02. Bɪᴀɴᴄᴏ ᴇ Nᴇʀᴏ| 𝗧𝗼𝗺𝗶𝗹𝗮
❝───𝗔𝖯𝖧𝖠𝖭𝖤𝖱𝖸𝖳𝖧: ???───❞
Chissà da quanto durava quel buio, lei sapeva solo che era terribile; non ricordava come fosse capitata in quella stanza infernale, se tale poteva definirsi. I suoi occhi non scorgevano nemmeno un bagliore di luce, non c'erano contorni di oggetti che potesse identificare: per quanto ne sapeva, poteva trovarsi in un luogo largo qualche metro o quanto un continente. Erano andati via, e Tomila sperava non tornassero mai. Erano crudeli e senza scrupoli. Le spesse corde strette alle caviglie e ai polsi che la bloccavano al muro iniziavano a segnare e bruciare la pelle, ma più provava a muoversi più sentiva dolore. Aveva fame, tantissima, la sua gola e le sue labbra screpolate pregavano per dell'acqua, che non arrivava mai, e il torrido caldo di quell'area era quasi soffocante, non aiutava di certo. Gli abitanti di Morsel erano abituati a non avere sempre acqua a disposizione, ma persino lei ora stava iniziando a cedere. Aveva anche smesso di piangere e singhiozzare, neanche quello portava più sollievo, tanto faceva male anche solo respirare. Ma perché la stavano trattando in questo modo? Cosa stavano cercando da lei?
Era solo una normalissima ragazzina dei Colli di Sabbia, con una altrettanto normale famiglia di mastri vetrai, che cosa aveva fatto di male agli Déi sa meritarsi una punizione simile? Stavano aspettando qualcosa, a detta loro, che lei aveva in serbo, ma lei non aveva niente. Cosa poteva mostrare loro, come scaldare la sabbia in vetro? Aveva risposto esattamente così con crudo sarcasmo la prima volta che le avevano posto quella domanda, ma in tutta risposta aveva ricevuto sprangate sulle caviglie con un bastone. E quello era stato solo il principio delle pessime ore, se non giorni o settimane, che passò successivamente. Il suo respiro stava diventando sempre più affannoso e spaventato: sarebbe morta lì, oramai ne era convinta e non avrebbe mai più rivisto la sua famiglia. Avrebbe perso la vita in Ausl luogo buio per mano di uomini di cui nemmeno conosceva il volto. Perché, perché un simile destino? Lo aveva chiesto tantissime volte agli Déi ma non aveva ricevuto risposta.
Aveva implorato la divinità della Quiete Sighes di concederle calma, poi il dio della Guerra perché facesse soffrire come dei cani tutti i suoi aguzzini, e infine in un momento di massimo sconforto, la Dea della Morte perché la prendesse tra le sue braccia. Si era pentita subito di quell'attimo di debolezza: voleva vivere più di ogni altra cosa ma era stanca, molto stanca. «Vi imploro miei Déi, concedetemi la forza» piagnucolò, lo stomaco che si contorceva per la fame e la pelle che tirava per la cicatrizzazione di nuove e vecchie ferite. Rimase al buio da sola, in uno stato di apatia completa: non aveva paura di rimanere nella totale oscurità da sola, ma temeva che in essa si celasse qualcuno che non era in grado di vedere. Dopo qualche ora, o forse un giorno, impossibile dirlo, si aprì quella che Tomila aveva capito essere la porta che conduceva nella tomba in cui era in quel momento rinchiusa. Socchiuse gli occhi per quella luce improvvisa, rintanò il mento sulla spalla, le braccia tese dietro alla schiena.
«Vi imploro... ditemi cosa volete» balbettò con un fil di voce, come faceva ogni volta che qualcuno entrava in quella stanza. La figura non si mosse: aveva capito che era un uomo dalla voce e dalla silhouette, ma più non riusciva a comprendere.
