✧ Sky and Earth ✧
-Mi piace l'erba umida, mi piace sentire le cristalline gocce di rugiada bagnarmi la pelle e tingermi di scuro i vestiti.
Mi piace quandi i corti e verdi filamenti mi solleticano il collo, quando i miei capelli ne inghiottono le punte vivaci, soffocando per brevi istanti una natura che non posso domare.
Una natura che un giorno si prenderà qualsiasi cosa, spezzando l'uomo e stritolando la donna.
Noi dove saremo?
Ancora qui, si ancora su quest'umido suolo circondati da questo rigoglioso grano.
Tutto finirà e noi saremo ancora tra le migliaia di denti della campagna, inzuppati dal pianto delle stelle e seppelliti dall'indifferenza degli altri.-
È stridulo il discorso del ragazzo creato dal cielo e dalle nuvole, magro e freddo, le sue labbra appena pallide e troppo bluastre si muovono lente nell'immobile aria notturna.
I suoi occhi vitrei e socchiusi, con l'iride mezza nascosta dalle palpebre fragili, raccontano di ogni tempesta e di ogni giorno sereno, come se non ne avessero mai saltato uno.
Nei suoi boccoli c'è invece il ritratto dei lunghi tramonti, di fuoco e di scintille, ed il presagio della fine del mondo e del giudizio divino partorito dalle fiamme infernali.
Su questo corpo vestito di nuvole ed acquazzoni, che rinfresca il mondo con i suoi sospiri e lo annega con i suoi pianti, l'alba sta sorgendo.
Il sole sta per donare tepore al corpo degli uomini ma le uniche che ne gioiscono sono le mosche ronzanti. Piccoli insetti neri si aggirano rumorosi e si posano con le loro zampe fragili, trascinandosi dietro le loro ali di carta ed il loro occhi di rubino, sui corpi immobili e mortali dei placidi giovani.
Della mattina sembra interessare solo alle formiche, le quali rapide salgono sui petti fermi degli uomini stesi, dando la stoffa delle loro vesti in pasto alle falene e le loro carni grondanti di tiepido sangue ai predatori notturni.
Ma al fulvo non importa, non si ribella a quelle ganasce snodate e voraci, non si muove e mai lo farà fino a quando la sua sbiadita mano destra si troverà tra la terra e le dita ruvide del suo compagno:
-Giorni od ore, da quanto siamo stessi qui?
Da quanto questa valle si sta cibando di noi?
Di noi che non conosciamo la fame, come non la conoscono gli insetti che ci mordono le membra ed il terreno che renderà, mano a mano, concime i nostri corpi.-
Parla ora bassa, tremante, la voce dell'altro giovane, dell'uomo fatto di fango e radici.
Il cupo suono del suo discorso scuote la terra, la fa fremere dal suo ustionante centro sino a spaccarne la crosta, si diramano in mille crepe le sue parole.
Ricopre gli esseri con il suo fitto fogliame, li soffoca con le sue verdi piume di linfa e perfora crudele gli estranei con le sue appuntite radici, spostando i cuori dai loro petti, costringendoli alla terra di cui è fatto.
Come vibrano la voce ed il fiato dell'uomo di fango, come è aspra e dura la mente ferma dell'esanime uomo di terra, distrugge i palazzi ed inghiotte le valli, divide le montagne e fa saltare via l'asfalto.
Che disastri che crea la voce di quell'angolo di mondo, quali catastrofi porta con sé l'uomo fatto di salici e pozzanghere.
Ma quanto dolci sono le sue crude mani, allegoria dei candidi sassi nelle pianure, che stringono senza forza e senza volontà le fiammanti e dolci dita del cielo che gli giace accanto, che non desiderano lasciare quelle estremità nebbiose.
I due quindi solo giacciono sull'asettico suolo delle campagne ocra, guardandosi da lontano ma comunque da vicino, come Gea ed Urano nell'alba dei tempi:
-Che importanza ha?
Ora che abbiamo pace, ora che ci siamo dimenticati del freddo e mai più sentiremo il calore del sole, il tempo conta ancora qualcosa?
Tu già eri qui Dazai, le tue vesti sono più logore delle mie ed il tuo viso inizia a bucarsi.
Ha fatto male finire in questo campo?
Dimmi, il tuo cuore ancora duole ed il tuo cranio continua a scricchiolare sotto il suono degli spari?-
Domanda l'azzurrognola bocca dell'emaciato cielo, di quell'angelo caduto che un tempo aveva creato gli astri del celeste dominio.
La sua voce arriva alle orecchie, piene di vermi ed erba, dell'altro come un sottile e flebile fiato di vento.
Ridacchia un poco Dazai, colto dall'ironia del momento, dato che il suo compagno di fiato oramai non ne aveva più nemmeno una stilla:
-Niente si muove, le mie cellule non si rigenerano ed i miei ematomi non guariranno mai.
Sui miei polsi ho segni di corde, lunghe ed impalpabili stringhe di neri lividi si tingono di violaceo, strisciano sul mio torace e cadono come pioggia sul mio ventre.
