01. Mᴏʀᴛᴇ ᴇ Vɪᴛᴀ| 𝗬𝗮𝗻𝗳𝗲𝗿

❝───𝗔𝖯𝖧𝖠𝖭𝖤𝖱𝖸𝖳𝖧: Kores───❞

«La morte è per tutti, ricordatelo: uomini, donne, bambini, oggetti, nazioni, religioni...mondi. Tutto e tutti muoiono! Eravate morti prima di nascere e tornerete tali dopo il trapasso del corpo... Ma alla nostra Signora questo non basta!». Una voce acerba rimbombava ripetutamente tra le pareti rocciose della caverna sotterranea. La figura che pronunciava quelle parole non si vedeva chiaramente, il volto inglobato nel buio come se fosse parte di esso; di lui si vedeva l'ombra riflessa dalla luce delle candele, una penombra che danzava assieme al muoversi delle fiamme. Si udivano pianti, grida e suppliche in sottofondo. Una matassa di uomini e donne sporchi e magri erano legati a quella che sembrava una pira, incantenati a una asta di legno. Le loro urla erano assordanti, così incastrate in quelle rocce.
«Cosa vi abbiamo fatto?»
«Perché ci fate questo? Perché?»
«Che gli Dèi abbiano pietà di noi!»

«Non esistono gli Dèi!» sbraitò quella strana ombra, raschiando l'aria della grotta con la sua voce sovrannaturale.
«Esiste soltanto una Signora, la Grande Signora, la nostra Signora... e la vostra Signora; ella richiede prove di lealtà, e noi gliele concediamo».
«E noi gliele concediamo» gongolarono altre persone tutto attorno all'ombra, ballando avanti e indietro con la schiena come in una spaventosa danza. «E noi gliele concediamo!!» strillò di nuovo l'esecutore della cerimonia. Avanzò una mano verso la folla, un braccio dalla forma quasi animalesca, le unghie come artigli. «Diamo il Sangue alla nostra signora!»
«Diamo il Sangue alla nostra signora». Quello che gli venne porto era uno strano liquido nerastro, denso come il sangue, ma inodore e lucido e la più levigata delle pietre. Versò la sostanza su una fiaccola di ferro ed essa si accese come se vi avessero gettato all'interno un tizzone ardente. La fiamma che si sprigionò era nera dalle striatura più bianche del latte. Uno scenario terribilmente disumano.

«Abbiate pietà per noi vi prego!»
«Che gli Dei ci perdonino!» continuarono a implorare le povere vittime, ma le loro grida non vennero accolte da nessuno, in quella grotta.
«Non esistono gli Dèi, e presto lo capirete!». Quando le fiamme toccarono il legno, si sparsero a macchia d'olio, inghiottendo tutti i malcapitati. Urla di dolore si levarono, assordando chiunque all'interno di quella enorme caverna. Nessuna vittima stava bruciando, le loro carni non venivano consumate dal fuoco, ma qualcosa in loro pareva bruciare. Si levava del fumo dai loro petti, dai loro occhi e la loro bocca. La pelle si attaccò alle loro ossa, come se qualcosa stesse risucchiando loro qualcosa dall'interno. Quando le nerastre fiamme cessarono, tutti i corpi erano lì, rinsecchiti ma non bruciati; non c'era puzza di fumo, solo di fiori, di tanti diversi profumi.
«E oggi il sangue è stato concesso»
«E oggi il sangue è stato concesso»

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«Altri cittadini scomparsi?» domandò Yanfer, picchiettando con nervosismo le dita sulla grande tavolata della sala delle riunioni. Il sovrano di Aphaneryth era un uomo dal volto scavato, gli arzilli occhi neri leggevano e rileggevano quelle frasi scritte sulla pergamena con ansia.
«Sì, Vostra Maestà. È il sesto gruppo di popolani che sparisce in soli due mesi, abbiamo inviato a investigare come da voi richiesto, ma non abbiamo trovato nessuna informazione utile» riferì il soldato, chinando il capo.
«Come è possibile che non abbiate trovato niente? Il Confine non è una terra vasta da tenere sotto controllo!» sbottò il re, colpendo con una mano il tavolo. Era incredibile che ovunque loro cercassero, non si trovava nulla. Fece un grande sospiro, costringendosi a calmarsi.
«Avete domandato ai soldati in pattuglia di Henys al confine?» domandò dunque, aggrottando la fronte, aspettandosi una risposta deludente che non tardò ad arrivare.
«Sì, Vostra Maestà. Nessun soldato sostiene di aver visto qualcosa o qualcuno attraversare il Confine da almeno due anni, men che meno nelle ultime due lune trascorse».