«Lo sai, mostra il dono della nostra Signora» ringhiò la voce. Non faceva altro che parlare di questa nobile signora, ma come accidenti faceva lei a sapere chi fosse? Nemmeno conosceva la Lady della regione in cui viveva, come poteva dargli informazioni su qualcuno di cui non conosceva il nome? Tomila singhiozzò alla domanda, incapace di rispondere. Aveva già detto mille volte di non saperlo, ma ogni singola di esse non era stata creduta, ed era stata punita.
«Siamo stanchi di non ricevere risposte, preparati a parlare, o a incontrare gli Déi». Ecco, era sicura che prima o poi sarebbe successo, si sarebbero stufati di occuparsi di una ragazzina prigioniera e se ne sarebbero disfatti. Tirò su col naso, le parole spezzate dai singhiozzi che si facevano sempre più frequenti.
«Vi ho detto che non so di cosa stiate parlando, come cazzo fate a non capire che non so niente?!»
Urlò e sbraitò, in un attacco di rabbia che le rigirò lo stomaco, le corde tirarono e così lo fece la gola disidratata. Gli occhi rossi erano iniettati di sangue, mossi da un'ira verso quelle persone che aveva sopito per paura. Il pentimento si fece largo subito dopo: e adesso, cosa avrebbero fatto? Non gli era mai piaciuto quando rispondeva male. Era finita, lo pensò nell'esatto momento in cui vide la figura alzare il braccio che stringeva la frusta. Eppure, il colpo non arrivò mai. Riaprí timorosa gli occhi, che aveva strizzato forte come se ne andasse della sua vita; fece uscire il viso dal braccio in cui lo aveva incassato e fu sorpresa dal vedere quanto fosse diventato luminoso l'ambiente di improvviso. La luce di una fiamma aveva illuminato a giorno quella stanza buia: era effettivamente minuscola come Tomila aveva pensato. Poté vedere per la prima volta uno dei mostri che l'aveva rinchiusa lì: un uomo alto e grosso, di cui vedeva solo una metà del viso sfregiata da chissà quale ferita, mentre il resto era coperto da un mantello di un grigio che non aveva mai visto prima.
Ma ora non erano più soli: c'era una donna dietro di lui che gli aveva afferrato il braccio, impedendogli di scagliare il colpo di frusta. Era una compatriota, lo riconobbe dalla aperto. La pelle della sconosciuta era frastagliata di macchie chiare e scure, alcune per una colorazione differente, altre dovute a delle ustioni; i suoi lunghi capelli erano secchi e sbiancati dal fuoco, gli occhi rossi come fiamme, simbolo della benedizione di Phyras. Sulla spalla di lei brillava l'armatura con lo stemma della Serpe-Tartaruga, l'animale sacro dell'ordine dei Sacerdoti. Tomila spalancò gli occhi e rimase con la bocca aperta, incredula. Cosa stava accadendo, era salva? Al carnefice quella interruzione però non parve piacere, perché tirò una gomitata in pieno petto alla Sacerdotessa, strillando un "mollami, stronza", a cui Tomila sobbalzò di spavento. No, non era salva, c'era pur sempre lui in quella stanza. Eppure la sconosciuta non si mosse di un centimetro, le palpebre si assottigliarono di rabbia e disgusto, la presa sul braccio si fece più forte.
Tomila poté vedere il pugno di lei illuminarsi come un tizzone che si accendeva, e giurò di aver visto del fumo uscire tutto attorno. Girava di fatto la voce che i Sacerdoti usassero le arti della mente, ma lei non lo aveva mai visto fare. L'aggressore digrignò i denti, puzza di bruciato iniziò a pungerle il naso.
«Ti ho detto mollami, stronza!!» sentì tuonare allora; Tomila per riflesso abbassò la testa e si nascose sotto i capelli arruffati, terrorizzata da quella voce. Il caldo nella stanza aumentava sempre di più, così come l'odore di carne carbonizzata.