Le mie ossa sono spezzate ma mai si risaneranno, mi hanno ridotto le ginocchia in schegge, il naso in poltiglia e la mascella in tanti tasselli di candida vita.
La mia bocca chiese pietà a uomini sconosciuti, i miei occhi versarono lacrime ed ora la mia fronte versa sangue.
Le mie gote sono sporche di rame e rugiada, ma nessuno verrà a pulirmi prima dell'arrivo dei grandi caldi.-
Con la mano libera si sfiora il foro lasciato dal proiettile di una lucida pistola di contrabbando, passa la falange del suo indice rigido sul bordo frastagliato della pelle
strappata e sorride un poco al pensiero che, presto, il suo bel volto sarà la tana di un topo e la tomba del muschio.
Vi spinge un poco il dito all'interno, le cervella morbide producono un rumore viscido quando v'immerge l'indice, una volta avervici immerso anche la seconda nocca il piombo duro si scontra con la sua carne mangiata.
Non perde i suoi ultimi fiati a raccontare al compagno dello strazio che provò, non si dilunga in inutili dettagli come il volto dei suoi aguzzini o le sue ultime parole, queste sono piccolezze che appartengono ai vivi ed ai vivi soltanto.
E loro, che di vivo hanno ben poco, non se ne preoccupano nemmeno:
-Quanto sono stato stupido, io che mi dibattevo tra i debiti chiedendo prestiti.
Povero diavolo, così stolto da adulare banchieri severi e poi strozzini rigidi, pregandoli di darmi tempo e fiducia, convincendoli con degli interessi che non avrei mai pagato e piegandoli un poco con una parlantina nervosa, destinata ad esaurirsi nella stessa vibrante ansia in cui era nata.
Se solo non mi fosse importato, se solo avessi saputo quanta pace mi sarebbe attesa, tutto questo non sarebbe successo.-
-Ti saresti sparato in testa tu stesso, magari dopo esserti sposato ed aver fatto un bel bambino riccioluto, che avrebbe sofferto di problemi d'ansia dopo il tuo suicidio.
O forse avresti avuto una figlia, una giovinetta destinata a soffrire di crisi d'abbandono per il resto della sua vita, incline all'abbandonarsi ad ogni uomo disposto a donarle un sorriso sghembo.
Io li conosco quelli come te, ne ho amati tanti di tipi come te.-
Un sorriso beato spezza le nubi e fa scrocchiare rumorosa la pelle spaccata e rigida, mentre il lontano sussurro si tinge di biasimo gli occhi vitrei di chi ha parlato riflettono con serenità le burrasche, che s'allontanano.
Un rosato e viscido lombrico si attorciglia intorno all'anulare del cielo, i suoi anelli si allargano e si stringono solleticandogli il dorso della mano, bruciandogli come quella promessa che mai sarà mantenuta.
Ustionandogli i palmi di cenere e solchi come quell'amore tanto agognato ma destinato a ritorcerglisi contro, afferrandogli il ventre sino a strapparglielo:
-Il mio cuore non batte, tanto meno soffre, ed il mio cranio non scricchiola più così come non s'incrina ulteriormente attorno a questo rilucente e freddo proiettile.
Mi viene, allora, da domandarti se il tuo sterno ancora sanguini o se il tuo collo ancora annaspi in cerca di quell'aria che ti è stata privata, ma che tanto ti aleggia intorno in quest'ultima notte di primavera.
Cosa ha fatto più male Chūya: la cinta o l'amato che la stringeva tra i suoi pugni forti, che una volta per te erano accoglienti?-
Il rosso ridacchia un poco, rigirandosi la mano davanti al volto per seguire i ripetitivi movimenti di un lombrico morbido, la sua è una risata sincopata per quanto rilassante.
Alti singhiozzi gli sfuggono dalle labbra, una volta calde e tinta di rosa, riportando alla mente dell'uomo di fango il rumore di una collana di perle che cade al suolo.
Il riso di Chūya è una pioggia di pietre e cristalli e Dazai capisce perché quell'estraneo si era innamorato di lui.
Per un breve istante comprende anche il suo attacco di gelosia omicida.
Chūya ha ragione, lui è in quella campagna da più tempo e per questo ha visto tutto quello che gli accadeva intorno, giaceva solo come una stella alpina sulla cima della montagna più gelida, scrutando gli avventori che non potevano avvicinarglisi.
Ha visto anche Chūya, lo ha visto mentre il sangue gli correva nelle vene e la sua pelle era appena rosata per il vento fresco, lo ha visto con il volto contratto dal terrore e poi con la bocca spalancata alla ricerca d'aria.
Ha visto il compagno del rosso piangere e gridare, con la voce storta dal delirio e dalla stanchezza, che lui sapeva tutto quello che Chūya faceva alle sue spalle, che sapeva dei suoi amanti e delle notti che non passava nella proprio dimora, intessuta con morbosità e paure.
Magari sapeva tutto davvero, sicuramente la mappa nella sua mente era sensata e portava ad una lucida e succulenta X, ma era a Chūya non sapere nulla delle parole dell'amato.
Sapeva soltanto che il suo compagno gli stava stringendo il fino collo con una cinta scura, una di quelle pagate poco che si spellano nel giro di un mese, tingendogli il volto d'azzurro e gli occhi di scarlatta tempera sanguigna.
