• capitolo tre - l'inferno che ho passato
"Rose"
Una voce gelida sul collo le disturbò il sonno; il caldo afoso di Luglio le parve scomparso e ritornare al mite fresco di Londra.
Si alzò dal letto, condiviso per quella notte col giovane Riddle, e si diresse nell'ambiente che comprendeva la cucina e il salotto.
Passò le mani sugli occhi per darsi una svegliata, sfregandoli fino al rossore.
Lanciò uno sguardo alle finestre degradate e si rese conto che era appena l'alba del 12, il giorno del suo compleanno, iniziato bruscamente nella notte.
"Rose"
Udì ancora il suo nome.
Sarà il sonno, pensò mentre si versava dell'acqua in un bicchiere di vetro.
Si gettò sulla poltrona, alzando le gambe all'aria godendosi il panorama romano dalla finestra.
"Rose"
No, stavolta non era il sonno, era fin troppo sveglia.
Il suo relax durò molto poco e, controvoglia, si girò intorno: era totalmente sola.
"Sto impazzendo" sussurrò tornando in camera da letto.
La stanza era molto semplice, composta da un letto matrimoniale antico, dalle sbarre di ferro ossidato, e un paio di mobili verdastri.
Alle pareti giallastre c'erano quadri di pittori anonimi, raffiguranti campi aratri e pianure notturne.
"Mh, dove vai?" mugugnò Jonn nel dormiveglia, sentendo i passi di Rose percorrere la casa.
"In bagno, dormi Riddle" rispose la ragazza sorridendo alla vita del giovane a dorso nudo dormire nel suo letto.
Anche il bagno era una stanza semplice e avente l'essenziale come le altre, ai due non importava.
Si guardò al piccolo specchio e notò le imperfezione inondare il volto; poco le importava dei brufoli o di macchie sul viso, c'era una guerra in corso e non doveva lasciarsi a frivolezze.
Beh, più che guerra, era una battaglia fra l'essere e l'apparire del vero potere: c'era chi voleva essere potente e chi voleva solo apparire forte per spaventare.
Rose aveva entrambi.
Restò minuti ad osservarsi allo specchio, poi decise di idratarlo e, nel prendere l'asciugamano dal cassetto, udì ancora la voce.
Ritornò al suo riflesso e sobbalzò: non era sola.
Chiuse ripetutamente gli occhi, ma l'uomo restava lì, immobile a sorriderle.
"Ti sono mancato, Rose?"
Il suo tono non era gelido, ma dolce come il miele e caldo come l'estate.
Tra le dita stringeva un ciondolo a forma di bacchetta, che unì dopo a un braccialetto di cuoio sottile.
"Buon compleanno, amica mia"
"James..."
Ella, con le lacrime agli occhi, le si aggrappò al collo e lo strinse forte.
Sentiva la pelle di James scottare, arrossarsi dalla stretta: era reale.
"Com'è possibile?" chiese baciandogli la guancia sinistra, mentre egli passava le dita nei suoi boccoli disordinati.
Lo sguardo cadde sul suo vestiario: gli abiti del ballo del ceppo.
"Non è questo il punto. Adesso voglio godermi il tempo a disposizione con te"
Egli la guardò negli occhi, in quelle iridi nocciola così belle.
Finalmente sentiva il suo cuore battere, forte come le campane a Natale.
Le prese le mani e gliele baciò dolcemente, un cavaliere coraggioso che si riconcilia con la propria amata.
Scorse il suo braccialetto dal pendente a forma di bacchetta.
Sorrise e disse:
"Hai visto, ti ho sempre protetto"
In quel momento sentirono bussare alla porta, impazientemente e con costanza.
"Rose!" urlò Jonn con accenno assonnato.
Ella si era dimenticata della presenza della sua dolce metà.
"Jonn?!" esclamò James incredulo: allora era vero, quei due stavano insieme.
Il principe oscuro entrò infilando la maglietta nel bagno, afferrando Rose per i fianchi e baciandola.
Il povero James sentì lo stomaco contorcersi, un morso che lo inghiottiva.
"Passionale" commentò volgendo lo sguardo a terra.
Rose pensò che fu quello il momento in cui Jonn udì la voce di un morto: fredda e pungente.
Riuscì a togliere il velo davanti agli occhi, liberarli dal muro.
Tuttavia viveva con un ponte tra vivi e morti.
"Tu" iniziò sussurrando "Da quanto tempo sei qui?"
Un'ondata di gelo lo colpì, costringendolo a recarsi in cucina, luogo più caldo del bagno.
"Ma com'è possibile!" esclamò incredulo.
Aveva visto Rose uccidere, piangere, spegnere i sentimenti, per la sua morte ed ora lui era lì con lei: tutto questo era troppo da sopportare.