«Brucia, stronzo» fu l'unica cosa che sentì pronunciare dalla Sacerdotessa, più sibilante dei colpi di frusta che aveva ricevuto in quei giorni. La prigioniera alzò timidamente il capo giusto per vedere la mano della donna prendere fuoco, letteralmente, che aderì come nulla al braccio del suo aguzzino, poi ai suoi abiti, poi i capelli, gli occhi... Finché davanti a loro non apparve una torcia umana.
Lo scenario era disgustoso a dir poco: riusciva a vedere le orbite del suo carceriere sciogliersi assieme alle pelle, i capelli evaporarono come fumo e la pelle si rinsecchí contro le ossa. Le urla e la puzza erano agghiaccianti, ma nella paura Tomila provò un senso di soddisfazione incolmabile: quello stronzo era morto e lo aveva fatto molto male, e Déi se avava pregato per questo. Il dio della Guerra l'aveva davvero ascoltata. Quando la massa informe di ossa bruciate e poco altro si accasciò a terra in un piccolo focolare, la Sacerdotessa mosse lenti passi verso di lei. Tomila si schiacciò contro la parete, il suo istinto di sopravvivenza che scattava di nuovo. Avrebbe fatto diventare anche lei un rogo con le gambe? Aveva dato per scontato che avesse buone intenzioni, ma non poteva saperlo per certo. A vedere la sua insicurezza la straniera si bloccò e portò le mani avanti, per poi piegarsi sulle ginocchia come se stesse cercando di avvicinare un cucciolo spaventato.
«Tranquilla, non sono qui per arrecarti dolore, ma per farti uscire da qui» Tomila non rispose a quelle rassicurazioni, si attaccò ancora di più alla parete. Un velo di compassione attraversò gli occhi rossastri della sua salvatrice, e la ragazza strinse le labbra, irritata: non riusciva a sopportare l'idea di essere compatita, nonostante tutto. "Invece di compatirmi, dimostra di potermi aiutare!" sembravano gridare le pupille lilla di Tomila, tremanti di diffidenza e rabbia. Come a leggere questo pensiero, la donna si avvicinò, sempre quasi a gattoni, a lei, sfiorando le corde che la bloccavano con una mano. Sentì un lieve senso di bruciore, come se fosse a qualche centimetro da un carbone scoppiettante, poi effettivamente qualcosa scoppiò: le corde dei polsi si sciolsero come fili d'erba a causa di una piccola fiammella, che pareva uacita dal dito della sua salvatrice, sempre che la cattività non le avesse fatto venire le traveggole. Stessa cosa avvenne qualche secondo dopo per quelle che le cingevano le gambe; Tomila si abbandonò sul pavimento, cadendo distesa sulla pietra fredda.
Era stata troppa a lungo in quella posizione forzata, le gambe e le braccia formicolavano da morire e non riusciva a muoversi. Le sue guance bruciavano di vergogna per la imbarazzante situazione in cui si trovava. Tirò di nuovo su col naso, e piegò il viso verso la pietra per nascondere gli occhi lucidi di lacrime.
«Il mio nome é Aithne, Sacerdotessa del Gigante Rosso e Rappresentante della Regione di Morsel, e ti prometto che adesso sei al sicuro» il tono della sua benefattrice, a cui ora poteva dare un nome, era severo ma rassicurante. A Tomila faceva quasi ridere il fatto che una autorità del genere fosse arrivata a tirare fuori da quella situazione una normale cittadina, che non sapeva nemmeno per quale motivo fosse stata presa in ostaggio.
«Io... Tomila... Tomila e...basta» non aveva titoli da elencare né fiato da sprecare per inventarsene; il freddo della pietra era un toccasana per il suo corpo bruciante di febbre. Ora era al sicuro, se lo garantiva una Sacerdotessa, allora si fidava. L'adrenalina cominciò a calare, il sonno a colpirla come un macigno. Intravide la figura di un ragazzo giovane, dai tratti che non riusciva bene a distinguere da quella posizione, scendere dalle scale che portavano alla cella e parlare con Aithne. «Ti sei occupato degli altri?»