«Che gli Dèi ci assistano, non possono essere spariti nel nulla. Uno di quei soldati sicuramente mente» si unì lord Kreks, un ometto basso e calvo che fungeva da spalla del re alle riunioni.
«Lo abbiamo sospettato anche noi, mio signore, purtroppo però interrogatori, investigazioni e... procedure più... estreme, non hanno rivelato informazioni utili o ignote».
«Lasciatemi solo!» sbraitò il sovrano. La guardia e il lord chinarono frettolosamente il mento e si sbrigarono a uscire dalla stanza. Yanfer allora si abbandonò sgarbatamente sulla sua poltrona. Se avesse sentito ancora altre notizie negative o buchi nell'acqua sarebbe impazzito, e ne sarebbe andato della sua reputazione. "Ma perché tutti i problemi devono presentarsi mentre sono io al potere?" si ritrovò a pensare per l'ennesima volta in quei mesi. I suoi consiglieri tentavano di acquietare le sue ansie ad ogni occasione, ma la loro premura aveva l'effetto opposto: ogni qual volta che mostravano riguardo verso i suoi sentimenti, come se fosse una creatura delicata, Yanfer si imbestialiva ancora di più.

E dire che all'apparenza il mistero si pensava alquanto semplice: da una zona come il Confine non ci si poteva recare poi così lontano. Nymia era inabitabile, la sua aria quasi irrespirabile e le montagne che circondavano l'area erano impercorribili per chiunque non fosse attrezzato e pieno di provviste, cosa che di norma i cittadini non erano. Allora, dove erano finiti? Il cuore di Yanfer non era votato alla fede, eppure in quella situazione stava cominciando a credere che gli Dèi avessero iniziato a esistere solo per dargli fastidio. Né i referenti della Buca della Talpa o della Città Mutante avevano fatto sapere nulla. Il re sospirò, la fronte appoggiata sulle mani intrecciate, un soffio esasperato lasciò le sue narici. A pensarci bene non era stato intelligente sostenere che uno dei soldati mentiva: avrebbe potuto diffondere false voci, ma che altro avrebbe potuto pensare? Iniziarono a bussare al suo portone.
«Andate via, sono occupato» borbottò stancamente il sovrano, le mani che scivolavano lentamente lungo il viso. Per qualche secondo vi fu silenzio, poi il suono delle nocche sul legno tornò persino più forte di prima.

«Insomma! Sono occupato!!» continuò il re, ma non servì a nulla. Un ragazzino sulla quindicina sbucò timidamente dall'uscio, le lentiggini che rendevano la sua espressione spaventata molto più strana del normale. Ere Tema, il suo minuscolo paggio, figlio del suo migliore amico.
«M-mio Re, sotto il loro occhio»
«Sì, sì, sotto il loro occhio, cosa c'é?». Il ragazzo deglutì, stringendo convulsamente la maniglia dorata, come se una voragine lo avesse divorato se non si fosse aggrappato. Tema alzò la schiena e le spalle, raddrizzando il mento per acquisire un po' di formalità, come il galateo comandava.
«É... é morto, mio re, questa notte... il tempio... tutto quanto, era distrutto».
Una morsa attorcigliò le viscere di Yanfer in un attimo, una sensazione di panico gli riempì la gola, tanto da non riuscire a respirare.