Ed ora, che Chūya giace storto accanto a Dazai, il suo viso è ancora placcato di nubi cariche di pioggia e le sue sclere crepitano come l'ustionante alba:
-Il mio petto sanguina, lo fa ogni volta che una volpe viene a conoscere il sapore delle mie carni, una volta calde e pulsanti, sporcandosi il muso con la mia linfa e nutrendo i suoi cuccioli con i miei sbagli.
Il mio collo certe volte duole, ma forse è un'impressione, è solo un vecchio ricordo ed il becco splendidamente corvino delle rumorose e chiacchierone cornacchie.-
Oramai il verme lo aveva abbandonato, iniziando a percorrere il breve tratto che separava i due corpi sporchi di terra e pioggia, muovendosi placido in quella sacra distanza che solo quei fragili e mortali individui riescono a colmare, riempiendola di frasi e parole.
Senza senso e senza collegamento, senza un filo e senza perle per adornarlo.
Solo terra e solo cielo, senza nuvole e senza piante:
-Ci troveranno tra una settimana, quando il sonno ci avrà presi del tutto.-
Inizia Dazai, inghiottendo il mare, continua Chūya, allagando le montagne:
-Dalla tua fronte sarà nato un fiore, un fiore rosso ed azzurro che nutrirà le api e che ti rilegherà ad una valle che ti ha accolto per eternità ed eternità.-
-Dalla tua bella bocca usciranno larve e dal tuo bel corpo crescerà una campagna: sarai i lupi, sarai i salici, sarai il cereale e sarai il vento.
Sarai tutto e sarai niente, ma tra una settimana non importerà a nessuno.-
-Dopo che tutti ci avranno assaporato, dopo che ogni insetto avrà affondato le sue acuminate tenaglie nei tuoi occhi molli, dopo che ogni uccello affamato avrà scavato con il suo becco nella tua gola aperta, loro ci troveranno e finalmente sarà finita.
Allora sarò a casa con te.-
L'uomo di terra sorrise e dall'asfalto nacque un fiore:
-Sì, a casa con te.
Mi saresti piaciuto.-
Il cielo ridacchiò e su un parco spuntò il sole:
-Ci saremmo odiati, sei troppo stupido ed io troppo schivo.
Magari in un altro mondo, in un altro tempo, io sarei stato nella mafia.
-Ed io in un gruppo di detective che volevano sconfiggere l'organizzazione di cui facevi parte.
Tu mi avresti voluto piantare una pallottola in petto ogni volta che mi vedevi ed io mi facevo beffe di te, consapevole che non lo avresti mai fatto.
Magari ci conoscevamo già.-
-Od in un altro mondo ancora eravamo due scrittori, legati dal niente ma devoti alla stessa arte.
Io sarei venuto a sgridarti in casa, ubriaco fradicio, svegliandoti di soprassalto e spaventandoti a morte.-
-Ti avrei amato, lo avrei fatto follemente e senza condizioni.
Senza senso ma fino alla fine.-
-Hai ragione, lo avrei fatto anche io.-
Una settimana dopo, nella campagna della prefettura di Ishikawa, vennero rinvenuti due cadaveri.
Nessuno sapeva come ci fossero finiti, lì a duecento chilometri da Suzu.
Nemmeno la polizia, che stava indagando su due casi d'omicidio che avevano come vittime due giovani di Yokohama, se lo seppero spiegare.
Ne tanto meno si spiegarono perché le loro dita, morte e dure, fossero intrecciate.
Angolo autrice
ODDIO MA CHI SI RIVEDE.
Sono tornata e con una grande scarica di allegria, per giunta, sono su Wattpad dopo...tre mesi?
Sì, diciamo di sì.
Allora, come vi avevo promesso troppo tempo fa, ecco un'altra Soukoku.
È solo una One-shot che vi lascio qui prima di cominciare a scrivere una fanfiction vera e propria, però intanto ho fatto questo quindi meglio di niente, lol.
La one-shot è ispirata alla canzone "In a Week" di Hozier, se volete ascoltatela (io personalmente ve la consiglio, in realtà vi consiglio proprio lui perché mi piace molto come artista).
Ricapitolando quello che succede: tutta la storia è un discorso tra due corpi morti, due cadaveri che parlano della loro fine e di quello che ora stanno passando, attendendo inermi che li trovino.
I due discutono e si stanno vicini perché sono gli unici in grado di comprendersi e percepirsi, dato che i loro corpi sono stati abbandonati nella stessa campagna
TA DAAAAAAN, È TUTTO QUI.
No okay, dietro c'è anche qualcos'altro ma voglio che sia il lettore a farsi i suoi film mentali.
Nel testo ci sono riferimenti sia a Dazai e Chūya come personaggi di Bungou stray dogs, sia come scrittori veri e propri (ad esempio nei debiti di Dazai e nelle parole di Chūya, nel discorso finale).
Detto questo lasciate una stellina se vi è piaciuto, e magari anche un commento se avete qualcosa da dire.
Ve se ama
Teddyhuman
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