«Il campo é libero, Maestra» queste battute si erano scambiati, o almeno così lei aveva sentito, prima di cadere in un sonno esausto e senza sogni.
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---𝗔𝖯𝖧𝖠𝖭𝖤𝖱𝖸𝖳𝖧: Tempio di Morsel---
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Quando si svegliò, non riaprì gli occhi subito. Si beò della calda e morbida sensazione che la avvolgeva tutto attorno al corpo. Mai aveva apprezzato la lana di una coperta e le piume di un cuscino più di quel momento. Tutti i muscoli le facevano tremendamente male, pesavano come macigni che le impedivano di muoversi o alzarsi. Con una fatica che ritenne quasi insormontabile, aprì lentamente le palpebre. Le ci volle qualche istante per mettere a fuoco la luce dorata che pendeva dal soffitto; spostò il volto a sinistra: c'erano altri letti come quello in cui giaceva in quella grande stanza, ma solo il suo era occupato, il marmo della stanza era grigio scuro, ma non colse più dettagli di così perché era tutto terribilmente spoglio. Il carattere più interessante di quel luogo erano quelle che a Tomila parevano delle venature laviche che scorrevano per tutti i muri portanti. Sembravano un flusso di magma che si muoveva verso l'alto, queste venature parevano bollenti, eppure il vetro che le copriva e le separava dal resto del marmo sembrava freddo come il ghiaccio.
«Oh. Sei sveglia» Tomila sobbalzò nel sentire quella voce, il movimento improvviso le mandò una fitta dolorosa per tutta la schiena. Si appiattì contro il cuscino in attesa che il capogiro le passasse. «Scusa... non ti volevo spaventare» continuò il ragazzo, avvicinandosi lentamente al suo letto. Lo riconobbe dopo un po': era assieme alla sua benefattrice, aveva parlato con lei giusto prima che si addormentasse. Tomila lo fissò guardinga e si spinse verso l'estremo del letto più lontano da lui.
«Da quanto tempo sono qui?» domandò, gli occhi bassi e diffidenti. Il sorriso del ragazzo era così rassicurante e tranquillo da poter fare abbassare la guardia anche a lei, ma non riusciva a fidarsi abbastanza.
«Hai dormito per sei giorni di fila e probabilmente la Maestra ti terrà qui per almeno un'altra settimana, finché non ti sarai ripresa completamente»
«Dove siamo? Non conosco questo posto» Tomila stava cominciando a innervosirsi e il fatto che il suo corpo non riuscisse a mostrare il suo innervosismo la spaventava ancora di più. Il giovane fece un piccolo sospiro e prese posto ad uno sgabello a lei vicino. «Siamo al Gigante Rosso, al Tempio di Morsel, lo conosci? Almeno di nome?». Tomila allora annuì appena, un minimo rassicurata. Si chiese se quelle persone non sapessero che cos'era capitato al suo villaggio e perché lei era stata presa. Prima che facesse la domanda, Aithne entrò nella sala da una porta che nella sua prima analisi della sala non aveva visto. Non si era sbagliata quando aveva pensato che la Sacerdotessa avesse uno sguardo severo: la metteva in soggezione oltre ogni modo.
«Hai dormito per molto» commentò la donna, e non seppe perché ma Tomila prese quella frase come una sorta di critica o presa in giro. «Immagino tu abbia delle domande, vero?».
Non amava i giri di parole a quanto pareva, ma Tomila era contenta così.
Provò a mettersi seduta ma solo spingersi sui gomiti per sollevarsi le tolse il fiato. «Faccio io» intervenne subito l'allievo, sollevandola per le ascelle e mettendola seduta, appoggiata con la schiena al cuscino e la testa sul muro. Fu umiliante per lei, ma non tanto quanto quello che disse la Sacerdotessa circa quella scena.
«Non serve che tu faccia l'eroina, se non riesci ad alzarti rimani distesa, eviterai problemi sia a te stessa che a noi». La lunga e stretta veste rossa che indossava Aithne la rendeva simile a una macchia di sangue camminante. Tomila strinse i denti per la vergogna, si spostò una ciocca di capelli ingrigiti dal fuoco dal viso e sospirò.
