quella che una ragazzina potesse avere di una sua amica.
Tuttavia Annie era la persona con la quale, in quel corso, passava più tempo; perché non trascinare quel rapporto in una relazione di amicizia?

« Restiamo ancora un po' qui? »
Con sua grande sorpresa, quelle parole non furono pronunciate dalle labbra di Eva; sembrava sul procinto di chiederlo, davvero, doveva solo prendere fiato, ma Annie sembrò batterla sul tempo di nuovo, chissà se con le sue stesse intenzioni.
« Fino all'ora di cena, si sta bene all'aria aperta » accordò Eva, lasciando cadere furtiva lo sguardo su Annie: scrutava l'orizzonte con velata malinconia e, soprattutto, nervosismo, frustrazione e rabbia, un'ira che sembrava trattenuta dal suo buonsenso. Per certi versi, conosceva anche quella sensazione.
Non le chiese il motivo del suo malumore, non direttamente almeno, ma aveva notato più impazienza da parte sua durante il giorno, e più forza nei colpi, come se stesse cercando di sfogarsi. Di conseguenza, si era stancata prima, perciò gli allenamenti erano terminati ad un orario diverso.

« Annie, ma perché sei arrivata in ritardo oggi? » chiese, vaga e naturale, come se fosse la prima cosa che le fosse venuta in mente. Forse il motivo del suo malumore era celato nella sua risposta.
Leonhart assottigliò lo sguardo, senza ancora spostarlo sulla corvina di fianco.
« Quell'idiota di Reiner mi ha sfidato per dare un esempio a Jaeger, vorrei tanto capire che gli passa per la testa » il suo tono era sprezzante, teso da un nervosismo dovuto all'irritazione; Eva notò i pugni stretti dalle candide nocche, e lo sguardo vagamente irato, sebben confuso e perplesso (ciò era possibile dedurlo dalle sopracciglia corrucciate).

Eva ancora non poteva comprendere il perché di quella reazione, né il dubbio e la preoccupazione della ragazza, e preferì non approfondire la questione. Tuttavia, anche Eva si interrogò sulla vicenda: se Reiner è al corrente delle doti di Annie, perché la ha sfidata con Jaeger al fine di dargli un esempio? Lasciava per scontato che Reiner non fosse allo scuro dell'abilità di Annie, visto che un anno prima le aveva consigliato di rivolgersi a lei per migliorare nel combattimento corpo a corpo. Forse credeva che la sua forza potesse prevalere anche su Annie e sulla sua piccola statura.

« Strano. Non capisco perché lo ha fatto se sa quanto sei brava, ma suppongo che abbia pensato di poter prevalere anche su di te con la sua forza » diede voce alle sue riflessioni, portando lo sguardo a scrutare un punto impreciso del panorama.
Le sembrò di sentire bruciare su di sé gli occhi di Annie. Sarà solo una mia impressione. Quando riportò lo sguardo sulla ragazza, questa era più rilassata, come se avesse cacciato nelle più buie profondità delle sue viscere il suo malumore.
Eva cambiò discorso: « A proposito, chi ti ha insegnato a combattere? » era una domanda che si era posta spesso, e per la quale non aveva ancora trovato l'occasione adatta per porla.
Annie non ebbe nessun sussulto, non mostrò ad Eva di aver sfiorato un argomento delicato, solo sospirò un malinconico « Mio padre »

Suo padre passava così tanto tempo con lei? Le venne istintivo domandarselo, paragonando inconsciamente la quantità di tempo che invece passava con il signor Krause. Cacciò presto quel pensiero.
« Come sta adesso? » non seppe cosa aspettarsi come risposta a quella domanda, incrociò perciò lo sguardo della fanciulla, notando le iridi gelide che sembravano essersi sciolte ad un ricordo, probabilmente proiettato in quel momento; Eva si tranquillizzò vedendo la curva delle morbide labbra inclinarsi in un sorriso: questo era lieve, accennato e delicato, flebile e destinato presto a dissolversi, ma bellissimo; effimero lo definì in un primo momento la corvina, ascoltando poi le parole dell'altra.
« Sta bene, mi sta aspettando a casa »
Proferì semplicemente, ed Eva riuscì lo stesso a percepire il legame di affetto che legava Annie a suo padre.
Sorrise di rimando, intenerita dalla dolcezza nascosta in quelle parole, cogliendo l'ombra di una promessa importante nelle iridi chiare, per la prima volta calde e cristalline.