Era uno scherzo, non poteva essere altrimenti. «Non é possibile, che scherzo orrendo da fare in una giornata come questa»
«Non-on é uno scherzo mio re, glielo giuro, non lo è, le pattuglie sono tornate questa mattina per riferire». Yanfer sbatté entrambe le mani sul tavolo in legno, le coppe di vino saltarono per l'impatto, rovesciandosi. Il piccolo Tema sobbalzò più di loro.
«Preparate i cavalli e le scorte, voglio verificare di persona l'accaduto»
«Ma mio re, è pericoloso adesso»
«Gli ordini del re non si discutono. Voglio essere in sella tra un'ora, sono stato chiaro?». In risposta ebbe un veloce e scattante segno del capo, e Tema sparì rapidamente oltre il portone borbottando un "sotto il loro occhio" in saluto. Yanfer si accasciò sulla poltrona. "Sotto il loro occhio", certo, sempre e comunque. Eppure, se quello che il paggio le aveva detto era vero, gli occhi degli Dèi si erano fatti sfuggire un bel casino. Per essere onnipotenti, erano veramente degli esseri incapaci. O crudeli, ma per Yanfer incapace e crudele erano sinonimi.

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Poco prima di varcare lo spesso portone ferrato della Colosso di Kores, pomposo soprannome della fortezza reale, sua figlia gli bloccò il tragitto. La ragazza era forse l'unica cosa buona che aveva fatto in vita sua: saggia, calma, bella come sua madre. La benedizione di Sighes splendeva dorata nei suoi occhi verdi ed era pronta per le incombenze nobiliari della giornata: nonostanze la giovane ora si era già rivestita dei suoi gioielli, del suo spazioso vestito verde e di una abbondante dose di trucco sul viso. Aveva sempre la fissa di sembrare più anziana della sua età indossando polveri sulle guance e sugli occhi di cui non conosceva nemmeno il nome. Non c'era una volta che il Re riuscisse a capire perché sua figlia desiderasse mostrarsi vecchia: lui avrebbe venduto la corona per tornare giovane e non sentire i vizi dell'età. Poi, ci pensava la vita a renderti anziano, perché accelerare i tempi?
Le sopracciglia della sua bambina erano corrucciate di preoccupazione e angoscia. «Papà...» dimenticava sempre il galateo nobiliare quando aveva paura, tratto che riusciva ad addolcirlo a discapito di tutto.

«... ti prego dimmi che non è vero» la giovane portò entrambe le mani al ciondolo della collana, stringendolo con dita tremanti. Yanfer rilassò le spalle e i lineamenti del viso, emettendo un sospiro tra l'arreso e il triste. «Non lo so, Hellenia cara, sto andando al tempio a verificare-»
«Non andare!» esclamò d'impulso la ragazza appena dopo, l'oro nei suoi occhi splendette per un secondo, poi, forse accorgendosi del suo gesto impulsivo, abbassò la testa appena, deglutì e prese un gran respiro. Le pupille di Yanfer si erano assottigliate appena in avvertimento per il tono della ragazza, ma non gli servì parlare: sua figlia era ormai una donna, era educata e sapeva come e quando alzare la voce.

«Quello che intendo è» continuò allora, il mento appena più basso di prima «che se quello che i Sacerdoti Inferiori sostengono è vero, potrebbe essere troppo pericoloso andare...».
Yanfer soffocò una risata di scherno e scetticismo; si morse un labbro come a trattenere un'uscita di pessimo gusto e chiese «E cosa dicono i Sacerdoti?»

Hellenia era devota, lui nemmeno per scherzo. Forse per quello gli occhi di lui e di lei splendevano di luci opposte. Alcuni suoi amici, scherzando in modo pessimo, gli chiedevano se fosse davvero sicuro di essere il padre di una ragazza del genere, se per caso la sua amata moglie non fosse scappata con qualcun'altro mentre lui era ubriaco. Alla provocazione del padre, Hellenia riacquisì compostezza e alzò la testa:
«Loro dicono che una forza che gli esercizi non possono sconfiggere sia la vera causa di questo disastro».
Yanfer allora rise, incapace di trattenersi alle parole della ragazza.
«E quali sono le forze che gli esercizi non sono in grado di sconfiggere?» il sarcasmo nella sua voce era evidente, ma Hellenia non si fece intimorire.
«Il potere degli Antichi Benedetti non può essere annientato da degli scudi e delle spade, padre. Questo lo sai»
«Ah sí certo, i fantomatici Antichi Benedetti del Clero Militante...»
«Non è uno scherzo, padre, i loro poteri sono spaventosi e fuori norma»