«Mi dica che cos'è successo al mio villaggio, perché siete arrivati proprio voi a salvarmi? Voglio sapere». Aithne soffocò una risata, doveva aver trovato il suo "voglio sapere" davvero esilerante, non c'era altra spiegazione.
«Il tuo villaggio é stato attaccato dai Portatori della Piaga, o della Marcescenze, che dir si voglia. Quando siamo arrivati sul posto la zona era già stata messa a ferro e fuoco, ma seguendo la traccia della Marcescenza vi abbiamo trovato: é stata dura, perché vi avevano portato in un nascondiglio coperto dalle sabbie»
Aithne aveva spiegato il tutto come se le stesse raccontando cosa aveva mangiato a colazione, ma Tomila non era riuscita a credere a quello che aveva sentito. Aprì e richiuse le labbra un paio di volte per la sorpresa, prima di effettivamente chiedere quello che le girava per la testa. «Ma... come... la Marcescenza non era un fenomeno naturale?»
«Se lo chiedi a un popolano qualsiasi a o ai nobili, convinti di sapere tutto anche di argomenti che non li competono, allora sì, è solo e soltanto un fenomeno naturale» ribattè severa la Sacerdotessa. Tomila la guardò male: pur avendola salvata, non riusciva a farsela piacere, era la persona più dura che avesse incontrato. Aithne poi continuò:
«La possibilità che sia un fenomeno naturale non è esclusa, ma ciò non significa che sia solo questo: anche io fuoco é un fenomeno naturale, ma essendo noi benedetti di Morsel in grado di controllarlo, potremmo anche noi definirci Portatori del Fuoco... Allo stesso modo non é impossibile che loro possano portare e diffondere la Marcescenza»
«Quindi... lo possono fare?» chiese ancora Tomila, sempre più confusa. Aithne la fulminò con lo sguardo, come se stesse pretendendo troppo. Ma a lei non importava che fossero informazioni riservate, aveva rischiato la vita per chiunque fosse stato a prenderla: meritava di sapere.
«Ha detto "vi" abbiamo trovato... chi altro c'era lí?» forse qualche suo amico era sopravvissuto, forse erano stati presi, c'era ancora speranza. Aithne le rispose di nuovo con una monotonia che le fece girare le viscere. «In altre celle c'erano altri ragazzi più o meno della tua stessa età, maschi e femmine in numero uguale, ma erano tutti già morti». Come si faceva a parlare della morte di ragazzini con così tanta calma?
«Perché... perché ci hanno preso?» riuscì solo a chiedere, le labbra che cominciavano già a tremare.
«Speravo ce lo potessi dire tu»
«Io?» soffiò con un filo di voce.
«Sí, tu. Sei stata lì due settimane prima che arrivassimo noi, avranno pur dovuto dire qualche cosa»
Rabbia pura inondò il petto di Tomila, le cui guance si scaldarono d'ira.
«É per questo che mi avete salvato? Per farmi un interrogatorio?» non nascose l'indignazione che provava, la palpebra inferiore le tramava furentemente, ma il suo sguardo iracondo non sembrava aver intimorito minimamente Aithne.
«No, ma decisamente non sarebbe male avere un minimo di aiuto per aiutarti ad avere giustizia» un modo molto gentile per dire "non solo".
«Prova a pensarci su» disse subito dopo, senza dare il tempo alla ragazza di controbattere in alcun modo. Per Tomila non era difficile ripensare a quello che era successo le ultime due settimane, i ricordi di quei giorni di inferno erano stampati a fuoco nella sua mente, e non se ne sarebbero andati mai più, mai più.
«Volevano qualcosa da me... che mostrassi loro il "sono della loro signora" o qualcosa del genere... non so dirvi altro, lo prometto»
Eppure quelle sole parole bastarono abbondantemente per fare alzare il mento alla Sacerdotessa, che cominciò finalmente a guardarla negli occhi. Bene, allora lei sapeva.