« Casa? Quindi hai un posto in cui tornare? » aggiunse, in qualche modo sollevata nel tono rilassato, lieta di sapere che la sua compagna non avesse perso tutto con la caduta del Wall Maria.
Come previsto, quel sorriso si spense.
« Più o meno, vengo da un villaggio al sud del Wall Maria » non le servì aggiungere altro per far in modo che Eva intendesse, e perciò non rimarcò oltre sull'argomento.
Sovraggiunse poi un silenzio riempito dai rumori della natura, e la voce di Annie, poco meno affermata del suo solito, prese nuovamente parola:
« Tu? »
Un sorriso amaro curvò la labbra di Eva, la quale si cinse il busto con le candide braccia, in un gesto involontario (forse anche per i brividi di freddo che iniziavano ad accapponarle la pelle).
« No. Una volta avevo una casa a Stohess, ma ho perso tutto, anche il mio diritto di residenza nel Wall Sina, il giorno della caduta di Shiganshina »
Non lo aveva ancora detto esplicitamente a nessuno del 104°, alcuni dei cadetti, a distanza di un anno, si interrogavano ancora sul motivo che avesse portato Krause dai ricchi salotti di Stohess al lerciume del campo d'addestramento reclute; inoltre, in quegli ultimi tre anni, non ne aveva ancora parlato con nessuno della sua tragedia. Era la prima volta che parlava del tremendo epilogo dei Krause, e lo descriveva con parole tanto fredde e scarse da far spaventare i più sensibili, senza piangere una sola lacrima.

Annie parve irrigidirsi.
Portò le ginocchia al petto, allacciando a queste le braccia coperte dalle maniche della felpa, avvolgendo le sue gambe, poggiando il viso sulle ginocchia, corrucciando il perplesso ed assorto sguardo.
« Come? »
Sembrò difficile per lei pronunciare quella semplice parola, quasi l'avesse sputata con riluttanza dalle sue labbra; Eva, invece, non si pose troppi rompicapi, sembrò solo cogliere l'occasione, data la disponibilità di una silenziosa ascoltatrice.
Perciò, Krause si aprì, incerta di dove i suoi fiumi di parole l'avrebbero condotta.

« Quel giorno ero in carrozza con la mia famiglia. Mio padre era un importante mercante del Wall Sina, portava parte dei carichi di cibo ai distretti esterni del Wall Maria e, per ogni suo viaggio di lavoro, si portava dietro la sua famiglia, poco importava se non ci andasse di viaggiare; il giorno della caduta di Shiganshina, noi eravamo lì per un viaggio di lavoro di mio padre. Mia madre voleva fare un pic nic lungo la riva di un fiume di Shiganshina con la famiglia al completo, eccetto mio padre, che come sempre mancava: fu , che vidi quel mostro enorme. Avevo solo undici anni, non sapevo niente dei giganti, e nella mia totale ignoranza avevo vissuto un incubo: la quantità di morti che vidi quel giorno raggiunse numeri esorbitanti, e mi chiedevo perché dovette accadere tutto questo, perché tutti questi morti, perché dovetti vedere quell'orrido spettacolo; ho visto anche la morte di mio padre e di mia sorella, divorati vivi, e mia madre struggersi davanti lo scempio compiuto da quei giganti. Fui salvata con mia madre e mio fratello minore da un soldato e portata alle barche da lui, ma della mia famiglia eravamo sopravvissuti solo in tre: quando apparve il gigante enorme, ci eravamo divisi, e i miei due fratelli con mia sorella maggiore poco dopo erano andati incontro alla morte, vidi i loro cadaveri. Ho scelto di arruolarmi quando ho capito che l'unico modo per sopravvivere sarebbe stato combattere, e quando ho visto il gigante di pietra sfondare le mura ho reso ciò una mia priorità. Però, prima dei miei dodici anni non potevo ancora unirmi all'esercito. Dopo quel giorno, fuggì nel Wall Rose con quello che restava della mia famiglia; mia madre era irriconoscibile, nel corpo e nello spirito, sembrava solo l'ombra di sé stessa. Non riuscimmo a tornare nel Wall Sina, sebbene lei avesse provato a fare richiesta, ma avevamo perso i nostri documenti e perciò i Krause vennero dati per dispersi: le nostre proprietà, credo, sono state messe all'asta, come la compagnia. Dopo questo rifiuto, mia madre si è lasciata andare ad una tristezza assoluta, senza reagire al corso degli eventi e perciò la responsabilità sua e di mio fratello, neonato, ricadde su di me. Cercai lavoro, e dopo tanti sforzi riuscì a convincere mia madre a cercare un posto come locandiera: la mia famiglia adesso vive nella locanda dove lavora lei, nel distretto di Karanese. Adesso, mio fratello dovrebbe avere tre anni, mi sono occupata io di lui fino a quando ho potuto, adesso spero che mia madre non lo stia trascurando. Aspetto una sua lettera, per rimanere aggiornata sul loro stato » l'orrida immagine di sua madre distesa tra lercie lenzuola, pallida nel viso scarno e dipinto da violacee occhiaia le apparve nitida dinanzi lo sguardo; provava pena per quella donna, non dispiacere, nemmeno dolore . . . Ma solo pena per come s'era ridotta, pari ad un ameba dagli oleosi capelli e puzzolente pelle.
Spero che sia davvero in condizione di occuparsi di Derek.