«E cosa pensi che siano i membri del Clero Militante se non dei soldati di un esercito?» domandò saccentemente il re, che si stava stufando di quella conversazione. Doveva muoversi, non aveva tempo di dibattere con le storielle della figlia.
«Anche i Sacerdoti formano un esercito, quindi alla base di tutto non c'è decisamente niente di sovrannaturale, sta tranquilla».
Provò a calmarla il più possibile: chissà, forse la sua angoscia per la sua partenza era dovuta allo shock della notizia, voleva solo proteggerlo, forse. Ma che Sovrano sarebbe lui se avesse bisogno di farsi proteggere dalla sua stessa figlioccia? «Adesso vado al Tempio con uomini fedeli, Hellenia mia, e posso assicurarti che l'acciaio della spada può annientare chiunque» soffiò galvanizzato, appoggiando la mano sull'elsa della sua fidata arma. «La testa di un uomo cade quando decapitato, che sia la quella di un "soldato normale", o uno dei fantomatici Antichi Benedetti. Moriamo tutti allo stesso modo... dei Flowrose occupati tu» e con quella frase la Principessa si fece di lato con sopracciglia incurvate e occhi lucidi, come se l'ultimo verbo del Re fosse stato un ordine a farsi da parte.

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Ci vollero quasi cinque ore per raggiungere la valle del Tempio di Valenyoth: la Porta Mancante si era riempita di civili, cavalieri e passanti che volevano tutti accedere alla Capitale. Nonostante la carrozza del sovrano avesse la priorità su tutti, essere l'unico di tutta quella fiumana di gente a uscire gli complicó di molto la vita. Che idea di merda era stata, quella di organizzare il torneo; perché aveva accettato così velocemente quella proposta? Forse Hellenia aveva veramente ragione quando sosteneva che gli uomini ragionavano solo con due spade: quella che avevano in una mano e quella che avevano tra le gambe. L'aria mite di Kores quel giorno sembrava quasi fredda, Yanfer sentiva una punta di freddo penetrargli nelle ossa ogni volta che il lungo mantello si spostava dal suo corpo. Una pessima sensazione gli strinse come una morsa il cuore: freddo. A Valenyoth non faceva mai freddo, l'ultima registrazione di un calo di temperature in quell'area risaliva a millenni prima, sempre secondo quegli scalmanati dei Sacerdoti.

Bussò contro il legno della carrozza per farsi sentire dal cocchiere.
«Sbrigatevi! Dobbiamo arrivare il prima possibile!» sbraitò, sistemandosi con nervosismo la cotta di maglia. Tra tutti quegli stupidi Sacerdoti, ce n'era uno in particolare: il suo caro migliore amico, che aveva preso la via della fede. Del resto i migliori amici sono sempre stupidi, e lui aveva scelto la strada più stupida per definizione. "Ti prego, fa' che non sia vero"; era molto bravo con la spada, e si diceva lo fosse altrettanto con "le arti della mente", o la magia che dir si voglia. Un disastro del genere non era possibile, non a Valenyoth, nel pieno centro del continente. I casi di Marcescenza a mala pena si era allontanati da Glaucus e nemmeno i soldati meglio addestrati di Polemys avrebbero osato saccheggiare il tempio della capitale: erano selvaggi questo era certo, ma non così ingenui.
Il paesaggio da oltre le tende era immutato, il cielo non si era ingrigito e non si scorgevano piante appassite, e allora perché quel gelo pungente? Forse stava solo pensando troppo, si stava facendo prendere dalle paranoie che ogni sacerdote aveva di fronte al benché minimo cambiamento. E lui non era così, ma perché non riusciva a liberarsi di quella opprimente sensazione di pericolo?

La carrozza reale giunse alla valle di primo pomeriggio, e la luce del giorno illuminó il tetro scenario che Yanfer si trovó davanti. L'erba era bruciata, carbonizzata, gli alberi attorno alla struttura sradicati, spezzati. Sangue imbrattava alcuni sprazzi di terra, colorando di rosso il terreno grigiastro. Cadaveri di uomini giacevano ovunque, chi interi chi divisi in pezzi, chi col colorito dei morti, chi grigio e bluastro, innaturale e marcio. Della possente struttura che costituiva il Tempio di Valenyoth, il Gigante Verde, era rimasta solo parte della colonnata anteriore; il marmo bianco era sporco di scarlatto, frantumato e crollato ai lati. Le scale ancora reggevano impolverate, coperte di genere e foglie, mentre ciò che restava dei muri e del tetto era impilato su sè stesso in un cumulo disordinato di macerie crollate, sotto cui poteva vedere qualche braccio, una mano, qualche gamba, o la parte intera di qualche malcapitato che era quasi riuscito a fuggire al crollo.