«Che cosa significa? Lei lo sa?» Tomila stava diventando di nuovo impaziente, e riusciva a vedere come questo desse tremendamente fastidio ad Aithne. Forse era non la considerava degna di sapere, forse erano ancora informazioni riservate, ma erano le sue informazioni, degli uomini che avevano distrutto la sua vita, non quella della Sacerdotessa.
«Forse» fu l'unica parola che uscì dalla bocca di Aithne, dopo lunghi attimi di assordante silenzio.
«Cosa vuol dire forse? Chi è questa Signora e cosa voleva da me-»
«Non sappiamo se loro cercassero qualcosa da te nello specifico, tanto è vero che c'erano altri prigionieri» la troncò Aithne prima che potesse finire di parlare, e Tomila si infuriò ancora di più.
«Allora cosa cercavano da noi? Così va meglio?» chiese stizzita. Non poté non notare come l'allievo si fosse chiuso in un silenzio di tomba, imbarazzato come forse in pochissime altre situazioni in vita sua. Aithne sospirò.
«Non lo sappiamo per certo, può darsi che non stessero cercando niente e che avessero preso un buco nell'acqua... sono dei pazzi esaltati convinti dell'esistenza di chissà quale potere e sono spinti da ideali da fuori di testa... non devi pensarci più».
Oh, a quanto pare invece sapeva parlare. Doveva decidere se ringraziarlo o meno per essere intervenuto e aver calmato la situazione, o se prendersela anche con lui. Aithne la spaventava: sapeva che non le avrebbe fatto del male ma sapeva anche che era perfettamente capace di farlo, e anche con facilità.
«E voi state cercando questi Portatori di Piaga? Se li sconfiggete distruggerete la Marcescenza? Posso aiutarvi in qualche modo?»
«Troppe domande, ragazzina» la ammonì, o meglio, la avvertì Aithne.
«Posso solo dirti che più ne staniamo, meglio è, ma dato che non sappiamo se questi Portatori di Piaga portino veramente la Marcescenza, non siamo sicuri se prendendoli tutti questa sparirà, dovremmo sapere innanzitutto se si tratta di un fenomeno naturale, magico o altro» lui rispondeva in modo vaghissimo, ma per lo meno rispondeva e le dava almeno qualcosa su cui pensare.
«Allora... perché nessuno sa queste cose sulla Marcescenza se è un problema così grande per tutti?»
«Perché, come ha detto la Maestra, a diffondere e regolare queste informazioni sono i nobili e loro pensano di sapere tutto anche di cose che non gli competono. La Corona si occupa di affari politici, noi di tutti quegli ultraterreni e magici» la punta di ironia che mise nella voce la fece sorridere appena. Almeno lui ci provava a rendere più sopportabile la situazione.
Ora che gli era vicino, riuscì a vedere che era molto più alto di lei e molto più magro; l'aspetto era tipico di Morsel, solo che non aveva i capelli castani sbiaditi dal sole, erano rimasti del loro colore naturale. Anche la pelle era chiara e non abbronzata, forse aveva passato molto tempo in luoghi chiusi? Eppure non sembrava essere una persona cresciuta nella povertà, il viso e le guance non erano scavati ed era in salute. «Avete finito, piccioncini?» Aithne stava guardando dall'alto il basso il discepolo, da una parte con lo sguardo di una che la sapeva lunga, dall'altra di una che non ne poteva più della situazione.
«Almeno lui mi dà risposte»
«Noi non ti dobbiamo risposte, semmai il contrario. Ti comporti da persona troppo importante per valere così poco alla causa» gli occhi verdastri di Tomila si allargarono, lucidi per la severità della donna.
«Aithne, questa era una cattiveria che potevi risparmiarti» la ammonì persino il discepolo, ma ottenne soltanto uno sguardo sanguinario.