"Non lo so"
"Io so però cosa hai dovuto sopportare per riportarlo in vita e adesso lui è qui!"
Rose si chiedeva perché fosse così furioso, una tempesta.
"Smettila di urlare" disse James, infastidito dalle sue grida.
Jonn rispose male e lì, turbinio di emozioni, scoppiò una discussione.
- Kai saprà come devo procedere- pensò andando in camera da letto e, non curante di aver lasciato i due uomini in cucina che litigavano, iniziò a vestirsi.
"Sono sicuro che le hai fatto più male tu che io!" sentì James dare un pugno al tavolo.
"Sei così tanto sicuro? Ti sbagli di grosso!" ribattè Jonn.
"Petrificus Totalus! Scacco matto; mi avete fatto male entrambi" disse Rose, ondeggiando nei suoi pantaloncini fino alla porta.
Col tempo aveva imparato a non dare importanza alle liti maschili, erano cose superficiali.
Quella mattina era calda e soffocante; gli alberi sui marciapiedi davano ombra per poter far respirare i passanti accaldati.
Roma d'estate era sempre colma di turisti: una cosa che Rose odiava. Troppa gente...
Attraversò i viali d'epoca imperiale, fatti di pietra paramentata ai lati e ci conci più piccoli sulla superficie piana.
L'asfalto era troppo caldo per poterci passare; era l'opzione più comoda quella di attraversare le stradine piccole e antiche.
Dal suo quartiere popolare, squallido e privo di modernità, giunse alla ricca via dove i più altolocati studi medici risiedevano.
Nella sua borsetta viola perlinata, che pareva senza fondo, conservava ancora il bigliettino da visita di quell'uomo tratto con l'inganno alla sua attenzione.
La prima volta che lo aveva visto, ad Aprile, tremò a quel simbolo piangente sul dorso della mano; doveva parlargli, ma quei pochi minuti, quel caffè amaro, non erano bastati.
Dopo mesi eccola lì, alla ricerca del perdono per la sua assenza.
Doveva capire se James era tornato per sempre o era solo illusione.
E poi, Regulus come faceva a sapere cos'era un ponte tra vivi e morti?
Quel nome le tormentava i sogni e occupava la veglia: quell'uomo pareva vivo.
Bussò a un grande palazzo color panna, adornato con semicolonne trabeate ioniche. La mente la portò al palazzo della sua famiglia; il cuore le ricordò un castello, uno in particolare nella quale ci aveva vissuto per anni: Hogwarts.
Ogni tanto ci pensava e sognava come sarebbe stato se Voldemort non fosse tornato più...
Una donna dal naso adunco e l'aria superba la fece entrare nello studio alquanto freddo: le pareti violette della sala d'attesa erano adornate da quadri molto complessi da interpretare, come la mente umana dopotutto.
Si sedette su una sedia nera piuttosto comoda ed aspettò che Kai la facesse entrare.
"Signorina Smith, è il suo turno"
Non l'aveva mai vista così bella; i pantaloncini aderenti le davano un'aria più giovanile e la magliettina rossa evidenziava l'abbronzatura a macchie.
"Ciao" gli disse sedendosi sulla sedia di fronte alla scrivania avorio.
L'interno dello studio era molto classico, con riferimenti alla Divina Commedia: l'inferno.
Kai si rendeva conto del grande abisso tra l'esterno moderno e l'interno così antico, ma non tutti potevano apprezzare la bellezza classica.
"Conosci Dante?"
"Sì, perché?"
Quella ragazza gli provocava calore, imbarazzo, accelerazione cardiaca; purtroppo non poteva lasciarsi all'infatuazione.
"Solo chi ha vissuto l'inferno può vedere questa stanza. Hai oltrepassato le fiamme dell'Inferno?"
"La vera domanda è un'altra: tu hai passato l'inferno?"
La guardò e rabbrividì.
Mai nessuno si era interessato a quel povero ragazzo chiuso in sé stesso.
Socchiuse le labbra per sillabare qualcosa, ma non ci riuscì.
"L'inferno vero è quello che hai dentro, il mostro della coscienza. Credo che hai capito cosa sono e la sproporzionata quantità di potere che ho in corpo. Il dolore delle fiamme infernali lo conosco, ma non mi spaventa"
Notò che pose lo sguardo sulle sue labbra e sorride.
"Emozionante. Come mai sei qui?"
"Ho bisogno di una cosa"
Egli si alzò dalla scrivania e si pose dinnanzi alla ragazza, in piedi abbassando la schiena verso di lei. I loro nasi quasi si toccarono dalla poca distanza tra i volti.
"Di cosa esattamente, fiorellino?"
"Di te" sentì sfuggire queste parole con la forza, strappate di gola.
"Dimmi tutto, Rose"
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