Il silenzio venne poi riempito da flebili lamenti, continue e ridondanti affermazioni pronunciate da una voce sottile, spezzata dalla sua emotività; focalizzando la sua attenzione, Eva riuscì a distinguere le parole:
« Mi dispiace »
Voltò lo sguardo verso Annie, perdendosi nei suoi occhi sgranati, oscurati da un velo di un'emozione che non riuscì davvero a decifrare; nascondeva metà del viso tra le ginocchia, continuando a scusarsi.
Mi dispiace. Mi dispiace tantissimo. Mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace.
Eva parve scattare verso la fanciulla, esitando un contatto fisico per scuoterla con una leggera spinta.
« Annie calmati! » la sua voce era incrinata dal panico generato dallo spavento, dalla preoccupazione, e provò a cingere le spalle della fanciulla quando questa piombò nel silenzio, « Non hai fatto niente di male! È stata colpa mia che me ne sono approfittata ed ho parlato a vanvera! » ammise lei, forzando un sorriso per sdrammatizzare, rimproverando la sua sconsideratezza ed insensibilità, ipotizzando di aver riportato alla mente di Annie orrendi ricordi o di averla sconvolta, in qualche modo.

La fanciulla alzò poi lo sguardo verso Eva, incrociando le iridi grigie preoccupate e premurose con le proprie, cariche di tormento; Eva non riconosceva quella sensazione, quel tipo di dolore capace di logorare dall'interno, ma capii che doveva essere terribile provare una sofferenza del genere. Annie era troppo giovane per questo.
Avvertiva sul suo viso il respiro irregolare di Annie, riconoscendo quella sua reazione come un attacco di panico: non sapeva come aiutare la ragazzina, sennon porgendole l'altra guancia.

« Accetto le tue scuse, e tu accetta le mie. Grazie per avermi ascoltata, sei una brava amica, Annie » osò abbracciarla, impacciata certo, ma guidata da un sentimento sincero: voleva aiutarla, poiché era l'unica che in quel momento poteva farlo.
Strinse la fanciulla a sé, avvolgendola con le sue braccia e permettendo a questa di poggiare il viso nell'incavo tra la spalla ed il collo, dove i neri capelli di media lunghezza razionavano l'aria da respirare alla ragazzina, aiutandola nel regolarizzare il suo respiro.
Non ricambiò l'abbraccio, i suoi muscoli erano troppo tesi, ma appena Eva percepì questi rilassarsi ed il battere del suo cuore regolarsi, sciolse delicatamente l'abbraccio, lasciando scivolare cauta le braccia sulla sua schiena. « Come stai adesso? »

« Meglio » con sollievo della corvina, Annie riutilizzò un tono vuoto, privato d'ogni emozione, il suo tono normale. Si alzò, prendendo un profondo respiro, assaporando l'aria fresca della della sera, chiudendo gli occhi. « Credo sia giunta l'ora di cena » constatò, riaprendo gli occhi ed alzando lo sguardo verso la luna già alta nel cielo ormai notturno, per poi riportarlo sull'altra, porgendole la mano per aiutarla a rialzarsi.
« Andiamo » concordò la corvina, accettando l'aiuto, affiancando Annie sulla strada del ritorno.