«L'unica cosa che avrei potuto risparmiare era il tempo di questa conversazione. Sai che non abbiamo così tanto tempo a disposizione» allora la donna si alzò e abbandonò la stanza, appena la porta si chiuse Tomila sentì la tensione crollare a picco. Ora poteva tornare a respirare. Il ragazzo senza nome sospirò.
«Mi dispiace che tu abbia sentito una cosa del genere, sappi che non la intendeva davvero... si comporta come soldatessa, non lo fa apposta...» incominciò subito a parlare in difesa della insegnante, ma Tomila lo fermò con un gesto della mano.
«Non preoccuparti...» si fermò, perché non sapeva ancora il suo nome.
«Draedan» rispose accondiscendente.
«Draedan... potrà non intendere quello che ha detto, ma lo ha detto, ed é vero per quanto mi dia fastidio. Non so "dare fuoco" alle cose come voi» tentò di scherzare, mimando con le mani l'accensione di una fiamma.
«Non era comunque giusto che lo dicesse, non dopo quello che hai passato per lo meno....»
«I miei genitori... li avete trovati? Al villaggio c'erano dei sopravvissuti?» non lo aveva ancora chiesto con Aithne perché aveva paura di essere vista come una persona debole. Dreadan non le rispose, ma da come si erano abbassate le sue spalle intuì cosa non ebbe il coraggio di dire: non c'erano sopravvissuti, nemmeno uno.
«Vi prego ditemi come vi posso aiutare» insistette, mossa da nuova rabbia. Non era pronta a processare la situazione, non ancora. L'unico modo che aveva per sopravvivere alla cosa era combatterla il più possibile. Lui sorride calmo, ridendo appena.
«Mi dispiace ma non penso tu possa... senza una Benedizione sarebbe impossibile per te andare avanti»
«Ma se cercavano qualcosa da me allora devo essere benedetta per forza, no?» chissà come le era passato per la testa un pensiero simile, eppure le era parso da subito molto più che plausibile. Era l'unica spiegazione. Dreadan sorrise pazientemente.
«Come ha detto la Maestra, non è detto che tu lo sia, magari stavano cercando uno dei ragazzi che sono morti, e anche se lo fossi, il fatto che tu non lo abbia ancora manifestato è praticamente impossibile»
«Perché no?» domandò offesa. Iniziava a sentirsi stupida, loro parlavano di cose che lei non sapeva e si comportavano come se fosse Tomila l'unica idiota a non conoscerle.
«Si nasce con le Benedizioni visibili, gli occhi rossi, gli occhi dorati, i nei sulla pelle... é tutto molto evidente sin da subito. Le persone Benedette senza questi tratti sono rare, e anche in quei casi la loro capacità di controllare l'elemento della loro benedizione si manifesta molto prima dei... quanti anni hai, se posso chiedere?»
«Diciannove» rispose lei.
«Allora é decisamente improbabile, molti si manifestano alla nascita e quasi tutti gli altri prima dei dieci anni» l'idea di essere speciale iniziava a piacerle, ma ere chiaro che non lo fosse. Ma se non lo era, allora perché? Non riusciva a spiegarselo in altro modo, se non aveva qualcosa di particolare allora perché rovinare la sua vita, perché distruggere tutto?
«É anche vero che ci sono i casi particolari e che non si sa più come le benedizioni di Thana funzioni, ma non fasciarti la testa prima di essertela rotta. Per ora sei al sicuro, pensa solo a questo»
«Ma io non sono al sicuro: il mio villaggio è distrutto, la mia famiglia morta, mi dici come faccio a essere al sicuro?!» davvero, la calma di lui le era incomprensibile.
«Sei al Tempio adesso» ripeté.
«In cui starò finché non mi sarò ripresa no? E poi appena la tua maestra mi caccerà via dove andrò? A morire mangiata dai Centopiedi?» Dreadan iniziava ad essere in difficoltà, lo vedeva dalla sua espressione. E come dargli torto, visto che stava scaricando la responsabilità della sua vita a uno sconosciuto.
«Se proprio vuoi aiutarci posso chiedere ad Aithne di raccomandarti per diventare una Saggia e...»