«I messaggeri che hanno riportato la notizia hanno cercato sopravvissuti?» domandò con voce grave il re, sceso con passo pesante dalla carrozza: non era la scena a spaventarlo, ma il contesto. Perché in una zona come quella? Perché nessuno aveva sentito niente? Camminò facendosi largo tra i corpi, attento a non pestarli.
«Mio Re, permettete a noi di investigare: è una zona pericolosa, e rischiate di sporcarvi» si raccomandò il giovane Tema. Ah, sì, si insegnava ancora ai ragazzi paggi che i nobili erano creature ultraterrene che non dovevano mai venire a contatto con il sudiciume degli altri.
«Mi sto sporcando del sangue di sudditi che dovevo proteggere» ribattè, quasi calmo «per capire cosa è successo loro, prendermi la responsabilità della loro morte e distruggerne la causa. È questo il dovere del re» il suo vizio di fare grandi discorsi diventava ancora peggiore nelle situazioni critiche, ma nessuno osava mai dire una parola a riguardo. Tutte le persone che stava scavalcando, o respirando vista la cenere, che non erano morte schiacciate dalle macerie, avevano perduto la vita per qualcos'altro: ferite gravi, letali, di origini sconosciute. Qualunque fosse stata la causa del crollo, non era la medesima del massacro a cui stava assistendo.

Arrivò in cima alle scale dove, quasi teatralmente, giaceva riverso sul marmo Toren, il Reggente del tempio della Capitale, il suo migliore amico. Il suo petto era sfregiato, aperto. Sembrava che qualcuno lo avesse azzannato come il torsolo di una mela, e di lui restava solo la parte più centrale, quella attaccata alle ossa. Il suo viso, tolto il sangue, era rimasto intatto, i suoi occhi dorati lentamente si stavano ingrigendo, come parte della sua pelle. I brandelli della sua carne stracciata iniziavano ad assumere una sfumatura blu, quasi elettrico. A Yanfer cedettero appena le gambe, si inginocchiò sul corpo del compagno, le orbite vuote per lo sconforto. E quindi, era vero. La spada più forte che avesse mai avuto era stata mangiata viva dalla morte. L'ultima volta che lo aveva visto, Toren era così sbronzo da non riuscire nemmeno a parlare, ma era riuscito a farsi tutto il cortile del castello di corsa con gli stivali da cerimonia. La forza del suo migliore amico era mostruosa, eppure eccolo lì, stroncato con la facilità con cui si strappava un fiore da terra. Non seppe per quanto rimase in quella posizione, ma percepiva la presenza dei soldati suoi accompagnatori che avevano terminato la ronda.

Si rimise in piedi, il peso della corona improvvisamente più pesante, le spalle e il cuore stanchi.
«Mio Re, non ci sono superstiti e tutti i corpi mostrano segni di Marcescenza» iniziò insicuro Tema. Quel ragazzino aveva sempre una paura allucinante di parlare con sovrano, ma per qualche ragione era sempre lui a iniziare le conversazioni: forse sotto sotto sapeva che Yanfer non avrebbe urlato troppo crudelmente contro un giovane anche più piccolo di sua figlia. «Già, la Marcescenza...» soffiò. Da quando era arrivata lì? Gli sembrava quasi impossibile.
«È il presagio di un disastro...» da quel poco che sapevano, si diffondeva a macchia d'olio dalle prime zone in cui appariva. Ma il Confine non era prossimo a Kores, per niente.
«Tutti i morti che non sono stati schiacciati sono caduti in combattimento, si sa di forze delle regioni che avessero intenzione di attaccarci?» domandò allora Yanfer, per mettere un freno all'ansia del ragazzo. A rispondergli furono due soldati che lo avevano accompagnato.