Probabilmente ciò che era accaduto altro non era che conseguenza della stanchezza fisica e mentale d'entrambe le cadette, ma non si ripresentarono altri esempi del genere; quel ricordo venne sepolto negli antri più oscuri della memoria di Eva, sino a quando le circostanze non lo riportarono alle sue riflessioni: con una nuova prospettiva sugli eventi che avevano segnato la sua esistenza, Eva Krause con molta più difficoltà avrebbe accolto le scuse di Annie Leonhart.

❪ 地獄。❫ ⤸
⤹ 𝒂𝒅𝒓𝒊'𝒔 𝒔𝒑𝒂𝒄𝒆 ⛓️

QUESTO È UN CAPITOLO NOSENSE, o così mi viene da definirlo, ma ciò non gli toglie importanza.
Doveva venire decisamente più corto, anche se finora è il capitolo più corto che ho scritto credo, proprio per dare di più l'idea di "capitolo di mezzo", il quale è stato scritto più per piacere che per altro (quindi sì, è letteralmente un capitolo in più).

Non sono troppo convinta, tuttavia l'idea di questo confronto più diretto tra Eva ed Annie mi intrigava un sacco, spero di aver fatto un bel lavoro! Poi, a che c'ero, ne ho approfittato per far progredire la loro amicizia e non esagerare troppissimo con il prossimo salto nel tempo: diciamo che la logica che sta dietro il mio ragionamento è che, nel bene o nel male, dopo che vedi tutti i giorni per tanto tempo una determinata persona e solo questa (che è pure tua coetanea all'incirca), un rapporto si costruisce, una sorta di intimità si crea data la condivisione di non solo tempo e spazio, ma anche pareri e consigli, aiuti e confronti . . . Insomma, ho provato ad arricchire il più possibile il loro attuale rapporto maestra - allieva.
E anche per una certa affinità tra i caratteri si è creata questa intesa che vede sia Eva che Annie più a loro agio in compagnia, tranquille, tendendo addirittura ad aprirsi, invogliate dal fatto che entrambe sanno ascoltare in silenzio.

Poi, per quanto riguarda l'attacco di panico di Annie o la sua piccola crisi, lasciatemi spiegare: Annie nonostante tutto è ancora una ragazzina, non è disumana ed ha avuto i suoi momenti di crollo, e la stessa scena è ispirata alla vicenda di Marco (infatti quello che lei ripete davanti il suo cadavere è "mi dispiace", questa cosa la ho presa da lì), per il quale soffre ancora di sensi di colpa (ciò si vede meglio nei suoi episodi dell'OVA Lost Girls) e quindi, pensavo che se Annie si dovesse ritrovare a sentire la storia di qualcuno che conosce a malapena penserebbe "sticazzi", ma quando si tratta di qualcuno che conosce, con il quale passa il tempo ed a lei vicino, beh, lì la situazione cambia (un po' come è accaduto per la morte di Marco, per certi sensi, perché non avrebbe certo avuto la stessa reazione per un altro morto a caso). Insomma, mi sono immaginata che il suo attacco di panico possa esser causato dal peso di sentirsi una merda, specie quando Eva si addossa la colpa nel tentativo di calmarla (infatti mi immagino la sua espressione un po simile a quella di quando tipo si risveglia in Lost Girls o uccide Marco), ed è una sorta di crescere che inizia dalla sua domanda « come? », e nella parte iniziare del « mi dispiace » nella mia testa ha l'espressione di quando si scusa con il corpo di Marco praticamente. Insomma, spero di essermi spiegata dai.

Detto questo, spero che il capitolo sia piaciuto, ed iniziate pure il conto alla rovescia per la battaglia di Trost!

𝒄𝒂𝒅𝒆𝒕𝒕𝒐 𝒌𝒓𝒂𝒖𝒔𝒆
pub: 𝟢𝟩/𝟢𝟤/𝟤𝟢𝟤𝟤
地獄 ─ 𝒋𝒊𝒈𝒐𝒌𝒖

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