«E servire a un castello? Non mi aiuterà a vendicarmi, non mi aiuterà a fare assolutamente niente-»
«E chi ti dice che sarà la vendetta ad aiutarti?» quella semplicissima domanda la spiazzò. E senza vendicarsi come sarebbe andata avanti? Il suo corpo era martoriata dalle ferite, la sua anima distrutta dalle perdite di persone che avrebbe mai più rivisto in tutta la sua vita..
Le sue sopracciglia ricominciarono a tremare, il respiro a farsi affannoso. Dreadan mosse avanti e indietro le mani come a cercare di scacciare delle mosche invisibili.
«N-no ti prego... non fare così» poverino, pensò lei, lo stava mettendo in una situazione terribile e sfruttando la sua bontà d'animo per trovarsi una sistemazione, ma non riusciva comunque a provare pena per quel ragazzo e per come lo stava mettendo con le spalle al muro. Lui non aveva appena perso tutto, no? Poteva fare un piccolo sacrificio.
«Troverò un modo per farti restare qui se è quello che vuoi... Una soluzione si troverà lo prometto, ma-» venne interrotto da una piccola colomba nera che svolazzò per la sala, come se sapesse dove andare. Atterrò sulla spalla del ragazzo, e dalle zampe gli cadde una lettera sulle mani di Dreadan. Tomila riuscì a distinguere il sigillo della famiglia Frerum di Kores, la famiglia reale di Aphaneryth.
Lo sguardo di Tomila si riempì di interesse. «Che cosa sta succedendo?» domandò, Dreadan si rigirò la missiva tra le mani, senza dire nulla per un po'. «Nulla che ti riguardi» disse allora, estremamente di fretta. Aveva usato le stesse parole della sua maestra, il tono di voce non era furioso, ma frettoloso e ansioso. Aveva ingenuamente pensato che potesse strappargli più informazioni del dovuto perché era gentile, ma non era uno stupido. A quanto pare c'erano dei segreti che l'Ordine dei Sacerdoti non poteva dire ai quattro venti.
«Nel senso... ti aiuterò promesso, ma non adesso. Adesso devo occuparmi di questioni più importanti... tu resta qui a riposare. Torno fra... beh torno appena posso» dopo quella fiumana di parole sconnesse, Dreadan uscì di corsa dalla sala, lasciandola da sola con i suoi pensieri. Da una parte non poté fare a meno di chiedersi in che covo di pazzi fosse finita e che piega stava prendendo dalla sua vita, troppe informazioni da digerire in una volta sola. D'altra parte però non riuscì a fare a meno di pensare che sarebbe diventato tutto più interessante, da quel momento in avanti.
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【𝗗𝖠𝖭 𝗦𝖯𝖠𝖢𝖤】
Buonasera a tutti, introduciamo un nuovo personaggio: Tomila, una giovane figlia di vetrai dei Colli di Sabbia. Cosa pensate di questa ragazza, anche se non abbiamo nemmeno grattato la superficie? Sarà un personaggio molto importante nel racconto, anche se non sarà una vera e propria protagonista. Oltre a lei è uscita allo scoperto anche la fantomatica Sacerdotessa di cui si è parlato al primo capitolo, Aithne, e il suo nuovo discepolo Draedan. Entrambi esistevano nelle prime edizioni della storia, anche se Draedan aveva un altro nome.
Come al solito, se avete opinioni, critiche, teorie, già delle preferenze o qualsiasi altra cosa, io sono tutta orecchie. Cercherò di pubblicare un capitolo a settimana ma non prometto di riuscirci sempre, soprattutto se l'università e i feedback mi terranno indietro (maledetta psicometria). Penso di non avere altro da dire, se non che Tomila sarà un personaggio altamente traumatizzato che si comporterà in modo non convenzionale, magari non comprensibile o criticabile. Ovviamente non giustificherò nessuno di questi comportamenti, spiego unicamente da cosa sono dati.
Al prossimo capitolo gente!
--- Dangershindoulover
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