«No mio Re, ma anche in quel caso, sarebbe stato impossibile non accorgersi di un contingente cosí grande da fare danni del genere spostarsi per Valenyoth»
«Già, è quello che immaginavo...»
«È-è stata la Marcescenza-» continuò il giovane Tema, il viso sempre più pallido e le dita sempre più tremanti. Yanfer stava cominciando a non sopportare più la mancanza di sangue freddo del suo paggio.
«La Marcescenza non è una persona»
«Ma allora chi altri può essere, mio Re? Nessun Sacerdote attaccherebbe un suo alleato... e la terra bruciata... nemmeno Polemys è così violenta. Chi altri potrebbe ridurre in cenere del marmo rinforzato dalle arti magiche?» ripeté imperterrito il giovane, la paura che aveva preso il sopravvento sulla ragione. Eppure le sue parole parvero convincere altri soldati che si erano avvicinati, e suo malgrado anche Yanfer non riusciva a fornire una risposta alternativa: solo i Sacerdoti erano in grado di creare danni del genere, ma loro erano una massa di fedeli invasati, scalfire uno dei loro tempi era un reato capitale per loro.

«Dovremmo avvisare il Supremo Sacerdote perché chieda ai Rappresentanti di Regione informazioni... Se lo ritenete saggio, mio Re» terminó Tema. Yanfer voleva urlare, ma non trovó le forze per farlo; invece, un sospiro quasi disperato gli uscì dai denti. Era giovane, forse era normale che non lo sapesse, pur essendo un fedele.
«Lo riterrei estremamente saggio, credimi... ma vedi, il Supremo Sacerdote è... qui» indicò arreso il re, indicando ciò che restava di Toren. Tema parve visibilmente strozzarsi con la sua stessa saliva, iniziò a respirare velocemente, annaspando, ma Yanfer fece un gesto della mano.
«Non sono arrabbiato, ragazzo»
«Non-non è quello mio Re... cioè anche quello certo... ma questo è un disastro su tutti i fronti... sia Clero che Corona sono stati colpiti...»
«Perchè sostieni che sia un problema anche per il Clero?» domandò saccentemente il re. Sapeva che tutti gli invasati erano convinti della lealtà reciproca dei clericanti, ma per lui non era così impossibile che uno dei Rappresentanti di Regione volesse liberarsi di Toren per prendere il suo posto.

«Chi è stato deciso per prendere il posto di Toren, nel caso in cui...?» non riuscí a terminare la frase, ma era chiaro dove volesse andare a parare.
«La Sacerdotessa di Morsel, a quanto ci risulta» si intromisero di nuovo i due soldati, oramai decisi che Tema avesse parlato anche troppo. Dallo sguardo che avevano, era chiaro che avrebbero volentieri tirato un bello schiaffo al giovane se solo Yanfer non fosse stato presente. Il Re parve pensarci per un po': quell'assalto non gli sembrava una tattica tipica di una donna, ma era anche possibile che stesse sottovalutando ciò che il gentil sesso fosse in grado di fare con delle buone risorse in mano.
«Desiderate che la richiamiamo alla Capitale per investigare?» quella domanda lo stuzzicò, ma non sapeva che risposta sarebbe stato meglio dare. Clero e Corona erano indipendenti, non si erano mai pestati i piedi a vicenda o ficcato il naso nei propri affari, chissà cosa una convocazione del genere avrebbe scatenato tra i fedeli.

La voce si sarebbe sparsa più rapidamente del fuoco in una foresta, e da essa sarebbero nate congiure e complotti uno peggiore dell'altro, per non parlare di possibili asti. Ma se fosse stato vero, se quella donna avesse veramente causato tutto quel disastro? Il fuoco era l'anima di Morsel del resto, e il Gigante Verde era bruciato come una foglia secca.
«Cosa sappiamo degli altri, invece?»
Non voleva saltare a conclusioni e puntare inutilmente il dito: cosa ne sapevano gli altri Rappresentanti, se sapevano qualcosa? Doveva scoprirlo, almeno con quello di Psalyr sarebbe stato facile... con gli altri c'era solo da sperare. Non poteva richiamare tutti i dirigenti del Clero a corte, avrebbe causato una rivoluzione di stato e terrorizzato i civili. Il popolino era convinto che i credenti fossero in grado di sterminare Aphaneryth, anche se la Marcescenza non era opera loro. Yanfer non ci aveva mai creduto prima, ma guardando quel triste spettacolo, i dubbi sorsero.

«Va bene, ma con discrezione. La voce dell'attacco si spargerà comunque, invitate quanti più sacerdoti potete al torneo del mese prossimo: la nuova Suprema e Gendrks sicuramente, il mio caro fratello maggiore è il suo benefattore quindi non rinuncerà mai all'invito» e avrebbe avuto anche senso vederlo presente, in quanto accompagnatore di Yarno. Non che gli mancasse la presenza del suo fratellone, ma certi sacrifici erano necessari per la causa.
«Recuperiamo più corpi possibili: voglio che i Saggi possano studiarli prima di dare loro sepoltura... abbiate particolare cura per Toren» ordinò, alcuni uomini annuirono frettolosamente e iniziarono a racimolare le salme vicine. Cosa doveva fare con il tempio, invece? Quelli erano affari del Clero, lui non poteva metterci bocca, e l'unico in grado di spiegargli come agire giaceva vicino a lui in una pozza di sangue.
«Voglio una pattuglia in questa area giorno e notte, chiunque o qualunque cosa abbia causato tutto questo può tornare. E nessuno deve vedere la Marcescenza che c'è in questo luogo».

Un attacco alla sede religiosa della Capitale era già grave, ma assieme a quella piaga? Aphaneryth sarebbe caduto nel caos prima del tramonto.
«Cosa diremo a chi chiede dettagli?»
«Nulla: parlate di un attacco da parte di una fazione non meglio precisata. Nessuna Marcescenza, nessun fuoco grigio, non parlate di ciò di cui non abbiamo ancora una risposta». Il vero problema era che non avevano alcuna risposta, nemmeno l'ombra, e le domande si accatastavano l'una sull'altra come le pietre che costruivano il Tempio di Valenyoth. Yanfer si abbassó un'ultima volta sul corpo esanime di Toren e gli chiuse gli occhi, preparandolo per il riposo della morte, il più lungo che esistesse.
«Amico mio, se gli Dei esistono davvero come tu credevi, oggi loro hanno deciso di maledirci»

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【𝗗𝖠𝖭 𝗦𝖯𝖠𝖢𝖤】

Buongiorno a tutti, Dan è tornata a scrivere storie che non siano sempre ad oc. "I Sette Figli della Morte" andrà in porto? Me lo auguro vivamente, ma dipende tutto dall'università, lavoro, altre storie, feedback eccetera. Considerando ogni tentativo questa sarà la terza volta che riporto questo libro, che inizialmente portava il nome di "Flames: In Honour of Helen"; alla prima edizione ero arrivata a un punto abbastanza buono della trama, poi praticamente tutti i partecipanti hanno smesso di leggere, idem alla seconda volta. Ergo, a questa terza edizione prenderò le redini di tutto, chi vorrà leggere dei propri oc potrà farlo, se mi chiede di riportarli, ma questo come prezzo avrà il dover leggere e commentare. Non porto pg di persone assenti, come vedo che spariscono, anche i personaggi lo faranno (George R.R. Martin ha insegnato molto bene).

Non so quante persone leggeranno questa storia ma all'inizio penso poche, come accade sempre, e considerando l'andazzo di Time Crasher, non prevedo una grande affluenza. Ma tolto questo, se c'è qualcuno in ascolto: come vi è sembrato questo primo capitolo e del Sovrano di questo regno? L'ambientazione e gli elementi comparsi sono abbastanza chiari e originali? Ora come ora i capitoli procederanno concentrandosi sul punto di vista di un personaggio singolo a cui roteanno alcuni altri, ma non sarà la stessa dinamica dei capitoli di Martin o Percy Jackson. Se avete consigli, opinioni, suggerimenti o critiche di qualunque genere sentitevi liberi di esprimerle. Posso andare avanti soltanto a feedback, positivi o negativi che siano è uguale: senza punti da correggere non posso migliorare. Ma ora basta con i discorsoni, ci vediamo al secondo capitolo, se mai ci arriveremo.
----Dangershindoulover

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